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Un Amore D'Altri Tempi
Un Amore D'Altri Tempi
Un Amore D'Altri Tempi
E-book373 pagine5 ore

Un Amore D'Altri Tempi

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Info su questo ebook

Inghilterra 1947 Spedita in collegio dai suoi genitori freddi e scostanti, Ellie instaura uno stretto legame con Simon, fratello della sua migliore amica. Ma le promesse giovanili potrebbero non reggere alla prova del tempo...

Sardegna 1961 Ellie raggiunge i suoi genitori a Cagliari, dove incontra Gino. Ma lui è davvero chi sostiene di essere?

 Sardegna 2006 La nipote di Ellie, Sara, viene mandata dal suo datore di lavoro a Cagliari. Durante una serata fuori conosce Luca, professore e archeologo. Chi è Luca – e cosa ha a che vedere con Gino?

Qual è il segreto che lega le due donne, ma minaccia di separarle? E al di là del tempo, l'amore sarà più forte dei segreti di cui loro sono custodi?

LinguaItaliano
Data di uscita28 mag 2024
ISBN9781805148869
Un Amore D'Altri Tempi
Autore

Lexa Dudley

Lexa Dudley is married and has four sons and eight grandchildren. She has a long love of the island of Sardinia and its people, since she first visited in 1972. ‘It was love at first sight, and I still feel the same way about the island and its people after all these years. To me, it will always be the ‘enchanted island’; and long may it remain that way.’

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    Anteprima del libro

    Un Amore D'Altri Tempi - Lexa Dudley

    BY THE SAME AUTHOR

    Figli della Bruma (Children of the Mists)

    Sussurri nel Vento (The Whispering Wind)

    Copyright © 2024 Lexa Dudley

    The moral right of the author has been asserted.

    Apart from any fair dealing for the purposes of research or private study, or criticism or review, as permitted under the Copyright, Designs and Patents Act 1988, this publication may only be reproduced, stored or transmitted, in any form or by any means, with the prior permission in writing of the publishers, or in the case of reprographic reproduction in accordance with the terms of licences issued by the Copyright Licensing Agency. Enquiries concerning reproduction outside those terms should be sent to the publishers.

    This is a work of fiction. Names, characters, businesses, places, events and incidents are either the products of the author’s imagination or used in a fictitious manner. Any resemblance to actual persons, living or dead, or actual events is purely coincidental.

    Troubador Publishing Ltd

    Unit E2 Airfield Business Park,

    Harrison Road, Market Harborough,

    Leicestershire LE16 7UL

    Tel: 0116 279 2299

    Email: books@troubador.co.uk

    Web: www.troubador.co.uk

    ISBN 978-1805148-869

    British Library Cataloguing in Publication Data.

    A catalogue record for this book is available from the British Library.

    Typeset in 11pt Aldine by Troubador Publishing Ltd, Leicester, UK

    Per Kit

    Senza la cui pazienza e gentilezza

    non sarei mai diventata una scrittrice.

    All’inafferrabile e magico Spirito della Sardegna

    In altri tempi e in altri luoghi,

    le persone hanno vissuto e amato.

    Dove le vite si toccano,

    lasciando un segno profondo l’una sull’altra.

    Dove i ricordi restano per sempre

    e l’amore non viene mai dimenticato.

    Indice

    CASTEDDU

    CASTEDDU

    INTRODUZIONE

    RINGRAZIAMENTI

    PROLOGO

    PARTE PRIMA

    CAPITOLO UNO

    CAPITOLO DUE

    CAPITOLO TRE

    CAPITOLO QUATTRO

    CAPITOLO CINQUE

    CAPITOLO SEI

    CAPITOLO SETTE

    CAPITOLO OTTO

    CAPITOLO NOVE

    CAPITOLO DIECI

    CAPITOLO UNDICI

    CAPITOLO DODICI

    CAPITOLO TREDICI

    PARTE SECONDA

    CAPITOLO QUATTORDICI

    CAPITOLO QUINDICI

    CAPITOLO SEDICI

    CAPITOLO DICIASSETTE

    CAPITOLO DICIOTTO

    CAPITOLO DICIANNOVE

    CAPITOLO VENTI

    CAPITOLO VENTUNO

    CAPITOLO VENTIDUE

    CAPITOLO VENTITRE

    CAPITOLO VENTIQUATTRO

    CAPITOLO VENTICINQUE

    CAPITOLO VENTISEI

    CAPITOLO VENTISETTE

    CAPITOLO VENTOTTO

    EPILOGO

    CARO LETTORE

    NOTA STORICA

    ALTRI LIBRI DELLA STESSA AUTRICE

    CASTEDDU

    Fortezza senza tempo, cinta da mura medievali,

    sotto la quale siestende pigramente la sua villanova;

    qui, dove passato e presente si fondono in u’unica memoria

    sotto l’aurea luminosa di un sole dorato,

    bambini dalla pelle color nocciola trascorrono ore spensierate

    tra strade strette, in mezzo ad antiche torri Pisane.

    Strade buie e fresche, illuminate da fasci di luce,

    si aprono su calde piazze a scacchiera sfumate di bianco e nero.

    Dalle finestre, velate d’ombra, si incontrano occhi che ti scrutano

    Come figure intraviste solo a meta che danno forma al proprio profilo.

    Qui attraverso porte completamente adombrate, quassi nascosti,

    si rivelano fugacemente all’occhio cortili ricolmi di fiori.

    Il passo silenzioso del tempo sfila senza essere notato,

    lasciando solo un alito di vento, che si muove delicatamente

    in mezzo a vele fluttuanti come fossero dipinte e che sanno di bucato;

    nel mentre sopra ogni cosa prevale una pace incantata.

    In lontananza su acque azzurre scorre una danza di bagliori di luce,

    che adesca i pescatori, inducendoli a dolci sogni di mezzogiorno.

    La magia di questa citta cattur l’occhio errante e desideroso,

    dalla nobile cattedrale, il cui profilo si tratteggia contrapposizione al

    cielo senza nuvole,

    ad un lancio oltre il mulinello di Santa Remy, fino alla Marina sottostante,

    oltrepassando stagni silenziosi che riflettono i bagliori infuocati del sole,

    feddelmente seguita dai sette fratelli.

    Si stendono davanti ai miei occhi da Buoncammino e si intravvedono

    I campi a moacio del Campidano, colorati d’oro e verde.

    La vicina Tuvixeddu, velata nel suo mistero sommesso,

    condivide lo spendore di questa storia antica.

    !Quest citta non e un sogno che svanisce, ne un ombra di passaggio,

    ma vive di un brulichio competitivo e vibrant che sono fiera di aver conosciuto.

    (Poesie dalla mia Isola)

    CASTEDDU

    Ageless stronghold with medieval walls,

    beneath which Villanova idly sprawls.

    Here where past and present merge as one

    under a radiant halo of golden sun,

    nut-brown children spend carefree hours

    in narrow streets, mid ancient Pisan towers.

    Cool dark streets, illuminated by shafts of light

    open on warm chequered squares of black and white.

    From windows, cast in shade, peering eyes are met

    as half-glimpsed figures form their silhouette.

    Here through darkling doorways, almost concealed,

    flower-filled courtyards are fleetingly revealed.

    The noiseless step of time passes by unheard

    leaving only a breath of wind, gently stirred

    amidst washing, billowing like painted sails.

    whilst overall an enchanted peace prevails.

    Out on azure water, a dancing light gleams,

    luring fishermen to gentle noonday dreams.

    This city’s magic catches the eager wandering eye,

    from lofty cathedral, outlined against cloudless sky,

    on over the reeling drop of San Remy, to Marina below,

    past silent stagni, reflecting the sun’s fiery glow,

    to the devil’s saddle towering over Golfo degli Angeli

    faithfully watched by the Sette Fratelli.

    Spread before me from Buoncammino can be seen

    the Campidano patchwork fields of gold and green.

    Nearby Tuvixeddu, veiled in her hushed mystery,

    shares the splendour of this ancient history.

    This city is no fading dream or passing shadow,

    but alive with a vibrant race I’m proud to know.

    (Poems from my Island)

    INTRODUZIONE

    Ho ambientato la prima parte di questa storia nel 1961. Erano tempi molto diversi, allora; la maggiore età, sotto il controllo dei genitori, era a 21 anni, e non fu portata a 18 fino al 1970. Soltanto nel 1968 fu abolita la censura dei media, e le scene in camera da letto non dovevano più essere recitate con un piede sul pavimento! Quello stesso anno, essere gay cessò di essere un reato (ma solo in parte) e i divorziati furono finalmente ammessi nel Royal Enclosure ad Ascot. Disciplina e rispetto erano considerati fondamentali.

    Quando Ellie va in collegio, ha un bauletto di provviste. Nel 1947, il Regno Unito era ancora soggetto a razionamento, che fu finalmente revocato solo nel 1954. In collegio, quel bauletto era con ogni probabilità il tuo bene più prezioso. Era lì che conservavi le tue leccornie – e potevi mangiarne solo quattro per sera, sotto l’occhio severo della Direttrice; ma potevi metterne un po’ nella tasca delle tue mutandone grigie, se eri abbastanza veloce. Biscotti, torte fatte in casa, Marmite, Bovril, marmellata o miele erano ammessi solo con del pane, a cena. I pacchi da casa per rifornire le provviste erano sempre attesi con grande impazienza.

    Non esistevano i telefoni cellulari: nei primi anni ‘60, le case che avevano un telefono spesso dovevano condividere la linea. Se volevi fare una chiamata e l’altro utente stava occupando la linea, dovevi riagganciare e aspettare che avessero finito. Chiamare all’estero era complicato. Era necessario prenotare la telefonata internazionale e poi aspettare ore, o giorni, che succedesse; a differenza di oggi, che possiamo parlare all’istante con qualcuno in Australia direttamente dal nostro iPhone.

    La Sardegna non è Italia. È un’isola che è cambiata poco nel corso dei secoli, dall’invasione fenicia all’arrivo dei Piemontesi sotto il Ducato di Savoia nel 1720, quando l’italiano divenne la lingua dominante, e fino ai giorni nostri. Insieme alle loro tradizioni popolari e ai costumi locali, quegli isolani fieramente indipendenti hanno mantenuto le loro lingue – sì, lingue, non dialetti – attraverso i millenni. Sebbene l’UNESCO le abbia ora classificate come ‘lingue in via di estinzione’.

    Mi è stato fatto notare che nel libro ci sono molti riferimenti al cibo. Posso solo rispondere che in Sardegna funziona così. Cibo per gli amici, cibo per gli sconosciuti... ogni scusa è buona per sedersi a tavola e condividere storie. E l’ospitalità sarda non teme confronti.

    I Sardi sono profondamente orgogliosi della loro terra, in un modo che fa piacere e tenerezza allo stesso tempo.

    Coi miei libri cerco di trasmettere un po’ della bellezza della Sardegna, sperando che anche altri se ne appassionino.

    Per finire, se hai letto i miei libri precedenti – Sussurri nel Vento e Figli della Bruma – saprai che sono follemente innamorata della Sardegna, che nei miei romanzi è un vero e proprio personaggio.

    Lexa Dudley 2022

    RINGRAZIAMENTI

    Desidero ringraziare tutti coloro che mi hanno aiutata con questo libro.

    I miei numerosi amici in Sardegna, che con pazienza rispondono a tutte le mie domande sulla loro isola e ci coinvolgono nelle loro feste di famiglia.

    Quelli che mi hanno mandato foto di Cagliari negli anni ’60, con storie dell’epoca.

    Ignazio Carboni, per la sua foto originale dell’Antico Caffè.

    Alberto Piso, per il suo aiuto con l’immagine per la quarta di copertina.

    Gianni D’Angelo, per la sua gentilezza nel realizzare la mia

    Copertina del libro sia in Inglese, che in Italiano. Grazie.

    Il mio fantastico medico, NR, che gentilmente mi concede il suo tempo per parlarmi di sintomi e affini.

    E per finire, il mio meraviglioso marito, che ogni anno mi accompagna sull’Isola per rinnovare amicizie e condurre ricerche.

    PROLOGO

    Inghilterra, gennaio 1947

    Ellie era in piedi sulla soglia della grande villa tardo-vittoriana e guardava l’autista di sua madre salire l’ampia gradinata della sua nuova scuola. L’autista sbuffò mentre appoggiava il suo baule nuovo di zecca sul pavimento di marmo. Dopo essersi fermato un momento a riprendere fiato, tornò alla macchina a prendere il suo bauletto, che mise accanto al baule rosso vivo. Ellie aveva scelto quel baule con suo padre, preferendolo a quelli marroni o neri. Il bauletto era invece di legno chiaro con fasce di metallo nero, e recava il suo nome, ELEANOR di MONTFORD, stampigliato su entrambi i lati a grandi caratteri neri. Sua madre, Isabel, insisteva sempre su quel ‘di’ – ma Ellie preferiva ometterlo, pensando che fosse pretenzioso.

    Ellie si voltò e vide sua madre in piedi sul gradino sotto di lei.

    «Non mi posso trattenere, stasera abbiamo una cena. Vedi di comportarti bene. Non voglio guai. Capito, Eleanor?»

    «Sì, Mamma.»

    Sua madre, vestita con un lungo cappotto di visone nero e scarpe di coccodrillo nero con una borsetta abbinata; i capelli, raccolti in una piega alla francese, le conferivano un aspetto severo. Ellie notò che sua madre aveva fretta di andarsene e sembrava a disagio. Era abbigliata in maniera eccessiva con quei suoi capi costosi, dal momento che la maggior parte delle donne erano mogli di agricoltori o gente di campagna con abiti di tweed e giacche di montone.

    Isabel baciò sua figlia in modo sbrigativo sulla guancia e scese i gradini per entrare nella macchina che la stava aspettando. L’autista chiuse la portiera e salì al posto di guida.

    Ellie fece un cenno di saluto a sua madre, ma Isabel non ricambiò il gesto. Nemmeno si voltò indietro, ed Ellie sapeva che sua madre era già proiettata a pensare alla cena di quella sera – su chi avrebbe potuto far colpo, o chi dei presenti ricoprisse un ruolo abbastanza importante da poter aiutare la carriera di suo marito.

    Ellie rimase a guardare la grande Rolls Royce nera che si allontanava lungo il viale.

    Suo padre l’aveva salutata a colazione e le aveva premuto una banconota da dieci nella mano, sussurrandole: «Non dirlo a tua madre». Poi le aveva dato un bacetto veloce sulla guancia, assicurandosi che nessuno stesse guardando.

    Ellie si voltò a guardare il grande edificio di mattoni rossi. Aveva tutte le caratteristiche di un istituto: pavimenti in legno grezzo, finestre senza tende e il tipico odore del sapone carbolico che aleggiava nell’aria mattutina.

    Entrò e guardò le altre ragazze che venivano avvolte nelle braccia delle loro madri o abbracciate dai loro padri, chiedendosi come fosse essere amati da genitori così affettuosi.

    Un rumore sordo delle scarpe pesanti da divisa scolastica sulle scale di legno attirò l’attenzione di Ellie, e poi qualcuno la chiamò per nome.

    «Ellie, oh, Ellie.»

    Una ragazzina si precipitò verso di lei con le braccia protese e un ampio sorriso in volto.

    «Polly!» gridò Ellie, mentre le due ragazze si abbracciavano, entrambe con indosso l’uniforme scolastica con tunica da ginnastica grigia, camicia bianca, cravatta d’ordinanza, calzini di filo di scozia grigi e scarpe nere.

    «Accidenti, Polly» disse Ellie, allontanandosi per guardare meglio la sua amica. «È passato più di un anno e sei così cresciuta.»

    «Invece tu sei ancora magra come uno stecco. Che hai combinato? Com’era Londra? Mi sembri così pallida. Vieni, siamo nello stesso dormitorio. Ho tante cose da chiederti e tanto da raccontarti. Mi sei mancata tanto. Sei mancata a tutti.»

    «Anche voi mi sei mancati. State tutti bene?»

    «Sì, dai, seguimi.»

    «E i nostri bauli?» chiese Ellie.

    «Li porterà su Manning. Andiamo, su. I bauletti vanno in refettorio. Ricorda, le scale anteriori sono vietate durante il periodo scolastico; solo scale posteriori» disse Polly tutto d’un fiato fiato..

    Ellie sorrise e seguì la sua amica su per l’imponente scalinata di quercia e giù per un lungo corridoio fino a una piccola stanza in fondo. Due letti occupavano la maggior parte della camera, con due cassettiere, un lavabo e un tappetino dall’aspetto un po’ tarlato accanto a ciascun letto. Polly andò al suo comò, aprì un cassetto e frugò fino a trovare ciò che stava cercando. Con fare solenne, Polly porse un sacchetto a Ellie.

    «Dio mio, caramelle!» disse Ellie sbirciando nel sacchetto. «Dove le hai prese? Non siamo riusciti a trovarne a Londra, nemmeno con le nostre tessere annonarie.»

    «Le fa il padre di un ragazzo che è a scuola con Simon, quindi riusciamo sempre ad avere degli scarti di produzione.»

    «Saranno anche scarti, ma sono comunque ottime. Che meraviglia, grazie» disse Ellie, gustandosi il sapore zuccherino.

    «Su, raccontami cosa ti è successo» disse Polly. «Muoio dalla voglia di saperlo.»

    «Per prima cosa, dimmi, come stanno i tuoi genitori? E Simon, e Laurence?» chiese Ellie.

    «I miei stanno bene, e i miei fratelli sono tornati in collegio. Simon continua a odiarlo, mentre Laurence lo adora. Strano come due fratelli possano essere così diversi. Papà dice che uno somiglia a lui e l’altro a mamma, ma non ricordo chi sia chi. Ma basta parlare dei miei fratelli, raccontami di te! Tuo padre ha chiamato il mio per chiedergli se poteva fare in modo che tu venissi qui. Sono di nuovo in partenza per l’estero? Non puoi andare con loro? È stato tutto così precipitoso.»

    Ellie si sedette sul letto e guardò la sua cara amica con quegli occhi verdi e i capelli ramati, che di solito portava raccolti in due grosse trecce ma che quando erano sciolti diventavano una nuvola di riccioli.

    Avevano trascorso cinque dei loro primi sette anni in compagnia l’una dell’altra, giocando insieme a casa o al vicino centro per l’infanzia. Il padre di Polly, Adam Smythe, era un agricoltore e durante la guerra era stato esentato dal servizio militare per produrre cibo. Viveva nella fattoria accanto alla casa dei nonni di Ellie, coi quali era amico da una vita; e le donne di casa si erano sempre tenute in contatto.

    Quando Ellie, Polly e i ragazzi erano piccoli, venivano messi tutti insieme nelle carrozzine, poi nei box, e infine a giocare nei campi, sempre accompagnati dai due labrador della fattoria. Era durante la guerra, e tutti giocavano nell’unico prato rimasto non arato; costruivano accampamenti, pescavano e nuotavano nel fiume – giorni idilliaci senza una preoccupazione al mondo, se non rientrare all’ora di cena sporchi, stanchi e affamati. Solo sporadici duelli aerei tra Luftwaffe e RAF disturbavano la loro infanzia spensierata.

    «Su, dimmi» disse Polly.

    «Non saprei» iniziò Ellie, «ma so di certo di aver fatto arrabbiare mia madre, il che non è mai una mossa brillante.»

    «In effetti…» rise Polly.

    Ellie spinse la caramella nella sua guancia. «Beh, come sai, mia madre ha fatto di tutto per tornare a Londra non appena finita la guerra, anche se mio padre voleva restare qui. Non ti sto a dire quanto ho odiato la cosa. Niente amici, solo una tata per compagnia. Non vedevo quasi mai i miei genitori, perché erano sempre fuori per cene, pranzi, cerimonie pompose e affini.

    «A ogni modo, circa due settimane fa, papà era a un pranzo in Ambasciata. Mamma era a casa e ha detto alla tata che aspettava una visita importante e che non voleva essere disturbata per nessun motivo. La tata ha deciso che dovevamo giocare a nascondino in giardino. Faceva freddo e la tata è andata a prendere della cioccolata calda. Allora sono andata a nascondermi nel chiosco. Arrivata lì, ho sentito degli strani gemiti provenire dall’interno, così ho guardato dentro dalla finestra.»

    «E cos’hai visto?» chiese Polly, con gli occhi sgranati per l’eccitazione.

    «Mia madre era sdraiata su un divano, le gonne alzate intorno alla vita, la camicetta aperta e le gambe nude avvolte intorno a un’ombra scura che si muoveva lentamente su di lei. In quel momento è tornata la tata e mi ha tirata via. Quando le ho chiesto cosa stesse facendo mia madre, la tata si è portata un dito sulle labbra e ha sussurrato: «Tua madre sta procurando un lavoro a tuo padre».

    Polly fissò la sua amica. «E tua madre ha scoperto che l’avevi vista?»

    «Beh, quella sera avevano dato una cena elegante per tutte le solite persone importanti. Ho dovuto fare la mia parte alla festa, cosa che odio. Comunque, una signora mi ha chiesto, ‘E cos’è che hai fatto oggi?’» tirandomi verso di lei.

    «Ho giocato a nascondino con la mia tata.»

    «Che bello. Quanti anni hai? E dove ti sei nascosta?»

    «Ho quasi sette anni e volevo nascondermi nel chiosco, ma non ho potuto perché mia madre era lì dentro a procurare a mio padre il suo nuovo lavoro.»

    Polly ridacchiò.

    «È calato un terribile silenzio nella stanza. Mia madre è diventata bianca come un lenzuolo e ha chiesto alla tata di portarmi subito in camera. Quindi ha fatto una strana risata e ha detto: ‘I bambini hanno troppa immaginazione quando vengono lasciati soli’».

    Polly prese la mano di Ellie e rise. «Non c’è da stupirsi che tua madre ti abbia mandata via. Scommetto che era furiosa.»

    «Ho capito di essere nei guai non appena mia madre mi ha guardata. Ha insistito per mandarmi a scuola a Londra, ma Papà ha puntato i piedi e ha detto che avrebbe acconsentito a mandarmi via solo se fossi venuta qui per stare con te in campagna. Si sentivano litigare dall’altro capo della strada.»

    Ellie succhiò la sua caramella. «Così mi hanno comprato la divisa per la scuola e la tata ci ha cucito le etichette col nome; e quando ha finito, mamma l’ha licenziata.»

    Polly si alzò in piedi e mise un braccio intorno alla sua amica. «Qui sarai felice, te lo assicuro, e noi siamo come sorelle.»

    «Mi insegnerai a farmi le trecce? Non sono ancora capace di farmele da sola» disse Ellie.

    «Certo, è solo questione di pratica.»

    L’inizio dell’anno scolastico andò bene, fino a quando la stagione non prese una brutta piega. Per stare un po’ più calde, le due ragazze iniziarono a dormire nello stesso letto, con tutte le loro coperte sopra. Più in là nel mese iniziò a cadere la neve e le previsioni del tempo non lasciavano ben sperare. Dopo due settimane di neve, ghiaccio e venti artici, la vecchia caldaia esalò l’ultimo respiro e la scuola dovette chiudere. Furono contattati i genitori e le ragazze iniziarono a fare i bagagli.

    Polly si precipitò nel loro dormitorio facendo sbattere la porta contro il letto.

    «Verrai a casa con me! La direttrice mi ha appena detto che i tuoi genitori sono all’estero e che i tuoi nonni non stanno bene e sono andati nel loro appartamento a Londra. Papà viene oggi. Dimmi che sei contenta!»

    Ellie guardò Polly e scoppiò in lacrime.

    «Oh. Non sarà così male. Ci saranno anche Simon e Laurence.»

    «Ma figurati. Sono così felice.»

    Il padre di Polly arrivò a prendere le ragazze nel primo pomeriggio. Le abbracciò entrambe e poi caricò i loro bauli e bauletti sull’ex furgoncino dell’esercito Austin ‘Tilly’ col retro telonato. Le ragazze si arrampicarono nello spazio restante, e per riscaldarsi si rannicchiarono sulle coperte stese sulla paglia. In una scatola di latta c’erano un grande thermos di cioccolata calda e alcune fette di crostata alla frutta. Ellie si mise comoda e ringraziò la sua buona stella di avere degli amici tanto premurosi.

    Nel pomeriggio ci fu un leggero miglioramento del tempo, ma le nuvole erano pesanti e il cielo prometteva altra neve.

    Quando arrivarono alla fattoria, c’erano Simon e Laurence ad accoglierle; i ragazzi erano tornati il giorno prima. Aiutarono il padre a scaricare il ‘Tilly’, mentre la signora Smythe abbracciava e baciava sia Polly che Ellie.

    «Ragazzi, mettete i bauli delle ragazze sul pianerottolo vicino alla loro stanza, per favore. Ci penserà la tata a sistemare tutto» disse la signora Smythe. «E poi scendete, lavatevi le mani e preparatevi per cena.»

    Alla fine si sedettero insieme al tavolo della cucina, aspettando che il signor Smythe dicesse la preghiera. Ringraziò il Signore per quel cibo, e poi tutti iniziarono a mangiare.

    La signora Smythe si rivolse a Ellie. «Ti ho sistemata con Polly nella sua stanza. Pensavo vi sarebbe piaciuto stare insieme. Se non ti fa piacere, possiamo trasferirti in una stanza da sola.»

    «Grazie, signora Smythe, mi piacerebbe molto stare con Polly; ma magari lei vuole la stanza tutta per sé?»

    «Di certo non le dispiacerà» intervenne Laurence. «Così può chiacchierare con te tutta la notte.»

    Polly sferrò un calcio sotto il tavolo a suo fratello e lui finse di che gli avesse fatto male. Quella rivalità amichevole era qualcosa che Ellie aveva sempre apprezzato; amava questa vita familiare, che mancava a casa sua.

    C’erano fette di prosciutto impilate su un grande vassoio ovale, e una montagna di pane tostato accatastato in un cestino. C’erano burro fatto in casa e vasetti di marmellata, un ciambellone al cioccolato e una torta di frutta. Ellie sentì il suo stomaco brontolare: improvvisamente aveva una gran fame.

    «Serviti da sola, Ellie, da brava. Lo sai che in questa casa non devi farti pregare, altrimenti sarà tutto finito prima che tu possa metterci le mani sopra» disse la signora Smythe, schiaffeggiando la mano di Laurence che stava afferrando tre fette di pane tostato in un colpo solo. «E inoltre, Ellie, penso che ormai tu sia grande abbastanza da smetterla di chiamarci signore e signora Smythe. Mi chiamo Beatrice, quindi puoi chiamarmi Bea, e puoi chiamare mio marito A-J come fanno tutti i suoi amici. D’accordo?» disse, con un caloroso sorriso sul viso; poi, rivolgendosi alla tata, chiese: «Tata, saresti così gentile da versare il tè per tutti noi?».

    «D’accordo» disse Ellie, «e grazie.»

    I giorni volarono, meravigliosi e spensierati. I ragazzi si alzavano presto per portare il carbone e la legna per i camini e per la cucina economica Aga. Le ragazze aiutavano a fare il pane tutti i giorni e a sfornare torte a giorni alterni. Era loro compito raccogliere le uova, lavarle e classificarle, perché A-J potesse portarle al negozio per il fabbisogno del villaggio.

    Si alternavano nella mungitura della mucca di casa, ed Ellie faceva morire Polly dal ridere mentre cercava di imparare a centrare il secchio col getto del latte. Poi prendevano il latte e lo versavano in grandi recipienti smaltati nella stalla. Il giorno dopo scremavano la panna; un po’ la tenevano per la casa, mentre il resto veniva trasformato a mano in burro da Bea. Il siero lo mettevano da parte per darlo da mangiare ai maiali.

    Alle undici andavano tutti nella sala da pranzo, dove era stato acceso il fuoco, e la tata si accertava che facessero i compiti che erano stati loro assegnati dalla scuola. Simon faceva in modo di sedersi sempre accanto a Ellie. Di notte si rannicchiavano nei loro letti con materassi e cuscini imbottiti di piume, ricoperti da lenzuola di lino, coperte di lana e grandi piumini di piuma, il che rendeva arduo alzarsi nel gelo della mattina.

    Certi giorni faceva così freddo, con quel vento pungente del nord, che si affrettavano a svolgere i loro lavori, bramando di poter rientrare nel tepore della fattoria. In giornate del genere era necessario rompere il ghiaccio sugli abbeveratoi degli animali, e doverlo fare di mattina e a tarda sera rendeva la casa ancora più invitante. Ogni sera, Simon strofinava i geloni sulle mani e sui piedi di Ellie con una lozione all’amamelide o alla calamina per fermare il prurito, e al mattino li massaggiava con la lanolina. Divenne il suo compagno inseparabile, e facevano la maggior parte delle cose insieme.

    L’acqua della fattoria proveniva da un pozzo, e ogni mattina scendevano in cucina per raccogliere il secchio d’acqua dalla pompa a mano sul lavello, ci aggiungevano un po’ d’acqua bollente e si lavavano nel bagno vicino alla cucina. La vasca di stagno veniva tirata fuori due volte alla settimana, e facevano a turno a fare il bagno davanti all’Aga con acqua calda direttamente dal rubinetto della cucina.

    Avevano uova fresche, burro e panna. Nel mese successivo, Ellie prese un po’ di peso e la sua carnagione divenne più rosea rispetto al colorito pallido di quando era arrivata; ma più che altro, Ellie si sentiva viva tra queste persone meravigliose e piene di affetto.

    Alla fine, la neve passò e la temperatura risalì, dopo uno dei peggiori inverni mai registrati. L’Inghilterra si era dovuta fermare e l’economia aveva subito un duro colpo. Ma col disgelo arrivarono le alluvioni; ettari su ettari di campi coltivati vennero sommersi, e le colture piantate in autunno erano congelate nel terreno o sommerse dall’acqua delle alluvioni. Non fu fino ad aprile che nella fattoria le cose tornarono a una parvenza di normalità.

    Durante questo periodo, Ellie aveva avuto modo di conoscere la famiglia e assaporare la vita familiare.

    Polly giocava a scacchi con suo padre, o con Laurence, e giurava che lui barasse sempre. Ellie e Simon erano sempre seduti a leggere libri insieme e a studiare i segreti della storia naturale.

    «Tornerai qui a ogni vacanza, adesso?» chiese Simon, lanciandole un’occhiata da sopra il suo libro.

    «Non lo so. Non penso. Potrei dover andare dai miei nonni se tornano in campagna; o a far visita ai miei genitori, ovunque si trovino. Ma non sarebbe giusto che i tuoi si dovessero

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