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Un giorno d'estate
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Un giorno d'estate
E-book354 pagine4 ore

Un giorno d'estate

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Info su questo ebook

I segreti del passato cambieranno per sempre la loro vita

È una bella, luminosa giornata d’estate, e la vita di tre persone sta per cambiare per sempre. Agnetha McMaster, dopo aver trascorso quasi tutta la vita a prendersi cura degli altri, ha finalmente deciso di occuparsi di sé stessa. È il suo momento. Ma troverà davvero il coraggio per ricominciare? Mitchell McMaster, dieci anni fa, ha divorziato da Agnetha e ha sposato la sua migliore amica, Celeste. Ora sospetta che la sua seconda moglie abbia una relazione. Che sia arrivato il giorno in cui il karma ha deciso di presentargli il conto? Grazie a un test del DNA, Hope McTeer sta finalmente per incontrare il suo padre biologico. Ha aspettato con ansia questo momento ma adesso è assalita dai dubbi. Come sarà l’uomo che si troverà davanti? Le piacerà? E, soprattutto, sarà pronta ad affrontare le risposte alle domande che la tormentano da una vita? Tre personaggi, ventiquattro ore per dare una svolta cruciale al destino.

Un’autrice N°1 in Inghilterra

La lettura perfetta per tutti quelli che credono nel destino

«Ho riso, ho pianto. In questo libro c’è tutto. In una parola: vita.»

«Emozionante, un libro che riesce a entrarti nel cuore. Le diverse prospettive dei personaggi compongono un viaggio indimenticabile.»

«Molto di più di una semplice storia d’amore, questo romanzo riesce a toccare le corde più profonde del cuore.»
Shari Low
È autrice di oltre venticinque romanzi, pubblicati con successo in tutto il mondo. Vive a Glasgow con il marito, dedicandosi completamente alla scrittura da quando i suoi due figli si sono trasferiti per studiare al college.
LinguaItaliano
Data di uscita9 lug 2021
ISBN9788822756251
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    Anteprima del libro

    Un giorno d'estate - Shari Low

    8:00 – 10:00

    1

    Agnetha McMaster

    Assomigliava alla sirena che nei film catastrofici annunciava l’arrivo imminente di un tornado. Agnetha McMaster – Aggs per gli amici – schiacciò il tasto del telefono per zittire la sveglia che stava ululando a qualche decina di centimetri dal suo orecchio. Per fortuna non c’era una tromba d’aria in avvicinamento. E per fortuna, la tazza che precipitò dalla cassettiera grigia accanto al letto era vuota. Non sarebbe stata la prima volta che, appena sveglia, faceva volare i residui di tè per tutta la stanza, perciò la sera precedente si era assicurata di bere fino all’ultima goccia prima di spegnere Grey’s Anatomy, accoccolarsi sotto le coperte e addormentarsi da sola.

    Si alzò a sedere e stirò le braccia aggrappandosi alla testiera rivestita di velluto color argento. L’idea di rinnovare la camera era stata delle sue figlie, le gemelle Skye e Isla. Avevano passato tutto il fine settimana precedente a carteggiare e imbiancare. Erano anche andate da Dunelm in cerca di mobilio e accessori nuovi per rimpiazzare gli arredi risalenti agli anni dell’adolescenza di Aggs. Erano tornate a casa con un soffice piumone bianco, un plaid a quadri rosa e grigi e un certo numero di cuscini assortiti con cui Aggs non sapeva esattamente cosa fare. Ma andava bene così. L’importante era che finalmente avesse ceduto alle richieste delle gemelle, le quali insistevano che si dovesse togliere qualche sfizio, e che a distanza di dieci anni dalla vendita della casa e dal trasferimento nell’appartamento dei suoi genitori, sopra la caffetteria di famiglia, nel giorno del suo quarantacinquesimo compleanno, quella stanza non dovesse sembrare più la camera di una ragazzina. Allo stesso tempo, lì si sentiva a casa; vi aveva vissuto per la maggior parte della sua vita. Era cresciuta in quell’appartamento, con i suoi genitori nella stanza accanto e i nonni nella camera in fondo al corridoio. Se n’era andata quando si era sposata e, dopo il divorzio, era tornata a viverci con le figlie, trovando conforto nei profumi che giungevano dalla caffetteria al piano terra, appartenuta ai genitori e ancora prima ai nonni.

    Inforcò gli occhiali, legò la folta, lunga chioma di capelli rossi e prese il telefono. Sorrise, notando che Skye aveva già inviato una gif sul loro gruppo WhatsApp per farle gli auguri di buon compleanno.

    Controllò l’ora: erano le otto. In quel momento il Ginger Sponge stava aprendo i battenti, ma Isla le aveva vietato di scendere prima di mezzogiorno. Era la prima mattinata tranquilla che Aggs si prendeva da anni e aveva intenzione di sfruttarla al massimo… almeno fino alle otto e mezzo, quando con ogni probabilità il senso di colpa avrebbe avuto la meglio e, con una scusa, sarebbe scesa di sotto e si sarebbe messa a lavorare. Chi sceglieva di fare quel mestiere non poteva concedersi il lusso di dormire fino a tardi. Soprattutto Aggs.

    La porta della camera si spalancò e spuntò sua figlia con un vassoio colmo nelle mani.

    «Non pensarci neanche», esclamò Isla. Aveva già indosso la divisa da lavoro estiva, che consisteva in una canottiera nera, jeans tagliati sopra alle caviglie e un paio di Vans nere.

    Il volto di Aggs assunse un’espressione innocente. «A cosa non dovrei pensare? A Brad Pitt su una sdraio, vestito solo di un velo di crema solare e un sorriso?»

    «No, e poi ti sembrano cose da dire? Una madre, alla tua età, non può avere fantasie sessuali. Sono sicura che esista una legge che lo vieta». Isla fece una smorfia e posò il vassoio sulla metà libera del letto nuovo di Aggs. Conteneva un’enorme tazza di caffè, due fette di pane ai semi di zucca tostato e una sfoglia dorata alle mele che, Aggs lo sapeva, era stata sfornata cinque minuti prima.

    «E va bene. In questo caso non ti racconterò quello che farei a Matt Damon se potessi rinchiuderlo nel ripostiglio. A cosa non dovrei pensare?».

    Isla, dopo aver finto di vomitare, scoppiò a ridere. «Non pensare di alzarti e venire di sotto».

    «Non mi passa neanche per l’anticamera del cervello». La prima, palese bugia della giornata fu accolta con un sorrisetto scettico dalla figlia, che mise le mani sui fianchi e inarcò le sopracciglia. Aggs mollò subito. «Oddio, sarei una pessima spia. Basta un’occhiata diffidente e crollo come un castello di carte. E va bene, stavo pensando di venire giù. Ma solo perché non voglio lasciarti da sola a servire tutti quei clienti».

    «Non sono da sola. Ci sono Val e Yvie con me. Sono venute a darmi una mano perché sapevano che in caso contrario non saresti mai riuscita a rilassarti. Val ha detto che se ti vede spuntare prima di mezzogiorno chiude la caffetteria e mette un cartello alla porta con su scritto che siamo infestati dai topi».

    Nonostante la minaccia non andasse sottovalutata, Aggs scoppiò a ridere immaginando le sue due amiche intente a prendere gli ordini e a servire i clienti. Si sarebbe guardata bene dal mettere alla prova la sincerità delle intenzioni di Val.

    Isla salì sul letto, mise dietro all’orecchio una ciocca di capelli dello stesso colore di quelli della madre, si sporse e la abbracciò. «Buon compleanno, mamma. Stai bene? Ti manca la nonna?».

    Aggs non rispose subito, prima deglutì per mandare giù il nodo che le chiudeva la gola. L’anno precedente sua madre era ancora con loro, sebbene si trovasse già nella fase terminale della malattia. Adesso, il dolore di vederla soffrire era stato sostituito dal dolore di averla persa. La mamma, però, sarebbe stata la prima a dirle: Fatti coraggio e vai avanti, tesoro!.

    «Sì, mi manca, ma lo sai anche tu che se fosse stata qui avrebbe detto…».

    «Vai avanti, tesoro», mormorò sua figlia, imitando alla perfezione la voce della nonna. Quando Isla frequentava il quinto anno delle superiori, Agnetha e il marito avevano scoperto che da anni marinava le lezioni. Chiamava la scuola e, spacciandosi per la nonna, diceva che la nipote era ammalata. Aggs si era infuriata, al contrario di sua madre, che l’aveva trovato divertente. Isla scacciò la tristezza ed esclamò: «Ascolta, il programma è questo: ti daremo i regali più tardi, quando arriva Skye. Nel frattempo rimani qui, per favore. Rilassati. Te lo meriti».

    Le ultime parole di Isla furono soffocate dall’abbraccio della madre. Il cuore di Aggs traboccava di gratitudine. «Adoro questo programma. E adoro anche te. Grazie mille, amore mio. Come sono fortunata ad avere una figlia come te!».

    «Dio doveva rimediare in qualche modo per averti inflitto Skye». Aggs fece un’espressione indignata, ma Isla si era già alzata dal letto e stava andando alla porta ridacchiando.

    «Facciamo così. Se decide di onorarci della sua presenza, giuro che sarò gentile con lei per tutto il giorno».

    «Sarebbe il regalo di compleanno più bello che potresti farmi!», gridò Aggs alla figlia, che era già sparita nel corridoio.

    Gemelle. Doppi guai. Isla e Skye avevano un rapporto di odio-amore. Il fatto che le loro personalità si trovassero agli antipodi non era d’aiuto, nonostante fossero due gocce d’acqua, con i loro capelli rossi fiammeggianti (quelli di Isla lunghi e ondulati, mentre Skye portava un sobrio caschetto) e gli occhi verdi. Isla era uno spirito libero; dopo essersi diplomata era partita e aveva passato due anni in Sud America lavorando come volontaria per un’associazione che costruiva scuole. Al suo ritorno, aveva deciso di darle una mano al Ginger Sponge per un paio di settimane, in attesa di capire cosa fare del proprio futuro. Un anno dopo era ancora lì e non dava segno di volersene andare a breve, visto che era più indecisa di prima. Isla rappresentava la quarta generazione di Sanders a lavorare nella caffetteria. Dopo averla gestita per dieci anni da sola, Aggs nutriva la speranza che la figlia rimanesse e un giorno prendesse in mano l’attività di famiglia, ma ovviamente avrebbe lasciato che fosse lei a decidere.

    Skye, invece, aveva voluto seguire le orme paterne e si era iscritta alla facoltà di Giurisprudenza dell’università di Glasgow. Aveva già pianificato nei minimi dettagli i dieci anni successivi, che l’avrebbero portata, appena trentenne, a diventare un’avvocatessa immobiliarista di primo piano sulla scena internazionale. Il trasferimento a casa del padre, avvenuto un anno prima, era stata una mossa strategica e Skye non ne faceva un segreto: in quel modo, avrebbe avuto a disposizione un genio dell’avvocatura con cui preparare gli esami. Aggs comprendeva alla perfezione e giudicava la sua scelta sensata, sebbene senza Skye in giro la casa fosse decisamente troppo tranquilla. Ogni tanto si sorprendeva persino a rimpiangere i continui battibecchi tra le gemelle, che di solito scoppiavano per futili ragioni. Non fosse stato per l’evidente somiglianza e per il fatto di averle partorite a soli due minuti di distanza, Aggs avrebbe dubitato dell’esistenza di un legame genetico fra loro tre.

    Il caffè le bruciò le labbra, ma non ci fece caso. Mentre si godeva la piacevole sensazione della tazza calda fra le mani, osservò il pulviscolo che danzava nei raggi di sole filtrati dalle tapparelle. Una bella giornata. Ci aveva sperato. Ma era pur sempre Glasgow, dunque non si sarebbe stupita di vedere scatenarsi una pioggia torrenziale all’ora di pranzo, seguita da un’ondata di caldo nel pomeriggio e da una gelata dopo cena.

    Le sfuggì un sospiro. Era arrivato. Il suo quarantacinquesimo compleanno. Di solito, fra la caffetteria, i conti, gli ordini, le fatture e le altre mille mansioni che svolgeva ogni giorno, era troppo occupata per concedersi il lusso dell’introspezione. Quella pausa, invece, fatta di silenzio e di pace, la stava spingendo a riflettere più di quanto avrebbe voluto. Era il primo compleanno che festeggiava senza entrambi i suoi genitori, il primo da quando aveva ereditato in via ufficiale l’appartamento e l’attività di famiglia, ma non era certo il primo che passava dormendo da sola.

    Erano passati dieci anni dal divorzio. Dieci anni da quel tradimento devastante che l’aveva spinta a tornare in quella casa con le gemelle. Dieci anni in cui non si era concessa nemmeno il tempo di andare dal parrucchiere, figurarsi affrontare questioni più impegnative come le relazioni o i progetti per il futuro.

    Sapeva per esperienza che in entrambi i campi non se la cavava benissimo, ma non era ancora troppo tardi, no? Rimettere a nuovo la camera era stato il primo piccolo passo per cominciare una buona volta a fare qualcosa per sé stessa. Aveva avvertito quell’esigenza, sempre più forte, in seguito al funerale della madre.

    Sentiva la sua mancanza ogni giorno. Le mancavano la sua risata, la sua compagnia, il suo affetto, le chiacchierate mattutine davanti a una tazza di tè, i rimproveri che Aggs riceveva perché non si valorizzava. «Quando uscirò di casa senza il rossetto, vorrà dire che sono finita», esclamava la mamma.

    Aggs dubitava che sarebbe mai arrivato il giorno in cui non le avrebbe rivolto un pensiero; tuttavia, nei mesi precedenti si era impegnata per rimettere insieme i pezzi della sua vita. Per la prima volta in vent’anni non si sentiva responsabile per gli altri. Le ragazze ormai sapevano badare a loro stesse, i suoi genitori non c’erano più e nessuno dipendeva da lei.

    Cercò con lo sguardo una fotografia che le gemelle avevano trovato dentro una vecchia valigia mentre sgomberavano la stanza per imbiancarla. L’avevano sistemata in un portafoto nuovo di legno di seta bianco e l’avevano appoggiata sulla toletta.

    L’immagine raffigurava Aggs. Aveva ventitré anni. Era a Malibu e indossava un bikini bianco. Naso all’insù, capelli al vento, braccia spalancate. Rideva con gli occhi rivolti al cielo. Ecco com’era Aggs una volta. Quella giovane libera e selvaggia ormai era irriconoscibile guardando la donna stanca, esaurita e appesantita che era diventata; una specie di automa che agiva in modo meccanico, facendo tutto ciò che le veniva chiesto e mettendo sé stessa all’ultimo posto nella lista delle priorità.

    A seguito della scomparsa della madre, però, aveva mosso i primi timidi passi per cercare di guarire le proprie cicatrici, e dopo un po’ in effetti aveva percepito un piccolo cambiamento. La tensione degli ultimi anni si era pian piano allentata ed era stata sostituita da qualcos’altro. Speranza, forse?

    Un brivido inaspettato le fece arricciare le dita dei piedi; la fotografia le aveva fatto tornare alla mente un ricordo che aveva interrotto di colpo le sue fantasticherie. Quella data, per lei, aveva anche un altro significato; le ricordava una vicenda che ancora adesso, a più di vent’anni di distanza, era capace di chiuderle lo stomaco per l’imbarazzo e il rimpianto. Aggs scosse il capo con foga per scacciare quel pensiero, così tanto che gli occhiali rischiarono di volarle via.

    Nel giorno del suo compleanno, ventidue anni prima, tutto era cambiato.

    Basta, non aveva intenzione di rivangare vecchie storie. Non aveva imparato che non si può fare niente per cambiare il passato? Non si stava sforzando di diventare una persona diversa, solare e gioiosa? A partire da quel giorno, la Agnetha McMaster degli ultimi vent’anni, quella che si era sempre presa cura di tutti, sarebbe andata in pensione, lasciando il posto a una nuova Aggs, indipendente e ottimista.

    La vibrazione del telefono la fece trasalire. Quando lo prese, trovò la notifica di un messaggio e un nome familiare sullo schermo. Il rossore che si diffuse sul suo volto fu causato in eguale misura dal senso di colpa e dall’eccitazione.

    Buon compleanno, splendore. Gliel’hai già detto?

    Aveva promesso di fare il grande annuncio prima del giorno del compleanno, ma non ne aveva avuto il coraggio. Era una cosa troppo grossa, troppo radicale, troppo spaventosa.

    Con un sospiro, posò il telefono senza rispondere.

    Gliel’avrebbe detto, prima o poi, una volta arrivato il momento giusto.

    Quello era il primo giorno della nuova vita di Aggs McMaster. Doveva solo fare il primo passo. E poi, decidere se aveva il coraggio necessario per andare fino in fondo.

    2

    Mitchell McMaster

    Il rumore delle scarpette sul marciapiede, ritmico e costante, forniva a Mitchell una cadenza su cui accordare il respiro. Quando imboccò la via in cui sorgeva la fila di case a schiera di arenaria a tre piani che comprendeva anche la sua, registrò a malapena la presenza dei passanti che portavano a spasso il cane, della coppia del civico quindici sull’altro lato della strada che andava a fare jogging con i completi di lycra abbinati, e dei genitori del numero quattro che scortavano alla macchina due bambini in divisa da rugby.

    La parte occidentale di Glasgow, con i tipici palazzi vittoriani e le strade alberate, era la sua preferita; eppure, il fatto di viverci, come tanti altri aspetti della sua vita, era ormai qualcosa che Mitchell dava per scontato.

    Premette il pollice sul lettore biometrico collegato al portoncino d’ingresso. L’aveva fatto installare l’anno precedente, quando aveva apportato alcune migliorie al sistema antifurto e alle telecamere a circuito chiuso. Era stata una spesa superflua, con ogni probabilità – lo studio legale che aveva fondato dieci anni prima era specializzato in diritto commerciale, e rispetto al penale i rischi erano di gran lunga minori – però si poteva dedurre dalle tasse e poi aumentava il valore della casa. Oltre al fatto di non dover più perdere tempo a cercare le chiavi.

    «Buongiorno. Dove hai lasciato il cavallo?», lo salutò Skye tappandosi il naso, prima di tornare a concentrarsi sulla pila di testi che aveva davanti. Erano le otto e mezzo di un sabato mattina ed era già china sui libri a studiare per l’esame della settimana seguente. La mela non cadeva mai lontana dall’albero.

    Passandole accanto, Mitchell le diede un bacio sulla testa. «Forse ti ho lasciato un po’ di sudore sui capelli», disse. Per tutta risposta lei esclamò, al colmo del disgusto: «Bleah!». Ogni mattina, nessuna esclusa, Mitchell si alzava alle cinque e mezzo e faceva un primo allenamento nella palestra allestita nel seminterrato, seguito da una corsa di cinque chilometri. Serviva a conservarlo snello e tonico, e a mantenere la sua taglia di pantaloni invariata da quando aveva vent’anni. Inoltre, lo rendeva lucido e concentrato, e lui ne aveva bisogno per non compromettere la propria reputazione – era uno dei maggiori esperti di diritto societario della città – e concludere trattative vantaggiose per i suoi clienti.

    Era orgoglioso del proprio aspetto, della propria casa e della propria carriera, e con la grinta che lo contraddistingueva puntava a mantenerli. Non avrebbe lavorato quel giorno, tuttavia voleva essere in forma smagliante perché le dodici ore successive si sarebbero potute rivelare determinanti per il futuro.

    La macchina del caffè, incorporata nella cucina componibile firmata Poggenpohl, iniziò a gorgogliare non appena Mitchell la accese per prepararsi il primo dei suoi quattro espressi quotidiani. Era un amante dell’ordine e dell’organizzazione. Era l’unico modo, per lui, per far fronte ai tanti impegni lavorativi e al tempo stesso tenersi in forma.

    Si appoggiò al bancone di quarzo e buttò giù il liquido amaro.

    «Ti serve qualcosa per caso?», chiese Skye.

    «No, grazie».

    Forse era per via della luce mattutina che entrava dalla finestra, eppure, quando Skye alzò la testa, notò i suoi occhi cerchiati di nero. Sua figlia dormiva a sufficienza? Mangiava abbastanza? Aveva perso peso? Difficile capirlo dato che la sua tenuta casalinga era composta da un paio di leggings e da una felpa gigantesca. Le lezioni erano terminate il mese precedente e, siccome passava tutto il tempo a studiare, non l’aveva più vista in abiti normali.

    Era trascorso quasi un anno da quando la figlia si era trasferita a casa sua. Avevano un bel rapporto, basato sull’affetto reciproco e sulla passione comune per la legge. Mitchell non voleva fare errori. Aggs aveva reagito benissimo alla decisione di Skye, convinta che le avrebbe fornito più spazio, tranquillità e risorse per affrontare gli studi. Dopo aver vissuto lontano dalle figlie per dieci anni, Mitchell era al settimo cielo.

    «Ti ricordi che oggi è il compleanno della mamma, vero?»

    «Certo. Isla dice che l’ha costretta a rimanere a casa a rilassarsi. Le raggiungo per pranzo. Abbiamo invitato anche alcuni suoi amici, ma lei non lo sa. Sarà la prima sorpresa della giornata, mentre la seconda sarà la festa di stasera. Che figlie fantastiche, non è vero? Tu e Celeste siete sempre dell’idea di venire, così potrete fingere di essere adulti progressisti che hanno creato la famiglia allargata perfetta?».

    Mitchell alzò gli occhi al soffitto, in parte in reazione al tono provocatorio, in parte per l’accuratezza della descrizione.

    La festa a sorpresa di Agnetha. Nonostante il divorzio e le seconde nozze con Celeste, per il bene delle gemelle avevano sempre celebrato assieme ogni ricorrenza, per quanto non fosse stato facile. Anzi, all’inizio era stato un vero e proprio incubo, ma la colpa era stata soltanto sua.

    «Grazie del sarcasmo, signorina. Ecco perché ho sempre preferito tua sorella», ribatté, chinandosi al volo per schivare una matita scagliata nella sua direzione.

    Sapevano entrambi che non era la verità. Lui e Aggs adoravano entrambe le figlie in eguale misura e, se potevano dire di aver combinato qualcosa di buono nella vita, era stato proprio crescerle nella consapevolezza di essere amate oltre ogni limite. Era una gioia immensa, per lui, condividere la casa con Skye; anche Isla aveva una stanza, in cui dormiva quando andava a passare il fine settimana da lui. Purtroppo, da quando era rientrata dai suoi viaggi e aveva iniziato a lavorare alla caffetteria, non aveva molto tempo libero. In ogni caso Mitchell non rinunciava mai a incontrarla almeno un paio di volte alla settimana per pranzare o cenare insieme a lei, ed era felice di ricoprire ancora un ruolo fondamentale nelle loro vite, nonostante significasse diventare il bersaglio delle loro frecciatine. Era il piccolo prezzo da pagare.

    Senza smettere di ridere, mentre Skye continuava a fare l’offesa, raccolse la matita atterrata nel lavandino e gliela lanciò.

    «Per rispondere alla tua domanda: sì, veniamo entrambi e sì, faremo la parte dei genitori progressisti anche stavolta», esclamò. «Come avete fatto a evitare che lo scoprisse?»

    «Bugie, ottimismo e moderni mezzi di comunicazione, che come ben sai lei aborre», rispose Skye con una punta di orgoglio. «Le abbiamo detto che abbiamo organizzato una cenetta tranquilla fra mamma e figlie, solo noi tre. E, approfittando del fatto che si rifiuta di usare i social network, abbiamo spammato l’evento ovunque, su Facebook e Instagram, per assicurarci che tutti fossero informati. Guarda…».

    Armeggiò con il MacBook, poi lo girò per fargli leggere il post.

    L’annuncio campeggiava sulla bacheca della pagina Facebook del Ginger Sponge.

    A tutti gli amici, i parenti e i clienti abituali!

    Stasera daremo una festa A SORPRESA per celebrare il quarantacinquesimo compleanno della nostra amata proprietaria, Agnetha. Se le vuoi bene, le sei affezionato oppure ti prepara una tazza di tè più di una volta alla settimana, sei il benvenuto! Noi offriamo un rinfresco, tu porta da bere!

    Appuntamento alle sette al Ginger Sponge.

    E ricorda che è una SORPRESA! Chi se lo fa scappare sarà bandito a vita dalla caffetteria.

    «Fantastico. Se lo merita», commentò Mitchell, ragionando fra sé e sé.

    Skye annuì. «È vero. Ne ha passate tante, adesso per lei è giunto il momento di godersela un po’».

    Mitchell percepì un lieve tono di rimprovero nelle parole della figlia, ma lasciò correre, in primo luogo perché Skye aveva ragione e anche perché era inutile riaprire antiche ferite che il tempo aveva già rimarginato.

    «Ben detto». Mentre rispondeva, percepì una piccola stretta allo stomaco e tentò di individuarne la causa. Disagio? Incertezza? Paura? Tutti e tre, concluse. «Celeste è già in piedi?»

    «Qualcuno mi ha chiamato?».

    Cavoli. Camminava sempre scalza per casa e Mitchell ogni volta non la sentiva arrivare.

    Sua moglie entrò ancheggiando in cucina. La vestaglia di seta bianca lasciava scoperte le gambe toniche e abbronzate. I capelli neri come ebano erano raccolti in una coda di cavallo alta. Se un qualsiasi chirurgo plastico avesse avuto bisogno di farsi pubblicità, Celeste sarebbe stata una testimonial perfetta.

    Aveva circa quarantacinque anni, come Mitchell, ma solo sulla carta d’identità. Gli zigomi sembravano scolpiti nell’alabastro, attorno agli occhi felini si scorgeva soltanto un impercettibile accenno di rughe d’espressione. Una volta al mese si recava nella clinica più rinomata della città per apportare i necessari ritocchi: iniezioni di botulino, filler, laser, ossigenoterapia, interventi per rimpolpare le labbra e per stirare la pelle del collo. Rimanere giovane costava tempo, denaro e fatica, ma Celeste sosteneva che ne valeva la pena. E Mitchell, pur sapendo di essere superficiale, era d’accordo con lei, soprattutto quando andavano in giro insieme e tutti si giravano a guardarla.

    La moglie curava con la stessa dedizione la propria forma fisica. Le corse mattutine non facevano per lei; tuttavia, grazie a sessioni quotidiane di yoga e pilates, e a un’avversione quasi patologica nei confronti dei carboidrati, il suo corpo era rimasto praticamente identico da quando si erano messi insieme. L’unica differenza spiccata era la dimensione del seno, aumentata dopo l’intervento che si era regalata per il suo quarantesimo compleanno. «È un investimento nella mia persona e nella mia attività», gli aveva detto. Lui non si era opposto, però non era nemmeno riuscito a sgridare Isla quando, apprendendo la notizia, aveva borbottato: «Non sapevo che per gestire una società di eventi fossero necessarie due tette grosse come meloni».

    E se nell’arco di dieci anni, vedendoli dall’esterno, era cambiato poco o niente, nell’intimo la faccenda era ben diversa. All’inizio Celeste lo amava alla follia e Mitchell avrebbe rischiato tutto per lei. Adesso? A volte aveva l’impressione che il loro, più che un matrimonio, fosse diventato una transazione d’affari. E che, per di più, volessero fregarlo. Doveva solo scoprire in che modo.

    Celeste armeggiò con la macchina del caffè per preparare un americano, poi azionò il distributore incorporato nello sportello dell’enorme frigorifero di acciaio satinato per versarsi un bicchiere di acqua filtrata.

    «Torno di sopra», annunciò. Evidentemente era troppo indaffarata per passare cinque minuti con loro.

    Prima che uscisse dalla cucina, Mitchell si schiarì la voce. «Hai qualche impegno oggi? Ho pensato che magari potremmo pranzare insieme. Skye va da sua madre».

    Eccola lì, l’esitazione. Celeste non si paralizzò come un animale accecato dai fari di un’auto – era troppo sveglia, bravissima a improvvisare – ma quell’attimo di indugio bastò a Mitchell per capire che dalla sua bocca stava per uscire una bugia.

    Si alzò sulla punta dei piedi e gli diede un bacio sulla guancia. Un’altra tattica diversiva. Mitchell non ricordava nemmeno l’ultima volta che avevano avuto una conversazione degna di questo nome.

    «Ho degli appuntamenti, caro». Si sforzò di sembrare dispiaciuta. «Yoga alle dieci e mezzo, poi a pranzo devo incontrare un potenziale nuovo cliente».

    «Di sabato?»

    «Era disponibile solo oggi. Ha un’agenda fittissima di impegni. Sembra di essere tornati ai tempi degli yuppie. Sono super esigenti, vogliono tutto come dicono loro».

    Mitchell non poté

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