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Il Nido dell'Aquila: Attacco al potere nazista
Il Nido dell'Aquila: Attacco al potere nazista
Il Nido dell'Aquila: Attacco al potere nazista
E-book462 pagine5 ore

Il Nido dell'Aquila: Attacco al potere nazista

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Info su questo ebook

Nel 1937, in una birreria della periferia londinese, Paul si trova coinvolto in una rissa per difendere David, austriaco, da un giovane di idee fasciste.
Tra i due nasce una profonda e fraterna amicizia, ma lo scoppio della guerra li porta su due fronti opposti. Paul prima in patria a dare la caccia alle spie naziste, poi in Francia con i partigiani. David al comando di un carro armato combatterà in Russia, in Africa e nel Peloponneso. Uccideranno entrambi, David per salvarsi la vita, Paul per combattere l'orrore nazista. Le lorostorie si intrecciano a quelle di milioni di altri, tra missioni segrete, intrighi internazionali, atti di eroismo e gesti disperati. Mentre la battaglia finale si avvicina e in uno dei rifugi più segreti dello stato maggiore nazista Hitler e i suoi gerarchi cercano di prevedere dove potrebbe avvenire lo sbarco delle forze alleate in Francia, la tragedia della guerra segna profondamente i due giovani soldati e l'amicizia che li lega diventail simbolo di un futuro ancora possibile.
LinguaItaliano
Data di uscita13 gen 2023
ISBN9791222048741
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    Anteprima del libro

    Il Nido dell'Aquila - Fausto Tinti

    Fausto Tinti

    Il nido dell’Aquila

    A mia moglie

    Verae amicitiae sempiternae sunt.

    Le vere amicizie sono eterne.

    Marco Tullio Cicerone

    Ci sono degli inganni così ben

    congegnati che sarebbe stupido

    non cascarci.

    Charles Caleb Colton

    Prefazione

    Il 6 giugno 1944 gli Alleati invadono la Francia con la più imponente forza anfibia della storia.

    Tre milioni di uomini, tra americani, inglesi, francesi, canadesi, norvegesi, belgi, polacchi e cecoslovacchi fanno parte della forza di invasione.

    Oltre un milione di uomini si affronteranno nelle prime settimane dello sbarco per decidere il destino dell’Europa e del mondo intero.

    Il Vallo Atlantico doveva rappresentare un sistema di fortificazioni costiere, costruito dal Terzo Reich tra il 1942 e il 1944 per impedire possibili sbarchi alleati.

    Mesi prima, con l’operazione Fortitude, furono avviate, da parte delle forze alleate, diverse azioni fuorvianti, come finti aeroporti, aeroplani e mezzi corazzati di cartapesta per far credere che un finto esercito d’invasione avesse base nel sudest dell’Inghilterra. I Servizi segreti britannici si adoperarono in tutti i modi per convincere il nemico che lo sbarco sarebbe avvenuto nella zona di Calais, nel tratto di mare più stretto, tra Inghilterra e Francia. Per avvalorare questa tesi furono fornite false informazioni, false comunicazioni radio e furono eseguiti atti di sabotaggio da parte di gruppi partigiani ad aeroporti, stazioni radio, centrali elettriche e stazioni ferroviarie nei dintorni di Calais.

    Il feldmaresciallo Rommel, comandante delle forze anti invasione, nonostante le prove – secondo lui troppo evidenti – che indicavano l’invasione a Calais, riteneva, contro il parere degli altri generali, che lo sbarco sarebbe avvenuto in Normandia e Bretagna.

    La decisione finale e la conseguente disposizione delle armate tedesche spettava comunque a Hitler.

    I

    marzo 1944

    Baviera

    Kehlsteinhaus – il Nido dell’Aquila

    La grossa Mercedes–Benz W136, nera, procedeva da sette chilometri lungo una tortuosa strada scavata sui fianchi della montagna che portava dal villaggio di Obersalzberg, al Nido dell’Aquila. All’imbocco del tunnel, chiuso da un enorme portone di bronzo, si fermò. L’Hauptscharführer delle SS di guardia con altri otto Oberschütze, si avvicinò, fece il saluto nazista e, sebbene avesse riconosciuto all’istante gli occupanti della Mercedes, controllò meticolosamente i loro documenti. Con un Heil Hitler tonante li riconsegnò e fece cenno di proseguire.

    Gli otto soldati, quattro per parte, aprirono il portone di bronzo; l’auto imboccò il tunnel lungo 124metri e giunse all’ascensore che portava all’interno dello chalet.

    Le due SS di guardia rimasero impettite a lato dell’ascensore, non accennarono minimamente ad aprire le portiere a quei personaggi influenti arrivati a far visita al capo supremo.

    I due feldmarescialli e i due generali scesero dall’auto e immediatamente alzarono il bavero dei loro pesanti cappotti: il freddo nelle viscere della montagna era intenso ed entrarono veloci nell’ascensore.

    L’ambiente era spazioso, decorato con specchi, pannelli di ottone lucido e sedili in pelle rossa. In 45secondi arrivarono nel cuore del Nido dell’Aquila. Quando si aprirono le porte una folata di aria calda tolse loro il respiro. Avanzarono al centro di una vasta sala ottagonale con una grande vetrata semicircolare e raggiunsero l’enorme tavolo tondo coperto di mappe che capeggiava al centro.

    Sul lato opposto della vetrata nel camino di marmo donato da Mussolini, rosso scuro con venature verdi, bruciavano due tronchi grandi come un uomo.

    La sala era deserta e i quattro uomini, sebbene non fosse la prima visita in quel luogo, si volsero verso la vetrata per ammirare il paesaggio.

    Adolf Hitler soleva dire che l’edificio fosse stato costruito tra le nuvole, e aveva ragione. Nelle giornate limpide si poteva scorgere in lontananza Salisburgo, che assomigliava a un’arena. La vista spaziava tra valli, boschi e alte montagne e i quattro la contemplarono ancora una volta, con la consapevolezza che quell’incontro non avesse nulla a che fare con il panorama, era ben altro il motivo per cui erano stati convocati e i loro pensieri ben presto dirottarono altrove.

    Speriamo che questa volta non ci sia quel ruffiano di Kaltenbrunner pensò il feldmaresciallo Rommel, comandante delle forze anti invasione in Francia: il capo dell’Rsha (Ufficio centrale per la sicurezza del Reich) con la mascella allungata, il naso camuso e quella deferenza continua verso il Führer lo innervosivano.

    Rommel sapeva di avere capacità non comuni nell’analizzare contemporaneamente diverse situazioni; era in grado di farlo sui campi di battaglia e succedeva anche quando doveva esporre al Führer le sue strategie, e rendergliele comprensibili; ai tempi delle vittorie in Africa la fiducia di Hitler nei suoi confronti era incondizionata, e lui era all’apice del suo favore. Nell’ultimo anno purtroppo il Führer non era più la stessa persona e anche la stima che aveva di lui oramai si era ridimensionata, anzi, Rommel pensava proprio che stesse impazzendo.

    Quando poi con lui c’era Kaltenbrunner, la spia di Himmler, che si permetteva di interromperlo continuamente sottolineando davanti al Führer solo i suoi insuccessi, riusciva a fatica ad articolare pensieri coerenti e questo lo innervosiva moltissimo.

    Dal canto suo, il feldmaresciallo Gerd von Rundstedt era certo che Hitler avrebbe fatto una sfuriata nei suoi confronti e in quei momenti non si sapeva mai come sarebbe andata a finire, pensava inquieto, sfregandosi le mani.

    Il Führer aveva sicuramente ricevuto il rapporto sullo stato dei lavori del Vallo Atlantico, molte fortificazioni e bunker erano incompleti e i lavori procedevano a rilento.

    La "Festung Europa",

    ¹ come la chiamava Hitler, con i suoi 650chilometri di costa sia sabbiosa sia rocciosa, portava a infinite, insormontabili complicazioni così, nell’ultimo mese, stanco di tutti i problemi che gli si riversavano addosso, Rundstedt si era ritirato a Parigi, all’hotel George V, a scopare e leggere gialli, e sicuramente Hitler era a conoscenza anche di questo.

    Anche il generale barone Leo Geyr von Schweppenburg, comandante delle Divisioni Corazzate in Francia, temeva di perdere la fiducia del Führer. Nella riunione precedente aveva sostenuto con tutte le forze che si dovessero mantenere i panzer ben distanti dalla costa, disporli in grosse unità vicino a Parigi e attendere che gli Alleati avanzassero per affrontarli con rapidità di movimento e accerchiamento.

    Rommel non era d’accordo: lui voleva distribuire le forze dotate di minor mobilità lungo la costa per contendersi le spiagge con gli angloamericani, distribuendo i carri armati lungo fascia costiera. Tutti erano consapevoli che la traversata della Manica sarebbe stata un’ardua impresa e gli Alleati, secondo Schweppenburg, avrebbero sfruttato il tratto di mare più corto, sbarcando nei dintorni di Calais, mentre Rommel sosteneva che sarebbero sbarcati sulle spiagge della Normandia.

    Il capo di Stato Maggiore del Gruppo d’Armate B del fronte occidentale, generale Hans Krebs, si riposizionò il monocolo sull’occhio destro, dopo averlo accuratamente pulito.

    Il caldo della sala lo appannava di continuo.

    Chi, tra le persone presenti avrebbe dovuto appoggiare e chi invece sarebbe stato meglio osteggiare?Li osservava, e non trovava risposta.

    Anche lui era convinto che le forze corazzate dovessero rimanere unite e lontano dal fronte e che gli Alleati sarebbero sbarcati a Calais, ma sapeva anche che Rommel era lungimirante, i suoi nemici lo chiamavano"Wüstenfuchs"– volpe del deserto – e una previsione sbagliata agli occhi del Führer avrebbe portato a conseguenze negative per lui. Hitler avrebbe chiesto sicuramente il suo parere e lui ancora non sapeva cosa dirgli, rifletteva, e si accingeva a pulire di nuovo il monocolo.

    «Prego, accomodatevi».La flebile voce li fece girare tutti.

    Il Führer li aveva sorpresi, entrando nella sala da una porticina laterale a lato del camino, la cui cornice non si notava, se non dopo una accurata ispezione.

    Fino a due anni prima la sua entrata era fiera, baldanzosa.

    Il grande portone in quercia che divideva la sala dai suoi appartamenti veniva aperto con vigore e il suo saluto era stentoreo;dalla disfatta di Stalingrado e la disastrosa campagna del Nord Africa, il suo aspetto e il suo portamento erano cambiati radicalmente. Lo sguardo non era più infuocato, magnetico, ma spento; le guance cadenti, la pelle grigia.

    Anche la sua voce non era più quella del grande comunicatore e trascinatore di folle, ma piatta, apatica, come se fosse diventato consapevole chela protezione divina, che sosteneva di avere, lo avesse lasciato.

    Hitler li guardò uno a uno. «Dove sbarcheranno?» disse avvicinandosi al grande tavolo e indicando una mappa del Nord della Francia.

    1943

    Camaret-sur-Mer

    Bretagna – Francia

    Il piccolo peschereccio rollava paurosamente, e solo le forti e callose mani dell’uomo che era al timone riuscivano a governarlo, seppur a stento.

    Conosceva quelle insidiose acque come le sue tasche, ma il mare, come lui ben sapeva, era mutevole, imprevedibile e infido e, nonostante fosse una vita che solcava quel tratto di costa, bastava una piccola disattenzione o un capriccio di quella massa liquida, per finire sugli scogli.

    Le onde arrivando da est, spinte dagli alisei, si abbattevano incessanti e con furia sulla poppa della barca per poi smorzarsi sulla coperta e disperdersi dagli ombrinali.

    Già dal pomeriggio il cielo minacciava tempesta, le nubi, erano talmente basse e scure che i gabbiani con il loro piumaggio bianco, si stagliavano nettamente in quella volta color del piombo.

    Il vento era così forte, che perfino il volo del falco pellegrino, che abitualmente si librava alto sulle pareti rocciose che dominavano il mare, era incerto e breve, le ali non erano aperte, come al solito,per sfruttare le correnti d’aria, ma sbattevano furiose, per vincere le forza del vento. A guardarlo, sembrava che un filo invisibile lo trattenesse.

    Non avrebbe voluto farlo, ma i maquis

    ² che controllavano quella zona – e di cui suo figlio faceva parte – gli avevano chiesto di prelevare quell’uomo e di portarlo fino a Camaret-sur-Mer, perché solo lui aveva l’esperienza e la conoscenza opportune per compiere quel tragitto.

    Solo il bagliore repentino dei fulmini che scaricavano a terra la loro potenza gli permetteva di vedere, per qualche secondo, la diversa conformazione delle onde quando si infrangevano sugli scogli, così da anticiparli di pochi metri.

    Era comunque la notte ideale: diversi erano i bunker e le postazioni di vedetta in quel tratto, perché i tedeschi immaginavano che potesse essere il luogo adatto per gli sbarchi o per il prelievo di agenti nemici, ma lui sapeva come evitarli.

    Il problema vero erano le motovedette che pattugliavano la costa.

    Quante volte, quando era a pesca di notte, al largo, il fascio luminoso dei riflettori installati a bordo lo aveva investito e il rumore secco della mitragliatrice a prua che veniva armata e preparata a fare fuoco lo aveva intimorito; poi, non trovando mai niente di sospetto lo lasciavano andare.

    A volte si accorgeva della loro presenza molto prima di vederli, quando il vento portava il rumore dei loro motori; altre volte invece quei bastardi spegnevano i motori e si lasciavano trasportare dalla corrente e li riaccendevano solo quando incrociavano un’imbarcazione.

    Ma questa notte è troppo tempestosapensòper trovarseli addosso.

    Le acque fino a poche centinaia di metri dalla costa erano molto profonde e i sottomarini potevano avvicinarsi senza il pericolo degli scogli, ma da lì in avanti solo pescatori del luogo molto esperti riuscivano a consegnare o prelevare il pacco e a percorrere il rimanente tratto pieno di insidie verso la terraferma, attraversando quel tortuoso sentiero liquido visibile solo nella loro mente.

    L’uomo che era con lui sembrava non accorgersi di niente, fissava il vetro, frustato dalle onde, della piccola cabina di pilotaggio dove erano stipati, senza una parola.

    Nessuno gli avrebbe mai detto il motivo per cui quell’uomo era in Bretagna, ma il vecchio sapeva che qualsiasi cosa fosse venuto a fare sarebbe stata molto pericolosa, e che certamente l’avrebbe fatta per il suo Paese, la Francia, quindi andava bene così. Se la guerra fosse durata anche un solo giorno in meno, avrebbe comunque salvato vite umane e chissà, magari tra quelle ci sarebbe stata anche quella di suo figlio.

    Un fulmine più intenso gli permise di vedere, a poca distanza, due scogli affioranti, uno per lato, ognuno con un paletto verniciato di bianco, a indicare la piccola apertura.

    La imboccò dando il massimo della potenza per contrastare il moto delle onde e il piccolo peschereccio, ruotando di tribordo, si insinuò nello stretto varco che, allargandosi, portava a un piccolo arenile ghiaioso.

    L’uomo, quando il peschereccio si fu messo di traverso rispetto alla riva, raccolse la sacca che aveva con sé e con un cenno di saluto, scavalcò la murata. Dopo pochi passi, con l’acqua che gli arrivava al petto, raggiunse l’arenile e il vecchio pescatore lo vide scomparire nell’oscurità.

    Paul risalì la riva ghiaiosa e si arrampicò sugli scogli per un lungo tratto poi, grazie ai fulmini che ancora saettavano nel cielo con una frequenza impressionante, capì di aver raggiunto un piccolo pianoro. Sapeva che sarebbero venuti a prelevarlo alle prime luci dell’alba. Sarebbe stato più pericoloso, a causa delle pattuglie che perlustravano la zona, ma il terreno era troppo accidentato per percorrerlo con il buio.

    Avanzò piano cercando qualcosa per ripararsi da quel vento gelido ma dopo poco desistette, non poteva allontanarsi troppo e ritornando lentamente sui propri passi si incuneò tra due spuntoni di roccia che aveva notato poco prima di arrivare sul pianoro.

    Faceva freddo, troppo freddo, pensò, mentre cercava di controllare il tremito che lo invadeva.

    I suoi vestiti erano fradici nonostante avesse indossato la giacca di panno asciutta che aveva tolto dalla sacca, ma il vento gelido che lo investiva, portatore di gocce salmastre, contribuiva a inzupparlo ulteriormente.

    Le mani e il viso erano diventati insensibili e l’unica cosa che desiderava era che l’alba arrivasse il più presto possibile.

    Cercò di isolarsi mentalmente, altrimenti l’attesa, in quella situazione, sarebbe stata una tortura indicibile.

    L’immobilità gli stava irrigidendo i muscoli e non poteva permetterselo, non poteva permettersi neppure che il suo pensiero divagasse.

    Doveva rimanere vigile e con il corpo pronto a reagire. Tra poco sarebbe sorta l’alba e se tutto fosse andato secondo i piani, i partigiani sarebbero venuti all’appuntamento.

    Il rigonfiamento che aveva nella tasca gli dava un minimo di sicurezza. Non era la prima volta che usava la sua Webley Revolver e non era la prima volta che uccideva qualcuno.

    Il primo chiarore dell’alba veniva assorbito da una densa nebbia che arrivando in volute dal mare si spandeva come una cappa sugli scogli e proseguiva oltre.

    Paul percepì un lievissimo rumore seguito da un borbottio. Forse qualcuno era scivolato, pensò, estraendo la pistola e puntandola nella direzione da cui pensava fosse arrivato il rumore.

    «Anglais» sentì dire a voce bassa «dove sei?».

    Paul vide a una decina di metri un’ombra scura, piegata in avanti, venire verso di lui.

    L’uomo avanzava con circospezione continuando a ripetere:«Dove sei?» e il tono della voce risultava sempre più inquieto.

    Paul aspettò ancora che lui si avvicinasse di qualche metro e, quando distinse più chiaramente la persona che si profilava, notando il mitra Sten che aveva a tracolla e, come riconoscimento, la fascia bianca che gli cingeva il braccio destro, gli rispose:«Sono qui» abbassando il cane della pistola e rimettendola in tasca.

    L’uomo si avvicinò con cautela e quando riuscì a distinguerlo esclamò sollevato:«Bene, andiamo, dobbiamo fare in fretta, prima che la nebbia si diradi. Ci sono pattuglie di tedeschi in giro». Fece un gesto con la mano come per fargli fretta.

    Paul vide che doveva avere all’incirca sessant’anni, basso di statura e con spalle larghe.

    La giacca di pelle nera che indossava aveva visto tempi migliori. In testa aveva un berretto di lana e il resto del viso era coperto da una barba brizzolata. Gli occhi, contornati da rughe profonde, erano infossati e seminascosti da folte sopracciglia. Doveva essere un pescatore o un contadino, valutò avviandosi dietro di lui.

    «Io sono Bastien, gli altri ci aspettano più su, sul sentiero» bisbigliò girandosi in parte, poi si tolse il mitra da tracolla e proseguì veloce per la salita.

    Le gambe muscolose si muovevano rapide e con sicurezza, ma Paul non aveva difficoltà a tenergli dietro. Il suo fisico era allenato a questo e altro.

    Arrivati su quella che doveva essere una mulattiera, Bastien emise un fischio modulato, probabilmente di un uccello del luogo. A quel suono, due dei quattro partigiani che erano accovacciati dietro un pino nano, i cui rami rasentavano il suolo e si elevavano a due metri da terra, si alzarono e Paul poté guardarli.

    Imbracciavano fucili Lee-Enfield.Dovevano essere padre e figlio vista la somiglianza nei tratti del volto e nel fisico, valutò guardandoli in viso mentre si avvicinavano. Stesso mento pronunciato e occhi piccoli e scuri che denotavano una certa brutalità.

    Il figlio era più magro del padre e i suoi movimenti veloci manifestavano un certo nervosismo. Entrambi salutarono con un breve cenno del capo e non aggiunsero altro, ma continuarono a guardarlo con insistenza. Anche il terzo si avvicinò sorridendo, mettendosi a tracolla un fucile mitragliatore MAS-38. Stava a viso aperto. Doveva avere circa trent’anni e doveva essere stato un soldato, considerò Paul, notando pantaloni e scarponi di foggia militare.

    Gli diede la mano e si presentò come Armand. La quarta figura avanzò coperta in parte dagli altri.

    Retrocedeva lentamente dando le spalle al gruppo, come a sincerarsi di eventuali rumori sospetti nelle vicinanze o pericoli in agguato. Quando si girò, portando alla spalla un vecchio fucile modello Lebel, Paul vide con stupore che si trattava di una ragazza. In testa aveva un basco, i capelli erano tagliati corti e mettevano in mostra due orecchie piccole e un collo lungo, avvolto da un fazzoletto verde scuro.

    Indossava una giacca di velluto marrone stretta in vita da una giberna a cui era fissata una fondina con pistola, e i pantaloni erano infilati dentro a degli scarponi allacciati fino al polpaccio.

    Avvicinandosi, Paul aveva colto una lieve smorfia sul viso della ragazza. Tanto gli fu sufficiente per capire che lei aveva percepito il suo stupore nel trovare una donna, tra i partigiani.

    «Salve» disse guardandola. Mentre gli passava a fianco notò quanto fosse bella.

    «Lei è Sophie» mormorò Bastien a bassa voce, accorgendosi che l’inglese continuava a guardarla.

    «È nata qui e conosce questa zona meglio di tutti noi».

    «Andiamo via prima che la nebbia si diradi» fece presente la ragazza avviandosi.

    Paul rimase un attimo interdetto. I suoi occhi gli ricordarono quelli di Mayuri, neri, profondi, penetranti e dolci.

    «Noi facciamo parte del Comité de Libération che opera in questa zona» gli spiegò Bastien, ma i suoi pensieri per qualche attimo furono trasportati in un mondo di dolore.

    «Lo so chi siete» rispose in modo brusco, riprendendosi.

    Si misero in colonna con Paul nel mezzo e proseguirono per due ore lungo un sentiero appena accennato che costeggiava il mare.

    Era già mattina inoltrata quando, dopo essersi allontanati per un lungo tratto dalla costa e aver attraversato terreni rocciosi tra macchie di pini marittimi e declivi di bassi cespugli, erano arrivati in una piccola valle piuttosto profonda, delimitata da ripide pareti boscose.

    Il percorso era stato privo di pericoli. Solo una volta, sentendo in lontananza un rombo di motori che non potevano essere che di automezzi tedeschi – i francesi non avevano certo benzina a disposizione – si erano acquattati per poi riprendere il cammino quando il rumore si era allontanato.

    «Siamo arrivati» gli disse Bastien fermandosi e indicando con il braccio teso un casolare in fondo alla valle, alla base della parete nord.

    Paul guardò nella direzione indicata. «È chiusa la valle?» domandò pensieroso «Ha solo questa entrata?».

    «No, non siamo degli sprovveduti» rispose risentito Bastien.«Su quel crinale c’è sempre un nostro uomo che può spaziare lontano e sorveglia questo lato e chi si avvicina; in fondo, dall’altra parte, c’è un sentiero che segue il percorso di un torrente, si allarga dopo un chilometro quel tanto da diventare navigabile e una barca è sempre ormeggiata e pronta per portarci fino al mare poco distante».

    «Non te la prendere,» replicò Paul«abbiamo già avuto occasione di appurare che siete in gamba».

    «Qui siamo relativamente al sicuro, i boches

    ³ fino a ora rimangono in paese, soprattutto adesso che quattro compagnie sono state trasferite sulla costa a est. Perlopiù pattugliano le strade principali. Non si avventurano fin qui, la zona è molto vasta e il terreno è troppo inospitale e impervio» concluse Bastien avviandosi.

    L’interno del casolare era una grande stanza rettangolare con un pavimento di terra battuta e diversi materassi allineati lungo le pareti, un tavolo e qualche sedia.

    Uno dei due lati più stretti era quasi interamente occupato da un camino nero di fuliggine, come pure la parete appena sopra, dove il fumo aveva creato lunghe lingue scure fino al soffitto.

    Due piccole finestre coperte da tela di sacco erano posizionate sul lato lungo e davano sul sentiero da cui erano arrivati. Sull’altro lato stretto, una scala in legno portava al piano superiore.

    «Da Londra ci hanno avvisati due giorni fa del tuo arrivo» spiegò Bastien.«L’intero gruppo è formato da dodici persone, solo per quelli che sono ricercati questo casolare è una dimora fissa. Gli altri alloggiano in paese o nelle fattorie sparse nei dintorni».

    «Chi è il radiotelegrafista?» chiese Paul girando lo sguardo attorno.

    «Sono io» rispose la ragazza che era venuta a prelevarlo insieme agli altri quattro uomini, facendosi largo.

    Il Soe

    ⁴ a Londra aveva deciso bene nell’istruire lei, rifletté Paul, le donne erano più veloci nelle trasmissioni e sotto pressione reagivano meglio degli uomini con messaggi concisi e senza errori.

    «Ho bisogno di mettermi in contatto con Londra al più presto, per comunicare l’avvenuto arrivo e ricevere il piano operativo».

    «Va bene, andiamo di sopra, il nostro canale di ricezione a Londra si apre tra qualche minuto. Come già saprai la trasmissione non deve durare più di quindici minuti, altrimenti c’è il rischio di essere rintracciati» precisò Sophie salendo la scala.«Ci sono sempre in giro delle squadre della Gestapo con i furgoni muniti di radiogoniometri per le intercettazioni delle comunicazioni radio» spiegò, girandosi appena verso Paul che la seguiva sulla scala.

    «Sei stata in Inghilterra al Centro Addestramento per imparare?» le chiese.

    «No. Sei mesi fa, più o meno, è atterrato nelle lande a est di qui uno dei vostri piccoli aerei, quelli che chiamate Lizzie.Ha scaricato una persona che aveva con sé la radio portatile che uso tuttora e mi ha insegnato a usarla»rispose mentre apriva la valigetta di cuoio, posizionata su un tavolo, stendeva su chiodi fissati alle pareti il filo dell’antenna, inseriva la spina e accendeva la piccola radio.

    «Come mai non sei arrivato con uno di quegli aerei?» domandò Sophie, sedendosi.

    «Il Lysander è un aereo adattissimo allo scopo per cui è stato costruito, atterra e si alza in 200 metri,e può volare a bassissima quota, ma ha dei limiti, può trasportare al massimo tre persone oltre al pilota ed è piccolo ma pesante, adatto a terreni duri. In questa stagione piove molto e nelle lande il terreno è morbido, non possono rischiare che un aereo resti impantanato e venga preso dai tedeschi».

    Sophie estrasse dalla valigetta un cartoncino rigido su cui era stampata una fila distanziata di numeri da zero a nove e un listello con dieci fori circolari contraddistinti da una lettera che posizionò sulla fila dei numeri. Tolse un libretto dalla copertina nera, che di norma corrispondeva a un comune romanzo.

    Paul sapeva come funzionava: da Londra gli avrebbero comunicato in sequenza le lettere riferite ai fori circolari e che, in base al cartoncino numerato, avrebbero indicato la pagina del romanzo a cui fare riferimento.

    La serie di numeri e lettere successive, trasmessi dal Soe, avrebbe indicato le righe e il foro a cui attenersi una volta posizionato il listello su di essa, per rilevare le lettere che componevano il messaggio.

    L’operatore, una volta finita la trasmissione, doveva mettere insieme le lettere che avrebbero composto il comunicato: era un procedimento molto lungo ma tutto questo rendeva quasi impossibile decrittarlo.

    Ogni mese da Londra veniva paracadutato insieme ad altro materiale un nuovo libretto con il testo completamente diverso. Anche lui era stato addestrato all’uso delle ricetrasmittenti portatili e conosceva le tecniche usate dal nemico per rintracciarli. Sapeva che servivano tre intercettazioni distinte da tre punti diversi; la congiunzione delle tre rette tracciate su una cartina topografica della zona avrebbe dato l’esatto punto da cui partivano le trasmissioni radio.

    Era quindi indispensabile che le trasmissioni fossero fatte il più frequentemente possibile in posti diversi e nel minor tempo possibile.

    Sophie accese la ricetrasmittente, indossò le cuffie, ruotò il selettore della frequenza finché non trovò quella su cui doveva trasmettere e battendo sul tasto del telegrafo trasmise in codice Morse il segnale identificativo.

    Dopo pochi secondi, spostando il selettore su ricezione, captò da Londra il consenso a trasmettere.

    «Comunica che il pacco è arrivato senza problemi e che devono procedere al più presto come è stato convenuto e chiudi la trasmissione» gli disse Paul posizionandosi al suo fianco.

    «Non dovevi ricevere ordini?» chiese Sophie dopo aver criptato e trasmesso il messaggio.

    «Nessun ordine,» aggiunse lui abbassando il tono di voce«al momento non devo ricevere nessun piano operativo, la mia presenza qui è per un altro motivo». Fece una breve pausa e il viso gli si colorò di un’espressione preoccupata:«Chiamami Bastien, devo parlare con voi due».

    «C’è una spia nel vostro gruppo»annunciò, dopo che Bastien si fu seduto.

    «Non è possibile» esclamò Sophie alzandosi in piedi e fronteggiandolo.

    Paul li guardò, Bastien era rimasto silenzioso, mentre Sophie continuava a guardarlo con astio e lui non poté evitare di rimanere un attimo interdetto dalla bellezza del suo viso alterato.

    «Noi siamo dei patrioti e…».

    «A Londra sanno chi sei tu e chi è Bastien» continuò Paul, alzando una mano per interromperla«e hanno la massima fiducia in voi. Prima della missione, ho parlato a lungo con il colonnello Parker. Il mese scorso lo avete tenuto nascosto per due settimane nella tua cantina, prima che venissero a prelevarlo. Il colonnello era in possesso di informazioni vitali sulla dislocazione di stazioni radio tedesche della costa. Se fosse caduto in mani nemiche sarebbe stato un disastro e probabilmente l’invasione sarebbe stata ritardata di settimane. Tu e Bastien lo avete nascosto, sfamato e organizzato il recupero, correndo un rischio enorme e tutto questo all’insaputa del tuo gruppo, per evitare fughe di notizie, ed è andato tutto liscio. Ma Londra, e quindi il Soe, non conosce gli altri componenti del gruppo e…».

    «Qui ci sono uomini a cui hanno ammazzato fratelli, figli,

    genitori e parenti,» sbottò Sophie«che odiano quei porci di nazisti con tutte le loro forze. Ci sono uomini che non esiterebbero, me compresa, nel dare la vita per la Francia».

    «Avrete occasione di dimostrarlo, stai tranquilla, ma in mezzo a questi uomini coraggiosi c’è anche un traditore» replicò Paul fissandola cupo in volto.

    «Siediti Sophie,»le disse Bastien«sono stato io a esprimere il mio dubbio al colonnello Parker. Èstato in occasione dell’attacco al nodo ferroviario di Combourg, Quando siamo arrivati sul posto sembrava che tutta l’area fosse poco sorvegliata, esattamente come nelle ricognizioni precedenti, poi improvvisamente sono sbucati fuori dal nulla. Erano tanti, troppi per noi. Solo per miracolo siamo riusciti a sganciarci. Secondo me i tedeschi sapevano tutto. Non ti ho detto niente per evitare che tu avessi atteggiamenti che potessero far insospettire chi sicuramente aveva fornito l’informazione ai boches.Purtroppo abbiamo lasciato sul terreno due morti prima di disperderci. Se c’è una spia, quell’infame ha sulla coscienza quei due ragazzi. Adesso sentiamo quello che ha da dirci lui»concluse Bastien.

    «Non è possibile» disse Sophie con un filo di voce, sedendosi.

    «Vi spiegherò come siamo giunti a questa conclusione. Dovete sapere» spiegò Paul, cercando per la loro sicurezza di rivelare il meno possibile «che a volte riusciamo a decifrare le loro trasmissioni radio in codice. Il nome che gli è stato assegnato dai tedeschi è Achille e dobbiamo scoprire chi è».

    Paul rimase in silenzio diversi secondi aspettando che assimilassero quello che gli aveva appena detto e il suo pensiero andò a qualche mese prima, alla visita che aveva fatto a Bletchley Park,⁵ nelle vicinanze di Londra.

    Una sontuosa residenza nei cui sotterranei era stata dislocata una sezione del controspionaggio che veniva chiamata Decima Stazione, dove matematici, linguisti, analisti, ingegneri, maestri di scacchi reclutati da tutta la Gran Bretagna, giorno e notte, con l’ausilio di speciali macchine elettromeccaniche a rotori, cercavano di decrittare le intercettazioni tedesche.

    Già dal 1942 avevano ideato diversi metodi per forzare le loro chiavi di codifica e che davano come risultato il testo in chiaro.

    Avevano raggiunto un livello tale da riuscire a decrittarne una buona parte e questo, come gli aveva spiegato il maggiore Locran, un gigante con una testa grossa che ciondolava mentre camminava percorrendo le varie sale piene zeppe di scrivanie e macchinari rumorosi, aveva dato un grosso contributo alla guerra, perché aveva permesso loro di individuare, in molti casi, la dislocazione dei sommergibili U-Boot nell’Atlantico e nel Mediterraneo, la posizione delle loro armate, i raid aerei e tante altre operazioni.

    Quasi mai si riusciva a decrittare i testi per intero, ma l’intuito, l’esperienza, e il ragionamento facevano in modo che il più delle volte si trovasse il nesso logico di quello che i tedeschi avevano voluto trasmettere. Era stato proprio per merito dei cervelloni della Decima Stazione che quasi tutte le spie tedesche in Inghilterra erano state scoperte.

    Erano centinaia le trasmissioni radio che riuscivano a rilevare e decrittare, e tutte venivano analizzate, confrontate e catalogate.

    «Dopo aver parlato con il colonnello Parker» proseguì Paul «abbiamo prestato particolare attenzione alle comunicazioni radio tedesche che partivano da questa zona. Dieci giorni fa è stato rilevato e decrittato un messaggio radio tedesco, partito dalla sede della Gestapo di Brestin cui, con la massima urgenza, si richiedeva di smantellare la stazione di Argentan perché Achille aveva riferito che gli inglesi l’avrebbero sicuramente bombardata a breve, e la fonte era attendibile. Quattro giorni prima di decodificare questo messaggio, voi avete ricevuto l’ordine di scattare delle foto proprio di quella centrale

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