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U-Boot 3523
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E-book405 pagine5 ore

U-Boot 3523

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Info su questo ebook

C’è un tesoro sepolto nel canale di Skagerrak. In uno specchio d’acqua nel Mare del Nord, che bagna le coste della Norvegia, della Svezia e della Danimarca. Seicento chilogrammi di metallo prezioso, strappato dalle mani e dalle bocche degli ebrei, che a decine di migliaia furono trucidati nelle camere a gas. Oro fuso in tanti lingotti, raccolti in quattro casse e stipati nel ventre dell’U-3523, un sommergibile della Kriegsmarine di ultima generazione. Un U-boot di classe XXI, diretto verso l’Argentina e affondato con bombe di profondità il sei maggio del 1945, in cui i 58 uomini di equipaggio trovarono una morte orribile. 
Il ritrovamento del relitto accende l’interesse di una grande organizzazione di estrema destra, che organizza il recupero del carico. Servono i permessi di esplorazione e per ottenerli viene ingaggiata la giornalista Silje Ratzenberger, con un falso pretesto umanitario. Ma fin dall’inizio, l’operazione si rivela difficoltosa e non mancano gravi incidenti, che mietono vittime tra i componenti della missione. Raggiunta la stiva del sommergibile si scopre che c’è una quinta cassa diversa dalle altre, rinforzata e chiusa a chiave. 
L’incauta scelta di aprirla provocherà un’escalation di omicidi efferati, orchestrati un’organizzazione criminale che non si ferma davanti a nessuno scempio, poiché il suo leader è determinato a usare tale ricchezza per raggiungere l’apice del potere politico. Con ogni mezzo. 
Scoperto l’inganno, Silje lotterà duramente con suoi reportage giornalistici, per far luce sui crimini commessi e smascherare chi sta al vertice della piramide. Le sue inchieste costeranno care a lei e a chi le sta vicino. 
Tutto questo metterà a repentaglio la loro stessa vita.
LinguaItaliano
Data di uscita20 mag 2024
ISBN9788898555932
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    Anteprima del libro

    U-Boot 3523 - Lorenzo Pagiaro

    Parte I

    Dagli abissi del passato, i tentacoli del Male risalgono.

    Capitolo 1

    Wittenberge del Brandeburgo, 22 maggio 2018

    Martedì.

    Raccomandata da: Magda Müller,

    Desde el apartado de correos OCA, Diagonal 74 N 1047 La Plata, Buenos Aires, Argentina

    A: Silje Ratzenberger,

    Geschwister-Scholl-Straße 12, 19322 Wittenberge von Brandenburg, Deutschland

    La Plata, Buenos Aires, 4 maggio 2018.

    Sehr geehrte Frau Silje Ratzenberger, mi presento. Mi chiamo Magda e sono la figlia dell’Oberleutnant zur See Willi Müller, perito in guerra il 6 maggio 1945. Mi rivolgo alla sua competenza, come apprezzata giornalista e ricercatrice storica, per avere il suo aiuto e proporle un reportage d’inchiesta che sicuramente potrebbe allettarla. Io non ho potuto conoscere mio padre, perché è morto prima della mia nascita. Dopo la fine della guerra, molte delle nostre famiglie sono state costrette a fuggire in altre nazioni, per sottrarsi alla repressione perpetrata dalle Forze Alleate che hanno sconfitto il nostro grande Paese. Quando anche mia madre ha lasciato la Germania era in avanzato stato di gravidanza e io sono nata a bordo di una nave argentina, la Simón Bolívar, mentre attraversavamo l’Atlantico. Assieme ad altri fuggiaschi abbiamo trovato un porto sicuro in Argentina e ci siamo stabiliti, con mia madre e i nonni, a La Plata, a pochi chilometri dalla Capitale. Anche se sono naturalizzata in questo paese sudamericano, le mie radici sono rimaste nella terra da cui sono partita. Anche se vivo in Argentina e parlo la sua lingua, il mio cuore è ancora rivolto alla grande Patria che ha generato i miei avi. Vorrei tanto ritornare nella cittadina, Wittenberge, che ha dato i natali a mio padre, e trovare una lapide su cui posare dei fiori. Ma ciò non mi è mai stato possibile, perché il Comandante Willi Müller è morto a bordo del suo sottomarino nel Mare del Nord, assieme ad altri suoi commilitoni. Questa era la mia rassegnazione, finché ho appreso dei fatti nuovi. Si tratta della recente scoperta, avvenuta lo scorso mese, a opera del Sea War Museum Jutland di Thyborøn, in Danimarca. Lo Sea War Museum si occupa della ricerca, nel Mare della Danimarca, dei relitti e dei residuati bellici, al fine di una rappresentazione della memoria storica riguardo ad alcuni tra i più terribili periodi della nostra epoca recente. Con la loro nave oceanica, dotata di un moderno ecoscandaglio, gli esploratori hanno individuato un relitto di un U-Boot di Classe XXI adagiato sul fondo, 16 chilometri a Nord di Skagen, nel Mare di Skagerrak, tra Danimarca e Norvegia. Si tratta dell’U-3523, comandato da mio padre e inabissatosi a 123 metri di profondità. È mio vivo desiderio recuperare i corpi dei marinai intrappolati dentro il sommergibile e dare loro una degna sepoltura. Per questo motivo ripongo le mie speranze in lei, sapendo della sua grande esperienza, come ricercatrice e giornalista, e sono disposta a farmi carico delle ingenti spese. Assieme a questa lettera ho inserito alcuni documenti custoditi da mia madre, che potrebbero esserle utili nella ricerca. Inoltre, le lascio il nominativo di una persona di mia fiducia, residente a Cuxhaven, alla quale potrà rivolgersi per ogni sua esigenza, sia economica che logistica.

    La prego vivamente di accogliere questa mia proposta e di adoperarsi per coronare il sogno della figlia di un eroe di guerra che, suo malgrado, ha combattuto e sacrificato la sua vita per la parte sbagliata dell’umanità.

    Cordialmente sua devota ammiratrice, Magda Müller.

    Il fischio improvviso del bollitore d’acqua spezzò la concentrazione di Silje. Erano le sette e trenta, segnate da un vecchio orologio appeso al muro della cucina, la cui lancetta dei secondi produceva un lieve tic-tic a ogni avanzamento sul quadrante bianco. Era l’unico rumore che Silje percepiva quando leggeva la corrispondenza, e valeva per lei come il passo ritmato di un metronomo. Tutti gli altri rumori, come il motore del frigorifero, oppure lo scorrere dell’acqua nei tubi e i rumori ovattati, provenienti dalla strada sottostante, per lei rimanevano solamente un leggero brusio. La lettura mattutina della posta per Silje era un momento magico, qualcosa di religioso. Lei ripose il primo foglio della raccomandata nella busta e ne tirò fuori degli altri vecchi e ingialliti; segnati dal tempo. Sopra la sua testa udì un rumore di passi che scendevano la scala.

    «Guten morgen Frau Ratzenberger! Questa mattina preferiamo il fischio del vapore al canto degli uccelli. Dormito bene?»

    «Buongiorno a te, Eckbert. Sì, ho dormito bene, per quel poco di tempo che mi è rimasto stanotte: vorrei che tu venissi a letto prima dell’una. Oppure va bene anche tardi, purché tu non pretenda di giocare con me.»

    «Okay, meine Dame. Che cos’hai in mano, un testamento?»

    «Mi ha scritto una certa Magda Müller, dall’Argentina. Vuole che organizzi una missione sul mare di Danimarca alla ricerca dei resti di suo padre, dentro un sommergibile affondato.»

    «Wow, interessante! Ma… Perché tu? Perché non un’agenzia specializzata? È una ricerca piuttosto fuori dal comune: si tratta di scendere nei fondali marini e avvicinarsi a dei relitti bellici. Ti serviranno mezzi e persone addestrate. Ti serviranno dei permessi per l’accesso. La Marina civile e militare, di qualsiasi paese sia, non è sempre disponibile per questo tipo di imprese.»

    «Già. Forse è per questo che si rivolge a me: sono una giornalista d’inchiesta e ho la fama di essere una tenace. È su questo che conterà Magda Müller: trovare una che serva da passepartout, capace di superare tutti questi ostacoli. Non so. Comunque, mi ha inserito il nominativo di un tipo a Cuxhaven, che mi darà tutto il supporto necessario. Questi sono dei vecchi documenti relativi a suo padre con delle foto, carriera militare, certificato di nascita e matrimonio… Non ho ancora visto tutto. Perché non ti siedi? Sto preparando il tè.»

    La loro piccola e graziosa cucina, in una villetta arredata con vecchi mobili, ricercati dai rigattieri, a poco prezzo e ripassati con la gomma lacca. Con la finestra che dava sul giardino e più in là sulla poco trafficata Geschwister-Scholl-Straße, era un’abitazione di poche pretese ma ben tenuta, acquistata alcuni anni prima con i proventi maturati dai libri e dagli articoli d’inchiesta, più un mutuo trentennale che non pesava tanto. Perché Silje Ratzenberger era molto brava nel suo lavoro e i suoi reportage riscuotevano l’interesse e l’apprezzamento della gente comune. I suoi articoli facevano gola alle testate giornalistiche come il Bild-Zeitung o il Frankfurter Allgemeine Zeitung, oppure il Die Welt, che si proponevano di acquistarli con offerte generose. Ma lei di solito preferiva vendere i suoi lavori al Der tägliche Informant di Berlino, un giornale con una tiratura di copie più basse degli altri, ma meno impelagato politicamente e quindi più libero. Per questo motivo Silje aveva dovuto trovare una casa modesta, in un piccolo centro urbano, a metà strada tra Berlino e Amburgo. Una buona scelta, comunque, non penalizzata dalle distanze, grazie a un ottimo servizio di telecomunicazioni e alla larga dalla frenesia delle grandi metropoli.

    «Oggi cos’hai da fare Eckbert, ti andrebbe di darmi una mano?»

    «Sono di turno dopo pranzo, e stamattina devo portare l’auto per il tagliando. Mi rimangono un paio di ore libere: va bene. Cosa vuoi che faccia?»

    «Grazie, meine Liebe. Vorrei che facessi una ricerca in Internet su questo Willi Müller e sul sottomarino che comandava. Vorrei anche che prendessi informazioni sul Sea War Museum Jutland di Thyborøn, in Danimarca, quello che ha scoperto il relitto… È troppo?»

    «Va bene. Porto l’auto in officina e poi mi metto al computer.»

    Finirono la colazione. Eckbert uscì, prese la vecchia Nissan Almera sempre più bisognosa di cure e si avviò verso l’officina. La giornalista sgombrò il tavolo dalle stoviglie, richiuse negli stipetti zucchero e biscotti, le marmellate nel frigo e poi tirò fuori il suo laptop, un block notes e il telefono. Compose il numero del signor Ägid Rothman di Cuxhaven, così come le era stato riportato nella raccomandata di Magda Müller. Rothman rispose al primo squillo: sembrava che la stesse aspettando.

    «Risponde il Centro di addestramento subacqueo Rothman & Meyer, con chi parlo?»

    «Mi scusi, lei è il signor Ägid? Mi chiamo Silje, sono una giornalista freelance. Le telefono su indicazione della signora Magda Müller. Immagino che lei sia stato informato sul motivo della mia telefonata.»

    «Magda Müller, Magda Müller… Ah sì, certo: ora mi viene in mente qualcosa. Mi dica, signora Ratzenberger, cosa posso fare per voi?»

    Stava fingendo di ricordare appena, ma si era tradito: lei si era presentata solamente con il suo nome.

    «Non so di preciso cosa può fare per me. Questa mattina ho ricevuto una raccomandata da questa Magda Müller, che mi ha scritto dall’Argentina. Potrei inviarle una scansione, se mi dà un recapito di posta elettronica.»

    «Uhm… No. Ora non ho i mezzi per ricevere la posta. Sia gentile signora e me la legga, se non è troppo lunga.»

    Silje lo assecondò. Prese il primo foglio e lo rilesse ad alta voce, sentendo dall’altro capo del filo dei ah-ah e dei ticchettii delle dita su di una tastiera. Alla fine della lettura Rothman si rivelò per quello che sapeva fare e non solo: sembrava che non avesse desiderato fare nulla d’altro.

    «Ho capito, signora Ratzenberger, dovrò mettere insieme una squadra di sommozzatori in gamba. Per una simile impresa serve un mezzo navale attrezzato per assistere i palombari. A questo posso provvedere io, conosco un armatore dalle parti di Hirtshals, che è disponibile e ben fornito.»

    «Ma, signor Rothman… Per allestire questa missione e pagare i suoi uomini, serviranno dei finanziamenti…»

    «A questo penserà il mio socio, Derik Meyer. È stato lui che sicuramente avrà ricevuto una lettera dalla signora Magda e me lo aveva accennato. So che ha aperto un conto corrente a nostro favore con un po’ di soldi. Non abbiamo problemi con i finanziamenti. Le nostre maggiori difficoltà derivano dall’ottenere delle autorizzazioni per lavorare sul posto. Credo che lei potrebbe dare un buon contributo, presentando l’impresa e avere così i permessi necessari.»

    Nella testa di Silje i contorni di questo progetto divenivano sempre più chiari e motivati: Magda Müller, Ägid Rothman e soci avrebbero perlustrato quel sommergibile abbandonato negli abissi marini da oltre settant’anni e lei si sarebbe fatta carico di sbrigare l’aspetto burocratico delle scartoffie e delle relazioni con le autorità marittime danesi.

    «Signor Rothman, non le ho ancora detto se intendo accettare o meno questo incarico.»

    Dall’auricolare del suo telefono Silje udì il tramestio di qualcosa che era caduto, tipo un barattolo di latta, seguito da alcuni istanti di silenzio. Poi il suo interlocutore rispose cercando di non mostrarsi troppo interessato.

    «Beh, Silje, quand’è così… Ha fatto bene a dirmelo subito, così potrei evitare di perdere del tempo. Sa, qui siamo parecchio impegnati. Immagino che vorrà un adeguato compenso per il suo operato: mi dica pure la cifra.»

    «Mi accontento di essere rimborsata per le spese della trasferta. Non voglio altri compensi.»

    «Vuole venire anche lei sul posto? Non è sufficiente che scriva i suoi articoli lì dove si trova? Noi la terremo costantemente informata sul nostro operato con rapporti giornalieri. Davvero, non è necessaria la sua presenza. Oltretutto, nelle acque fredde e agitate del Mare del Nord non è una gita piacevole.»

    Da una simile replica emerse quanto Rothman stesse sottovalutando l’indole combattiva della giornalista. Lui non sapeva granché di lei, della sua determinazione e della sua tenacia nel perseguire determinati obiettivi. Silje non conosceva quell’uomo, non l’aveva mai incontrato e cercava di capire fino a che punto spingersi con le sue richieste, ma il tono della sua voce era deciso e senza pause d’incertezza. Il tiro alla fune era il suo sport preferito.

    «Una trasferta per due: io e il mio compagno. Vogliamo essere presenti durante tutte le fasi del recupero e non solo: il mio compagno è un vigile del fuoco, con esperienza in operazioni subacquee. Queste sono le mie condizioni: prendere o lasciare.»

    Prendere o lasciare… Ägid imprecò tra sé. Era abituato a trattare con i facoltosi clienti che entravano nel suo negozio, dei ricconi che pretendevano di capire tutto subito a proposito delle attività immersive e che si lamentavano continuamente con voce querula, ogni volta che ricevevano delle bacchettate per la loro indisciplina. Ma era anche gente che non mercanteggiava mai sul prezzo da pagare e che sottoscriveva i contratti senza porre alcuna obiezione. Clienti disposti ad ascoltare senza discutere la musica che Rothman suonava a loro. Con Silje la cosa era diversa: Ägid non poteva mandarla al diavolo e nemmeno poteva accontentarla, senza avere il permesso dall’alto. "Verdammnis! Mugugnò tra sé, Sei una giornalista e sei anche una donna… E come tutte le donne pretendi: mi farai venire la gastrite!"

    «Silje, lei mi sta mettendo in una posizione difficile, devo consultarmi con il mio socio prima di assumermi una tale responsabilità.»

    La giornalista rimase salda sulla sua posizione. Se pensi di piegarmi con le scusa della responsabilità, Rothman, fai male i tuoi conti, pensò.

    «Le firmeremo una liberatoria che vi solleverà da quest’onere. Noi dobbiamo essere presenti e prendere visione di tutto. Non scrivo mai articoli su cose riportate da altri. È anche per questo motivo che sono molto apprezzata dai giornali che mi finanziano.»

    «E va bene, ho capito. Mi dia un’oretta di tempo, che ne parlo con Derik. Per le spese della trasferta non ci sono problemi. Per la vostra partecipazione diretta ci pensiamo su e le facciamo sapere. A dopo, allora.»

    Rothman fu sbrigativo nel congedarsi e chiudere la comunicazione, indice questo che aveva mal digerito le condizioni della giornalista e che il suo umore aveva virato verso il basso. Poco male: questo era un suo problema. Il problema di Silje era invece quello di convincere il suo compagno a seguirla in quell’impresa. Eckbert Liebknecht viveva assieme a lei da cinque anni. Si erano conosciuti durante una vacanza comune nelle isole Antille nel 2013 e si erano piaciuti da subito. Eckbert era un uomo alto e ben piantato che aveva superato la quarantina senza patire il peso degli anni, con il suo fisico asciutto e tonico. Frutto questo del suo impegno nel corpo dei Feuerwehrleute di Wittenberge, che lo costringeva a duri allenamenti per essere sempre pronto ad affrontare il fuoco e l’acqua. Silje sapeva che lui era duro con i suoi colleghi e che pretendeva l’eccellenza, ma nella vita di coppia era dolce e premuroso. Era sempre indulgente verso di lei e le perdonava tutto. Aveva sempre un largo sorriso stampato in faccia che gli faceva raggrinzire gli zigomi degli occhi acquamarina e dei capelli biondi corti, sempre arruffati. Le sue mani grandi erano forti tanto da stritolarne altre nella loro presa, ma lui non ne aveva contezza. Le avrebbe perdonato anche la decisione che lei aveva preso per tutti e due senza consultarlo, ma doveva lavorare su di lui e sfruttare il suo facile entusiasmo. Si udì la porta d’ingresso aprirsi.

    «Ehilà, sono tornato. Non porto buone notizie: la nostra carretta è arrivata al capolinea. Il cambio e la frizione sono da revisionare, gli ammortizzatori sono finiti e anche i freni. E poi bisogna rifare la distribuzione, se non vogliamo rischiare di rompere il motore. Non so se valga la pena di buttare altri soldi su qualcosa che rimane sempre vecchio. Ci serve un’altra auto, non dico nuova, va bene anche usata. È una spesa di almeno diecimila euro che dovremo affrontare.»

    «Pazienza Eckbert, lo sapevamo che la Nissan era messa male. Comunque ci ha serviti bene in questi anni. Non ti preoccupare, troveremo i soldi per un’altra auto. Ti va di fare quella ricerca per me? Ti passo la documentazione. Nel frattempo, farò alcune telefonate presso la nostra Ambasciata a Copenhagen.»

    Era arrivato il momento di dare la notizia a Eckbert e ottenere il suo consenso. Il suo contributo si sarebbe rivelato fondamentale per la riuscita di un servizio giornalistico sensazionale. Un reportage che avrebbe acceso l’interesse dei lettori sull’esplorazione dei fondali marini e dei misteri che celavano.

    «Eckbert, ti piacerebbe partecipare alla missione su quel sommergibile?»

    Stava per salire le scale, due gradini per volta come era solito fare, ma quando udì l’insolita proposta Eckbert si bloccò. L’esplorazione di un relitto, e a quelle profondità, gli piaceva eccome. Lui era uno che si entusiasmava per le sfide, fossero queste una scalata in solitario su di una parete rocciosa, oppure scendere nelle fosse marine.

    «Certo che sì, mi piacerebbe, ma la cosa è fuori dalla nostra portata. Servono mezzi e attrezzature che noi non possiamo permetterci.»

    «Tu hai un’attrezzatura da sub tua, dove lavori.»

    «Non è sufficiente per scendere a quelle profondità: ci vogliono degli scafandri da palombaro.»

    «Non sarà un grande problema. Ho parlato con il referente citato nella lettera di Magda Müller, un certo Ägid Rothman e ho posto delle condizioni: se vorranno il nostro aiuto, dovranno prenderci a bordo e tu avresti un ruolo attivo nella ricerca.»

    Eckbert oppose ancora qualche riserva, quasi volesse farsi desiderare, ma il luccichio dell’eccitazione nei suoi occhi lo tradì.

    «Certo che mi piacerebbe andarci, ma dovrei avvisare la mia azienda che mi servono quanto… Due settimane di ferie? Forse anche di più.»

    «Hai un sacco di ore di recupero da smaltire, più le ferie che non hai preso l’anno scorso. Questo è un periodo di bassa attività per voi, saranno ben contenti di darti anche un mese di ferie, vedrai. Tu chiedilo. A momenti dovrebbe richiamarmi questo Rothman. Se accettano le nostre condizioni, sapremo quando partire. E sarà presto.»

    Sul tavolo della cucina, tra i fogli di carta e il piccolo computer, si udì una vibrazione. Silje allungò la mano e prese il cellulare.

    «Herr Ägid, avete preso una decisione?»

    «Va bene signora Ratzenberger, io e Derik siamo disposti a prendervi nella nostra squadra, ma anche noi abbiamo delle condizioni da sottoporvi.»

    «Se sono accettabili, mi dica.»

    «Lei si deve impegnare con le istituzioni danesi, affinché ci sia data la possibilità di esplorare il relitto senza l’interferenza di altre associazioni, organizzazioni o autorità ufficiali, come la Marina militare. Non possiamo perdere tempo ogni volta che ci immergiamo in permessi, controlli e sorveglianze. Questo perché la nave supporto, il personale impiegato e le attrezzature hanno un costo giornaliero che è molto oneroso e la nostra disponibilità economica è limitata. Se il suo compagno vuole scendere assieme ai miei uomini dovrà dotarsi dello stesso scafandro apposito che usano loro, con o senza cordone ombelicale, e dovrà attenersi alle disposizioni del nostro coordinatore. Lì sotto, a centoventi metri di profondità, il fondale marino si può intorbidire facilmente e la visibilità si riduce a zero: non possiamo permettercelo. Si avvicineranno allo scafo del relitto solo quelli che sono incaricati di effettuare tutte le ispezioni preliminari.»

    «Riferirò le sue raccomandazioni a Eckbert; lui è addestrato in queste operazioni e collaborerà con voi.»

    «Non ho finito. Lei rimarrà a bordo e si documenterà sugli sviluppi dell’operazione. Quando vi presenterete vi faremo firmare una liberatoria, con la quale ci solleverete da qualsiasi responsabilità.»

    «Va bene, questo glielo avevo già anticipato. Quando inizierete l’intervento?»

    «Ci troveremo con voi lunedì 11 giugno a mezzogiorno. Nel frattempo, noi prepareremo tutto l’occorrente e lei sbrigherà le pratiche burocratiche. Vi manderemo tutti gli incartamenti dei mezzi navali e i documenti del personale operativo all’indirizzo di posta elettronica riportato sulla sua pagina ufficiale. Tre settimane dovrebbero bastare con le varie autorità. Presentatevi al Ved Kajen Cafè, che si trova sulla Sydvestkajen nel porto di Hirtshals. La motonave che ci darà supporto sarà la Søstjerne e si troverà ormeggiata proprio davanti al locale.»

    «Lunedì 11 giugno va bene: ci saremo.»

    Non ci furono altri convenevoli e la telefonata terminò con uno sbrigativo scambio di saluti. Silje sospirò soddisfatta. Aveva fatto bene a insistere con Herr Rothman per ottenere le sue condizioni, perché era l’unico modo nel quale lei sarebbe riuscita a mantenere alto lo standard qualitativo delle sue inchieste. E poi aveva dalla sua Eckbert che, con il suo coraggio e la sua competenza, le infondeva fiducia e sicurezza.

    «Non mi piace quella tipa, è troppo pretenziosa. Pretenziosa e ficcanaso. Non riusciremo a tenerla buona con le favole che raccontiamo ai turisti. Si porta dietro pure un Vigile del fuoco che fa immersioni e che ci starà alle costole quando entreremo nel sommergibile. Non mi piace questa storia: quei due ci creeranno problemi, più di quelli che ci hanno indotto a coinvolgerli per risolverli. Mi chiedo se sia stata una buona idea tirarla in mezzo.»

    Alle spalle di Ägid Rothman il socio si sentì libero di esprimere quello che pensava. Derik Meyer se ne stava con le grosse braccia incrociate sopra un ventre prominente e con la faccia imbronciata, com’era solito fare quando doveva prendere decisioni importanti o ricevere richieste capricciose dai turisti che accompagnava lungo i fiordi danesi. Le sue sopracciglia chiare e cespugliose, in armonia con i suoi capelli castani e striati di grigio, si avvicinavano tra loro ed erano separate da una profonda ruga verticale. La barba trascurata si addensava sulle sue guance paffute e si raccoglieva sotto il doppio mento. Derik strizzò gli occhi e sbuffò.

    Per quel giorno, di obiezioni Ägid ne aveva già sentite abbastanza e si sentiva piuttosto seccato.

    «Derik, hai sentito quello che ho chiesto: se non accettano le nostre condizioni li lasciamo a terra. Per lunedì 11 giugno quella donna intanto riuscirà a procurarci i permessi perché è una giornalista e questo compito lo sa fare bene. Questi sono gli ordini che ci hanno dato e noi dobbiamo rispondere direttamente all’Organizzazione del nostro operato, non delle nostre opinioni. L’idea di mandare avanti una giornalista a promuovere un intervento per fini umanitari ci permetterà di recuperare milioni di euro con tutto quell’oro che troveremo e di finanziarci, rimanendo nell’ombra.»

    Ägid Rothman era coetaneo di Meyer ed era cresciuto assieme a lui, militando nelle stesse organizzazioni neonaziste, più o meno clandestine, piccole e male organizzate. Con lui aveva condiviso lo stesso livore antisemita e antislamico, assieme al culto della razza superiore. Poi era arrivata l’occasione per fare un salto di qualità ed entrare a far parte di una grande organizzazione politicamente introdotta nel governo tedesco e con sedi operative distribuite anche in altri paesi del mondo, come quelli sudamericani. Come l’Argentina, dove avevano trovato rifugio molti nazisti assieme alle loro famiglie. Ägid era un ometto basso e magrolino sulla cinquantina, con dei neri baffetti ridicoli sotto il naso aquilino. Piccoli erano anche i suoi occhi scuri, che rimandavano dei riflessi di torbida furbizia. In società con Meyer aveva preso un negozio di attrezzature sportive marine e avviato un centro di formazione per attività subacquee. Dei due lui era la mente.

    «Adesso chiamo il Senatore e comunico che si può avviare l’operazione. Ci apriranno una linea di credito in banca e così potremo organizzare la missione. Tu non ti devi preoccupare di ciò che decidono in alto, avranno già considerato come gestire la situazione con quello, vedrai. Sai, nelle profondità marine i pericoli non mancano: se l’amichetto della signora Ratzenberger diventasse troppo invadente, potrebbe succedergli qualche incidente.»

    Una grande villa in Schöne-Aussicht-Straße, affacciata sul lago Aussen-Alster, nella città di Amburgo.

    Il trillo del telefono rimbalzò da una parete all’altra per una mezza dozzina di volte, prima che un uomo di mezza età, azzimato nella sua livrea nera, si decidesse di alzare la cornetta. Lo fece con calma e compostezza, come quando riceveva gli ospiti, in modo deferente ma distaccato.

    «Sì, pronto, qui la famiglia dell’Ehrenhaft Schäfer, con chi parlo? Buonasera a lei signore… Va bene, ora vedo se è disponibile… Attenda in linea per favore.»

    Il maggiordomo premette un tasto di attesa e ripose il ricevitore sull’apparecchio telefonico. Si aggiustò i polsini e prese la via verso una larga scala, adagiata nel centro di un grande salone luminoso, con le candide pedane di marmo che si alternavano alle alzate in mogano. Salì i gradini fino al piano superiore e bussò discretamente alla seconda porta a destra. Dall’altra parte dell’uscio vi era lo studio del Senatore Karl Dietbert Schäfer, esponente del B.G.N.: Bewegung für die Germanische Nation, il Movimento per la Nazione Germanica. La stanza era illuminata da due alte finestre, dalle quali si godeva la vista del lago. Attraverso i vetri, i raggi del sole entravano e inondavano le pareti dipinte in un rosa pastello, indugiando sulle cornici dei quadri e delle numerose targhe di riconoscimento. Al centro della stanza, con due librerie fissate ai lati opposti come delle parentesi, troneggiava una maestosa scrivania in legno di noce con una lastra di marquina nera sopra. Il Senatore Dietbert diede il permesso di entrare e gli venne annunciato che Herr Ägid Rothman attendeva in linea. Il padrone di casa sospese la preparazione del suo prossimo intervento al Bundestag, liquidò il domestico e allungò una mano pallida e ossuta verso il lato del mobile.

    «Va bene, Jochen, puoi andare: prendo la telefonata… Dimmi Ägid, avete un accordo? Quale novità... Ah, ho capito. Beh, vista la posta in gioco, va bene, possiamo accettare la loro presenza a bordo… Cosa? Questo è un problema… Va bene, va bene per le prime immersioni: ma tenetelo alla larga dal relitto. Meno vede e meglio è. Mi raccomando, usate la massima forma di cortesia e fingetevi collaborativi, ma teneteli a bada, c’è altro? Sì, la linea di credito è aperta, potete iniziare la preparazione. Voglio essere aggiornato costantemente sulla missione.»

    Il Senatore Schäfer non attese commenti e chiuse la comunicazione, rassicurato dal fatto che, semmai qualcuno avesse osato intercettare la telefonata di un parlamentare, non avrebbe acquisito alcuna informazione utile. Questo perché gli apparecchi telefonici erano dotati di un dispositivo elettronico, uno scrambler, che rendeva il segnale audio incomprensibile. Karl Dietbert Schäfer era un personaggio di spicco nella politica tedesca. Anche se relativamente giovane, aveva una storia molto lunga di militanza tra le file delle organizzazioni e i movimenti per l’autodeterminazione del popolo tedesco. I suoi primi anni di attività li aveva svolti nel torbido mondo della DDR nella Germania Est, poco prima che questa si dissolvesse, alla fine degli anni Ottanta. A quei tempi, essendo un giovane ventiseienne e studente fuori corso, lui aveva attuato un doppio gioco, nel quale collaborava con la Stasi come informatore della Sicurezza di Stato. Segretamente invece, grazie all’accesso facilitato ai dossier nascosti, Karl Dietbert aveva selezionato, fotocopiato e raccolto in un suo schedario i dati delle persone coinvolte nel governo della Berlino Est e dei loro loschi traffici. Li aveva catalogati con cura e custoditi gelosamente, prima che il crollo del muro desse il via alla distruzione degli archivi. Grazie a quell’espediente, il neo attivista Schäfer aveva fatto una carriera politica in ascesa, usando il ricatto per ottenere i favori della classe economica sorta sulle rovine dell’Unione Sovietica. Ora lui rappresentava il partito di destra più importante, del quale era il leader indiscusso. Alto e asciutto nel suo abito fatto su misura, Karl emanava una carica di energia inquietante, che metteva a disagio chi lo affrontava per mettere in discussione le sue idee. Forse erano i suoi occhi grigi come l’acciaio che irradiavano la forza della determinazione, oppure questa si percepiva dal taglio dei capelli bianchi corti e dalla faccia allungata, nella quale la bocca si piegava in un sorriso sghembo. Molto probabilmente, l’inquietudine derivava dalla consapevolezza che il Senatore s’informava costantemente sulle vite degli altri ed era custode di molti segreti. Segreti a volte inconfessabili. Altra peculiarità del rappresentante B.G.N. era la sua scarsa fiducia nei riguardi dei suoi collaboratori. Non era una paranoia, no, piuttosto un’esigenza di controllo, forse un eccesso di sospetto, celato dal garbo e dalla cortesia diplomatica. Riprese il telefono e compose un numero. Attese.

    «Sono io… La prima squadra si sta preparando, preparatevi anche voi, avete un paio di settimane a disposizione. Voglio che li sorvegliate rimanendo a una distanza che non crei sospetti. In particolar modo, controllate la giornalista e il suo compagno, è anche lui un sub e scenderà assieme a loro. Quanti sono i sommozzatori di cui disponi, quattro? Bene, attrezzate il sottomarino in modo che sia occultabile. Questo è quanto, per il momento. Mi raccomando: discrezione.»

    Anche in questo caso Schäfer chiuse la telefonata senza attendere repliche. Non era abituato ad accettare commenti. Aprì invece un cassetto del mobile, all’interno del quale vi era adagiata una cartellina sbiadita nel suo verde, tanto era vecchia, con al centro la stampa di un’aquila con le ali spiegate che tratteneva una svastica tra gli artigli. Tirò fuori quel vecchio incartamento, lo posò sul ripiano e lo aprì dando luce a tre fogli dattiloscritti, ingialliti dal tempo. Li rilesse per l’ennesima volta, prestando attenzione alla parte finale dell’ultima pagina, dove le parole erano state vergate a mano libera con una stilografica.

    "…Nel tardo pomeriggio del 6 maggio sono scomparse le tracce dell’U-3523 a Nord della Danimarca. Non è possibile effettuare alcuna ricerca. Devo dare per scontato la perdita dell’U-boot, delle casse piene d’oro e del prototipo… "

    Capitolo 2

    Porto di Hirtshals, Danimarca.

    Lunedì 11 giugno.

    Otto ore di viaggio, compresa una piccola sosta per fare colazione e rifornire l’auto acquistata da poco, una Volkswagen Golf di seconda mano. Tanto ci era voluto per coprire i 680 chilometri di strada, partendo alle quattro del mattino dalla cittadina di Wittenberge e arrivare nel porto commerciale e turistico più a nord della Danimarca, in tempo per l’appuntamento. Alle dodici Eckbert e Silje parcheggiarono davanti a un lungo caseggiato basso e bianco, con una fila di tante ampie finestre, inframezzate da altrettante porte. Una soluzione pratica, per catturare tutta la luce possibile che il giorno poteva offrire a quelle latitudini. Sotto il tetto di lamiera ondulata, il caseggiato ospitava due ristoranti; lo Hirtshals Fiskehus e il Restaurant Abstrakt, oltre al Ved Kajen Cafè, luogo convenuto per l'incontro. Silje varcò l'uscio del locale e fu subito notata dagli astanti. Di lei sicuramente fece effetto il suo modo di vestire, con quel completo gonna e giacca dai colori accesi, distribuiti a macchie rosse, gialle e viola della Desigual. Meno appariscente era il suo viso privo di trucco, fatta eccezione per un velo di rosa sulle labbra sottili. Teneva i capelli castano scuri raccolti in una crocchia dietro la nuca, fissati da un fermaglio color madreperla, a forma di pettine. Meglio sarebbe stato se avesse tenuto la sua capigliatura sciolta a incorniciare un viso dalle linee marcate, per addolcirlo e far meglio risaltare la bellezza dei suoi occhi antracite. Ma in quel posto Silje

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