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Tutta la vita al tuo fianco
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E-book220 pagine3 ore

Tutta la vita al tuo fianco

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Info su questo ebook

Laura ha centodue anni e un passato da raccontare. Laura pianificò la sua vita a diciassette anni: avrebbe studiato, si sarebbe innamorata, sposata e avrebbe avuto dei figli che le avrebbero poi dato dei nipoti. Cercava una vita completa. Ma aveva pianificato anche la propria morte, a cinquant'anni. Laura non voleva affrontare la vecchiaia per non veder morire i suoi genitori, suo marito o addirittura i suoi figli. Ma una terribile malattia cambiò completamente i suoi piani. Inoltre, cedette all'amore e al desiderio di una giovane donna che l'aiutò a superare la malattia e tornare a vivere. Visse il tempo sufficiente per provare sulla propria pelle tutte le conseguenze di quel piano di vita fallito.

LinguaItaliano
EditoreBadPress
Data di uscita6 set 2018
ISBN9781547547418
Tutta la vita al tuo fianco

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    Tutta la vita al tuo fianco - Claudio Hernández

    Tutta la vita al tuo fianco

    Claudio Hernández

    Una storia d’amore

    Prima edizione eBook: aprile 2017

    Titolo: Tutta la vita al tuo fianco-Una storia d’amore

    © 2017 Claudio Hernández.

    © 2017 Copertina: Iván Ruso

    ––––––––

    Tutti i diritti riservati.

    Nessuna parte di quest’opera, copertina compresa, può essere riprodotta, conservata o trasmessa in alcun modo e tramite nessun mezzo, che sia esso elettronico, chimico, meccanico, ottico, di registrazione, Internet o fotocopia, senza previa autorizzazione da parte dell’editore o dell’autore. Tutti i diritti riservati.

    Questo romanzo è stato scritto per mia moglie Mary, colei che mi ha spinto a scriverlo e che mi ripeteva sempre di voler leggere qualcosa di mio, che non fossero soltanto mani violacee che ti stringono la caviglia nel bel mezzo della notte. Questo dramma e storia d’amore è per lei. Ti amo amore mio. Se dovessi venire a mancare prima di te, voglio che tu mi ricorda ogni volta che lo leggerai. Una lacrima scende sulla mia guancia.

    Indice

    1. Anno 2017 La lettera.

    2. Anno 1914 La nascita di Laura

    3. Anno 1930 A sedici anni pianifica la sua vita e la bottiglia

    4. Anno 1931 Il primo amore

    5. Anno 1932 Laura emigra in Francia

    6. Anno 1932 La nascita del suo primo figlio Claudio

    7. Anno 1936 Nasce Adrienne

    8. Anno 1940 Di ritorno in Spagna, ad Águilas

    9. Anno 1963 Contrae la maledetta malattia

    10. Anno 1963 Laura cede all’amore di Adèle

    11. Anno 1970 La morte di Adèle

    12. Anno 1977 Il dolore di veder morire una madre

    13. Anno 1977 La morte non arriva da sola, papà vola in cielo con mamma

    14. Anno 1978 Il funerale della figlia Adrienne

    15. Anno 1980 La città cosmopolita di Barcellona

    16. Anno 1986 La morte di suo marito non è tutto

    17. Anno 1990 Da Madrid al cielo

    18. Anno 2005 Come si vive la morte di un figlio

    19. Anno 2006 Laura torna a Madrid

    20. Anno 2017 Tutta la vita al tuo fianco, la bottiglia con la lettera

    1

    Anno 2017

    La lettera

    Laura avrebbe compiuto cento tre anni a settembre ma adesso il freddo di gennaio soffiava fuori dalla Residenza dei Ferroviari di Águilas, accarezzando gli angoli dell’edificio come dita dalle unghia lunghe, emettendo uno stridio secco e, poi, l’ululare del vento contro le finestre somigliava a una canzone spettrale che suscita nelle persone l’idea che ci sia qualcuno dietro di esse ad aspettarle. Le sue mani ossute e piene di ematomi di sangue scuro sottopelle non erano propriamente il segno che indicava la sua età. Aveva ancora degli occhietti vitrei color celeste e, al contrario delle altre anziane –come diceva lei- conservava ancora la sua chioma di capelli lunghi e, sebbene ora fossero bianchi, un tempo erano stati di un biondo brillante che affascinava chiunque la guardasse.

    Era la prima volta che la neve dava atto della sua presenza nella città di Águilas, una città costiera che affacciava sul tranquillo mar Mediterraneo, in quanto si trovava sul livello del mare e in queste condizioni, l’acqua piovana, come lacrime disciolte nell’aria, difficilmente riusciva a congelarsi nonostante il freddo forte. Ma quell’anno del 2017, quando la sua mano destra prese con le sue dita lunghe e sottili la penna e indossò gli occhiali da vista per scrivere la lettera della sua vita, le cose lì fuori erano un po’ difficili e venne fatta un’eccezione. Il termometro segnava meno tre gradi, sebbene all’interno della Residenza i riscaldamenti funzionavano a pieno regime e segnavano una temperatura minima di ventuno gradi. Attraverso il vetro della finestra, mentre la penna era ferma tra l’indice e l’anulare vide, per la prima volta, i primi fiocchi di neve che si scagliavano contro il vetro senza emettere alcun rumore. Dietro c’erano le gelate e le tempeste di neve della Francia, di Girona o il freddo di Madrid e Barcellona. Tutto era rimasto come prima, contro la sua volontà, e questo era esattamente quello che avrebbe voluto spiegare in quella lettera. Sarebbe stata concisa ma diretta. A centodue anni non aveva di certo la forza per scrivere un manoscritto, sebbene la sua memoria era ancora lucida e i suoi ricordi ancora vivi.

    Per un attimo titubò e portò la penna sul foglio bianco. Il terrore di qualsiasi scrittore, ma lei non aveva paura. Aveva le idee chiare. Sapeva bene cosa scrivere. Aveva avuto sempre le idee chiare. Fin quando la vita non le giocò uno brutto scherzo e, nonostante fosse arrivata ad un’età che tutti desideravano, lei avrebbe voluto che una notte la morte andasse a cercarla. Fece pressione sulla punta della penna e iniziò a muovere le dita...

    Laura. Sono Laura, una bambina nel corpo di una centenaria, una giovane donna che aveva pianificato tutto e che sorrise alla vita fin dall’inizio, fin quando non decise che era arrivato il momento di mettere fine a tanta felicità. L’amore usciva dalla finestra e la malattia entrava dalla porta principale. Allora la conobbi e fu meraviglioso. Scoprì di poter amare una donna, addirittura più di mio marito. Fu un’esperienza gratificante ma il corso della vita deviò così come lo sguardo di un uomo estraneo e alto, che ti guarda con i suoi occhi scuri e ti indica. A quel punto c’è una svolta nella tua vita; si riempie di alti e bassi, più bassi che alti e ti fa provare paura, orrore, sofferenza. Ma la morte non arriva per te, bensì per i tuoi cari. La vita lotta contro la morte e ti lascia lì, viva, affinché tu possa vedere il dolore in tutte le sue forme. Il mio cuore avrebbe potuto esplodere come una bomba a orologeria ma non fu così. Dopo aver superato quella maledetta malattia che ora ricordo con affetto -si, perché portò anche cose belle nella mia vita-, sentimenti ritrovati e lacrime vere, mi ritrovai con una vita fratturata e il mio corpo che si opponeva al passare del tempo, come un palo piantato nella terra. Una forza maggiore piangeva come piange un uccello. E ora mi ritrovo qui, ricordando, analizzando ciò che ho fatto di sbagliato nella mia vita.

    Laura fece una pausa tenendo ancora la penna blu tra le sue dita ossute e mosse la testa in varie direzioni per mitigare l’irrigazione delle sue vertebre. I suoi occhi guardarono nuovamente fuori dalla finestra e ora la neve cadeva con più forza, poteva addirittura sentire il sussurro dei colpi contro il vetro, dove davano vita a strane figure, come spesso aveva visto nella sua vita passata.

    All’improvviso, la voce di una giovane donna che annunciava la cena risuonò negli altoparlanti.

    -È ora di cena- sussurrò Laura così a bassa voce che nessuno la sentì. Nessun compagno o compagna, in fila e addormentati sulle sedie a rotelle davanti al televisore in una grande sala, gli prestarono la benché minima attenzione. Laura viveva in solitudine e non aveva mai raccontato da dove veniva né nessun altro particolare della sua vita. Non che fosse particolare o introversa. Semplicemente, per lei la sua vita era finita e stava per giungere al termine. Ma loro continuavano a morire e allora una spina si conficcava nel suo cuore. Una delle tante. E un’altra persona la sostituiva. -Di anziani ce ne sono molti-, diceva sempre Laura con una smorfia sulle labbra, -ma di centenari non ce ne sono-. Non voglio cenare...

    Le sue dita pressarono ancora la punta della penna sul foglio mezzo scritto.

    Da giovane avevo le idee chiare e pianificai la mia vita con delle idee ben precise che non sarebbero dovute cambiare. Ma il treno deragliò così come la mia vita cambiò completamente, fui pertanto costretta a scrivere un nuovo e amaro capitolo della mia vita. Ci furono alcune eccezioni, sì. All’inizio vissi la mia vita intensamente come avevo pianificato. Quando mi diagnosticarono la maledetta malattia fatale, pensai per un momento di poter anticipare tutti i piani che avevo programmato. Ma quando la stessa malattia mi portò via l’amore della mia vita, capii che ciò che volevo più di tutto era morire prima di lei. Ancora oggi credo di aver sofferto più per la morte di Adèle che per quella di mio marito.

    È difficile da comprendere, vero?

    Ma la amavo tanto e scoprii tante cose insieme a lei, perciò mi lasciò quest’eredità. La vita centenaria, nonostante la mia riluttanza a vivere così a lungo. Ti amo amore mio, addio, addio amore.

    Le infermiere e le badanti della residenza per anziani erano già nella sala e stavano impugnando i manici delle sedie dei vecchietti scarni e bavosi con lo sguardo perso nel vuoto.

    -Andiamo Andrés! È ora di mangiare- disse una ragazza mora, piena di curve nascoste sotto quel camice bianco, mentre impugnava gli estremi dei manici per portare la sedia a rotelle.

    Andrés non rispose. E quando passò davanti a Laura, le mostrò la sua bava ai lati estremi delle labbra, in una smorfia contorta e uno sguardo perso e spento. Laura lo guardò di traverso e provò compassione per lui, sebbene non lo conoscesse e non fosse un suo amico.

    Intanto, Laura strinse nuovamente la penna con forza per continuare a scrivere...

    Quando avevo sedici anni sapevo bene cosa volevo per me dalla vita. Ciò che volevo fare. Conoscere l’amore e avere una vita piena e dei figli. Volevo sicurezza e stabilità. Non volevo soffrire per nulla al mondo. Mi spiego: non volevo veder morire mio marito o i miei genitori e per questo programmai il giorno della mia morte. Non sapevo ancora se sarebbe stato un suicidio o una morte assistita. Questo finale avrebbe evitato di vedermi vecchia, di veder morire mio marito, i miei genitori e addirittura i miei figli nel caso in cui fosse capitata una disgrazia. Nessuno è al sicuro da niente. Era questa la mia condizione: morire prima, morire per prima. Non vedere nulla ma lasciarmi trasportare in quel tunnel buio con una forte luce alla fine, un’istantanea della mia vita felice, e potermi prendere cura di loro dal cielo. Ma qualcosa incrociò il mio cammino. Forse fu un bene o forse no. Ciò che era certo è che questa malattia segnò un punto a capo nella mia vita e mi obbligò a scegliere, incontrando la felicità. Ma presto le cose iniziarono a peggiorare. E non ci volle molto tempo. Il dolore si impossessò completamente di me fino ad oggi, ai miei centodue anni di età. Spero di poter morire stanotte. Ora vado a leccare un po’ il cucchiaio di purè di verdure, come fanno i gatti...

    In effetti quella sera per cena c’era purè di verdure e qualcos’altro.

    -Signora Laura, smetta di scrivere che è ora di cena- la colse di sorpresa una voce giovane alle sue spalle e nel frattempo sentì muovere la sua sedia a rotelle.

    Laura girò la testa lasciando cadere la penna sul foglio che si rigirò come un cilindro e cadde sul pavimento con un colpo secco.

    -Signorina, mi chiami solo Laura...

    -Celia. Mi chiamo Celia- la risposta non si fece attendere.

    -Sei nuova?

    -No- rispose la donna dai capelli rossi e pantalone e camicia bianchi come la neve che cadeva sul tetto e sui cornicioni, come un grande hotel immerso nel nulla.

    Laura guardò il pavimento con i suoi occhietti piccoli.

    -Potrebbe raccogliermi la penna?

    -Certo Laura! -esclamò Celia e si abbassò per raccoglierla.

    -Grazie.

    Celia posò la penna sul suo grembo, sopra le sue gambe accovacciate e coperte da uno scialle marrone con migliaia di fili intrecciati alle estremità. Quello scialle le suscitava molti ricordi e lo conservava ancora.

    -Scrivi poesie?

    -No, non proprio- rispose Laura mostrando un sorriso forzato sulle sue labbra rugose. Una lacrima affiorava da uno dei suoi occhi azzurri. Si era emozionata nel ricordare. La badante non percepì nulla nei suoi occhi. Forse tutti gli sguardi delle persone anziane sono così, pensò con ironia, ma Laura non poteva leggere nei suoi pensieri.

    Celia impugnò la sedia a rotelle e le grandi e sottili ruote scure iniziarono a girare silenziosamente nel mezzo del mormorio della sala e della voce alta del televisore.

    -Sta scrivendo una lettera ai suoi figli? – insistette Celia impugnando la sedia a rotelle che era già all’altezza della porta che dava sul corridoio, largo e lungo, in cui altre sedie a rotelle occupavano la pista come automobili guaste.

    Gli occhi di Laura iniziarono a diventare lucidi e questa volta Celia se ne accorse quando la guardò negli occhi mentre si protraeva in avanti per dare un’occhiata a quello che aveva scritto.

    -Oh, mi dispiace! –disse Celia con una faccia seria e dispiaciuta.

    -Non hai nessuna colpa –affermò Laura alzando la sua mano ossuta con le dita aperte, formando un movimento circolare nell’aria.

    Celia non era riuscita a leggere nemmeno una parola, ma comprese per sbaglio la tristezza di Laura.

    Continuò a impugnare la sedia a rotelle per il lungo e largo corridoio. La mensa si trovava sulla sinistra ed era piena di piatti vuoti e bicchieri inerti poggiati sulle tovaglie. Quando lei entrò, il mormorio all’interno della sala era più forte. Sembrava che per gli anziani i momenti migliori della giornata fossero l’ora dei pasti e quella della passeggiata...

    Celia la collocò di fronte al tavolo facendole colpire leggermente il petto contro il bordo del tavolo. Laura emise un grugnito simile a quello di un gatto e la ragazza le chiese scusa. L’anziana che occupava il lato destro del tavolo, -mangiavano fino a sei persone in un tavolo basso e rotondo-, disse qualcosa a voce molto bassa che Laura non sentì ma comprese comunque.

    ...Queste nuove badanti sono delle maldestre...

    Celia lasciò la sala trascinandosi le pantofole bianche.

    -Anche oggi purè di verdure. Ogni giorno lo stesso! –si lamentò Sebastián, l’anziano che si trovava alla sua sinistra, mentre colpiva con un pugno il bordo del tavolo. Il colpo non emise alcun suono poiché la pressione esercitata dai suoi piccoli muscoli–quelli che gli restavano- era quasi nulla; i muscoli avevano a stento la forza di sostenere il braccio in alto. Cadde come uno straccio bagnato sul pavimento. Non si sentì alcun rumore se non un tonfo sordo e affogato. -Ahiiii, quasi quasi mi spezzavo una mano!-

    L’anziana seduta di fronte, di nome Maria, scoppiò a ridere. Aveva i capelli corti e grigi come le ceneri di diversi tronchi appena consumati dal fuoco. Il suo viso era una mappa di rughe e il suo seno arrivava a toccare l’ombelico. Era sempre più caparbia e convinta di non voler indossare il reggiseno. Un’altra anziana di ottantatré anni, conosciuta come Carmen, girò gli occhi quando la badante, con il suo completo da lavoro bianco, le servì il primo cucchiaio di purè nel piatto. Almeno è caldo –pensò –ma non era molto contenta.

    Laura stringeva la penna come quando ci si aggrappa a una ringhiera per non cadere. Stava pensando, così come avrebbe continuato a fare dopo cena a casa sua, -una casetta all’interno della stessa residenza-, mentre la luce tenue dell’insidiosa lampadina illuminava il foglio mezzo scritto con l’inchiostro blu.

    -A mangiare! –disse l’altro anziano di novant’anni e dal naso aquilino. I suoi occhi scuri brillavano sotto la luce biancastra della mensa. Il suo desiderio di mangiare era encomiabile. –E’ l’unica cosa che ci è rimasta in questa vita di merda...

    -Alberto! –lo ammonì Carmen indicandolo con un dito tozzo e storto come un tronco di un albero, a causa dell’artrite.

    -Perché, non è forse vero? –bofonchiò l’anziano portando il cucchiaio al fondo del piatto.

    Laura, estranea a tutti questi divertimenti quotidiani e a questi anziani bamboccioni sul punto di tirare le cuoia da un momento all’altro, tornò al suo passato. Malinconica, desiderava morire ma non era quello il momento. Ovviamente no. Aveva ancora molto da vivere. Troppo per lei.

    Una volta tornata nella sua casa-stanza numero tredici, riprese a scrivere la lettera. Nella Residenza dei Ferroviari, in ogni piano, a entrambi i lati di un corridoio lungo e ampio si nascondevano porte bianche che

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