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Racconti fantastici e grotteschi
Racconti fantastici e grotteschi
Racconti fantastici e grotteschi
E-book650 pagine9 ore

Racconti fantastici e grotteschi

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Info su questo ebook

Traduzioni di Nicoletta Rosati Bizzotto e Patrizia Collesi

Edizioni integrali

Non si può dire di conoscere Edgar Allan Poe senza aver letto i Racconti fantastici e grotteschi: in essi, messo da parte il gusto dell’orrore, resta in primo piano il gioco sottile dell’invenzione intelligente insieme con una vena ironica, acuta e paradossale. Tra questi capolavori forse poco noti ci limiteremo a segnalare: La beffa del pallone (che apparve, per la prima volta, sul «New York Sun» nel 1844, traendo in inganno i lettori con il resoconto di una prodigiosa traversata dell’Atlantico a bordo di un pallone aerostatico); L’incredibile avven­tura di un certo Hans Pfaall (in cui si racconta l’impresa del primo uomo che mette piede sulla Luna; di esplicita ispirazione per Jules Verne, è uno dei primi esempi letterari del “meraviglioso scientifico” ovvero della fantascienza); Gli oc­chiali (in cui assistiamo al raggiro a fin di bene di un uomo miope… innamorato a prima vista).

Questa è, senz’ombra di dubbio, l’impresa più prodigiosa, più interessante e più sensazionale mai compiuta o finanche tentata dall’uomo. Invano si cercherebbe di determinare adesso quali grandiosi eventi potrebbero derivarne.
Edgar Allan Poe
Considerato il maggior rappresentante di un nuovo genere letterario, quello cosiddetto “del terrore”, nacque a Boston, nel 1809. Rimasto orfano a due anni fu allevato dalla famiglia dello zio, di cui volle assumere il cognome, Allan. Tra il 1815 e il 1820 soggiornò in Inghilterra, poi, di nuovo negli Stati Uniti, si iscrisse all’Accademia militare di West Point, ma venne espulso per la sua condotta dissoluta. Dopo un’esistenza difficile e sofferta, morì a Baltimora nel 1849. Di Edgar Allan Poe la Newton Compton ha pubblicato Il corvo e tutte le poesie, Le avventure di Gordon Pym, Tutti i racconti del mistero, dell’incubo e del terrore, Racconti fantastici e grotteschi e il volume unico Tutti i racconti, le poesie e “Gordon Pym”.
LinguaItaliano
Data di uscita21 giu 2021
ISBN9788822759610
Racconti fantastici e grotteschi
Autore

Edgar Allan Poe

New York Times bestselling author Dan Ariely is the James B. Duke Professor of Behavioral Economics at Duke University, with appointments at the Fuqua School of Business, the Center for Cognitive Neuroscience, and the Department of Economics. He has also held a visiting professorship at MIT’s Media Lab. He has appeared on CNN and CNBC, and is a regular commentator on National Public Radio’s Marketplace. He lives in Durham, North Carolina, with his wife and two children.

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    Anteprima del libro

    Racconti fantastici e grotteschi - Edgar Allan Poe

    Invito alla lettura

    È facile sovrapporre la figura di Edgar Allan Poe a quella del protagonista de Il corvo, afflitto per l’inconsolabile perdita della sua Lenora, al quale il funereo pennuto ripete il suo sibillino, amarissimo «Nevermore». Per ogni lettore che si rispetti (e cioè per ogni lettore avventuroso e mai sazio) sarebbe un grave errore, però, limitare la frequentazione di Poe a quella sola celebre poesia come alle sole storie dell’orrore e del terrore. La penna del bostoniano ha saputo creare altri magnetici capolavori della short story. Sono quelli che vanno sotto l’etichetta del fantastico e del grottesco, qui raccolti.

    Per dare un’idea del loro singolare valore, basta citare tre testi esemplari.

    Uno è La beffa del pallone: apparve, per la prima volta, sul «New York Sun» del 13 aprile 1844, come un articolo in mezzo agli altri, senza alcuna avvertenza del fatto che si trattasse di un’invenzione (di una beffa, insomma, che poi è il titolo con il quale il racconto fu dato alle stampe successivamente). Vi si racconta di una prodigiosa traversata dell’Atlantico a bordo di un pallone aerostatico, meraviglia della tecnica e dell’ingegno umani. Quel giorno i newyorkesi corsero a comprare in massa l’unico quotidiano che riportava la notizia, ingannati dal verosimile diario di bordo creato da Poe almeno quanto lo sarebbero stati, quasi cento anni dopo, gli ascoltatori della lettura radiofonica di Orson Welles della Guerra dei mondi di H.G. Wells.

    Un altro racconto memorabile è L’incredibile avventura di un certo Hans Pfaall: vi si racconta l’impresa del primo uomo che mette piede sulla Luna e che la scopre abitata. Fu uno degli spunti che Jules Verne rielaborò per il suo Dalla Terra alla Luna, tanto da citare esplicitamente nel testo sia Pfaall che il suo creatore. È dunque in queste pagine che si può trovare uno dei primi esempi letterari del meraviglioso scientifico ovvero della fantascienza.

    Ne Gli occhiali assistiamo a una crudele farsa (ma a lieto fine!), orchestrata ai danni di un miope. Questo geniale, raffinato racconto prende un po’ in giro il lettore, perché il protagonista nelle prime battute dichiara una fede sconfinata nell’amore a prima vista («i legami spirituali più ardenti e più duraturi [sono] quelli ribaditi da uno sguardo»), salvo poi rivelarci il cortocircuito che sarà di innesco all’intera vicenda, ovvero la sua forte miopia – che per vanità rifiuta di correggere con gli occhiali. Ma ci si può fidare di un occhio ipovedente e per giunta innamorato?

    E altre sorprese ancora queste pagine riservano: saggi imbastiti su opere immaginarie (alla maniera di Borges ma con un gusto ancora più sapido per l’arguzia), resoconti su automi che giocano a scacchi e su vari sistemi di truffa, risse tra nobiluomini che si contendono la stessa donna, il tredicesimo diabolico rintocco di un orologio che sconvolge un intero villaggio…

    Cronologia della vita e delle opere

    1809. Poe nasce a Boston il 19 gennaio da David Poe e da Elizabeth Arnold, modesti attori itineranti.

    1811. Morte della madre a soli 24 anni. Il padre sparisce senza lasciar tracce. Il piccolo Poe è accolto nella famiglia di John Allan ricco commerciante di Richmond, in Virginia. Poe premetterà perciò al suo cognome quello di Allan. Non sarà tuttavia mai adottato a causa dei posteriori dissensi.

    1815-1820. John Allan si trasferisce in Inghilterra, dove Poe segue, brillantemente, i suoi studi. Ritorno in America, a Richmond.

    1821-1825. Incontro con Jane Stanard, che muore nel 1824. Ispirerà a Poe la poesia To Helen.

    1826. Si iscrive all’Università di Virginia. John Allan si rifiuta di pagare i suoi debiti di gioco. Deve abbandonare l’Università. Si innamora di Elmira Royster, che sposerà un altro, per imposizione della famiglia. Rottura con John Allan.

    1827-1829. «Fuga» a Boston. Pubblica Tamerlane and Other Poems. Si arruola nell’esercito. Si congeda. Pubblica Al Aaraaf, Tamerlane and Minor Poems. Muore la signora Frances Allan.

    1830-1831. Entra nell’Accademia militare di West Point, aiutato poco e malvolentieri dall’Allan, ne è espulso. Pubblica i Poems. Va a vivere a Baltimore, presso una zia paterna rimasta vedova, Maria Clemm.

    1833. Vince un premio con il racconto Ms. Found in a Bottle (Manoscritto trovato in una bottiglia). Inizia un’intensa attività giornalistica, anche se mal ricompensata.

    1834. Muore John Allan, senza menzionare Poe nel suo testamento.

    1835. Diventa vicedirettore del Southern Literary Messenger di Richmond. Pubblica vari racconti, tra cui Berenice e Morella, e saggi e recensioni.

    1836. Sposa la cugina Virginia Clemm, quattordicenne figlia di Maria Clemm.

    1837-1839. In disaccordo con il direttore della rivista, si trasferisce a New York e poi a Filadelfia, dove diventerà redattore del Gentleman’s Magazine. Precarietà, tuttavia, di condizioni economiche e di salute. Pubblica racconti come The Fall of the House of Usher e Williams Wilson. Esce (1838) The Narrative of Arthur Gordon Pym. Pubblica «Ligeia» su The American Museum of Literature and the Arts.

    1840. Esce la sua prima raccolta di racconti, Tales of the Grotesque and Arabesque. Pensa a una «sua» rivista letteraria.

    1841. Diventa redattore del Graham’s Magazine. Pubblica, tra l’altro, The Murders in the Rue Morgue (I delitti della via Morgue), che inaugura, si può dire, il «genere poliziesco».

    1842-1843. Malattia di Virginia, che morirà nel 1847. Stato di profondo malessere. Poe abusa dell’alcool. Scrive tuttavia alcuni dei racconti più significativi, come The Pit and the Pendulum (Il pozzo e il pendolo), The Oval Portrait (Il ritratto ovale), The Teli-Tale Heart (Il cuore rivelatore), The Black Cat (Il gatto nero), The Gold Bug (Lo scarabeo d’oro).

    1844. Ancora a New York. Esce, sulla Democratic Review, il primo inserto del «Marginalia».

    1845. Pubblica la sua poesia più famosa, «The Raven» (Il Corvo), sull’Evening Mirror. Escono, nello stesso anno, i Tales (Racconti) e The Raven and Other Poems. Periodo di «successo». Diventa redattore del Broadway journal, che cessa però le pubblicazioni l’anno successivo.

    1846. Poe si trasferisce a Fordham, presso New York. Condizioni economiche e di salute sempre più precarie. Pubblica, sul Graham’s Magazine, il saggio «Philosophy of Composition».

    1847-1848. Prostrazione dopo la morte di Virginia. Improbabili relazioni con la poetessa Sarah Whitman, cui propone di sposarlo, con Annie Richmond e con Elmira Royster, la «fiamma» degli anni giovanili, ora vedova. Pubblica il saggio The Rationale of Verse (Il fondamento logico del verso), a Richmond, dove è ritornato per breve tempo. Conferenza su The Poetic Principle. Poe sottolinea, acutamente, non solo il principio dell’autonomia e specificità dell’arte, ma anche i procedimenti di lucida costruttività di cui essa è il frutto. Legge Eureka «poema in prosa», di carattere filosofico.

    1849. Poe riparte per Filadelfia. È trovato in stato d’incoscienza presso un seggio elettorale a Baltimora. Ricoverato, muore in ospedale, il 7 ottobre.

    Nota bibliografica

    TESTI

    Works of Edgar Allan Poe, with Notices of his Life and Genius, a cura di

    R.W. GRISWOLD

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    F. STOVALL

    , Charlottesville 1965; The Letters of Edgar Allan Poe, a cura di

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    , 3 voll., Cambridge, Mass. 1969-1978; Edgar Allan Poe: Poetry and Tales, a cura di

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    , ivi 1984; The Collected Writings of Edgar Allan Poe, a cura di

    BURTON R. POLLIN

    (1992).

    BIOGRAFIE, STUDI CRITICI

    Fu

    BAUDELAIRE

    , com’è noto, a «riscoprire» l’opera di E.A. Poe e ad inserirla in una nuova e più vasta circolazione. Il suo primo saggio sul poeta americano apparve nel 1852 sulla «Revue de Paris». Seguirono le famose traduzioni dei racconti (1856 e 1857), con le relative introduzioni.

    MALLARMÉ

    tradusse poi, in prosa, le poesie (Les Poèmes d’Edgar Poe, Bruxelles 1888). Riserve e diffidenze (di carattere moralistico, nonché di valutazione critica) perdureranno invece, tenacemente, sia in America che in Inghilterra. Si devono all’inglese

    J. INGRAM

    una prima biografia del Poe (1880) e i primi tentativi di una raccolta completa delle opere (4 voll., Edimburgo 1874-75), cui seguiranno l’ed. a cura di

    R.H. STODDARD

    (6 voll., New York 1884) e l’ed. a cura di

    E.C. STEDMAN

    e

    G.E. WOODBERRY

    (10 voll., Chicago 1894-95).

    G

    .

    E. WOODBERRY

    scrisse anche una biografia di Poe (New York, 1885 e 1909).

    Il rapporto con i simbolisti francesi fu già approfondito da

    L. SEYLAZ

    (Edgar Allan Poe et les premiers symbolistes français, Lausanne 1923). Su tali aspetti il libro più articolato è ora quello di

    P.F. QUINN

    , The French Face of E.A. Poe, Carbondale, Ill. 1957. La presa di posizione di

    D.H. LAWRENCE

    (Studies in Classic American Literature, 1924) provocò le «difese» di

    W.E. WILLIAMS

    (in In the American Grain, Norfolk, Conn. 1925; trad. it. Nelle vene dell’America, Milano 1969) e di

    E. WILSON

    (ora in The Shores of Light, New York 1952; tr. ital. in Saggi letterari, Milano 1969). Agli anni Venti e ai primi anni Trenta risalgono anche i tentativi d’approccio psicoanalitico:

    W.E. KRUTCH

    , E.A. Poe: A Study in Genius, New York 1926;

    M. BONAPARTE

    , Edgar A. Poe. Sa vie et son oeuvre, con prefazione di S. Freud, Parigi 1933.

    Molto materiale, a livello biografico, fu raccolto e riordinato da

    M.E PHILLIPS

    , E.A. Poe: The Man, Chicago 1926.

    A. HUXLEY

    espresse le sue riserve nel saggio Vulgarity in Literature (1930), poi in Collected Essays, New York 1959, mentre per

    T.S. ELIOT

    gli elementi di «incantation» che sono da riconoscere alla poesia di Poe non riescono a portarsi al di là di un «primitive level» (in From Poe to Valéry, New York 1948). Si veda anche l’«Introduction» di

    W.H. AUDEN

    a Poe: Selected Prose and Poetry, New York 1950. Un integrale «attacco» è quello di

    Y. WINTERS

    , Poe: A Crisis in the History of American Obscurantism (1937), poi in In Defense of Reason, Denver 1947. Ma il fitto lavorio di ricerca e di rielaborazione critica ha via via condotto ad aperture di carattere sempre più rivalutativo. Si citano qui:

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    Due antologie di saggi critici: l’una a cura di

    R. REGAN

    , Englewood Cliffs, N.J. (1967), l’altra a cura di

    R.P. VELER

    (1972). The Recognition of E.A. Poe, a cura di

    E.W. CARLSON

    (Ann Arbor 1970) raccoglie i fondamentali saggi intorno a Poe; Poe: The Critical Heritage, a cura di

    I.M. WALKER

    , Londra 1986. Inoltre:

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    J. DAYAN

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    J.P. MULLER-W.J. RICHARDSON

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    S. ROSENHEIM-S. RACHMAN

    , The American Face of E.A. Poe, New York 1995 e The Poe Encyclopedia, 1997;

    G. DURAND

    , Le strutture antropologiche dell’immaginario, trad. it., Bari 1996;

    J.J. WUNENBURGER

    , Filosofia delle immagini, trad. it., Torino 1999.

    CONTRIBUTI ITALIANI

    Vivace risonanza ebbe anche in Italia l’opera di Poe, sulla scia, dapprima, del «successo» francese, e poi con caratteri propri e autonomi, nel quadro delle esperienze della «scapigliatura» e poi del decadentismo e delle prime innovazioni novecentesche: nonché in quello delle ricerche teoriche sull’arte e sulla poesia. Per gli influssi sul Pascoli si veda

    G. GETTO

    , «Pascoli e l’America», in Carducci e Pascoli, Bologna 1957. Per un più generale quadro:

    F. DONINI

    , Edgar Allan Poe e la letteratura italiana, in «Maestrale», 12 (1941-42);

    A. GIACCARI

    , Poe nella critica italiana e La fortuna di E.A. Poe in Italia, in «Studi americani», 5 (1959);

    A. CECCARONI

    , Poe in edizione italiana, in «Il lettore di provincia», 35 (lug. 1978); Repertorio bibliografico della letteratura americana in Italia, a cura di

    B. TEDESCHINI LALLI

    , Roma 1966.

    Una traduzione di racconti anonima apparve già nel 1858, a Torino, col titolo di Storie orribili; poi, Storie incredibili, a cura di

    B.E. MAINERI

    , Milano 1869. Qualche poesia o parti di poesie apparvero citate in conferenze e articoli, come nell’articolo su Poe di

    G. TIRINELLI

    , in «Nuova Antologia», apr. 1877. Il Corvo fu tradotto nel 1881 da

    S. SALVOTTI

    . Nel 1896 apparvero le prime «versioni ritmiche» di

    A.E. RAGAZZONI

    , ripubblicate poi, con l’aggiunta di altre poesie, nel 1927. L’intero corpus poetico di Poe (quale era stato fissato nelle edd. Ingram o Stedman-Woodberry) è tradotto da

    U. ORTENSI

    (Lanciano 1892; Torino-Roma 1902; Lanciano 1915) e da

    F. OLIVERO

    (Bari 1912 e 1939). Una nuova traduzione sia delle poesie che dei racconti: a cura di

    C. IZZO

    (Tutti i racconti e le poesie, Roma 1953). Infine, Poe: Opere scelte, a cura di

    G. MANGANELLI

    , Milano 1971 (con traduzioni di

    G. BALDINI, E. CHINOL, D. CINELLI, T. GIGLIO, V. MANTOVANI, E. VITTORINI

    ). Inoltre: Il Corvo e tutte le poesie, a cura di

    T. PISANTI

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    , Torino 1983; Racconti del terrore, introd. di

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    , Milano 1998; Misteri, trad. e introd. di

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    Spesso rilevanti i contributi critici.

    E. NENCIONI

    scrisse su Poe in «Nuova Antologia» (1885), poi in Saggi critici di letteratura inglese, con prefazione di G. Carducci, Firenze 1897;

    P. JANNACCONE

    si occupò dell’«estetica di Edgard Poe», già nel 1895 (in «Nuova Antologia», lug.-ag.). Il saggio di

    G. PAPINI

    , Edgardo Poe, è del 1908. Si vedano:

    F. OLIVERO

    , Edgar Allan Poe, Torino 1932;

    M. PRAZ

    , in Studi e svaghi inglesi, Roma 1933 e in Cronache letterarie anglosassoni, Roma 1966,

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    E. CECCHI

    , in Scrittori inglesi e americani, Milano 1947 e 1962;

    L. ANCESCHI

    , in Autonomia ed eteronomia dell’arte, Firenze 1936 (e 1959);

    G. MACCHIA

    , in Baudelaire critico, Firenze 1939;

    S. ROSATI

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    , introduzione ai Tre saggi sulla poesia, Padova 1946;

    B. CROCE

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    G. BALDINI

    , E.A. Poe, Brescia 1947;

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    , Introduzione alle citate traduz. e in Civiltà americana, Roma 1967,

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    , Poe, Withman, Dickinson, in «Belfagor», 5 (1953);

    A. GUIDI

    , in Occasioni americane, Roma 1958;

    S. ROSSI

    , E.A. Poe e la Scapigliatura lombarda, in «Studi americani», 5 (1959); ancora, in «Studi americani»:

    L. WAINSTEIN

    , La situazione limite di E.A. Poe, (1960);

    M. BULGHERONI

    , Poe e il demone americano, 9 (1964);

    M. BIGNAMI

    , E.A. Poe di fronte alla natura, 11 (1965);

    R. BIANCHI

    , Il problema dell’arte e dell’artista in Poe, Hawthorne e Melville, 18 (1972);

    E. MENASCE

    , E.A. Poe e i suoi contemporanei, 19-20 (1973-74);

    A. PORTELLI

    , E.A. Poe e due canzoni femministe dell’Ottocento, 23-24 (1977-78);

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    O. RISTIVO

    , sulla «Riflessione estetica di Poe», Palermo 1981;

    G. GIORELLO

    , introd. a Eureka (trad. A. Quadrino), Roma 1982;

    G. BALESTRA

    , su «scrittura e magia», Milano 1983;

    C. GORLIER

    , introd. a Racconti, Novara 1983;

    E. ROMEO

    , su «fantastico e raziocinio in Poe», in

    B. PISAPIA

    , I piaceri dell’immaginazione, Roma 1984;

    S. PEROSA

    , introd. a Racconti, Milano 1985;

    R. CAGLIERO

    (Su Eureka) in «Quaderni di lingua e letteratura dell’Università di Verona» (1987 e 1989);

    N. FUSINI

    , in introd. a Stravaganze, Roma 1987;

    L. MARCHETTI

    , E.A. Poe: la scrittura eterogenea, Ravenna 1988;

    M. PAGNINI

    , Semiosi, Bologna 1988;

    R. CAGLIERO

    , Poe e Freud, Verona 1990; le pagine su Poe in

    T. PISANTI

    , Le Muse erranti, Cultura e poesia in America, Napoli 1991;

    S. PEROSA

    , Poetica di Poe, Bologna 1994;

    P.M. DE DONNO

    , L’estetica giovanile di Poe, Galatina 1996; in

    L. BUDD-E. LADY

    (a cura di), On Poe, Durham 1995;

    F. PISELLI

    , Interpretazioni di Mallarmé e Poe, Napoli 2000;

    T. PISANTI

    , La poesia in America (1650-2000), Napoli 2002;

    J. CORTAZAR

    , Vita di Edgar Allan Poe, Firenze 2004.

    Racconti fantastici e grotteschi

    L’incredibile avventura di un certo Hans Pfaall (Titolo originale: «The Unparalleled Adventure of One Hans Pfaall»); La beffa del pallone (Titolo originale: «The Balloon-Hoax»); Von Kempelen e la sua scoperta (Titolo originale: «Von Kempelen and His Discovery»); La milleduesima notte di Shaharazàd (Titolo originale: «The Thousand-and-Second Talc of Sheherazade»); La carriera letteraria di Thingum Bob Esq. (Titolo originale: «The Literary Life of Thingum Bob, Esq.»); Come scrivere un articolo alla Blackwood (Titolo originale: «How to write a Blackwood Article»); Una situazione imbarazzante (Titolo originale: «A Predicament»); Mistificazione (Titolo originale: «Mystification»); X-atura di un paragrafo (Titolo originale: «X-ing a Paragrab»); La truffa considerata come una delle scienze esatte (Titolo originale: «Diddling»); L’Angelo del bizzarro (Titolo originale: «The Angel of the Odd»); Mellonta Tauta (Titolo originale: «Mellonta Tauta»); L’uomo d’affari (Titolo originale: «The Business Man»); Il Giocatore di Scacchi di Maelzel (Titolo originale: «Maelzel’s Chess-Player»); Il potere delle parole (Titolo originale: «The Power of Words»); Racconto di Gerusalemme (Titolo originale: «A Tale of Jerusalem»); Non giocarti mai la testa col Diavolo (Titolo originale: «Never Bet the Devil Your Head»); Quattro bestie in una (Titolo originale: «Four Beasts in One»); Perché il piccolo francese ha il braccio al collo (Titolo originale: «Why the Little Frenchman Wears His Hand in a Sling»); Bon-Bon (Titolo originale: «Bon-Bon); Quattro chiacchiere con una mummia (Titolo originale: «Some Words with a Mummy»); Recensione di «Arabia Petraea» di Stephens (Titolo originale: «Review of Stephens’ Arabia Petraea»); Scrivere per una rivista-Peter Snook (Titolo originale: «Magazine-Writing-Peter Snook»); I ciarlatani dell’Elicona-Satira (Titolo originale: «The Quacks of Helicon-A Satire»); Astoria (Titolo originale: «Astoria»); Il regno di Arnheim o il paradiso panoramico (Titolo originale: «The Domain of Arnheim or the Landscape Garden»); Il cottage di Landor (Titolo originale: «Landor’s Cottage»); Il duca de l’Omelette (Titolo originale: «The Duc De L’Omelette»); Una settimana con tre domeniche (Titolo originale: «Three Sundays in a Week»); Il Diavolo nel campanile (Titolo originale: «The Devil in the Belfry»); Come trattare una celebrità (Titolo originale: «Lionizing»).

    Traduzioni di Nicoletta Rosati Bizzotto

    Il sistema del dottor Tarr e del professor Fether (Titolo originale: «The System of Doctor Tarr and Professor Fether»); L’uomo finito (Titolo originale: «The Man that Was Used Up»); La filosofia dell’arredamento (Titolo originale: «Philosophy of Furniture»); Gli occhiali (Titolo originale: «The Spectacles»).

    Traduzioni di Patrizia Collesi

    L’incredibile avventura di un certo Hans Pfaall

    Col cuore pieno di ardenti fantasie, di cui ho il comando, con una lancia ardente e su un cavallo d’aria, vado errando per solitudini immense.

    Canzone di Tom il Folle

    Secondo recenti dispacci da Rotterdam, sembra che la città sia in preda a un’agitazione di natura filosofica. Anzi, essa è stata spettatrice di eventi di natura così totalmente inaspettata – così prepotentemente insolita – così radicalmente contraria alle opinioni preconcette – da farmi ritenere senza ombra di dubbio che già da lungo tempo l’Europa intera sia in uno stato di agitazione, la fisica sia in fermento, la zizzania regni fra raziocinio e astronomia.

    Sembra che il giorno… del … (non sono certo della data) una marea di gente, per scopi non specificatamente indicati, si fosse radunata nella grande piazza della Borsa, nella pacifica città di Rotterdam. Una giornata calda – insolitamente calda per la stagione – non c’era un alito di vento; e la folla non aveva nulla in contrario ad essere innaffiata, di quando in quando, da piacevoli acquazzoni passeggeri che venivano giù da masse biancastre di nuvole che vagavano a frotte nella cerulea volta del firmamento. Malgrado ciò, verso mezzogiorno tra la folla serpeggiò una leggera ma palpabile agitazione; seguì il chiacchiericcio di diecimila lingue; e, un attimo dopo, diecimila facce erano rivolte al cielo, diecimila pipe furono tolte simultaneamente dagli angoli di diecimila bocche e un grido, paragonabile solo al frastuono delle cascate del Niagara, risuonò lungo, sonoro e furibondo per tutte le strade e i dintorni di Rotterdam.

    L’origine di quel baccano fu ben presto evidente. Da dietro l’enorme massa cumuliforme, dai contorni precisi di quelle nuvole cui abbiamo già accennato, si vide emergere lentamente, in uno squarcio di cielo azzurro, una sostanza strana, eterogenea, ma apparentemente solida, così bizzarra nella forma, così stravagante nel suo complesso, da sfuggire totalmente alla comprensione e alla doverosa ammirazione di quella schiera di robusti e pacifici cittadini che la rimiravano dal basso, a bocca aperta. Di cosa mai poteva trattarsi? In nome di tutti i diavoli di Rotterdam, cosa mai poteva far presagire? Nessuno lo sapeva; nessuno riusciva ad immaginarlo – nemmeno il borgomastro Mynheer Superbus Von Underduk aveva la più pallida idea di come risolvere quel mistero; quindi, dato che era l’unica cosa ragionevole da fare tutti, senza eccezione, si rimisero la pipa nell’angolo della bocca e, con lo sguardo fisso a quello strano fenomeno, tirarono una boccata, si fermarono, fecero qualche passo ondeggiante, emisero un borbottio denso di significato – poi indietreggiarono ondeggiando, borbottarono, si fermarono di nuovo e, infine, tirarono un’altra boccata.

    Nel frattempo, però, verso la pacifica città scendeva, sempre più in basso, l’oggetto di tanta curiosità e la causa di tanti sbuffi di fumo. In pochi minuti fu abbastanza vicino da poterlo scorgere chiaramente. Sembrava – ma certo! era senza dubbio una specie di pallone; ma sicuramente un pallone di quel genere non si era mai visto prima a Rotterdam. Ditemi, infatti, chi ha mai sentito parlare di un pallone fatto interamente di giornali usati? In Olanda certo nessuno; eppure lì, proprio sotto il naso della gente o, meglio, un po’ più in su del naso, c’era esattamente quello; e fatto, mi si dice da fonte assolutamente degna di fede, con quello stesso materiale che mai nessuno aveva visto prima usato a tale scopo. Un vero e proprio insulto al buon senso dei cittadini di Rotterdam. In quanto alla forma di quel fenomeno, essa era ancor più deplorevole. Altro quasi non era, infatti, se non un enorme berretto a cono rovesciato. Somiglianza non sminuita in alcun modo quando, esaminandolo più da vicino, la folla scoprì una grossa nappa che ciondolava dalla punta e, intorno al bordo o base del cono, un cerchio di minuscoli strumenti, simili a campanacci di pecore, che tintinnavano incessantemente sull’aria di Betty Martin. Ma c’era di peggio – sospeso con dei nastri azzurri all’estremità di questo fantastico congegno pendeva, a mo’ di navicella, un enorme, logoro cappello di castoro, con una tesa amplissima e la cupola a emisfero circondata da una fascia nera con una fibbia d’argento. È comunque degno di nota che molti cittadini di Rotterdam giurarono di aver già visto molte volte, in passato, quel cappello; anzi, la folla sembrava guardarlo come un oggetto familiare; mentre madama Grettel Pfaall, scorgendolo, lanciò un’esclamazione di lieta sorpresa, dichiarando che esso era proprio identico al cappello del suo degno signor marito. Ora, questa era una circostanza davvero notevole dato che Pfaall, con tre amici, era scomparso da Rotterdam più o meno cinque anni prima, in maniera del tutto improvvisa e inspiegabile e, fino al momento di questo racconto, ogni tentativo per avere sue notizie era fallito. Certo, delle ossa che si ritenevano umane, mescolate a un mucchio di rottami dall’aspetto strano, erano state recentemente rinvenute in una località isolata ad est della città; e ci fu chi arrivò a supporre che in quel punto fosse stato commesso un infame omicidio ai danni, molto probabilmente, di Hans Pfaall e dei suoi compagni. Ma torniamo al racconto.

    Il pallone (che di pallone senza dubbio si trattava) era sceso a circa cento piedi da terra così che la folla, giù in basso, poteva distinguerne con sufficiente chiarezza l’occupante. Un personaggio in verità assai singolare. Non poteva essere alto più di due piedi ma la sua statura, per esigua che fosse, sarebbe bastata a comprometterne l’equilibrio, facendolo precipitare dal bordo della sua minuscola navicella, se non fosse stato per un anello circolare all’altezza del petto, assicurato alle funi del pallone. Il corpo dell’omino era eccezionalmente largo, conferendo alla sua figura una rotondità quanto mai assurda. I piedi, naturalmente, non si vedevano. Le mani erano enormi. I capelli, grigi e raccolti in una queue sulla nuca. Il naso lunghissimo, arcuato e flogistico; gli occhi grandi, brillanti e acuti; anche se rugose per l’età, le guance erano larghe e gonfie, e aveva il doppio mento; ma di orecchio, sul suo capo, non c’era la minima traccia. Questo minuscolo e bizzarro gentiluomo indossava un ampio soprabito di seta azzurro cielo e pantaloni aderenti, in tinta, fermati al ginocchio da borchie d’argento. Il panciotto era di un tessuto color giallo chiaro; un berretto di taffetà bianco era piantato baldanzosamente di traverso sulla testa; e, per completare l’abbigliamento, un fazzoletto di seta rosso sangue gli avvolgeva il collo, ricadendogli elegantemente sul petto con un fantastico fiocco di dimensioni colossali.

    Dopo essere sceso, come ho detto, a un centinaio di piedi da terra, il piccolo, anziano signore fu colto improvvisamente da un attacco di trepidazione e sembrò non avere la minima voglia di accostarsi ulteriormente alla terra firma. Gettando quindi fuori dalla navicella una certa quantità di sabbia da una sacca di tela che sollevò con grande difficoltà, si fermò a mezz’aria. Con gesti frettolosi e agitati tirò fuori da una tasca laterale del soprabito un grosso taccuino di pelle. Lo soppesò sospettosamente nelle mani, lo guardò con aria estremamente sorpresa, evidentemente stupito del suo peso. Alla fine lo aprì e, traendone una grossa lettera sigillata con ceralacca rossa, la legò accuratamente con del nastro rosso lasciandola poi cadere esattamente ai piedi del borgomastro Superbus Von Underduk. Sua Eccellenza si chinò per raccoglierla. Ma l’aeronauta, ancora agitatissimo e evidentemente senza più alcun motivo per rimanere a Rotterdam, cominciò subito a darsi da fare per ripartire; dato che, per risalire, doveva liberarsi di parte della zavorra, la mezza dozzina di sacche che buttò giù senza darsi la pena di svuotarle caddero, sfortunatamente, una dopo l’altra sulla schiena del borgomastro facendolo rotolare per terra una mezza dozzina di volte, sotto gli occhi di tutta la cittadinanza di Rotterdam. Non si creda, comunque, che il grande Underduk subisse questa impertinenza da parte dell’omino senza le dovute rimostranze. Anzi, si dice che, durante i suoi ruzzoloni, mandò fuori non meno di mezza dozzina di furiosi sbuffi di fumo dalla pipa che, per tutto il tempo, aveva tenuta ben stretta e alla quale intendeva rimanere attaccato (a Dio piacendo) fino al giorno della sua morte.

    Frattanto, il pallone si era librato nel cielo come un’allodola e, fluttuando lontano sopra la città, alla fine veleggiò silenziosamente dietro una nuvola simile a quella da cui era emerso in maniera così bizzarra, svanendo per sempre alla vista dei degni abitanti di Rotterdam. L’attenzione si concentrò allora sulla lettera, la cui discesa e le relative conseguenze si erano dimostrate così fatalmente lesive per la persona e il decoro di Sua Eccellenza Von Underduk. Ma quell’esimio funzionario, durante le sue roteanti evoluzioni, non aveva trascurato di indugiare col pensiero sull’importante scopo di impadronirsi della lettera che, a un più attento esame, si scoprì essere finita nelle migliori mani, in quanto essa era indirizzata a lui e al professor Rubadub, nella loro qualità di presidente e vicepresidente dell’Istituto di Astronomia di Rotterdam. Di conseguenza, fu seduta stante aperta dai due dignitari e si appurò che conteneva la seguente straordinaria e, in verità, gravissima, comunicazione:

    «Alle Loro Eccellenze Von Underduk e Rubadub, Presidente e Vicepresidente dell’Istituto Statale di Astronomia della città di Rotterdam.

    Le Eccellenze Vostre ricorderanno forse un modesto artigiano, di nome Hans Pfaall, riparatore di mantici che, insieme ad altre tre persone, scomparve da Rotterdam circa cinque anni fa, in circostanze che dovettero apparire inspiegabili. Col beneplacito, tuttavia delle Eccellenze Vostre, astore di questa comunicazione sono proprio io, Hans Pfaall in persona. E cosa ben nota alla maggioranza dei miei concittadini che, per quarant’anni, ho occupato il piccolo fabbricato di mattoni all’imbocco del vicolo chiamato Sauerkraut, dove abitavo all’epoca della mia scomparsa. Da tempi immemorabili, quella era stata anche la dimora dei miei antenati i quali, come me, esercitarono sempre la rispettabile e, in verità, lucrosa professione di riparatori di mantici; in effetti va detto che, fino a pochi anni or sono, quando la mente di tutti fu messa in fermento dalle questioni politiche, qualsiasi onesto cittadino di Rotterdam non avrebbe potuto desiderare né meritare professione migliore della mia. Ero stimato, il lavoro non mancava, né mancavano denari e benevolenza. Ma, come dicevo, presto cominciammo a risentire gli effetti della libertà, dei lunghi discorsi, del radicalismo, e via dicendo. Persone che prima erano i migliori clienti del mondo non ebbero più un attimo di tempo per pensare a noi, tutte prese com’erano a leggere di rivoluzioni e a tenere il passo con la marcia dell’intelletto e dello spirito dell’epoca. Se occorreva ravvivare un fuoco, lo si poteva facilmente ravvivare sventolando un giornale; e, via via che il governo si indeboliva, cuoio e ferro acquistarono senza dubbio proporzionale durata – poiché, in breve tempo, non ci fu più in tutta Rotterdam un paio di mantici che avesse bisogno di un punto e di una martellata. Una situazione insostenibile. Presto, mi trovai povero come un topo di chiesa e, avendo moglie e figli da mantenere, le mie preoccupazioni si fecero alla fine intollerabili e passavo ore e ore a pensare al modo più acconcio di por fine ai miei giorni. I creditori, nel frattempo, mi lasciavano ben poco tempo per riflettere. La mia casa era letteralmente assediata dalla mattina alla sera. Tre individui in particolare mi tormentavano oltre ogni sopportazione, appostati in continuazione alla mia porta, minacciandomi con la legge. Giurai che di quei tre mi sarei vendicato se mai mi fosse capitata la fortuna di averli tra le grinfie; e credo che l’unica cosa al mondo che mi trattenesse dal mettere immediatamente in atto le mie intenzioni suicide, di farmi saltare le cervella con una schioppettata, fu proprio la prospettiva di avere, un giorno, quella soddisfazione. Ritenni quindi opportuno dissimulare il mio furore e dar loro promesse e belle parole fino a quando, per un colpo di fortuna, avessi avuto l’occasione di vendicarmi.

    Un giorno, essendo riuscito a liberarmi di loro per un po’, sentendomi più depresso del solito, vagai a lungo per le strade più sconosciute, senza mèta, fino a quando inciampai, per caso, nello spigolo di una bancarella di libri. Vedendo a portata di mano una sedia ad uso dei clienti, mi gettai a sedere, di pessimo umore e, senza un perché, sfogliai il primo volume che mi capitò a tiro. Vidi che si trattava di un breve compendio di Astronomia Speculativa, scritto o dal professor Encke, di Berlino, o da un francese con un nome simile. Avevo qualche infarinatura della materia e presto mi immersi sempre più in quel volumetto, arrivando addirittura a leggerlo per ben due volte da cima a fondo prima di riprendere contatto con la realtà. Intanto si era fatto tardi e diressi i miei passi verso casa. Ma quel trattatello (unitamente a una recente scoperta nel campo della pneumatica che mi era stata riferita, come un importante segreto, da un cugino di Nantz) mi si era impresso nella mente e, mentre percorrevo lentamente le strade, alla tenue luce del crepuscolo, riesaminavo attentamente nella memoria gli azzardati e talvolta incomprensibili ragionamenti dell’autore. Alcuni brani particolari avevano colpito in misura straordinaria la mia attenzione. Più ci meditavo, più cresceva l’interesse che in me avevano suscitato. La limitata portata della mia cultura in genere e specialmente la mia ignoranza in fatto di filosofia naturale, lungi dal farmi dubitare della mia capacità di comprendere quanto avevo letto, o dall’indurmi a diffidare delle molte, vaghe idee che quella lettura mi aveva fatto nascere nella mente, non furono che un ulteriore stimolo alla mia immaginazione; ed ero abbastanza presuntuoso, o forse abbastanza ragionevole, da chiedermi se idee abbozzate che, nate in un cervello sconvolto, hanno tutta l’apparenza della realtà, spesso non possiedano, in effetti, la forza, la validità e le altre qualità intrinseche dell’istinto o dell’intuizione.

    Era tardi quando giunsi a casa, e mi coricai subito. La mia mente, però, era troppo occupata per dormire e passai tutta la notte immerso nelle mie speculazioni. Alzandomi di buon’ora il mattino dopo, tornai di corsa alla bancarella e spesi quel poco denaro contante che possedevo nell’acquisto di alcuni testi di Meccanica e Astronomia Applicata. Tornato a casa sano e salvo con i miei libri, dedicai ogni momento libero a studiarli e presto approfondii la mia conoscenza di quella materia quel tanto che reputai sufficiente all’esecuzione di un certo piano che il Demonio, o il mio Genio tutelare, mi aveva ispirato. In quel periodo, avevo dedicato gli intervalli dello studio a placare i tre creditori che tante seccature mi avevano dato. Finalmente ci riuscii – in parte vendendo alcuni mobili di casa per pagare la metà del debito e, in parte, promettendo di saldare la rimanenza quando avessi portato a termine un piccolo progetto che, dissi loro, avevo in mente e per il quale chiesi la loro collaborazione. In tal modo (si trattava di gente ignorante) mi fu facile conquistarli al mio scopo.

    Sistemate così le cose riuscii, con l’aiuto di mia moglie, nella massima segretezza e circospezione, a disfarmi di quanto ancora possedevo e prendere a prestito, in piccole cifre per volta, con vari pretesti e senza preoccuparmi (mi vergogno a dirlo) di come avrei mai potuto restituirle, una non trascurabile somma di denaro contante. Con i soldi così accumulati cominciai a procurarmi, a intervalli, della mussola di batista di ottima qualità in teli da dodici iarde ciascuno; dello spago; una gran quantità di gomma arabica; un cesto di vimini largo e profondo, fatto su misura; e molte altre cose necessarie a costruire ed equipaggiare un pallone di straordinarie dimensioni. Ingiunsi poi a mia moglie di prepararlo il più rapidamente possibile, dandole tutte le istruzioni sul come procedere. Frattanto, con lo spago, feci una rete abbastanza grande; la fornii di un cerchione e delle corde necessarie; e acquistai una serie di materiali e strumenti per esperimenti nelle zone più elevate della stratosfera. Feci poi in modo di trasportare, di notte, in una località solitaria ad est di Rotterdam, cinque barili cerchiati di ferro, da una cinquantina di galloni ciascuno, oltre a un barile più grande; sei tubi di stagno, di tre pollici di diametro, di forma pasticciare e lunghi dieci piedi; una quantità di una speciale sostanza metallica o semimetallica, di cui non farò il nome, e una dozzina di damigiane, piene di un comunissimo acido. Il gas che si ottiene con questi ultimi materiali è un gas che, fino ad oggi nessuno, oltre me, ha mai prodotto – o, almeno, mai usato per uno scopo analogo. Posso solo rivelare che si tratta di un componente dell’azoto, finora ritenuto non separabile, con una densità 37,4 volte inferiore a quella dell’idrogeno. È insapore ma non inodoro; allo stato puro, brucia generando una fiamma verdognola; ed è istantaneamente letale per la vita animale. Personalmente, non avrei difficoltà a rivelarne il segreto che però (come ho già accennato) spetta di diritto a un cittadino di Nantz, in Francia, il quale me lo ha comunicato a patto che non lo rivelassi a nessuno. La stessa persona, totalmente all’oscuro delle mie intenzioni, mi spiegò come costruire una mongolfiera usando la membrana di un certo animale che rendeva praticamente impossibile qualsiasi fuga di gas. Trovai però quel sistema troppo costoso e pensai che, in linea di massima, della mussola di batista ricoperta con uno strato di gomma arabica sarebbe andata altrettanto bene. Dico questo in quanto ritengo probabile che la persona in questione possa tentare un’ascensione in pallone con il nuovo gas e il materiale di cui ho parlato, e non voglio sottrargli l’onore di un’invenzione davvero straordinaria.

    Nei punti dove intendevo collocare, uno per uno, i barili più piccoli durante la gonfiatura dell’aerostato, scavai di nascosto una piccola buca, formando così un cerchio del diametro di circa 25 piedi. Al centro, dove doveva andare il barile più grosso, feci una buca più profonda. Nelle cinque più piccole collocai altrettanti bariletti da cinquanta libbre di polvere da mortaio ciascuno e, in quella più grande, una botticella da 150 libbre. Collegai poi accuratamente i vari recipienti con delle micce nascoste; e, dopo avere introdotto in uno dei bariletti un pezzo di miccia a combustione lenta, lungo circa quattro piedi, ricoprii la buca, ci collocai sopra il barile più grosso, lasciando poi sporgere di circa un pollice l’altro capo della miccia che rimaneva praticamente nascosto dal barile stesso. Riempii poi le altre buche e collocai su di esse gli altri barili!

    In quel dépôt, oltre agli oggetti sopra elencati, nascosi uno degli strumenti di M. Grimm, intesi a migliorare l’apparecchiatura per la condensazione dell’atmosfera. Scoprii però che occorreva apportare notevoli modifiche al meccanismo per adattarlo allo scopo per cui intendevo usarlo. Lavorando sodo e con incessante tenacia, alla fine i miei preparativi riuscirono perfettamente. Ben presto il mio pallone fu terminato. Poteva contenere oltre 40.000 piedi cubi di gas; mi avrebbe facilmente sollevato, calcolai, con tutti i miei strumenti e, sistemando bene le cose, anche con 175 libbre di zavorra. Lo avevo ricoperto con tre mani di vernice gommata e trovai che la mussola di batista presentava tutti i requisiti della seta, era altrettanto robusta e molto meno costosa.

    Tutto era ormai pronto; feci giurare a mia moglie di mantenere il segreto su ogni mia azione dal giorno della mia prima visita alla bancarella dei libri; per parte mia, le promisi che sarei tornato appena le circostanze me lo avessero consentito, le consegnai quel po’ di denaro che mi era rimasto e mi congedai da lei. Ero tranquillo sul suo conto. Mia moglie era quello che si dice una donna straordinaria, e poteva cavarsela benissimo senza il mio aiuto. A dir la verità, credo che mi avesse sempre ritenuto un buono a nulla, capace solo di far castelli in aria – e che, tutto sommato, fosse contenta di liberarsi di me. Era una notte buia quando le dissi addio e, portando con me come aides-de-camp i tre creditori che tante noie mi avevano dato, trasportammo la mongolfiera, armi e bagagli, seguendo un itinerario tortuoso, fino al luogo dove era depositato tutto il resto. Trovammo ogni cosa come l’avevo lasciata e mi misi subito all’opera.

    Era il primo di aprile. Come ho già detto, era una notte oscura; non si vedeva una stella; e una pioggerellina che veniva giù ogni tanto ci dava molto fastidio. Ma la mia preoccupazione principale era il pallone che, malgrado la gommatura, cominciò a farsi piuttosto pesante con l’umidità; anche la polvere da sparo correva il rischio di rovinarsi. Tenni dunque i miei tre creditori al lavoro per frantumare il ghiaccio attorno al barile centrale e mescolare la soluzione acida negli altri. Non smisero di importunarmi tutto il tempo, tempestandomi di domande sul cosa intendessi fare di tutta quella apparecchiatura e lamentandosi per la fatica alla quale li stavo sottoponendo. Non riuscivano a capire (dissero) a che sarebbe servito bagnarsi fino alle ossa solo per prendere parte a un così orribile incantesimo. Cominciai a sentirmi a disagio e lavoravo con tutte le mie forze, perché credo davvero che quegli idioti pensassero che avessi stretto un patto col Diavolo e che, per dirla in due parole, quello che stavo facendo fosse qualcosa di molto riprovevole. Avevo quindi una gran paura che se ne andassero. Riuscii comunque a tranquillizzarli promettendo di saldare tutti i miei conti appena avessi portato a termine quel che stavo facendo. Naturalmente, interpretarono le mie parole a modo loro; immaginando sicuramente che, in ogni caso, sarei entrato in possesso di un’ingente somma di denaro sonante; e, purché pagassi loro quanto dovevo, con una piccola aggiunta per i loro servigi, suppongo che non si curassero minimamente di ciò che ne sarebbe stato della mia anima o della mia carcassa.

    Dopo circa quattro ore e mezza vidi che il pallone era sufficientemente gonfiato. Attaccai quindi la navicella e vi posi tutti i miei strumenti: un telescopio; un barometro al quale erano state apportate alcune modifiche essenziali; un termometro; un elettrometro; una bussola; un ago magnetico; un orologio contasecondi; una campana; un megafono, etc. etc. oltre a una sfera di vetro dalla quale era stata tolta l’aria, accuratamente chiusa con un tappo – senza dimenticare l’apparecchio di condensazione, della calce viva, un bastoncino di ceralacca, un’abbondante scorta di acqua e una quantità di provviste come, per esempio, del pemmican, molto nutriente anche in piccole quantità. Collocai nella navicella anche un paio di piccioni e un gatto.

    Era quasi l’alba e pensai che era ora di partire. Lasciando cadere a terra, come per sbaglio, un sigaro acceso feci in modo, chinandomi a raccoglierlo, di accendere la miccia a lenta combustione la cui estremità, come ho già detto, sporgeva un poco dal bordo inferiore di uno dei barili piccoli. La manovra sfuggì completamente ai tre creditori; poi, saltando nella navicella, tagliai immediatamente la fune che mi tratteneva a terra e, con mia grande gioia, schizzai verso l’alto a un’incredibile velocità trasportando senza il minimo sforzo 175 libbre di zavorra piombata; e ne avrei potuto trasportare molta di più. Nel momento in cui lasciavo la terra, il barometro segnava 30 pollici e il termometro 19 gradi. Ma non ero nemmeno arrivato a 50 iarde di altezza che, mugghiando e ruggendo in modo tumultuoso e terribile, mi inseguì un uragano di fuoco, ghiaia, tizzoni, metallo incandescente e membra straziate, tanto da farmi arrestare il cuore in petto; e caddi sul fondo della navicella, tremando di terrore. Mi resi conto che avevo esagerato e che le conseguenze peggiori dello shock dovevano ancora farsi sentire. Infatti, nemmeno un secondo dopo, tutto il sangue mi salì alle tempie e uno scombussolamento che mai dimenticherò squassò improvvisamente la notte e sembrò frantumare il firmamento. Più tardi, quando ebbi modo di riflettere, compresi che l’estrema violenza dell’esplosione, per quanto mi riguardava, era dipesa dal fatto che mi trovavo direttamente sopra di essa, sulla linea di potenza più dirompente. Ma in quel momento pensavo solo a salvarmi la vita. La mongolfiera prima si afflosciò, poi si espanse violentemente, poi cominciò a roteare su se stessa con tale velocità da farmi star male e infine, ondeggiando e barcollando come un ubriaco, mi scaraventò oltre il bordo della navicella, lasciandomi appeso, a un’altezza terrificante, a testa in giù, col viso verso l’esterno, trattenuto da circa tre piedi di corda sottile che per caso pendeva da una fessura vicino alla base della struttura di vimini e nella quale, mentre cadevo, il mio piede sinistro era fortunatamente rimasto impigliato. Impossibile – assolutamente impossibile – immaginare tutto l’orrore della mia situazione. Boccheggiavo convulsamente per respirare – un tremore simile a un attacco malarico scuoteva ogni nervo e ogni muscolo del mio corpo – sentivo gli occhi schizzarmi dalle orbite – una nausea terribile mi soffocava – e, alla fine, persi conoscenza e svenni.

    Non so dire quanto tempo rimasi in quello stato. Comunque, piuttosto a lungo perché, quando mi ripresi, vidi che stava albeggiando; il pallone era a un’altezza vertiginosa sopra l’oceano e non si vedeva traccia di terra in tutto il vasto orizzonte. Le mie sensazioni nel tornare in me, però, non furono così angosciose come si potrebbe immaginare. C’era anzi una notevole follia nella calma con cui cominciai a valutare la situazione in cui mi trovavo. Una dopo l’altra, mi portai le mani agli occhi e mi chiesi cosa avesse potuto provocare quel turgore delle vene e l’orrendo colore scuro delle unghie. Mi esaminai poi attentamente la testa, scuotendola più volte, palpandola minuziosamente, fino ad assicurarmi che non era, come quasi mi aspettavo, più grossa della mia mongolfiera. Poi, sentendomi molto intelligente, frugai nelle tasche dei pantaloni e, appurando che dal loro interno mancavano una confezione di compresse e un astuccio per stuzzicadenti, cercai di spiegarmi perché fossero scomparsi e, non riuscendoci, ne fui indicibilmente dispiaciuto. A quel punto, mi resi conto di provare un gran fastidio al malleolo sinistro e una vaga consapevolezza della mia situazione cominciò ad affacciarmisi alla mente. Ma, strano a dirsi, non ero né sorpreso né terrorizzato. Se qualche emozione sentivo, era una specie di sogghignante compiacimento all’astuzia che stavo per dimostrare nel tirarmi fuori da quel dilemma; e mai, neppure per un istante, considerai come suscettibile di dubbio la mia finale salvezza. Per qualche minuto rimasi assorto in profonda meditazione. Ricordo distintamente di avere spesso stretto le labbra, portato l’indice al naso, e aver compiuto altri gesti e smorfie proprie di coloro che, tranquillamente seduti in poltrona, meditano su questioni complesse e importanti. Quando ritenni di avere sufficientemente raccolto le idee, molto lentamente, con grande cautela, portai le mani dietro la schiena e sganciai la grossa fibbia di metallo dalla cintura dei pantaloni. Era una fibbia a tre denti, un po’ arrugginiti, per cui fu piuttosto difficile farli ruotare sul loro asse. Con un po’ di fatica, riuscii finalmente a portarli ad angolo retto con la fibbia e mi rallegrai nel constatare che rimanevano fermi in quella posizione. Tenendo fra i denti lo strumento così ottenuto, passai a disfare il nodo della cravatta. Dovetti riposarmi varie volte prima di riuscirci; ma alla fine ci riuscii. Attaccai allora a un’estremità della cravatta la fibbia, legandomi l’altra estremità attorno al polso, per maggior sicurezza. A quel punto, sollevando il corpo con un enorme sforzo muscolare, riuscii, al primo tentativo, a lanciare la fibbia sulla navicella agganciandone, come avevo previsto, il bordo circolare.

    Mi trovavo ora inclinato verso la fiancata della navicella stessa, a un angolo di circa 45°; non si pensi, però, che fossi a solo 45° sotto la perpendicolare. Tutt’altro; mi trovavo ancora quasi parallelo all’orizzonte. Infatti, il mio cambiamento di posizione aveva sensibilmente allontanato da me il fondo della navicella e mi trovavo quindi in imminente pericolo. Si rammenti però che, in primo luogo, se cadendo dalla navicella fossi rimasto col viso rivolto verso il pallone anziché dalla parte opposta, come invece era stato; o che, in secondo luogo, se la corda alla quale ero sospeso avesse per caso penzolato dal bordo della navicella anziché da una fessura sul fondo – in uno di questi due presunti casi, ripeto, non sarei mai riuscito a fare ciò che avevo fatto e queste mie rivelazioni sarebbero andate irrimediabilmente perdute per i posteri. Avevo quindi tutti i motivi per essere grato; anche se, in effetti, ero ancora troppo intontito per essere qualcosa; e restai appeso per circa un quarto d’ora in quell’insolita posizione senza fare il benché minimo sforzo, in uno strano stato di tranquilla e istupidita beatitudine. Sentimento che non mancò di scomparire rapidamente lasciando il posto all’orrore, allo sgomento e a un senso di totale impotenza e desolazione. Il sangue, così a lungo accumulato nei vasi cerebrali e laringei e che, fino a quel momento, mi aveva dato una sorta di delirante eccitazione, aveva ora cominciato a defluire nei canali consueti; e la lucidità che venne ad aggiungersi alla mia nozione del pericolo non servì che a togliermi la freddezza e il coraggio di fronteggiarlo. Ma, per mia fortuna, questa debolezza non durò a lungo. Al momento giusto, venne a salvarmi la forza della disperazione e, con grida e agitamenti frenetici, riuscii a spingermi verso l’alto e, finalmente, afferrando con una stretta ferrea l’agognato bordo, lo superai strisciando e caddi a capofitto, tremando da capo a piedi, nella navicella.

    Mi ci volle un po’ di tempo prima di riprendermi quanto bastava per potermi occupare

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