Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Il giocatore di scacchi
Il giocatore di scacchi
Il giocatore di scacchi
E-book255 pagine3 ore

Il giocatore di scacchi

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Una coppia di giovani sposi sta per acquistare una vecchia casa. La cantina di pertinenza dell’immobile è piena di oggetti appartenuti al proprietario, morto dieci anni prima. La venditrice, un’amica della proprietaria, li informa che potranno disfarsi di quegli oggetti una volta acquistato l’immobile. Prima di concludere la trattativa, la donna propone loro una sostanziosa riduzione di prezzo a un’unica condizione: dovranno conservare uno di quegli oggetti, un baule chiuso con tre lucchetti, fino a quando la proprietaria, che attualmente risiede in una casa di riposo, non sarà deceduta.    

LinguaItaliano
EditoreBadPress
Data di uscita6 giu 2024
ISBN9781667475240
Il giocatore di scacchi

Leggi altro di Esteban Navarro Soriano

Correlato a Il giocatore di scacchi

Ebook correlati

Thriller criminale per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Categorie correlate

Recensioni su Il giocatore di scacchi

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Il giocatore di scacchi - Esteban Navarro Soriano

    1. Sergio e Angela

    La giovane coppia si innamora della casa appena legge l’annuncio. A vedere l’appartamento li accompagna la signora Trinidad, un’amica della propietaria, che si è occupata di pubblicare l’annuncio sulla rivista el Capgròs e che è stata incaricata di seguire la compravendita.

    Appartamento in zona centrale, buona posizione, a meno di un’ora di treno, o mezz’ora di macchina, da Barcellona. Secondo piano. Palazzina con pochi inquilini. Terrazza. Cantina. Facilità di parcheggio. Arredato. Ristrutturato.

    Sergio, da buon poliziotto, chiede informazioni e viene a sapere che la palazzina era stata fatta costruire da Anselmo Calenda, noto imprenditore di Mataró, su un terreno dove in precedenza sorgeva un’azienda di autodemolizioni degli anni cinquanta che all’epoca occupava tutta la strada. Quando l’azienda cessò l’attività, il terreno fu messo in vendita e vennero costruiti diversi edifici che formano l’attuale quartiere. Quella palazzina fu la prima a essere costruita e il proprietario tenne per sé un appartamento al secondo piano.

    Trinidad ha un’età indefinita, difficile da indovinare. E’ una di quelle persone che potrebbero avere sessant’anni, come settanta o ottanta. L’assenza di rughe e la postura diritta le conferiscono un aspetto sano. Quando arrivano davanti alla palazzina, la donna, da brava anziana, comincia a raccontare la storia della sua vita. Mentre parla, si sforza di non dare a vedere che è costretta a respirare con la bocca, per non soffocare. 

    —Sono rimasta vedova durante la guerra civile —dice rovistando nella borsa per cercare le chiavi.

    Non le credono. Se così fosse, la donna dovrebbe avere almeno novant’anni.

    —Aspettate un momento —si scusa—, ho dimenticato a casa le chiavi.

    La coppia osserva la donna che cammina diritta sul marciapiede ed entra in un portone due numeri più avanti.

    —Quella donna è una bugiarda —dice Angela al marito, come se la conoscesse.

    —Lascia che racconti —replica Sergio—. Agli anziani piace raccontare la propria vita, li fa sentire importanti.

    Sergio ha la stessa età della moglie. Da qualche anno si è arruolato nella polizia di stato e finalmente gli è stato concesso il trasferimento da Barcellona a Mataró. Mentre aspettano, osservano le due enormi bitte stradali che impediscono il passaggio di un veicolo più largo di una bicicletta. Dietro alla palazzina si erge una montagna rocciosa ricoperta lungo i pendii da una distesa di pini mediterranei.

    —Siete di Barcellona? —domanda l’anziana signora quando ritorna.

    —Abitiamo lì —risponde Sergio—. Ma io sono originario di Murcia. Anche se i miei genitori si sono trasferiti qui quando ero piccolo, e qui sono rimasto.

    —E tu? —chiede ad Angela—. Di dove sei?

    —Di Barcellona —risponde seria.

    —E a quanto pare volete venire ad abitare a Mataró —afferma sorridendo—. Lavori qui? —chiede rivolta alla ragazza.

    —No, al momento no. Ma verrò presto a lavorare qui.

    —Te lo chiedo perché il tuo viso mi è familiare. —Angela cambia espressione—. Come ti chiami?

    —Angela.

    —Angela e poi?

    — Ortega.

    —Angela —ripete mormorando—. E’ un bel nome. Cosa fai nella vita?

    —Sono una gemmologa.

    —Una gemmologa? Non so cosa sia.

    —In breve, mi occupo della valutazione delle pietre preziose e delle gemme. Da cui il termine gemmologa.

    —Capisco. E tu? —chiede a Sergio—. Vi sembrerò una ficcanaso, ma con i tempi che corrono è indispensabile sapere chi sono le persone che ci mettiamo in casa.

    —Sono un poliziotto e per il momento nemmeno io lavoro a Mataró. Ma anch’io verrò a lavorare qui tra non molto, dato che ho ottenuto il trasferimento al commissariato di Mataró.

    —Ah, bene. Un poliziotto è sempre una persona fidata.

    Sergio conferma con un sorriso.

    —E tu sei già stato qui altre volte?

    —Qualche volta —risponde—. Ma sempre di passaggio.

    —Scommetto per andare in discoteca.

    —Scommetta pure che vincerà la scommessa—risponde—. La discoteca Chasis è un bel richiamo.

    —Non perdiamo altro tempo che sicuramente avrete altro da fare. Venite, vi faccio vedere l’appartamento—dice aprendo la porta d’ingresso con la chiave che ha tenuto in mano per tutto il tempo—. Questa porta è di ferro battuto. All’inizio si sente molto il rumore quando viene chiusa, ma dopo qualche giorno ci si abitua e vedrete che non vi accorgerete neanche più che esiste.  Una delle cose migliori di questo condominio sono i vicini: sono pochi ed è brava gente. Se verrete ad abitare qui vedrete che non vi daranno nessun problema.

    Poi sorride con malizia, come se avesse detto qualcosa di molto sagace. E dal sorriso passa alla risata. Sembra quasi che abbia ingoiato una coppia di passerotti.

    2. Dieci anni prima

    Sono le otto di sera, passate da pochi minuti, di un venerdì di giugno insolitamente caldo. La temperatura è piacevole all’interno del seminterrato, mentre fuori le nuvole rivestono il cielo come un gregge di pecorelle. Lui ha 78 anni. Li porta bene e ha ancora abbastanza capelli da sembrare in salute. Veste in modo elegante, con un blazer formale in poliestere blu scuro. I pantaloni sono di tergal, abbinati a una camicia color zaffiro. Nulla rivela lo stato sociale di quell’uomo, a parte i mocassini. Un paio di Salvatore Ferragamo di nappa lascia indovinare che l’uomo è molto ricco, o che vuole sembrare tale. Si siede comodamente su una sedia in rovere massiccio con la seduta di paglia intrecciata. E’ una vecchia sedia, come tutto ciò che si trova in quella cantina. E’ circondato da oggetti di ogni genere, sparsi sui vari scaffali di legno: sveglie, strumenti musicali, libri, quadri, barattoli di vetro, tappi di bevande, timbri, vestitini da neonato con l’etichetta ancora attaccata, un paio di radio del secolo scorso, bambole di porcellana e pipe in radica. L’anziano inforca un paio di occhiali con una spessa montatura nera, perché ha bisogno di vederci bene.

    Lei ha diciotto anni. E’ alta. E’ magra. E’ bella. Il trucco nasconde l’espressione di tristezza dei suoi occhi. E’ triste, ma si sforza di fare una smorfia che assomiglia a un sorriso. Indossa un abito longuette, con un’ampia gonna plissettata. Il corpetto senza maniche è rifinito con dei volants ed è chiuso da una serie di bottoni a forma di goccia e da laccetti. Le scarpe décolleté aperte in punta mettono in mostra delle unghie pitturate di un colore rosso scuro, quasi granata.

    C’è qualcun altro; ma nessuno dei due sembra accorgersi della sua presenza, lo considerano per quello che è: un oggetto inanimato. E’ un robot. Ha la forma di un umanoide, con un turbante di stoffa che gli copre la testa, forse per nascondere qualche complesso macchinario al suo interno. E’ seduto dietro a un piccolo banco marrone. Sopra al banco, davanti ai suoi occhi senza vita, c’è una scacchiera. Ha una sola mano, quella destra. Ed è appoggiata sul pedone posizionato davanti al re, pronto per iniziare una partita contro un avversario invisibile. Gioca con gli scacchi bianchi, come fa sempre. E vince sempre.

    Lei è già abituata alla presenza di quell’aggeggio. Così come si è abituata alla lugubre atmosfera di quella cantina. E a quel baule chiuso da tre lucchetti, abbandonato in un angolo a prender polvere e a custodire segreti che risalgono all’anteguerra. Si è abituata anche a quei quadri inquietanti, la maggior parte dei quali con motivi religiosi. E all’armadio a tre ante che si trova dietro alle spalle del vecchio, che ora la sta osservando strizzando gli occhi.

    L’uomo le chiede di tirarsi su la gonna.

    —In ginocchio —ordina con un filo di voce, come se i suoi polmoni non avessero aria sufficiente per respirare—. In ginocchio, ma con il culo per aria. Voglio vederlo bene.

    La ragazza si china posando le mani sulla fredda graniglia. Le palme verso il basso e il sedere per aria. Il vecchio si abbassa la cerniera dei pantaloni. Vede disgustata che l’uomo tira fuori un lembo di pelle. Lo palpeggia qualche secondo, invano.

    —Vieni —le dice—. Sussurrami qualcosa all’orecchio.

    La ragazza si avvicina. Appoggia le mani sulla sedia e la bocca al suo orecchio. Sussurra frasi peccaminose con un tono di voce dolce e sensuale. Lui si eccita fino a quando il suo membro inizia a prendere forma.

    —Adesso —la esorta—. Forza, prima che si ammosci.

    —No. Lo sai che questo non rientra nei patti.

    Lei si sposta. Si mette davanti a lui e inizia ad accarezzarsi, come se si stesse masturbando. Con la mano destra si strofina il sesso, mentre con la sinistra si accarezza il seno. Cerca di forzare una smorfia di piacere, ma prova solo disgusto. Desidera solo che quel vecchio bavoso faccia in fretta in modo da porre fine a quella scena al più presto. Lui si eccita nel vederla così, la immagina inginocchiata che gode del suo membro. Lo sente gemere. Le sue mani si riempiono di liquido appiccicoso. Poi, come se fossero una coppia di amanti, lui la guarda dolcemente. Gli piace vederla così, umiliata.

    —Prendi —le dice senza alzarsi in piedi e porgendole una busta che ha preso da un cassetto dell’armadio alla sua sinistra—. Qui c’è la tua paga.

    —Non è quello che abbiamo concordato—esclama rifiutando la busta, dopo averne verificato il contenuto.

    —Lo so —conferma—. Ma mi sembra che ti sto già dando fin troppi soldi per quello che fai. Per la metà di quei soldi posso trovare una che me lo prende anche in bocca.

    —Sei un essere immondo —commenta la ragazza masticando le parole come se fossero pietre—. Sei l’essere più disgustoso che esista sulla faccia della terra. Ho fatto quello che mi hai chiesto di fare. E ora mi stai dando un quarto della cifra stabilita, quando so benissimo che ricavi un sacco di soldi da tutto questo.

    Il vecchio storce la bocca come se l’avessero scoperto a dire una bugia.

    —Sei tu quella che ha bisogno di soldi, non io. E ti sto già dando fin troppo —afferma con una risata perversa—. Tra non molto non avrai più neanche i denti e non servirai più neanche per farti pisciare addosso. Avanti, prendi quei soldi e torna la prossima settimana che magari, se lo fai meglio, ti posso dare qualcosa di più.

    La ragazza afferra un martello dallo scaffale alla sua destra. Sa che il martello è lì, perché ce l’ha messo lei il giorno prima, quando è scesa in cantina di nascosto.

    —Sei un vecchio schifoso. E lo so a cosa ti servo—inveisce contro di lui tutta rossa in viso—. E so anche perché vuoi che mi spogli e mi tocchi davanti al giocatore di scacchi —dice guardando il robot.

    L’uomo cambia espressione.

    —Ascolta... —le dice cercando di tranquillizzarla—. Non so di cosa stai parlando, ma ti darò i soldi che ti devo.

    La ragazza gli assesta tre colpi consecutivi fino a che sulla testa dell’uomo si apre una ferita grande come una mela. Il primo colpo lo stordisce. Il secondo gli frattura il cranio. E il terzo lo ammazza. C’è molto sangue, e molta paura. Ma non si sente alcun rumore. Si è sentito solo un colpo secco quando il suo corpo si è accasciato sul pavimento. Lei lo osserva senza posare il martello che regge ancora in mano. Giace a pancia in giù, con la testa adagiata sulla graniglia, come un animale che cerca di nascondersi in una tana inesistente. L’ha visto afflosciarsi a terra e contrarsi in una pozza formata dal suo proprio sangue. Adesso sembra sereno. Calmo e tranquillo come se stesse dormendo.

    Si mette a posto la gonna. Si risistema le spalline del vestito e si rimette una scarpa che le era scivolata via.  Sa che non indagheranno molto, perché a nessuno importa della morte di un vecchio di  78 anni. Ma non può andarsene senza prima ricomporre la scena del crimine e fare in modo che ciò che è successo sembri un incidente di uno stupido vecchio travolto da uno scaffale in una cantina disordinata.

    Prende la chiave che si trova in un vasetto di vetro dello yogurt sullo scaffale di destra e la posa sopra l’interruttore della porta di ingresso, in modo che non vada persa. Con tutta la forza che ha, rovescia lo scaffale sul corpo steso a terra. Poi prende un piccolo radiatore dallo scaffale di sinistra e glielo butta addosso. Vede una lamiera, la prende con un fazzoletto di carta e intinge la punta nel sangue che si trova sul pavimento. C’è talmente tanto disordine che è convinta che la polizia stabilirà che il vecchio è morto per un incidente mentre stava mettendo a posto gli scaffali.

    Con un cacciavite rimuove le quattro viti di uno degli interruttori. Vede che nell’interruttore di destra c’è una serratura per inserire la chiave. Infila la chiave e dà tre mandate complete a destra e poi una mandata completa a sinistra. Sente la mattonella del pavimento spostarsi lentamente. Sente un rumore di ferraglia sotto i suoi piedi. Facendo attenzione a non sporcarsi di sangue, infila la mano nella botola e afferra i due sacchi di tela e il manuale rilegato in pelle. Poi trascina il giocatore di scacchi spingendolo senza sforzo fino a quando non cade nella botola. Si mette vicino alla porta. Rimane in silenzio. Con lo sguardo perlustra la scena. Non si sente alcun rumore, solo il battito del suo cuore. L’unica cosa che si muove in quella cantina è un’ampia scia di sangue che serpeggia sul pavimento di graniglia fino a raggiungere il baule chiuso da tre lucchetti, che interrompe il suo passaggio. Aziona nuovamente il meccanismo per richiudere la botola.

    —Maledetto figlio di puttana —borbotta tra i denti osservando gli occhi spenti del robot che si perdono nell’oscurità.

    Prima di uscire osserva il cadavere del vecchio. Le viene la tentazione sputargli addosso, come se con quell’azione potesse sentirsi meglio. Ma riflettendoci capisce che, se lo facesse, difficilmente potrà sembrare un incidente.

    3. L’appartamento di Calenda

    Una nuvola di polvere e di umidità li investe quando la signora Trinidad apre la porta dell’appartamento.

    —E’ arredato? —chiede Angela.

    —Sí, e non vi spaventate per i mobili. Ma Aurora, la propietaria, è molto religiosa.

    —E lo vendono con dentro i mobili?

    —Sí, con tutti i mobili. Però se vi interessa l’appartamento, dopo potrete farci quello che vorrete.

    In una delle stanze ci sono due quadri appesi alla parete con simboli cabalistici.

    —E questa orribile culla?—Angela indica una culla, coperta da una sottile tela trasparente, che sembra quella del film Il seme del diavolo.

    —Appartiene alla propietaria —risponde—. Ma come vi ho detto, una volta che la casa sarà vostra potrete farne ciò che vorrete di quei mobili.

    In un’altra stanza, forse più piccola di quello che speravano, c’è uno studiolo, rivestito di legno nobile e la parete è piena di libri antichi, ricoperti da un evidente strato di polvere.

    —Fanno parte della biblioteca di Anselmo —dice.

    Sergio nota sulla parte alta della libreria, fin dove il suo metro e ottanta di altezza gli consente di vedere, una rivista «LiB», con una splendida Susana Estrada in copertina.

    —Cosa stai guardando? —gli chiede Angela.

    —Niente. Proseguiamo la visita.

    Il soggiorno è ampio e ben proporzionato ed è l’unica stanza sufficientemente illuminata, con un balcone che affaccia su via Ginesta.

    —E questa donna non ha dei figli che possano prendere i mobili e i libri? —chiede Sergio.

    —Non fare il ficcanaso—lo rimprovera la moglie.

    —Fa bene a chiedere. Chi non chiede non saprà mai. La coppia non ha avuto figli e adesso  Aurora è molto vecchia e malata —dice Trinidad toccandosi la tempia con la mano—. Suo fratello,  Matías, è morto qualche anno fa. E da allora non sappiamo nulla della sua unica figlia: Rita, che è l’unico familiare che le rimane.

    —Va bene così, Sergio —interviene Angela—. Non perseguitare più la signora con cose che non ci riguardano.

    —Cosa ve ne pare? Vi piace la casa?

    —Dipende —sorride Sergio.

    —Da cosa?

    —Dal prezzo.

    —Sessantamila euro.

    —Sessantamila euro? —chiede Angela per essere sicura.

    —Sí, è quello che ho detto.

    Angela guarda Sergio, in attesa di una risposta.

    —Vi lascio un momento in modo che possiate parlarne tra di voi —dice la signora Trinidad uscendo sul pianerottolo.

    —E’ la metà di quello che valgono le case in questa zona —mormora Angela cercando di contenere la gioia—. E’ un buon acquisto.

    Sergio corruga le labbra.

    —Tu credi?

    Lei gli restituisce uno sguardo esitante. Conosce perfettamente quello sguardo, che ha il significato di «decidi tu».

    —Ha un buon prezzo ed è centrale.

    —Non so —sospira Sergio—. A me la casa piace molto. Però magari sessanta metri quadri sono pochi per una famiglia. Lo dico pensando a dei figli —afferma strizzandole l’occhio.

    —Beh —interviene la signora

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1