Due sogni da realizzare: Harmony Collezione
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Info su questo ebook
Shelby Harris sta navigando in Internet, quando rimane senza fiato e incredula: hanno messo in vendita Stewart Manor, la splendida casa vittoriana dove lei ha trascorso gli anni più belli dell’infanzia. Dopo aver fatto mente locale sui risparmi, solleva il telefono.
La richiesta è di...
Patricia Thayer
Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.
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Anteprima del libro
Due sogni da realizzare - Patricia Thayer
successivo.
Prologo
«Raffaele Mario Covelli, esci immediatamente dall'ac qua!» esclamò a gran voce Vittoria chiamando il nipote di dieci anni. «Hai appena finito di mangiare, non te lo ricordi, eh?»
Il ragazzino uscì dalla piscina che suo padre aveva costruito nel giardino per vincere il caldo afoso dei mesi estivi.
«Ma.... nonna! Voglio nuotare con i miei amici.»
«Nuoterai più tardi. Prima devi digerire. Nel frattempo gioca con Angelina» lo esortò la donna, guardando con affetto la bimba di tre anni che giocava allegramente nella sabbiera.
«Neanche per sogno!» ribatté Rafe. «Io non gioco con una femmina.»
Vittoria scoccò un'occhiata severa al bambino. Sapeva che Rafe e suo fratello minore Rick adoravano la sorellina e giocavano spesso con lei. «Allora vieni qui, che ti racconto una storia.»
Gli occhi scuri di Rafe si illuminarono, mentre si sedeva sul proprio asciugamano. «Di nonno Enrico e di come diventò un eroe?»
Vittoria annuì, distese una coperta sull'erba e si sedette a sua volta. La piccola Angelina andò a sederle in grembo. «Vuoi sentire anche tu la storia, bambina?»
Angelina si scostò il cappellino dagli occhi e annuì entusiasta.
Rick e due suoi compagni di scuola andarono a raggiungere Vittoria sulla coperta.
«Molti anni fa la mia famiglia, i Perrone, viveva in un piccolo paese in Italia. Quand'ero ragazza c'era la guerra. Un giorno un aeroplano si schiantò poco lontano da casa nostra.»
«Era l'aereo del nonno. Un B-24» precisò Rafe.
Vittoria annuì. «Sì. Era un aereo americano. Era stato colpito e il pilota era stato costretto a un atterraggio di emergenza in un campo non lontano dalla nostra fattoria. Il giorno dopo trovai il sergente Enrico Covelli nascosto nel nostro fienile. Era ferito e aveva perso molto sangue.»
Vittoria ricordava quell'incontro come se fosse avvenuto il giorno prima. Il viso del giovane soldato era contratto da una smorfia per il dolore causatogli dalle ferite. Eppure era l'uomo più bello che lei avesse mai visto. Pur essendo un nemico, Vittoria non avrebbe potuto permettere che morisse nel suo fienile, né tanto meno in un campo di prigionia.
«Così lo salvasti.»
Immersa nei ricordi, Vittoria udì appena la voce del nipote. «Sapevo che avrei dovuto consegnarlo alle autorità, ma finii per curare le sue ferite, restandogli vicina mentre combatteva la febbre. Poi, qualche giorno dopo, cominciò a riprendere le forze. Era americano, ma parlava italiano. Rimasi sorpresa quando mi disse di chiamarsi Enrico Covelli. I suoi genitori si erano trasferiti in America da Roma. Non potevo denunciarlo.»
«No, nonna» esclamò Rafe scuotendo il capo. «Dovevi nasconderlo.»
Gli altri tre ragazzini annuirono.
«Ma io avevo paura che venisse scoperto» riprese Vittoria. Inoltre aveva capito che si stava innamorando di quell'americano. Poi una notte Enrico le confessò di amarla. Non avrebbe voluto lasciarla, ma doveva tornare dietro le linee alleate.
Riprese il proprio racconto. «Il giorno dopo, prima di andarsene, nonno Enrico mi promise che sarebbe ritornato quando la guerra fosse finita. Disse che voleva sposarmi, e portarmi con sé in America. Poi mi baciò e scomparve nella notte.»
Rafe si alzò, chinandosi verso di lei. «Posso andare a prendere il cofanetto?» le sussurrò.
Vittoria annuì, e Rafe corse in casa. Ne uscì pochi minuti dopo, con uno scrigno di legno superbamente intagliato. Vittoria estrasse una medaglia dal cofanetto.
Rafe la prese con riverenza, mostrandola agli altri bambini. «Il nonno la ricevette per essere stato abbattuto.» I bambini si passarono la medaglia ammirandola con soggezione.
«Per mesi non seppi cosa fosse successo a Enrico. Poi la guerra finì.» Gli occhi della donna si riempirono di lacrime. «Pensai che fosse morto, perché non ricevetti alcuna notizia da parte sua. Poi mio padre decise che avrei dovuto sposare Giovanni Valente.»
Rafe socchiuse gli occhi.
«Ma tu non volevi sposarlo.»
«No, Rafe. Perché io ero innamorata di Enrico. Ma la mia famiglia voleva che lo sposassi perché i Valente erano facoltosi. A noi, invece, la guerra aveva lasciato solo la coppia di anelli di rubini che costituivano la mia dote. E mio padre aveva già dato gli anelli a Giovanni.»
La rattristava ancora ricordare tutto ciò. Aveva usato la seta bianca del paracadute di Enrico per cucirsi la veste nuziale. Se non altro avrebbe avuto con sé qualcosa del suo vero amore.
«Ma il nonno tornò a salvarti.»
Vittoria sorrise. «Sì. Ritornò la settimana in cui mi sarei dovuta sposare.»
Ricordava chiaramente quel giorno. Era quasi svenuta quando aveva rivisto Enrico. Lui l'aveva presa tra le braccia e l'aveva baciata, convincendola che non stava sognando.
«Il nonno mi chiese di sposarlo, ma mio padre dichiarò che ero già promessa a un altro. Enrico non si arrese. Insieme ci recammo dai Valente per spiegare ogni cosa. Giovanni si infuriò, ma alla fine accettò di sciogliermi dalla promessa di matrimonio. Tuttavia giurò che non si sarebbe mai sposato, e si rifiutò di rendermi uno dei due anelli. Poi sua madre li maledisse entrambi, dichiarando che finché non fossero tornati insieme, la strada dell'amore sarebbe stata irta di difficoltà per i Covelli.»
Vittoria aveva sofferto nel profondo del cuore per tutti quegli anni. Aprì ancora il cofanetto, e ne estrasse l'anello rimastole. Anche se il suo Enrico non aveva mai creduto nella maledizione, Vittoria sapeva che qualcosa aveva offuscato il loro amore negli anni. Aveva faticato a concepire un figlio, anche se poi era stata benedetta da due maschi. E suo figlio Raffaele aveva rischiato di non riuscire a giungere all'altare con la sua sposa, Maria.
«Posso vederlo?» domandò Rafe estasiato.
Vittoria gli mostrò il grosso rubino sanguigno circondato di brillanti, fissato su una fascia d'oro cesellato.
«Wow! Scommetto che vale un milione di dollari!»
«Oh, Raffaele! Questo anello è un simbolo d'amore, il suo valore è inestimabile. E il vero amore è l'unica cosa che possa spezzare la maledizione.»
1
Pur avendo più di cent'anni, Stewart Manor era ancora uno spettacolo a vedersi.
Rafe Covelli attraversò con il furgone il cancello di ferro battuto, lo sguardo fisso sull'edificio. Anni addietro quella casa era stata una delle residenze più sontuose di Haven Springs. E né le tegole mancanti né la vernice scrostata potevano sminuire lo splendore della sua architettura.
L'edificio era stato costruito per William Stewart, un facoltoso uomo d'affari che era stato il sindaco di Haven Springs sul finire del diciannovesimo secolo. Suo figlio e sua moglie erano vissuti là con la loro unica bambina, Hannah. Rafe ricordava ancora la signorina Hannah, che non si era mai sposata ed era vissuta a Stewart Manor fino alla propria morte, tre anni prima.
Un lontano cugino aveva ereditato la proprietà, mettendola all'asta per un decimo del suo valore. Così, per la prima volta, la casa sarebbe stata abitata da qualcuno che non apparteneva alla famiglia Stewart.
Rafe fermò il furgone, e notò la donna in piedi sotto il portico. Stava per incontrare Shelby Harris, nuova abitante di Haven Springs. Scese portando con sé il blocco per gli appunti. Si diresse verso il portico sul sentiero fiancheggiato dalle erbacce.
«La signorina Harris?» domandò toccandosi il berretto con il logo della Covelli e Figli cucito sulla visiera. «Sono Rafe Covelli.»
La donna, che sembrava avere poco meno di trent'anni, annuì. «Grazie per essere venuto, signor Covelli.»
«Nessun problema. Stiamo restaurando le facciate di alcune case da queste parti.»
Quando Rafe le fu accanto, notò con stupore che la donna era alta quasi quanto lui. Dal momento che lui era più di un metro e ottanta, Shelby Harris doveva essere almeno un metro e settantacinque. Una rapida occhiata gli disse che la sua altezza era dovuta a due gambe lunghe e snelle, fasciate da un paio di jeans piacevolmente aderenti.
Il suo sguardo si spostò sulla vita sottile, poi sulla maglietta di cotone che metteva in evidenza il suo seno pieno. Le pulsazioni di Rafe accelerarono. Era passato qualche tempo da quando una straniera tanto carina era capitata in paese. L'ultima era stata Jill Morgan, che aveva sposato suo fratello Rick. Rafe osservò l'ovale del viso, incorniciato da corti riccioli castani, e il suo cuore effettuò un salto mortale, quando lui incontrò i più incredibili occhi verdi che avesse mai visto.
Lei si affrettò a distogliere lo sguardo, apparentemente innervosita da quell'esame. «Come le ho anticipato al telefono, ho intenzione di trasformare Stewart Manor in un Bed and Breakfast.»
«E io le ho spiegato che ci sarebbe voluto parecchio lavoro. E denaro.»
«Il lavoro non mi spaventa, signor Covelli» ribatté lei. «Ma se lei non si sente all'altezza...»
Quella donna pungeva come le foglie di un cactus. «Non ho detto questo.» Rafe scese dal portico e socchiuse gli occhi sotto il sole di agosto, studiando la struttura imponente. Il tetto era in cattive condizioni, il che significava che probabilmente la pioggia aveva causato dei danni all'interno.
La guardò di nuovo. «Di quanto tempo e denaro dispone, signorina Harris?»
«Volevo appunto parlarne con lei.»
Scorgendo l'espressione del suo viso, Rafe seppe di essere nei guai. «La ascolto.»
Lei raddrizzò la schiena. «Ho speso la maggior parte dei contanti dei quali disponevo per l'acquisto di questa casa. Ci vorrà all'incirca un mese, prima che ne abbia a disposizione altri. Per il momento devo essere parsimoniosa. Speravo che saremmo riusciti a raggiungere un accordo.»
Rafe sapeva che se ne sarebbe dovuto andare. Ma qualcosa lo trattenne. Forse era curioso di sapere perché una donna sola avesse voluto comprare quella vecchia casa per trasformarla in un Bed and Breakfast. «Che cosa aveva in mente?»
Shelby lo raggiunse sotto il sole, i cui raggi fecero risaltare i riflessi ramati dei suoi capelli. «Dal momento che questa casa ha un valore storico, il restauro della facciata dovrebbe essere finanziato dallo stato.»
Rafe annuì.
Lei riprese. «Vorrei che lei desse un'occhiata al tetto e alle camere al primo piano, e mi dicesse cosa mi verrebbe a costare farle sistemare...» esitò, poi trasse un respiro profondo, «poco alla volta. Cominciando dallo stretto indispensabile per iniziare l'attività.»
Rafe trattenne un sorriso. «Haven Springs non è esattamente gremita di turisti.»
«Ma in estate ne passano molti, diretti verso il lago Michigan. E d'autunno vengono ad ammirare il fogliame degli alberi. Numerosi turisti apprezzano l'opportunità di fermarsi in un monumento storico.»
Rafe notò la sua espressione determinata, le labbra piene imbronciate, e sentì qualcosa muoversi nel proprio stomaco. Dannazione!
«Andiamo a vedere» esclamò dirigendosi verso la pesante porta di quercia. L'aprì ed entrò in un ingresso enorme. La fresca penombra lo accolse, mentre avanzava lentamente sul pavimento di legno. La scalinata dalla parte opposta dell'ingresso conduceva al piano superiore. Dalla ringhiera mancavano numerose assi, e alcuni gradini erano pericolanti.
«Meglio che stia lontana da quelle scale finché non le ho controllate» le disse Rafe entrando nel salone principale.
Shelby rimase indietro. Quel presuntuoso la credeva tanto inetta, da sentirsi in dovere di avvertirla perfino dei pericoli più evidenti. Lei era perfettamente in grado di badare a se stessa, come aveva fatto per tutta la sua