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Da Bologna a Dresda
Da Bologna a Dresda
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E-book368 pagine5 ore

Da Bologna a Dresda

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Info su questo ebook

Da Bologna a Dresda indaga l’attività di mediazione nel commercio artistico svolta dal pittore e restauratore emiliano Carlo Cesare Giovannini (Parma 1695 - Bologna 1758) con la corte di Sassonia, tra il 1750 e il 1756. La base su cui il testo si sviluppa sono i carteggi del pittore con i dignitari della corte di Augusto III, conservati nella Biblioteca Comunale dell’Archiginnasio di Bologna, allegati al testo come appendice documentaria: manoscritti che delineano i caratteri di una figura finora poco conosciuta nei suoi giudizi critici straordinariamente aggiornati, nei suoi viaggi d’affari tra lo Stato Pontificio e la Germania e nei suoi rapporti con l’ambiente culturale ed antiquario italiano.

Il punto di forza di questo volume sta senza dubbio nella capacità d’inserirsi all’interno dell’attualissimo discorso sulle istituzioni artistiche europee del Settecento.
LinguaItaliano
Data di uscita3 nov 2016
ISBN9788856780031
Da Bologna a Dresda

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    Anteprima del libro

    Da Bologna a Dresda - Francesco Speranza

    Albatros

    Nuove Voci

    Ebook

    © 2016 Gruppo Albatros Il Filo S.r.l. | Roma

    www.gruppoalbatrosilfilo.it

    ISBN 978-88-567-8003-1

    I edizione elettronica ottobre 2016

    Presentazione

    Dresda è un piccolo Paradiso:¹ questa metafora del cronista Johann Christian Crell definisce in modo suggestivo gli effetti delle politiche artistiche dell’Epoca Augustea, periodo in cui il principe elettore di Sassonia Federico Augusto I e suo figlio Federico Augusto II occuparono il trono reale della confederazione Polacco-Lituana con i nomi di Augusto II il Forte (1697-1733) e Augusto III (1733-1763). In tale passaggio, denominato in un chiaro riferimento alla fioritura culturale dell’antichità classica,² la capitale assistette alla proliferazione di cantieri edilizi e decorativi e all’evoluzione delle collezioni regie in moderne entità museali, riordinate seguendo una differenziazione tipologica tra la raccolta di gioielli e di arti applicate conservata nel Grünes Gewölbe al piano terreno della residenza elettorale (1723-1730), le stampe, le medaglie, i naturalia e gli strumenti scientifici dello Zwinger, il complesso prospiciente il castello (1728), le porcellane orientali e locali, opera della manifattura di Meißen, del palazzo sulla sponda opposta dell’Elba, lo Japanisches Palais (dal 1717) e le sculture antiche della maison de plaisance situata a sud-est delle mura civiche, il palazzo del Großer Garten (1729). Chiudeva la serie delle nuove istituzioni il massimo investimento culturale di Augusto III: la Gemäldegalerie inaugurata nel 1746 nello Johanneum, la scuderia cinquecentesca già adibita ad ambiente di rappresentanza negli ultimi anni di Augusto II, quindi a pinacoteca al termine di un adattamento strutturale che prevedeva una suddivisione degli spazi del primo piano tra un anello interno dedicato alla pittura italiana, una galleria esterna in cui figuravano i maestri delle restanti nazioni europee, un gabinetto di pastelli ed un laboratorio di restauro.³ La sua gestione – inserita come quella delle restanti raccolte regie tra le cariche di camera (Ober-Kämmeren) sottoposte alla direzione del ciambellano (Kämmerer), ruolo coperto dal 1738 dal primo ministro Heinrich von Brühl (1700-1763)⁴ – era affidata a due ispettori, Johann Gottfried Riedel (Sokolov 1691 – Dresda 1755), pittore deputato alla cura della collezione di dipinti nel 1742, e Pietro Maria Guarienti (Padova? 1678 - Dresda 1753), entrato nell’organigramma di corte nel 1746 stesso. Nel primo decennio di attività, il museo si trovava nel pieno del progetto di incremento del patrimonio, attuato aggiungendo al nucleo dinastico di fondazione rinascimentale e ai risultati di acquisti di massa protratti a partire dagli ultimi anni del Seicento, l’incameramento di prestigiose collezioni europee⁵ e, soprattutto su impulso di Guarienti, di opere di pittori non ancora adeguatamente rappresentati nella raccolta, intesi come gli anelli mancanti nella continuità storica di un museo che veniva a costituirsi, più che come l’espressione del gusto individuale del sovrano, come la traduzione visiva di un manuale artistico.⁶ Le campagne di acquisto, che sotto il regno di Augusto II erano orientate massimamente verso l’arte olandese e fiamminga e concluse soprattutto tra la Germania e la Francia, vennero gradualmente spostate verso sud per colmare le lacune relative agli autori italiani, particolarmente ricercati sotto il regno di Augusto III:⁷ delle operazioni commerciali veniva incaricata una rete di architetti, pittori di corte e funzionari, inviati all’estero come mediatori, sulla scorta di liste di pittori ricercati – talvolta in codice cifrato – e con precise istruzioni sull’originalità delle merci, comprovata dal giudizio di esperti e certificata dalla sua sicura provenienza, sulle dimensioni e sullo stato conservativo, nonché sul prezzo, assestato al massimo ribasso possibile. Meta preminente per le missioni italiane fu Venezia, frequentata già dal secondo decennio del Settecento e teatro degli acquisti del consigliere di guerra Francesco Algarotti (1712-1764) tra il 1743 e il 1744 e dello scenografo e decoratore Bonaventura Rossi (m. 1766), che tra il 1738 ed il 1744 aumentò di più di duecento unità il catalogo della Galerie, registrando come massimo successo l’acquisto dei cento dipinti della quadreria estense di Modena (1745-1746).⁸ Accanto a Venezia, già dal 1714 furono tentati sondaggi in altri centri quali Roma e a Firenze mentre Bologna, benché patria dei Carracci e dei massimi classicisti secenteschi che occupavano insieme ai coloristi veneti il posto in capo alle liste⁹ e teatro di un vivace mercato antiquario, alimentato soprattutto da un generalizzato rinnovo degli arredi ecclesiastici, risulta aperta tardivamente agli agenti di Sassonia da un primo esperimento di Bonaventura Rossi (1741) e dal tentativo fallito di Algarotti (1743). Miglior esito vi avrebbe sortito la spedizione del Guarienti, da lui stesso proposta ad Augusto III tramite Brühl e intrapresa tra il 1748 e il primavera del 1750:¹⁰ l’ispettore avrebbe ricercato nell’Italia settentrionale i dipinti istoriati di soggetto sacro o profano – trascurando la pittura di genere ed escludendo espressamente i ritratti – di cinquantasette autori da lui stesso selezionati, con la possibilità di aggiungervi nomi non previsti o già rappresentati, nel caso in cui per due ò trecento zecchini gli si fosse presentata l’opportunità di guadagnare capolavori irrinunciabili.¹¹ Inserito nel locale ambiente artistico grazie a sette anni di alunnato presso Giuseppe Maria Crespi e alla nomina a membro dell’Accademia Clementina conseguita due decenni prima, egli poté appoggiarsi alla collaborazione di antiquari locali, in primis del canonico Luigi Crespi, che procurò a Dresda nel 1750 l’Annunciazione di Francesco Cossa, all’epoca creduta di Andrea Mantegna (Gal.-Nr.43), i due scomparti di predella con Storie della Passione di Ercole de Roberti già parte dell’altar maggiore di San Giovanni in Monte (Gal.-Nr. 45; Gal.-Nr. 46), e nel 1752 la Madonna della Rosa di Parmigianino (Gal.-Nr.163) e Nino e Semiramide di Guido Reni (Gal.-Nr.325).¹² Conta invece tra i fallimenti dell’ispettore la trattativa per l’opera designata per eliminare dalla lista l’aprifila degli autori ricercati, Raffael d’Urbino, la Santa Cecilia bloccata nella chiesa lateranense di San Giovanni in Monte dall’intervento dell’abate Ubaldo Tenizzi presso papa Benedetto XIV: in sostituzione ad essa, il proprietario conte Fulvio Bentivoglio concesse alla Galleria la copia di Denijs Calvaert (Gal.-Nr. 94).¹³

    L’impulso protezionistico, che in nome del pubblico decoro e del richiamo turistico stava limitando la disinvoltura commerciale dello Stato Pontificio, raggiunse infatti Bologna in quegli anni, concretizzandosi nel bando del cardinal legato Giorgio Doria, pubblicato l’8 febbraio 1749, che vietava la vendita e l’esportazione di Quadri, Pitture, Disegni e Intagli di qualsivoglia genere […] esposte al pubblico ornamento, e insegnamento, in massima misura contro gli stranieri intenzionati a depredare il patrimonio artistico locale, ponendo come arbitro per eventuali deroghe l’Accademia Clementina.¹⁴

    Questo è il contesto storico in cui si inserisce il presente studio. Nel recente aumento d’interesse per il mercato artistico nel Settecento, Da Bologna a Dresda mira a delineare un caso emblematico per la storia del commercio antiquario e del collezionismo, condotto in un approccio interdisciplinare, affiancando alla storia del gusto e delle tecniche di restauro elementi di storia economica, politica e sociale, e incrociando i documenti di un consistente carteggio contenuto in tre faldoni della Sezione Manoscritti e Rari della Bibilioteca Comunale dell’Archiginnasio di Bologna (Mss. B 153; B 432; B 943) e in uno dell’ Archivio di Stato Sassone di Dresda (Loc. 380/6). Il risultato emerso dalle ricerche è la ricostruzione dell’attività del pittore parmigiano Carlo Cesare Giovannini come agente per la Gemäldegalerie di Dresda. Indagata la sua figura di restauratore da Guido Zucchini (1949) e da Nicola Giordani (1999) e pubblicata da Alessandro Boni la sua guida manoscritta di Parma (2002), da un decennio si sta iniziando a far luce sulle sue implicazioni nel commercio antiquario, grazie agli studi sull’acquisto della Madonna Sistina, il cui accompagnamento a Dresda costituisce la più celebre impresa del Nostro. Più di centotrenta lettere restituiscono tre anni di rapporti intrattenuti nei mesi della trasferta tedesca da Giovannini con la moglie Laura Gentile Barberini e col suo socio in affari, l’abate Alessandro Branchetta e, al suo ritorno in Bologna, con i suoi referenti alla corte di Augusto III, il consigliere aulico Giovanni Lodovico Bianconi e il segretario d’ambasciata Federico De Rossi: testi che, oltre ad approfondire la conoscenza delle dinamiche sulla cui base si sviluppò una delle massime istituzioni museali del Settecento e a proporre riletture e aggiunte ai pregressi collezionistici e alla valutazione critica di dipinti oggi posseduti dalle principali pinacoteche europee, rivelano giudizi ancora attuali, coloriti talora da una gradevole felsinea libertas. Un colloquio a più voci che merita di essere restituito nella sua originalità: per questo si è ritenuto opportuno trascrivere le lettere in appendice al testo, ordinate, per quanto possibile, in una sequenza cronologica. Le ingenti dimensioni del carteggio e la presenza di minute e di rescritti hanno però comportato una cernita: si è data precedenza all’unità ancora vergine, il fondo tedesco, e alle carte meno sfruttate, quali gli scritti di De Rossi e di Branchetta e le lettere di Giovannini alla moglie, a scapito dei doppi e dei documenti già pubblicati. Le tre unità bolognesi hanno infatti già conosciuto uno sfruttamento, pur di differente intensità. Molto approfondito è stato l’attingimento al primo faldone, contenente i documenti relativi alla vendita della Madonna Sistina – pubblicati già dall’Ottocento e oggetto dei recenti studi di Claudia Brink e Andreas Henning promossi in occasione del quinto centenario del capolavoro di Raffaello (2012) – e le lettere di Gian Lodovico Bianconi, particolarmente esaminate negli anni Novanta da Giovanna Perini per l’articolo del «Burlington Magazine» Dresden and the Italian Art Market in the Eighteenth Century (1993) e per la monografia sugli Scritti tedeschi del consigliere (1998): testi che formano la base della presente pubblicazione. I faldoni B432 e B943 hanno saltuariamente riscosso l’interesse degli studiosi, tra cui si ricordano Carlo Piancastelli, che ricondusse nel 1919 a tale contesto la tavola di Innocenzo Francucci del Museo Civico di Forlì, e Igino Benvenuto Supino, che ricostruì nel 1927 le vicissitudini della vendita della pala dell’Ospedale di San Biagio, eliminandola dal catalogo di Bartolomeo Ramenghi da Bagnacavallo. L’unico studio che ha sondato in modo omogeneo i tre faldoni dell’Archiginnasio è stato dato alle stampe nel 1965 con l’articolo di Giancarlo Roversi Il commercio dei quadri a Bologna nel Settecento, che dichiara come scopo più l’individuazione delle personalità dei protagonisti che la restituizione della complessa vicenda tramite la concatenazione degli eventi: lo stesso autore avrebbe invece operato una più organica ricostruzione nel sequel pubblicato quattro anni dopo, I trafficanti d’arte bolognesi del secolo XVIII e la vendita della Madonna Sistina di Raffaello. Il testo che segue propone una rilettura dei testi di Roversi alla luce dei più recenti studi e in un confronto col fondo tedesco, la cui natura di mezzo di comunicazione ufficiale a Corte rivela un Giovannini meno pervaso da quel fatalismo e profondo senso religioso che egli dimostra nelle interazioni con la moglie e da quella spontaneità vernacolare che risalte nelle minute, sicuro di sé fino a rivendicarsi il titolo di primo ideatore dell’acquisto della Sistina. Assai più rilevanti della caratterizzazione del protagonista sono le novità affiorate da un confronto tra i documenti noti e gli inediti: sul background della strutture istituzionali ed economiche che influenzano il sistema artistico, si crea in modo concreto una rete di modalità, tempistiche, fortune, di occasioni mancate e di ripieghi di tre anni di rapporti commerciali internazionali, talvolta concedendo una nuova rilevanza ad alcuni articoli finora relegati ai margini della vicenda, e mettendo in discussione elementi assodati, quali l’identificazione della pala riconosciuta quasi cent’anni fa da Piancastelli e del Samacchini in mano all’abate antiquario. Il saggio prende le mosse dai primi contatti documentati tra Branchetta e la corte di Dresda, per terminare con l’interruzione dei rapporti avvenuta sei anni dopo. Assunto come evento spartiacque la trasferta di Giovannini in Germania, la narrazione è organizzata in tre sezioni: una breve introduzione sui primi acquisti della Galleria presso il Branchetta, cui seguono le due parti più consistenti, che vertono rispettivamente sugli otto mesi trascorsi dal pittore fuori Bologna, Giovannini a Dresda, e sull’attività di agente di commercio intrapresa al rimpatrio per due anni, Giovannini mediatore in Italia. Queste due tranches, introdotte e chiuse da una sintesi che ne riassume le linee guida generali, sono ulteriormente articolate per nuclei tematici, incentrate sulle singole trattative per la Gemäldegalerie e per l’ufficiale e affarista britannico Richard Gaven.

    1 Vedi Harald Marx, Die erste Hälfte des 18.Jahrhunderts: das augusteische Zeitalter, in Sehnsucht und Wirklichkeit – Malerei für Dresden im 18.Jahrhundert, catalogo della mostra a cura di Harald Marx (Dresda, Gemäldegalerie Alte Meister) Colonia 2009, p. 12.

    2 Sous son heureux regne nous verrons revivre le Siecle de Cesar Auguste. (Carl Heinrich von Heinicken, Recueil d’estampes d’après les plus célèbres tableaux de la Gallerie Royale de Dresde, Dresda 1753/1757).

    3 Vedi «Dresdener Kunstblätter», LII, 1 (2009) e Tristan Weddigen, The picture galleries of Dresden, Dusseldorf, and Kassel: princely collections in Eighteenth-Century Germany in The First Modern Museums of Art: the Birth of an Institution in Eighteenth-and Early Nineteenth-Century Europe, a cura di Carole Paul, Los Angeles 2012, pp. 145-165.

    4 Personalità di recente fortuna critica, dal convegno internazionale tenuto presso la Biblioteca Hertziana nel 2014 Primo ministro e mecenate. Il conte Heinrich von Brühl (1700-1763) alle pubblicazioni Architektur und Kunst in der Ära des sächsischen Ministers Heinrich Graf von Brühl (1738 - 1763), a cura di Tomasz Torbus, Markus Hörsch, Ostfildern 2014 e «Dresdener Kunstblätter», LVIII, 2 (2014).

    5 Vedi Virginie Spenlé, Les achats de peintures d’Auguste III sur le marché de l’art parisien, in «Bulletin de la Société de l’Historie de l’Art français», 2002, pp. 93-134, eadem, Torino-Parigi-Dresda. Le collezion Verrua e Carignano nella Pinacoteca di Dresda in Le raccolte del principe Eugenio condottiero e intellettuale, catalogo della mostra a cura di Carla Enrica Spantigati (Venaria Reale, Reggia) Milano 2012, pp. 145-157, e Gudrun Swoboda, Venedig-Dresden via London, Brüssel, Prag. Der geheime Ankauf von Gemälden aus der Kaiserlichen Galerie in Prag (1748) in Venedig -Dresden. Begegnung zweier Kulturstädte, a cura di Barbara Marx, Andreas Henning, Dresda 2010, pp. 253-261.

    6 Vedi Tristan Weddigen, Ein Modell für die Geschichte der Kunst. Die Hängungen der Dresdner Gemäldegalerie zwischen 1747 und 1856 in «Dresdener Kunstblätter», LII, 1 (2009) Analogamente, "avendo scoperto, che di molti Professori dal P. Pellegrino Orlandi nel suo Abecedario Pittorico non s’era fatta menzione", in un’ottica di completezza, Guarienti ne inserì le voci nella riedizione del 1753 da lui stesso curata. (Pietro Maria Guarienti, Abecedario Pittorico, Venezia 1753).

    7 Gregor J.M. Weber, Italienische Kunsteinkäufer im Dienst der Dresdner Galerie, in «Dresdner Hefte», n. 40 (1994), pp. 32-42.

    8 Barbara Marx, Diplomaten, Agenten, Abenteurer im Dienst der Künste. Kunstbeziehungen zwischen Dresden und Venedig in Venedig… cit., pp. 10-67; Johannnes Winkler, La vendita di Dresda, Modena 1990.

    9 L’elenco inviato il 9 marzo 1720 dall’ambasciatore di Sassonia a Venezia Emilio Villio al primo ministro conte Christoph August di Wackerbarth si apriva infatti con Carazzi, Guido, Guercin accanto a Tizian, Zorzon, Tintoreto e nell’Instruction pour le Comte Algarotti, (HStA, Loc.18213 Cap. VII Nr.27) subito dopo Raffael d’Urbino, Correggio, Parmigianino, Tiziano apparivano i nomi di Domenichino, Reni, Caracci (Luigi, Annibale, Agostino, Antonio), seguiti da Francesco Albani. Marx, Diplomaten… cit., p. 26; Hans Posse, Die Briefe des Grafen Francesco Algarotti an den Sächsichen Hof und seine Bilderkäufe für die Dresdner Gemäldegalerie, Dresda 1930, p. 11.

    10 Tristan Weddigen, Der visuelle Diskurs des Inventars – Geschmackliche und kunstgeschichtliche Argumentationsmuster in der Dresdner Gemäldegalerie des 18. Jahrhunderts, in «Jahrbuch der Staatliche Kunstsammlungen Dresden», XXXIII (2007), pp. 97-104.

    11 HStA, Loc.895/8, Istruzzione per il S.e Pietro Maria Guarienti Ispettore della Real Galleria de’Quadri a Dresda e Nota dell’Autori, che mancano per compire la Reggia Galleria di Sua Maestà, 24 maggio 1748, cc. 117.12-13v. Nella lista appaiono, suddivisi per scuola, gli stessi pittori elencati nella Lista degli autori mancanti nella Galleria inviata da Guarienti a Brühl da Venezia il 17 agosto 1748, pubblicata in Swoboda, Venedig-Dresden…cit., p. 261.

    12 Su questa figura di attuale fortuna critica, presentata come agente per la Gemäldegalerie da Thomas Liebsch nell’intervento Heinrich Graf von Brühl und der Kunstmarkt in Bologna - Der Briefwechsel mit Luigi Crespi nell’ambito del già citato convegno della Hertziana, vedi Giovanna Perini, Luigi Crespi storiografo mercante e artista (in corso di pubblicazione).

    13 L’Estasi di Santa Cecilia di Raffaello da Urbino nella Pinacoteca Nazionale di Bologna, a cura di Andrea Emiliani, Bologna 1983, pp. 92-96; Ute Christina Koch, scheda 69, in Rembrandt – Tizian – Bellotto. Geist und Glanz der Dresdner Gemäldegalerie, catalogo della mostra a cura di Bernhard Maaz, Ute Christina Koch e Roger Diederen (Monaco, Kunsthalle der Hypo-Kulturstiftung; Groninga, Groninger Museum; Vienna, Österreichische Galerie Belvedere - Winterpalais), Monaco 2014, pp. 166-167. L’idea di acquisizione della pala dell’altare Bentivoglio di San Giovanni al Monte perdurò comunque negli anni seguenti, accarezzata da Giovanni Ludovico Bianconi ("Se fossimo in altri tempi sarei di parere che fosse molto meglio pensare alla S. Cecilia del med.o Autore […] appartenente a persone che volentieri ne farebbero quattrini. In altro pontificato si potrebbe farne il tentativo. Al di d’oggi Papa, che Dio salvi lungo tempo, è per entrare negli anni settantanove. E tutti i Legati non sono osservatori scrupolosi delle volontà Pontifizie come il presente") e messa in atto nell’offerta di quindicimila ducati impartita all’abate lateranense Casanova dal pittore bolognese Giuseppe Becchetti e da Anton Raphael Mengs, un tentativo fallito per le titubanze di quest’ultimo. (HStA, Loc. 651/14, fol. 12-13v. Lettera di Bianconi a Brühl, 20 febbraio 1753, pubblicata in Raffael. Die Sixtinische Madonna. Geschichte und Mythos eines Meisterwerks, a cura di Claudia Brink e Andreas Henning, Monaco-Berlino 2005, p. 120; Julius Hübner, Verzeichniß der königlichen Gemälde-Gallerie zu Dresden, Dresda 1856, p. 39).

    14 Trascritto in Andrea Emiliani, La Pinacoteca Nazionale di Bologna, Bologna 1967, pp. 41-42.

    Note

    Di seguito si propone un prospetto atto a chiarire i frequenti riferimenti al cambio delle monete italiane e tedesche nel triennio 1754-1756: le quotazioni sono ottenute incrociando le tabelle dei trattati economici coevi agli eventi (vedi, ad esempio, Pietro Paolo Scali, Introduzione alla pratica del commercio, Livorno 1759, e Gian Rinaldo Carli, Delle monete e dell’instituzione delle zecche, Lucca 1760, vol. 3, p.480) con i dati emergenti dal carteggio, calcolate in funzione del valore della lira moneta nostra Bolognese.

    1 scudo romano = £ 5

    1 ungaro = £ 10

    1 zecchino veneziano = £ 45

    1 filippo milanese = £ 12,5

    1 luigi (60 soli) = £ 24

    Multipli e sottomultipli dello scudo romano:

    1 paolo = 0,1 scudo

    1 doppia = 3 scudi

    1 zecchino romano = 2 scudi

    1 testone = 0,3 scudi

    Il valore dello zecchino romano equivale alle quotazioni dell’ungaro: più volte le due valute, soprattutto nelle lettere del Branchetta, sono usate quasi come sinonimi.

    Il tasso di cambio era tuttavia gestito in modo differente di Stato in Stato: nel carteggio risulta che la conversione dell’ungaro in lire aveva comportato un agio della moneta in Bologna, favorendo un incasso di £ 8190 in luogo delle 8000 previste per una cedola di pagamento di 800 ungari inviata da Dresda il 7 giugno 1756 (il cambio effettivo dell’ungaro ascende quindi a £ 10,2); al contrario il cambio dello zecchino romano che in Bologna valeva 10.5 lire veniva a perdere in Toscana e in Lombardia.

    Nel testo, i dipinti entrati nelle collezioni della Gemäldegalerie di Dresda sono riportati con gli attuali numeri di inventario (Gal.-Nr. …); la segnatura KV indica le perdite del bombardamento alleato avvenuto nella notte tra il 13 e il 14 febbraio 1945 (Kriegverlüste).

    I fondi archivistici esplorati afferiscono alla Biblioteca Comunale dell’Archiginnasio di Bologna (BCABo) e al Sächsisches Hauptstaatsarchiv di Dresda (HStA)

    Introduzione

    In Casa Bonfiglioli v’ha di bei quadri: e in qual casa non ve n’ha in Bologna?

    (Francesco Algarotti, Lettera a Giampietro Zanotti, 16 giugno 1743)

    Tornato a Dresda dalla missione italiana, nel maggio 1750 Guarienti ebbe modo di scorrere il catalogo manoscritto della Galleria, da breve da lui redatto, in compagnia del bolognese Giovanni Lodovico Bianconi, da poco assunto presso la corte di Dresda come medico e consigliere, che nell’occasione era affiancato dallo zio priore Giovanni Battista.¹⁵ Passando in rassegna gli acquisti bolognesi, che nel catalogo risultano uno Sposalizio di Santa Caterina del Mastelletta già appartenuto a casa Ghislieri (Gal.-Nr. 149), un San Rocco (Gal.-Nr.103) e un’Adorazione dei pastori di Giuseppe Maria Crespi (Gal.-Nr.400) da casa Bellucci, una Venere e Adone di Rubens (Gal.-Nr.991) e un Giudizio di Paride dell’Orbetto (Gal.-Nr.522KV) da casa Isolani, uno Sposalizio di Santa Caterina di Lorenzo Sabatini, già attribuito ad Orazio Sammachini (Gal.-Nr.426) e un Autoritratto con famiglia di Bartolomeo Passerotti (Gal.-Nr.116) da casa Monti,¹⁶ l’ispettore rammentò di aver avuto contatti con una conoscenza comune, l’abate di Santa Maria di Mont’Armato, Alessandro Branchetta¹⁷. Già bibliotecario dell’Istituto delle Scienze e da tre anni archivista della Curia Arcivescovile, questi era attivo in privato come commerciante antiquario e librario in collaborazione col pittore parmigiano Carlo Cesare Giovannini, stimato come il miglior conoscitore di pittura emiliano e, nella sua attività di restauratore, per la capacità di accompagnare il ritocco sì bene con l’antico, che punto non distinguevasi il vecchio dal nuovo dipinto.¹⁸ Acquistati presso di lui una Sacra Famiglia con San Giovannino (Gal.-Nr. 121) di Lavinia Fontana e una coppia di Sacre Famiglie di Ippolito Scarsellino (Gal.-Nr. 146KV; Gal.-Nr. 147KV),¹⁹ Guarienti prese visione di un Diluvio di Antonio Carracci, di un Concerto di Francesco Primaticcio non ritenuti degni di acquisto e di un Simone Cantarini che aveva suscitato il suo interesse:²⁰ tre esponenti di una partita di dodici dipinti di cui l’abate possessore aveva fatto stampare un succinto catalogo pubblicitario.²¹ Per il Cantarini, un Giuseppe con la moglie di Putifarre, Branchetta aveva già proposto a Guarienti un prezzo di mille scudi romani, non incontrando però risposta da parte dell’acquirente. Incaricatosi del recupero dei contatti, Lodovico Bianconi ritornò a proporne la vendita al Branchetta in una lettera datata il 18 maggio, fissando nuovamente come tetto massimo per la spesa i mille scudi già proposti in Bologna, ed indicandogli di riferirsi al Guarienti come interlocutore principale per i commerci con la Galleria di Dresda, individuando in esso il consigliere per cui in materia artistica il Re non ascolta assolutamente nessuno che lui. Il medico interpretò per malinteso il mancato acquisto a Bologna non come un temporeggiamento del Guarienti ma come un’indisponibilità dell’abate a vendere il Giuseppe, rendendosi disponibile ad accondiscendere ad eventuali fluttuazioni di Branchetta.²² Il quale indubbiamente approfittò, esigendo un prezzo maggiore: per arginare le pretese, Bianconi nel luglio seguente cambiò i piani nei confronti dell’abate, dichiarando come compratore, in luogo della Reale Galleria, il conte Brühl, un cliente fantasma coinvolto nella trattativa per ridurre l’ufficialità del negozio ed i prezzi, fermando l’offerta finale a quattrocento filippi, una cifra equivalente ai mille scudi già proposti dall’abate. Il Cantarini non dovette figurare come unico acquisto destinato alla Galerie, dal momento che nella stessa lettera datata al 12 luglio fu chiesto a Branchetta di tener viva una contrattazione con casa Ghislieri per l’acquisto di un dipinto di Guido Reni.²³ Nonostante gli intoppi nella comunicazione, pare chiara l’intenzione di Bianconi di appoggiarsi all’azione del Branchetta, cercando in lui un nome di riferimento per sostituire Crespi, i cui contatti con la corte si sarebbero interrotti nel 1752 dopo i sette mesi del suo soggiorno tedesco in accompagnamento al Nino e Semiramide.

    L’autorizzazione a procedere alla compra del Giuseppe²⁴ giunse all’abate nel gennaio 1752, seguita il 19 giugno dai trecento ungari comprendenti il pagamento per il quadro, dichiarato come acquisto del regio Museo, e le spese di spedizione; Branchetta si sarebbe invece dovuto incaricare della rimessa dei cinquanta ungari dovuti come onorario ai due ispettori, ammontante per ognuno di essi al dieci per cento del valore dell’opera. Una dura legge – mutuando le parole di Bianconi – obbligata dai due esperti in potere di buttare all’aria un negozio quando vogliono, anche dopo la consegna di un dipinto, se questo fosse stato passibile di un giudizio negativo: il vaglio degli ispettori era la regola cui era soggetta la massima parte degli acquisti, con l’unica eccezione dei capolavori indiscussi, come la Madonna della Rosa di Parmigianino.²⁵ A chiosa del contratto, Bianconi intimò discrezione, confidando di aver concluso l’affare solo per la stima e l’amicizia nutrite nei confronti dell’abate: il trattamento di favore usato verso di lui sarebbe stato negato ad eventuali altri venditori intenzionati ad importunare la corte con le loro proposte.

    Inviato a Dresda Giuseppe e la moglie di Putifarre (Gal.-Nr. 382), Branchetta ricevette richiesta di informarsi sulla disponibilità di opere di nuovi autori, tra cui Bartolomeo Ramenghi da Bagnacavallo, senza tuttavia ordine di procedere all’acquisto. Eccedendo nello zelo, l’abate prevenne Guarienti spedendo a Dresda una pala del Ramenghi da proporre al sovrano per centocinquanta zecchini, una Sacra Famiglia con i Santi Benedetto, Paolo e Maddalena,²⁶ esponente di una partita di dipinti acquistati in blocco nel 1749 dal Branchetta in seguito alla loro dismissione dalla chiesa della Maddalena di Strada Galliera.²⁷ Un’iniziativa imprudente, che non ebbe risposta alcuna da parte dei responsabili della Galerie: interrotte le trattative prima ancora del nascere, la pala scivolò nell’oblio della corrispondenza fino ad essere considerata perduta dal suo proprietario.

    15 Su Giovanni Lodovico Bianconi (Bologna 1717 – Perugia 1781), satellite dell’Ateneo bolognese e dell’Accademia delle Scienze di Berlino, divulgatore della cultura italiana in Europa come fondatore a Lipsia del Journal des savants d’Italie, e sullo zio Giovanni Battista (Calcara 1698 – Bologna 1781), canonico della parrocchia di Santa Maria della Mascarella e direttore del museo dell’Università di Bologna, presso cui copriva la cattedra di greco, vedi: Giancarlo Roversi, Il commercio dei quadri a Bologna nel Settecento, in «L’Archiginnasio», LX (1965), pp. 495-503; Scritti tedeschi. Giovanni Ludovico Bianconi, a cura di Giovanna Perini, Bologna 1998; Giulia Cantarutti, Un italiano nella Firenze sull’Elba: Gian Lodovico Bianconi in «Neoclassico: semestrale di arti e storia». n.15-16 (1999); pp. 7-50.

    16 Gemäldegalerie Alte Meister, 358, Pietro Maria Guarienti, Catalogo delli quadri che sono nel Gabinetto di Sua Maestà, manoscritto. Pubblicato in Henri de Riedmatten, Andreas Rüfenacht, Tristan Weddigen, Pietro Maria Guarientis Catalogo der Dresdner Gemäldegalerie von 1750 in Ibidem, pp. 105-142.

    17 Su Alessandro Branchetta (Bologna 1697-1781), vedi Roversi, Il commercio… cit. pp. 468-481 e Idem, I trafficanti d’arte bolognesi del secolo XVIII e la vendita della Madonna Sistina di Raffaello in «Culta Bononia», I (1969), pp. 72-73. Forte dei rapporti con le famiglie Zanotti, Bassi e Bianconi e con il cardinal Prospero Lambertini, futuro Benedetto XIV, la sua carriera non fu esente da ombre, come attestano le cause legali che lo videro implicato nella sparizione di alcuni libri dell’Istituto delle Scienze (1738).

    18 Carlo Cesare Giovannini (Parma 1695 – Bologna 1758), figlio ed allievo di Giacomo Maria, pittore di corte di Francesco Farnese, fu restauratore, nonché autore di dipinti ecclesiastici tra Bologna (San Giovanni in Monte, La consegna delle chiavi a Pietro) e Torino (San Dalmazzo, il Beato Alessandro Sauli e il Crocifisso con Santi, non individuati). (Pellegrino Orlandi, Abecedario pittorico ristampato corretto et accresciuto di molti professori, Bologna 1719, p. 191; Luigi Crespi, Felsina Pittrice: vite de pittori bolognesi, Bologna 1769, p. 126; Nicola Giordani, Il restauro dei

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