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L'occhio della montagna: Viaggio in Messico sulle orme di Carlos Castaneda
L'occhio della montagna: Viaggio in Messico sulle orme di Carlos Castaneda
L'occhio della montagna: Viaggio in Messico sulle orme di Carlos Castaneda
E-book408 pagine6 ore

L'occhio della montagna: Viaggio in Messico sulle orme di Carlos Castaneda

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Info su questo ebook

A due anni dalla scomparsa di Carlos Castaneda, l'autrice decide di compiere un viaggio in Messico per studiare i rituali di diversi gruppi indigeni del posto, ma soprattutto per cercare le tracce del Nagual, da Los Angeles a Sonora, passando per il Chiapas e Veracruz, e soprattutto da Ixtlàn, fino ad arrivare nella misteriosa città di Oaxaca. Ma cosa era davvero rimasto di Castaneda? In questo magico paese l’autrice incontrerà misteriosi personaggi, sciamani, guaritori e vivrà esperienze ai confini della realtà. Queste avventure le cambieranno completamente la vita. Ma alla fine ciò che troverà in questo viaggio è qualcosa che all’inizio non avrebbe nemmeno immaginato….
LinguaItaliano
EditoreHermelinda
Data di uscita29 dic 2013
ISBN9788868853617
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    Anteprima del libro

    L'occhio della montagna - Hermelinda

    LA SOGLIA

    Pochi mesi prima avevo terminato il mio primo libro * che poteva essere considerato come una ricapitolazione scritta delle esperienze fondamentali e significative che avevano particolarmente segnato una parte del mio percorso spirituale. Quel libro aveva la fisionomia di un album del guerriero e si era rivelato un modo per imprimere esteriormente le consapevolezze che si erano sviluppate nella mia interiorità. In seguito, avevo radunato in un libro le conversazioni avute con i guerrieri che avevo incontrato lungo il mio cammino e con i quali avevo potuto condividere esperienze che mi condussero oltre la soglia dell’ignoto. 2 La raccolta terminava con una mia lettera scritta a Cody, un guerriero, esperto sognatore, che percorreva il cammino tolteco con impegno e dedizione.

    Ciao Cody

    come avrai notato è da tempo che non scrivo lettere; questo per l’esigenza di mettere un po’ a zittire il mio io che nei monologhi trova terreno fertile per prevalere (hehe). Ho trascorso giorni di intensa ricapitolazione e di raccoglimento interiore. Voglio condividere con te qualcosa che mi è accaduto, di grande importanza. Qualcosa che mi ha, per così dire, cambiato. L’altro giorno stavo passeggiando in un cavalcavia della mia città. Era sera, e c’era un intenso vento fresco che dapprima opponeva resistenza ai miei passi. Ad un certo punto ho avuto l’ispirazione di lasciare che il mio corpo si fondesse col vento. E così ho fatto, finché una nuova sensazione si è impadronita di me stessa: un profondo senso di libertà. Qualcosa è successo in me: mi sentivo nello stesso stato di quando sogno. Ad un certo punto non sapevo se ero in sogno o nella realtà ordinaria. Mi sono fermata affacciandomi su un lato del cavalcavia, da cui si potevano scorgere, da lontano, delle luci all’orizzonte. Si trattava delle luci dell’illuminazione serale cittadina, lampioni disposti in fila, che visti da lontano avevano un particolare fascino. In quel momento, però, non li vedevo con gli stessi occhi di sempre: il mio sguardo era fisso verso l’orizzonte, e la mia interiorità si era svuotata completamente, pur per pochi secondi, mentre il vento continuava a spirare intensamente su di me. Durante quei lunghi secondi, qualcosa di incredibile ha invaso la mia consapevolezza… il vento, le luci in lontananza, l’orizzonte, tutto si era fuso… non c’era più differenza tra me e tutto ciò che mi circondava. Non c’era più differenza tra passato, presente e futuro… c’era solo… coscienza… vita… ESSERE. E quell’orizzonte, l’orizzonte… oh, perché le mie parole ora non possono descrivere ciò che ho percepito? Nulla aveva più importanza in quei momenti: ogni preoccupazione, ogni pensiero, ogni minimo movimento mentale, il mio stesso io, erano irrilevanti se paragonate a quell’Immenso che era penetrato nella mia consapevolezza in quei secondi così intensi, per poi, subito dopo, abbandonarmi nuovamente nel mio ritorno allo stato di coscienza ordinaria (con il senso di vuoto che potrai immaginare). Ma dopo aver avuto quel minimo bagliore, non mi sentivo più la stessa. Ma non era finito qui, sentivo che doveva accadere qualcosa in sogno. E così è stato la notte successiva. Mi sono svegliata in sogno mentre un essere era chino su di me minacciandomi con un coltello. Nel momento in cui mi sono accorta di sognare, ho trovato la forza di gridare Intento, riuscendo a sottrarmi ai suoi attacchi e fuggendo via. Correndo, sono arrivata in una boscaglia, finché ho deciso di cambiare sogno, e qualcosa mi ha portato nel viale di casa mia. Tutto corrispondeva perfettamente alla realtà… mi sono toccata ed ho avvertito la consistenza del mio corpo, ed ho constatato che di diverso rispetto al mio ordinario corpo fisico aveva non solo l’immaterialità, ma l’ intensità (non riesco spiegarlo in parole diverse). Stranamente, mi sono trovata ad articolare pensieri complessi senza che le immagini cominciassero a sfumare come al solito: un grado di lucidità mai sperimentato prima. Presa dall’euforia, ho ripreso a correre, gridando ed invocando l’Intento, e man mano che la mia velocità aumentava, quasi senza che me accorgessi, le immagini che rappresentavano la realtà ordinaria sono state sostituite da immagini di luoghi mai visti nella realtà ordinaria: alti palazzi, alte rampe di scale, ampie piattaforme. Quella corsa si è trasformata, poi, in un volo, che mi ha portato molto lontano. Durante quel volo, ho ripreso ad articolare il pensiero, accorgendomi che avevo oltrepassato di molto i confini della realtà conosciuta. Sapevo che se avessi continuato a volare verso l’orizzonte, avrei varcato la soglia dell’ignoto. Gridavo Intento, e volavo, mentre sentivo che il mio essere ordinario si stava frantumando. Stavo abbandonando la realtà conosciuta per accedere a qualcosa a cui il mio cuore aveva sempre anelato. Improvvisamente, mi sono accorta di essere invasa da un’opprimente tristezza: ero sola, sola… dietro di me avevo lasciato tutto e tutti: la mia casa, i familiari, le persone care e stavo andando incontro ad una terribile oscurità, che in quell’orizzonte era rappresentava, al contrario, da un’intensa luce. Sentivo di amare quell’ignoto, ma avevo la consapevolezza di non essere ancora svincolata completamente dai legami ordinari, e questa consapevolezza intensificava quello stato di tristezza che si stava trasformando in un pianto. La lucidità che avevo in quel momento era davvero notevole, mai sperimentata prima, e per non perderla continuavo ad invocare l’Intento, con tutta le forze che avevo. Intanto il mio volo continuava inesorabilmente, e sentivo che avevo due alternative: continuare verso l’orizzonte o atterrare momentaneamente per poi ripartire in seguito. Continuando a volare, sul punto di piangere a causa di quell’intenso coinvolgimento, sono transitata in una strada, e qualcosa mi ha spinto ad atterrare: un cane nero che stava camminando. Sono atterrata nelle sue vicinanze, continuando a chiamare l’Intento con disperazione, e lui si è avvicinato a me cominciando a farmi le feste. Mi è saltato addosso ponendo le sue zampe anteriori sulle mie spalle come per abbracciarmi. In quel momento, mentre abbracciavo con indescrivibile affetto quel cane, tutta la tristezza che avevo, si è scaricata in un intenso pianto, più intenso di qualunque pianto io abbia mai provato nella vita ordinaria: anche, però, un pianto di intensa commozione nell’aver ritrovato quel cane. Tristezza e gioia non avevano più differenza per me, in quel momento ho solo percepito l’intenso calore di quel cane. Non ho parole per descrivere cosa ho provato durante quell’abbraccio, e che solo le lacrime potevano esprimere. Mi sentivo fondere con l’essere di quel cane e col suo calore. Sono poi transitata consapevolmente nel dormiveglia, risvegliandomi piangendo, ma con una nuova, indescrivibile sensazione di felicità. Mi sento profondamente cambiata. So di dover ancora aspettare molto prima di aver la possibilità di continuare il volo per andare oltre quell’orizzonte, ma intanto la visione di quell’orizzonte è rimasta impressa nel mio cuore e mi fa vivere la vita ordinaria con un punto di vista diverso: un nuovo, particolare distacco, che però mi porta anche ad apprezzare la vita ordinaria stessa, cominciando a percepire che anch’essa ha intensità. Caro Cody, non ho parole per descrivere ciò che ora percepisco e porto nel cuore: sei l’unica persona a cui ho riferito tutto ciò, perché sento che sei in grado di capirmi dove le parole non servono più.

    L’Intento dello Spirito utilizza diversi modi per manifestarsi, anche le tecnologie più moderne, proprio la rete telematica che rende concreto quel gioco di forze che conduce esseri simili ad incontrarsi; la virtualità indicava effettivi rapporti che sembravano svolgersi in una dimensione parallela ma non senza relazioni di causa-effetto con l'ordinario. Scoprivo, giorno dopo giorno, che attraverso la rete telematica era possibile interagire ad un livello autentico con questi guerrieri, consolidando rapporti reali, senza l’intermediazione delle ordinarie maschere. La tecnologia di internet sembrava rivolta ad assecondare la strategia del gioco di forze dello Spirito, determinando incontri ed eventi apparentemente casuali ma coerenti nell’insieme, tra persone che condividevano lo stesso cammino spirituale. Accanto agli incontri ufficiali in prima attenzione, infatti, avvenivano incontri paralleli che parevano svolgersi in stati di consapevolezza intensa.

    Nella primavera di quell’anno compii ventuno anni, età che secondo molte tradizioni esoteriche segnerebbe il compimento dello sviluppo dell’io, aprendo le porte al contatto con la propria autentica essenza interiore.

    Il giorno del mio compleanno ricevetti un regalo speciale da Ked, un amico americano che avevo conosciuto nell’ashram dove anni prima avevo vissuto temporaneamente. Ked percorreva un cammino interiore che aveva avuto come punto di riferimento la scuola di Paramahansa Yogananda.

    Percepivo un forte legame spirituale con quel ragazzo così distante fisicamente ma assai vicino al mio cuore. Ked era tornato in Italia per pochi giorni, per consegnarmi personalmente quel regalo: un biglietto aereo andata-ritorno per Los Angeles. Nel momento in cui Ked mi consegnò il biglietto, le mie mani cominciarono a tremare per l’emozione. Un pensiero balenò repentinamente nella mia mente: Los Angeles era molto vicina al confine tra California e Messico, e Carlos Castaneda aveva molto spesso percorso tale distanza.

    Il pensiero di andare in America smuoveva nella mia interiorità la risonanza dell’ignoto e con essa il sottile riflesso della morte. Oltrepassare quell’oceano equivaleva metaforicamente ad attraversare una soglia della mia vita interiore.

    Decisi di posticipare la partenza alla fine di marzo per avere la possibilità di organizzare il materiale che mi serviva per la ricerca antropologica, ma soprattutto per poter dedicarmi con maggiore intensità alla ricapitolazione.

    Mi rendevo conto di quanto fosse necessario liberarmi il più possibile dai legami che ancora mi tenevano vincolata al mio passato, allo scopo di poter accogliere il mio futuro con apertura, in un vuoto interiore che lasciasse spazio a nuove consapevolezze. Trascorsi quindi lunghe mattinate chiusa nel mio scatolone di ricapitolazione, osservando i fatti del mio passato e cercando di sciogliere i miei blocchi interiori. Ogni volta che uscivo dalla cassa di ricapitolazione mi sentivo morta ma nello stesso tempo rinata. Più andavo avanti nella pratica della ricapitolazione, indietro nel mio passato, e più uno stato di silenzio interiore si diffondeva nella mia mente mentre mi dedicavo alle occupazioni abituali.

    Trascorrevo le serate intrattenendo lunghe conversazioni in chat con Kyro, un ragazzo italiano che viveva da tempo a Londra e lavorava lì come psicologo. Kyro aveva percorso la via tolteca per diversi anni e aveva sviluppato il tipico temperamento del cacciatore. Nessuno dei miei amici guerrieri 3 aveva avuto occasione di conoscerlo dal vivo, pur avendolo più volte invitato ai nostri raduno. Kyro era stato in Messico due volte; ai tempi in cui era studente universitario, infatti, era stato mandato in California da un suo professore, a seguire i seminari di Castaneda, e poi da lì aveva oltrepassato il confine americano, arrivando fino al sud del Messico. Mi raccontava di aver praticato per molto tempo le tecniche descritte dai libri di Carlos Castaneda, in particolare la ricapitolazione. Di questa tecnica ne aveva fatto una pratica intensiva per due anni, praticandola, a sua detta, otto ore al giorno, chiuso in un armadio.

    Confidai a Kyro la sottile e indefinita angoscia che percepivo alla prospettiva della partenza per il Messico.

    «Vedrai, se saprai farti guidare dall’Intento ogni tua paura sarà dissipata e questo viaggio sarà per te un viaggio di potere» mi diceva per rassicurarmi. Sapevo che Kyro aveva ragione. L’Intento era sempre nei miei pensieri, era tutto per me: Dio, il Principio, la Forza Suprema che regge l’universo, la mia essenza più profonda nella quale erano riposti tutti i miei ideali più nobili e il mio forte anelito alla libertà. Lo stato d’animo del guerriero significa che la propria coscienza individuale si svuota per far posto al fluire dell’Intento, trascendendo il proprio io contingente e anagrafico e giungendo a percepire il mondo attraverso una conoscenza silenziosa. Quest’ultima non consiste in una conoscenza ordinaria e intellettuale, bensì deriva dalla profondità del proprio essere, che è senza confini. Tutte le tecniche esposte nei libri di Castaneda le quali delineano un iter definito anche attraverso svariate scuole esoteriche, sia occidentali che orientali- hanno come direttiva fondamentale il processo di disidentificazione della propria coscienza dalle maschere che costituiscono la personalità ordinaria e che bloccano l’autentico contatto con l’Intento, la forza che fluisce nell’universo e ne stabilisce le leggi.

    Tra i vari guerrieri che avevo avuto modo di incontrare lungo il mio sentiero, colui che mi aveva trasmesso importanti consapevolezze era stato Julian. Egli aveva intrapreso il suo iter fin dalla tenera età, sotto la guida di diversi maestri. Il culmine del suo cammino avvenne quando, nel 1992, Julian conobbe di persona Carlos Castaneda. Da quel momento ebbe inizio un’intensa frequentazione tra i due, attraverso la quale Julian entrò a conoscenza di importanti particolari non specificati nelle opere di Castaneda 4 . Julian, pur essendo appena trentenne, aveva sviluppato una grande saggezza e aveva raggiunto tappe avanzate del suo iter, al punto che diversi guerrieri non avevano esitato a considerarlo una guida, un maestro.

    Quando fui sul punto di attraversare la soglia della partenza, che mi appariva come un incontro con l’ignoto, Julian col suo volto rassicurante e con l’estrema limpidezza che accompagnava ogni suo gesto e sua azione mi accompagnò dolcemente a questo ingresso.

    «Spero che il tuo cammino ti porti dove vuoi arrivare, oppure dove devi arrivare». Mi accorsi che negli anni precedenti ero incline a preoccuparmi di dove il mio cammino spirituale potesse portarmi, e particolarmente animata dalla voglia di andare avanti il più possibile. Poi, man mano che andavo avanti, avevo cominciato ad avere la sensazione che non esistesse, in realtà, un cammino, nel senso in cui prima l’avevo concepito. «Dove ti ha portato il tuo cammino?» chiesi, esitante, a Julian. Ancora ricordo nitidamente le sue parole: «Il mio cammino mi ha portato dove non avrei mai immaginato di arrivare. Considera sempre che accanto alla via che percorriamo c’è una via parallela, a volte più importante, fatta di cose non dette e di considerazioni a posteriori, ed è la via fatta dalla vita, ovvero dal fatto stesso di esistere. Vedi, l’esoterismo è la capacità di sistemare una serie di esperienze in un’ottica aliena dalle comuni dinamiche di interpretazione. Ma quello che deriva dalle esperienze è vita, e l’esoterismo non deve mai trascendere o prevaricare la vita. La magia non è un sistema che funziona sempre, è uno dei tanti sistemi da attuare per divenire completi, ma non è assoluta. Tu devi essere in grado in ogni momento di rimuovere completamente il tuo cammino, la magia dalla tua vita e ciò che ne rimane deve essere autonomo, compatto perché è la tua radice per mezzo della quale può germogliare qualsiasi cosa. Guardati indietro, prova ad escludere tutto il tuo cammino magico dalla tua persona. Se percepisci che rimane poco, lavora parallelamente per alimentare quel poco. Perché quel poco sei tu». Io rimasi senza parole, guardando attentamente dentro di me, lasciando scorrere rapidamente le immagini delle fasi del cammino spirituale intrapreso fino a quel momento. Ebbene, rilevai che provando ad escludere il mio cammino magico rimaneva davvero poco. Dissi a Julian: «Accidenti, devo ammettere che negli ultimi anni ho proprio alimentato poco me stessa come essere indipendente dalla magia… Ho rivolto tutte le mie energie, infatti, al mio sviluppo interiore, trascurando la vita ordinaria». Julian mi guardò con sguardo rassicurante: «Non preoccuparti, ci cascano tutti. Anche io ci cascai, ma dovetti rimediare. Dovetti rimediare per me stesso, per chi amo». Da quel momento accanto al mio cammino interiore, accanto ai riti, ai digiuni e alle meditazioni, iniziava per me un lavoro parallelo e maggiormente faticoso, volto ad alimentare quella parte di me indipendente dalla magia, dagli schemi esoterici, dai limiti, in un reale ritrovare un me stessa. Un lavoro destinato ad essere arduo e complesso, eppure così vitale ed essenziale.

    Le parole di Julian mi avrebbero accompagnata in questo viaggio, conferendo ad esso un significato imprevedibile.

    RICORDANDO CARLOS

    Il mio sguardo si perdeva nell’osservare dal finestrino le montagne della California, tornando spesso a soffermarsi sul monitor per seguire gli spostamenti dell’aereo. Erano trascorse dodici ore da quando ero salita sul volo Parigi-Los Angeles. Quelle ore mi erano sembrate durare quanto un attimo. L’aereo cominciò improvvisamente ad abbassarsi di quota inclinandosi verso destra. In un attimo ebbi davanti ai miei occhi il panorama nitido dei dintorni dell’aereoporto di Los Angeles, illuminato dalla tenue luminosità del tramonto. «è qui che è vissuto Carlos…», fu questo il mio primo pensiero osservando quella città a me completamente sconosciuta. Scesi dall’aereo e cominciai a camminare lungo i corridoi dell’aereoporto. Non riuscivo ancora a realizzare di essere in America e tale situazione inaspettata e insolita provocò inevitabilmente uno spostamento del mio punto di unione 5 , facendomi trovare in un improvviso stato di silenzio interiore. Dovevo trovare un telefono per contattare Ked ma quella diversa posizione del mio punto di unione non faceva altro che spingermi a camminare senza meta per quei corridoi. Avevo perso la cognizione del tempo e quando mi trovai nelle vicinanze dell’uscita notai che si era fatto buio. Mi fermai ad un solo metro dall’uscita dell’aereoporto e rivolsi lo sguardo verso la strada: stavo realizzando di essere a Los Angeles e ciò mi risultava ancora incredibile. In quel momento la mia mente si fermò a passare in rassegna le complesse dinamiche degli eventi che mi avevano condotto fin lì e mi accorsi quanto fosse stato significativo l’aver incontrato sul mio cammino i libri di Castaneda. Quei libri erano stati dei tesori che mi avevano consentito di ritrovare una parte di me stessa e di comprendere il senso del mio lavoro interiore condotto negli anni precedenti. Avevo capito il senso e la direzione della mia strada ermetica che, qualunque fosse la tradizione o la scuola seguita, non poteva che rivolgersi verso l’Infinito. E ora mi trovavo lì, a pochi passi di distanza dall’entrata della città di quello scrittore, a distanza di due anni dalla sua scomparsa.

    Ero immersa in questi pensieri e ricordi, quando vidi venire verso di me Ked, giunto all’aereoporto per cercarmi. Mi guardò con sguardo rassicurante e, sorridendo dolcemente, mi prese sotto braccio. Ci avviammo verso la macchina del suo amico Sean, che cominciò a percorrere a gran velocità la caotica autostrada che attraversava la città, mentre dal finestrino aperto osservavo stordita gli alti grattacieli illuminati. La pesante aria cittadina pareva più leggera nel suo fresco serale e mi sfiorava con tenue violenza il volto. Era tutto così insolito, così diverso in quelle luci e costruzioni che esprimevano un alto livello di tecnologia, che lì regnava nel suo pieno sviluppo. Potevo finalmente comprendere perché Carlos affermava che Los Angeles fosse un modo per saturare la prima attenzione. Gli stimoli sensoriali, infatti, erano portati all’estremo, fino alla saturazione, ed era necessario disporre di grande forza per mantenere uno stato di silenzio interiore.

    Dopo venti minuti di viaggio arrivammo alla casa di Ked, che si trovava in una piccola collina nella periferia lontana dal caos cittadino. Erano le dieci di sera mentre in Italia era proprio la prima ora del mattino, ossia il momento adatto per recuperare l’operazione di un rito di magia solare che non avevo potuto eseguire prima per motivi di viaggio 6 . Mi feci una doccia e pregai Ked di lasciarmi da sola nella sua casa. Mi impegnai a purificare in fretta l’ambiente, con zolfo, sale e gli incensi adatti. L’odore del mastice si mischiava con le altre fragranze creando un’atmosfera campestre e rustica. Mi concentrai solennemente sul rito quotidiano per poi eseguire l’operazione. Sapevo che le luminose intelligenze invisibili non conoscevano limiti di spazio e di tempo e arrivavano più veloci della luce dinanzi a chi le invocava col cuore. Ero consapevole che fosse significativo il fatto che le prime due settimane del mio viaggio coincidevano col periodo rituale. Il rito di K. avrebbe infatti determinato che il mio Nume interiore mi illuminasse e mi guidasse in questo viaggio, all’insegna della mia evoluzione interiore, creando le occasioni affinché ricevessi nuove consapevolezze.

    Trascorsi la serata con Ked, contemplando le collinette che si intravedevano in periferia, mentre i nostri discorsi ci portavano indietro ai ricordi di tre anni prima, ai tempi del nostro primo incontro nell’ashram di Ananda. Quanti cambiamenti erano avvenuti in quei tre anni, determinando in entrambi profonde trasformazioni interiori! La via spirituale di Ked aveva spesso toccato intense punte di misticismo, fondendo la via del Kriya yoga con quella del Bhakty yoga. Ked era capace di portare il suo cuore ad esplorare alte vette di contemplazione, immergendosi con tutto il suo essere in ciò che lui definiva God. Le nostre rispettive vie non differivano se non formalmente ed in realtà Ked si muoveva nella mia stessa direzione, dato che entrambi avevamo l’intento di trascendere i nostri rispettivi io. Ked voleva trascendere il suo io per elevarsi a Dio mentre, analogamente, io intendevo trascendere il mio io anagrafico per spostare il mio punto di unione nella posizione in cui la mia volontà coincidesse con l’Intento. Intendevo spiccare il volo verso l’Infinito, dopo aver recuperato la totalità del mio essere, nella coscienza della mia profonda essenza interiore, il mio sé, Angelo custode, Nume. Questo era per me il vero e autentico significato della magia.

    Osservavo in silenzio l’orizzonte, e improvvisamente portai l’attenzione sul pensiero di essere fisicamente vicina al confine del Messico. La consapevolezza di trovarmi col mio corpo in vicinanza di un luogo nel quale ero precedentemente stata con la mente e il cuore mi procurava un’emozione indefinita, risvegliando echi lontani e dimenticati. In seguito il mio pensiero si rivolse a Kyro: avrebbe condiviso con me la magia di questo viaggio? Avremmo seguito insieme l’Intento lungo i deserti e le montagne di quel paese incantevole? Ancora non avevo la certezza che lui mi avrebbe raggiunto, eppure mi sentivo però pronta ad affrontare qualunque eventualità, in quanto avvertivo la sensazione che il mio Nume 7 non mi avrebbe mai abbandonata.

    Telefonai a Kyro quella sera stessa ed egli mi annunciò che aveva fatto il biglietto per Los Angeles e che sarebbe arrivato il giorno dopo, di pomeriggio. Gli diedi indicazioni per raggiungere la casa di Sean dove avrei trascorso la mattinata. Ero entusiasta all’idea di affacciarmi al confine di quel meraviglioso paese accanto ad un valoroso guerriero come lui.

    Trascorsi la notte ad occhi aperti, sia perché non riuscivo a dormire a causa del cambiamento di orario, sia perché nella mia mente si facevano strada pensieri ed immaginazioni su quello che sarebbe stato il mio futuro. La voce interiore del mio Nume mi indicava, però, di non porre attenzione a tali pensieri ma piuttosto di focalizzare le mie energie sull’Intento.

    Il giorno seguente io e Ked ci svegliammo di buon ora per raggiungere casa di Sean. Ked e Sean trascorsero la giornata a lavorare nell’editoria della Self- Realization fellowship, mentre io rimasi nella stanza di Sean a praticare una seduta di meditazione e ricapitolazione. Svisceravo le interazioni passate, lasciando che la consapevolezza emergesse nella centralità del mio essere.

    All’ora di pranzo mi vennero a prendere insieme a Krishna, un loro amico, per andare a pranzare a Pasadena, che distava circa venti chilometri da lì. Arrivati lì, osservai attentamente la zona, ricordandomi che Carlos era stato spesso all’università di Pasadena per tenere conferenze. Pranzammo in un ristorante alla periferia del paese e mi dedicai ad ascoltare in silenzio i discorsi degli amici di Ked, cercando di comprendere, non senza fatica, il complicato slang americano. Confidai a Ked che probabilmente nella mia carriera di studi ci sarebbe stata l’eventualità di prendere una specializzazione post-laurea in antropologia, un settore di studi sviluppato più in America che in Italia. «Mi piacerebbe specializzarmi alla U.C.L.A!» esclamai a Ked.

    Ked sorrise e mi spiegò che quella era un’università privata e ciò comportava la necessità di avere un alto reddito per sopperire alle alte spese annuali richieste. «Un’alternativa più economica sarebbe quella di studiare proprio qui a Pasadena, dove ci sono delle università statali molto buone… Ma perché non ti trasferisci ora a studiare qui?». Spiegai a Ked che avendo ormai cominciato l’università in Italia, sentivo il dovere di terminarla proprio lì. «Nella mia vita ho interrotto e lasciato incompiute varie cose. Ora più che mai sento il dovere di evitare brusche interruzioni e di esercitare la costanza in tutto: la stessa costanza che ho nel mio cammino interiore!». Non riuscivo, però, a fare a meno di avvertire la banalità dell’ordinario impulso a voler raggiungere mete sempre diverse, desiderando di cambiare ambiente e contesto di vita e di cercare nuove avventure e distrazioni, mentre invece il vero cammino consisteva nell’esserci. Cominciava a delinearsi sempre più chiaramente nella mia mente il pensiero che l’essenza dell’avventura della vita consistesse nel prendere consapevolezza della verità dell’esserci. Il mondo degli eventi ordinari mi appariva sempre di più come l’ombra di una realtà molto più complessa, una struttura intricata non percepibile dai sensi fisici. Rivolsi la mia attenzione su un cespuglio dell’energia delle piante e della natura, rilevando un’apparente staticità che, in realtà, nascondeva un intrinseco movimento.

    Nel primo pomeriggio tornammo a casa di Sean. A momenti sarebbe arrivato Kyro, e percepivo in me una sottile inquietudine. Pensai che tale inquietudine derivasse dal fatto che in realtà io e Kyro non ci eravamo mai incontrati fisicamente, ma questo non toglieva importanza al fatto che ci conoscevamo assai bene, avendo sviluppato un’intensa comunicazione extra-fisica. Mi sedetti sul divano e cercai di rilassarmi, respirando profondamente. Il cane di Sean era fuori di casa, legato ad un palo, e si muoveva in maniera agitata. Decisi, infine, di uscire e di portare il cane a passeggio per le strade vicine, cogliendo l’occasione di alleviare la mia tensione per mezzo di una camminata. Percorsi a passi lenti il viale, in silenzio e tranquillità. La vegetazione primaverile era in fiore e l’odore dell’erba si diffondeva nell’aria, insieme alle diverse fragranze fiorite. Il cane si mostrò abbastanza docile e disposto a seguirmi mentre lo tenevo a guinzaglio. Ad un certo punto, però, mentre stavamo passando accanto ad un carro parcheggiato al lato della strada, il cane fece un balzo sopra il carro. Cercai di farlo scendere, ma i miei tentativi furono inutili. Allora tentai di tirarlo con la forza, ma nulla. Poi notai i suoi occhi: erano assai espressivi, con una nota di malinconia che sembrava esprimere la profondità dell’Infinito. Voleva forse comunicarmi qualcosa, ma non ero però in grado di comprenderlo. Ad un certo punto distolsi lo sguardo dal cane e notai un giovane alto, magro, con i capelli rossi, che stava percorrendo il viale trasportando sulle spalle un grosso zaino. «è Kyro» pensai con sicurezza. In quel momento il cane si decise a scendere dal carro e lo trascinai dolcemente in direzione di Kyro. Quando fummo a pochi metri di distanza, io e quel ragazzo ci guardammo negli occhi e ci riconoscemmo. Ci riconoscemmo come due guerrieri che non avevano da condurre nessuna lotta se non quella contro gli ostacoli interiori che oscuravano la limpida e autentica percezione dell’universo. Due guerrieri che percorrevano un sentiero comune che nelle sue diverse diramazioni non poteva che ricondurli nel grande oceano dell’Infinito. Ci abbracciammo e rimanemmo a lungo in silenzio. Sapevamo che non era possibile tradurre a parole quella profonda comunicazione che da tempo si era instaurata tra noi e che si svolgeva nello sfondo dello stupore silenzioso verso la grande magia che circondava perennemente la nostra esistenza. «Andiamo a Santa Monica» mi propose sorridendo. «Sai, lì Carlos è vissuto per lungo tempo. è un luogo tranquillo, di certo molto più tranquillo di Los Angeles. Ci fermeremo lì finché non ci sentiremo pronti di varcare il confine del Messico». Espressi a Kyro il mio entusiasmo di essere finalmente così vicina al Messico. «è lo stesso entusiasmo che ho anch’io» mi confidò «nonostante questa sia la terza volta che sono qui». Kyro si scusò per il suo italiano non particolarmente fluido, dicendo che nei due anni in cui era vissuto a Londra aveva parlato solo inglese. Mi stupii per la forte sintonia che si era fin da subito instaurata tra noi, nonostante non avessimo mai avuto un’interazione diretta. Mi resi conto che in realtà la nostra interazione non si era svolta solamente attraverso la rete telematica, mezzo solo apparente, bensì attraverso canali sottili e più profondi rispetto ad un’interazione ordinaria.

    La mattina, dopo colazione, noleggiammo due biciclette per poterci spostare più rapidamente e transitammo lungo le piste ciclabili della spiaggia. La temperatura era elevata, come se fosse estate. Mentre pedalavo, osservavo e a stento scansavo i ragazzi e le ragazze in costume che sfrecciavano a gran velocità con i pattini o con gli skate-board lungo quelle piste. Per loro quella era vita ordinaria, abitudini consuete, che potevano apparire bizzarre a chi proveniva dall’Europa. Avevo tanto sentito parlare dell’American Way of life e cominciavo ad avere la sensazione che non mi sarei trattenuta a lungo lì, perché in me era già forte il presentimento che oltre il confine della California ci fossero realtà ben diverse.

    Dopo aver girato in bicicletta per vari minuti, Kyro accostò vicino ad un grande edificio. «Voglio farti vedere questa biblioteca» mi disse. «Sai, qui Castaneda trascorreva molte ore». Quando entrammo, il mio sguardo si posò sulle sedie e i tavoli della sala di lettura, come a tentar di percepire quale fosse il tavolo dove Carlos studiava. Ad un tratto percepii una sensazione strana: un senso di nostalgia mi sfiorò nel profondo. La stessa nostalgia che si potrebbe avere per una persona cara conosciuta personalmente. Era come se avessi conosciuto Carlos, senza però ricordarmi né come né dove. Rimasi a lungo disorientata di fronte al repentino ed indefinito fluire delle mie sensazioni interiori.

    Usciti dalla biblioteca, camminammo lungo le strade del centro dove affluivano persone da tutte le parti del mondo che assistevano alle esibizioni di ballerini e suonatori di varie nazionalità. In quei momenti, però, il mio pensiero non era rivolto a osservare la realtà esteriore, quanto invece a rievocare tutto ciò che avevo letto nelle opere di Castaneda. Nel frattempo, inoltre, immaginavo che lui avesse percorso le stesse strade che in quei momenti stavo percorrendo. Poteva sembrare che i suoi pensieri fossero rimasti nell’aria e potessero essere in qualche modo percepiti. Mi sembrava di ricevere profonde intuizioni riguardo ad alcune parti dei suoi libri che ancora mi rimanevano oscure, intuizioni che, senza transitare dalla mia parte razionale, mi arrivavano dritte al cuore. Confidai a Kyro questo mio vissuto interiore. «Stai attenta a non mitizzare Castaneda!» mi rimproverò scherzoso. «Ricorda che lui non avrebbe mai sopportato di essere messo su un piedistallo» affermò seriamente. Non mi sembrava affatto di mitizzarlo o di idealizzarlo. Stavo seguendo il flusso di un intenso sentire interiore che in realtà mi stava portando a contatto con me stessa, nelle profondità dell’Infinito.

    Trascorremmo il pomeriggio a camminare per le strade del centro di S. Monica.

    «Hai idea di dove sia quella scuola di danza in cui Carlos teneva le sessioni di tensegrity?» domandai a Kyro. «Ah, non lo so… Pensa che due anni fa tentai

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