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L amica speciale del marchese
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E-book238 pagine3 ore

L amica speciale del marchese

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Info su questo ebook

Londra, 1818.
Diseredata dal padre e fresca vedova di un marito violento, Cecilia Lockhart trova lavoro in un locale per soli uomini a Parigi, dove si trasforma nella spregiudicata cortigiana Madame Coquette. Qui, nella città più romantica del mondo, incontra Oliver Gregory, figlio illegittimo del Marchese di Amberford. Uniti da un'infanzia solitaria, Oliver e Cecilia scoprono la tenerezza di un'amicizia che sfocia nel giro di una sola notte in un incontro appassionato. Quando la mattina dopo Oliver scopre che lei se ne è andata, è convinto di non rivederla mai più. In realtà la incontra, qualche tempo dopo, nell'esclusivo club di cui lui è proprietario, incinta di suo figlio! L'onore imporrebbe un matrimonio riparatore, ma l'indipendenza di Cecilia è più forte di qualsiasi promessa.
LinguaItaliano
Data di uscita20 set 2018
ISBN9788858987254
L amica speciale del marchese
Autore

Diane Gaston

Diane Gaston's dream job had always been to write romance novels. One day she dared to pursue that dream and has never looked back. Her books have won Romance's highest honours: the RITA Award, the National Readers Choice Award, Holt Medallion, Golden Quill, and Golden Heart. She lives in Virginia with her husband and three very ordinary house cats. Diane loves to hear from readers and friends. Visit her website at: http://dianegaston.com

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    Anteprima del libro

    L amica speciale del marchese - Diane Gaston

    successivo.

    Prologo

    Parigi, 1816

    «È morto?»

    Cecilia Lockhart era sulla soglia della sua squallida stanza, a Parigi. C'era sempre un frastuono assordante, per non parlare del fetore di cipolle, urina e sudore. Eppure, secondo suo marito, avrebbe dovuto essere grata dell'alloggio.

    Nel corridoio c'era un militare, rigido e impassibile, che non riusciva a guardarla negli occhi. «Ucciso da un francese in duello» precisò in tono di disapprovazione, perché i duelli erano proibiti, nel reggimento. «Sembra che avesse bevuto parecchio.»

    C'era da aspettarselo, si disse Cecilia. A Duncan piaceva alzare il gomito. «Come mai? Aveva barato a carte, o insultato un francese?» Perché curarsi di chiederlo, poi, visto che non le importava il motivo della sua morte?

    «Il francese aveva trovato Lockhart a letto con la moglie.»

    Oh.

    Quel particolare era l'ennesima umiliazione, un altro schiaffo in faccia. Però non avrebbe dovuto bruciarle. «E adesso cosa succederà?»

    «Lo seppelliremo, e voi potrete tornare a casa. Avete i soldi per il viaggio?» ribatté l'ufficiale senza alcuna comprensione, forse preoccupato di dover organizzare una colletta per lei.

    «Non mi serve niente. Vi ringrazio di avermi informata.»

    L'ufficiale si congedò con un cenno del capo. Cecilia chiuse la porta e vi appoggiò la fronte. I passi dell'uomo che si allontanava si confusero con gli onnipresenti rumori dello stabile.

    Un bambino piangeva, una coppia litigava, una vecchia si lamentava, ma per Cecilia era come se un fulgido sole avesse fatto capolino tra le nubi.

    1

    Parigi, agosto 1818

    Era l'alba, e Oliver Gregory passeggiava sul lungo Senna. Il cielo che si andava schiarendo illuminava l'acqua di riflessi violetti, e i palazzi di Parigi assumevano una morbida sfumatura rosata che li rendeva più suggestivi che alla luce piena del giorno. A quell'ora Londra, invece, sembrava solo un dedalo buio e sinistro di viuzze e negozi chiusi.

    E Calcutta, la città in cui era nato, era impossibile da descrivere. Oliver cercò di ricordare l'ambiente esotico in cui aveva trascorso l'infanzia e la donna avvolta in sete variopinte che lo teneva in braccio e gli sussurrava vezzeggiativi in hindi.

    Immerso nella quiete dell'alba, poteva richiamare alla memoria quei giorni. Temeva di dimenticarli più del periodo di depressione che era seguito. Dedicarsi ai bagordi non lo aiutava a scacciare i demoni, anche se le sue abitudini servivano appositamente a distrarlo dalla tristezza della perdita. Quale luogo migliore, per dimenticare, di un club per soli uomini intenzionati a dedicarsi ai piaceri della carne? Oliver era uno dei proprietari del Vitium et Virtus, un circolo che aveva aperto insieme a tre amici quando ancora studiavano a Oxford, per godere di piaceri decadenti, che fossero le donne, il brandy o il gioco.

    E dire che era appena uscito da un club parigino in confronto al quale il Vitium et Virtus era un posto per educande, perché era specializzato in giochi erotici estremi. Anche al Vitium et Virtus si potevano realizzare certe fantasie, con una delle belle dominatrici, ma nel club parigino si arrivava a eccessi che Oliver considerava pericolosi. Non aveva alcuna intenzione di adottare le stesse pratiche nel suo circolo.

    Nella sua mente affiorarono le immagini di un uomo che si metteva un serpente in bocca e di un altro che camminava sui carboni ardenti. Altri ricordi dell'India.

    Un grido lo riportò al presente. Vide in lontananza una banda di monelli che attorniavano una donna e le tiravano le vesti, strillando. A Calcutta aveva visto dei bambini di strada circondare un uomo e depredarlo fino a lasciarlo nudo. I malviventi di Londra erano altrettanto pericolosi.

    Si precipitò a soccorrere la donna. «Fermi!» gridò.

    Lei sollevò le braccia. «No! No! Cosa fate?»

    I bambini fuggirono, sparpagliandosi in tutte le direzioni.

    Quando la raggiunse, lei si mise le mani sui fianchi. «Guardate cos'avete fatto!»

    «Siete inglese?» si stupì Oliver.

    «Li avete fatti scappare» lo accusò lei per tutta risposta.

    «Vi avevano aggredita!» O almeno così gli era sembrato.

    Lei lo guardò esasperata. «No, stavo dando loro dei soldi per comprarsi da mangiare.»

    «E vi sembra prudente?»

    «Sarebbe meglio farli morire di fame, o indurli a rubare per sfamarsi?» ribatté lei.

    «Perdonatemi. Credevo... Non potete richiamarli?»

    «No, ormai sono spariti. Saranno spaventati.»

    Oliver scosse la testa. «Mi dispiace.»

    Lei si accigliò. «Vorrà dire che tornerò domani.»

    Fece per andarsene, ma lui la bloccò. «Aspettate. Posso chiedervi cosa ci fa, un'inglese, in riva alla Senna all'alba?»

    Lei lo guardò maliziosa. «Davo monete ai bambini, almeno finché non li avete fatti scappare.»

    Era bella, con il viso ovale, occhi intensi bordati da lunghe ciglia, sopracciglia arcuate, un naso elegante e labbra carnose. La cuffietta le copriva i capelli, ma Oliver intravide qualche ciocca castana.

    «E cosa ci fa, un inglese, in riva alla Senna all'alba?» lo scimmiottò lei.

    Oliver sorrise. «Cercavo di salvarvi.»

    Lei rise. «Vi assicuro che non ho bisogno di essere salvata.»

    «Tuttavia resto al vostro servizio per qualsiasi cosa.»

    Lei si avviò, e Oliver la seguì. «Godete delle bellezze di Parigi, ora che la guerra è finita?» Il tono della donna era beffardo, ma almeno non l'aveva liquidato.

    «A dire il vero, sono qui per affari.» Cioè per piacere, aggiunse Oliver fra sé. «E voi?»

    «Moi?» Lei sbatté le ciglia. «Vivo qui.»

    Oliver era bravo a capire il carattere delle persone e si era reso conto che quella donna era riservata e non voleva dirgli niente di sé.

    «Dev'esserci un motivo interessante, se una gentildonna vive a Parigi» osservò.

    Lei lo fissò sospettosa. «Cosa vi fa credere che io sia una gentildonna?»

    Oliver sorrise. «Il vostro portamento, il modo di parlare.»

    Lei scrollò le spalle. «Non sperate che vi dica qualcosa di me.»

    Oliver non intendeva insistere. Comprendeva il bisogno di riservatezza altrui, però non voleva neanche accomiatarsi da lei. Ormai il cielo si era rischiarato, e sospettava che ben presto lei si sarebbe allontanata.

    «Facciamo colazione insieme» le propose d'impulso.

    Lei fece una risata ironica. «Insieme? Non vi conosco neppure!»

    «Allora lasciate che mi presenti. Oliver Gregory, figlio del Marchese di Amberford.» Non aggiungeva mai altro. Chi non conosceva suo padre presumeva che non fosse il primogenito. «Ora mi conoscete.»

    Lei rise di nuovo, divertita. «So solo il vostro nome, o almeno quello che mi avete dato.»

    «Vi assicuro che è il mio nome vero.»

    Lei annuì con esagerato scetticismo.

    Oliver allargò le braccia. «È la verità!»

    «Non importa, comunque.»

    «Allora farete colazione con me?» tornò all'attacco lui. «Vi prometto di essere una piacevole compagnia. Possiamo sederci all'aperto in un caffè, se serve a farvi sentire più sicura.»

    Lei lo fissò, esitante, poi ripeté: «In un caffè?».

    «Dovunque vogliate. Scegliete voi.» Era curioso di scoprire dove l'avrebbe portato.

    «Va bene» acconsentì infine la donna. «Però datemi anche qualche moneta per i bambini. Domani avranno ancora più fame.»

    Oliver tirò fuori un borsellino dalla tasca. «Tenete.»

    Lei prese le monete e le mise nella borsettina. «Venite, conosco un posto dove possiamo mangiare.»

    Lo condusse in un piccolo caffè che stava aprendo. Si sedettero fuori. La temperatura era mite, e il cielo terso. Era un giorno perfetto.

    «Qui i croissant sono divini» gli spiegò.

    «A Parigi non si fa altro che mangiare croissant, e io non amo i dolci» sbuffò lui.

    «Pane e formaggio, allora?»

    Oliver sorrise. «Meglio. E caffè.»

    Il cameriere la salutò con calore, come se fosse una cliente abituale. Lei ordinò, poi si tolse i guanti. Indossava un abito blu da passeggio con uno scialle colorato. Sembrava appena tornata da una passeggiata a Hyde Park. Davvero era all'alba sul lungo Senna solo per fare l'elemosina?, si chiese Oliver.

    «Parlatemi dei vostri affari» lo esortò lei.

    Lui non aveva alcuna voglia di spiegarle il motivo che l'aveva condotto a Parigi, perché temeva di suscitare la sua disapprovazione. Era venuto a istruirsi sui piaceri delle notti parigine per trarre ispirazione e introdurre qualche novità nel club. Però il viaggio non era stato produttivo quanto il precedente, in cui aveva trovato una rossa prosperosa, ansiosa di trasferirsi a Londra per lavorare al Vitium et Virtus. «Cerco opportunità lavorative» rispose vago.

    «Opportunità?»

    I suoi occhi limpidi, color del brandy, lo distraevano. Distolse lo sguardo. «Sì, di affari. Purtroppo, però, è stata una trasferta infruttuosa.»

    Il cameriere portò una tazza di caffè e del pane fresco con un piatto di formaggi per lui, e della cioccolata per lei, con un croissant con panna e marmellata. Oliver bevve un sorso e annuì in segno di approvazione. «Buono.»

    Lei sorseggiò la cioccolata. «Qui tutto è di qualità. Ma dicevate dei vostri affari?»

    «Vi interessano davvero?» Oliver inarcò un sopracciglio. «È un argomento noioso. Fatemi un'altra domanda.»

    La donna lo guardò, sorpresa. «Preferite che vi chieda perché non sembrate inglese?» lo stuzzicò.

    Voleva saperlo davvero? Sicuramente sì. Le donne si stupivano sempre della sua pelle bruna e dei suoi capelli scuri. Lei era soltanto più schietta e diretta.

    «Vi starete chiedendo perché il figlio di un marchese sembri uno straniero illegittimo, immagino.»

    «Credete? Forse siete voi che desiderate dirmelo.»

    Oliver esitò. Sì, in effetti voleva dirglielo. «Sono figlio legittimo del marchese, ma mia madre era indiana.»

    Dopo quella rivelazione attese. Di solito le donne che frequentava erano affascinate dal suo aspetto esotico, ma erano interessate solo a condividere con lui i piaceri di una notte.

    Invece le nobildonne con figlie in età da marito si tenevano lontane, benché sapessero che era ricco. Però alcune non disdegnavano di infilarsi nel suo letto di nascosto.

    Lei bevve un sorso di cioccolata calda. «Ah, ecco, ora si spiega.» Annuì. «Siete nato in India?»

    «Sì. Sono venuto via quando avevo dieci anni.» Non voleva raccontarle troppo della sua infanzia. Non ne parlava mai, anche se molti conoscenti di suo padre sapevano qualcosa. Anche i suoi soci del Vitium et Virtus conoscevano quasi tutta la sua storia, e l'avevano sempre accettato come loro pari.

    «Perciò ricorderete bene quel Paese» riprese lei, interessata.

    «Sì.» Stava pensando proprio all'India quando l'aveva vista.

    «Raccontatemi.» Lei si leccò le labbra, e per un attimo Oliver dimenticò l'India.

    Poi cominciò a raccontarle dei profumi, dei colori e dei suoni del suo Paese natale, degli incantatori di serpenti e dei fachiri, delle musiche esotiche, dei balli e delle statue dorate, dei giardini fragranti e lussureggianti.

    Tuttavia non le parlò di sua madre, né del fatto che suo padre si dividesse tra la casa indiana e quella in stile inglese dall'altro lato del giardino.

    «Ah, sarebbe bello visitare quelle terre affascinanti!» commentò lei.

    Oliver avvertì una stretta al cuore. Non sarebbe mai tornato in India. Si sforzò di sorridere. «Parigi non vi basta?»

    Per un istante l'espressione di lei si fece triste. «Non è... male» si limitò a mormorare.

    Cosa nascondeva quella frase diplomatica?

    Lei mordicchiò il suo croissant. «Parigi è piena di bellezze.»

    «Ho visto ben poco della città» ammise lui. Era stato portato soprattutto in posti in cui il piacere interessava più dell'architettura. «E ora mi è rimasto solo un giorno per esplorarla. Parto domani. Perché non mi consigliate cosa vedere, prima di lasciare Parigi?»

    Il viso della donna si animò di nuovo. «Di sicuro Nôtre-Dame. Non ho mai visto una chiesa tanto bella. Poi il Louvre, con le sue tante opere d'arte, e il Palais Royal.»

    Continuò a descrivergli quei luoghi in dettaglio, mentre mangiavano e bevevano. Quando terminarono, Oliver pagò e si alzò con riluttanza. Sarebbe stato felice di restare in sua compagnia tutto il giorno, pur non sapendo niente di lei.

    «Grazie della colazione.» Lei gli sorrise. «È stato tutto molto piacevole.»

    «Anche per me.»

    «Allora suppongo di dovervi dire adieu» replicò lei a malincuore.

    «Credo di sì.»

    Si allontanarono dal tavolo, ma rimasero insieme sul marciapiede. La città nel frattempo si era svegliata, e le strade erano piene di carrozze, cavalli e carri, mentre sui marciapiedi c'era un andirivieni di persone. Lui le prese il gomito e la guidò lontano dal trambusto, poi le prese la mano. «Non ditemi adieu, restate con me e fatemi da cicerone. Mostratemi le meraviglie di Parigi che avete descritto tanto bene.»

    Cecilia lo guardò. Era un uomo attraente, ma non era il suo aspetto ad affascinarla. Anche Duncan era bello, ma dopo quella disastrosa esperienza aveva imparato a non lasciarsi sedurre da un bel viso.

    La sua carnagione era più scura di quella che normalmente avevano gli inglesi, ma si spiegava con il fatto che fosse un mezzosangue. Aveva i capelli corvini più lunghi di quanto fosse in voga, ma il suo tratto più distintivo erano gli occhi, che alla luce cambiavano di tonalità, diventando più verdi che nocciola, come se riflettessero la tinta della sua giacca. Quando la fissava, aveva l'impressione che potesse leggerle fino in fondo all'anima e intuire i suoi pensieri.

    Forse era per quello che non le aveva chiesto niente di lei. La sua discrezione le faceva piacere. Che male avrebbe fatto a passare la giornata con lui?, si domandò Cecilia. L'indomani sarebbe partito, e per quel giorno lei non aveva impegni. Le piaceva il suo fascino esotico, e il modo in cui parlava le ricordava l'Inghilterra e la faceva sentire più vicina a casa. Era di piacevole compagnia, senza pretese... e molto affascinante. Si accorse che le tremavano le mani, perché aveva deciso. «Va bene, vi mostrerò Parigi» acconsentì.

    Quando lo vide sorridere, Cecilia si rese conto che le tremavano anche le gambe.

    «Cominciamo da Nôtre-Dame» aggiunse in fretta, per non fargli vedere il proprio turbamento.

    La cattedrale era vicina, se ne intravedeva la sommità dal punto in cui erano. Mentre si dirigevano verso Nôtre-Dame, Cecilia gli spiegò che prima di entrare avrebbero dovuto fare il giro, perché ogni lato era diverso.

    Ammirarono la facciata in pietra, quindi si diressero verso il lato a nord e lei gli indicò il grande rosone. «Dall'interno è stupefacente, con la luce del sole che illumina i vetri colorati. Vedete come Nôtre-Dame è a forma di croce? Tutte le cattedrali hanno questa pianta.»

    Lui sorrise. «Siete molto esperta.»

    «Abbastanza» si schermì lei. Era uno dei luoghi in cui si recava più volentieri. A volte vi si fermava per ore, quando aveva bisogno di quiete.

    Conclusero il lungo giro, commentando le caratteristiche architettoniche della costruzione, poi entrarono. Cecilia adorava l'interno di Nôtre-Dame, soprattutto il rosone variopinto. Mr. Gregory sembrava incredibilmente interessato alle sue spiegazioni. Forse fingeva, si disse lei, ma in tal caso era proprio un bravo attore.

    Poco dopo un prete salì all'altare, e molte persone si sedettero nei banchi per la messa.

    «Possiamo restare?» gli chiese lei.

    «Certo.»

    Si sedettero in fondo. Molti inglesi avrebbero protestato e non avrebbero voluto assistere a una messa cattolica, ma Cecilia trovava il rito molto rasserenante. Le calmava la mente e l'aiutava a dimenticare lo strano modo in cui si guadagnava da vivere, e soprattutto la solitudine.

    Al termine lui le strinse la mano. «Sono contento di essermi fermato per la messa» dichiarò.

    Girarono ancora un po' per la cattedrale, guardando le vetrate e le statue. Prima di uscire, lei si fermò. «Mi chiamo Cecilia» si presentò.

    Non aveva mai detto a nessuno, a Parigi, il suo vero nome, dal giorno il cui l'ufficiale era venuto ad annunciarle la morte di Duncan, ma le sembrava che non ci fosse niente di male a dirlo a Oliver. Per un solo giorno desiderava essere se stessa, la donna che sarebbe stata se non avesse mai incontrato Duncan.

    Lui non parve sorpreso da quella rivelazione improvvisa. «Lieto di fare la vostra conoscenza, Cecilia» replicò sorridendo. «E vorrei che mi chiamaste Oliver.»

    Non era un'usanza accettabile che un gentiluomo e una donna si chiamassero con il nome di battesimo, a meno che non fossero cresciuti insieme. Invece loro si conoscevano solo da qualche ora, ma a Cecilia era parso naturale.

    «E adesso il Louvre» annunciò.

    Era un altro dei luoghi in cui lei si recava quando voleva riconciliarsi con il mondo, godendo delle tante bellezze artistiche, ma dubitava che un altro uomo, al posto di Oliver, avrebbe apprezzato. Lui, invece, sembrava interessato. Era sincero o fingeva? Dopotutto, lei fingeva tutti i giorni di essere un'altra e nascondeva la sua vera natura. Però quel giorno aveva intenzione di essere se stessa.

    Quando uscirono la campana della chiesa batté le quattro. «Se avete fame possiamo fermarci in un ristorante al Palais Royal» gli propose. Lei era abituata a non mangiare, ma forse lui aveva appetito.

    «E voi avete fame?»

    Cecilia notò che per tutto il giorno le aveva sempre chiesto cosa volesse, prima di manifestare i propri desideri. Era una tattica di seduzione, o era veramente un uomo premuroso e sensibile?

    «Mangerei volentieri qualcosa» ammise. Al tempo in cui aveva seguito l'esercito con suo marito, spesso Duncan aveva mangiato anche la razione destinata a lei, e Cecilia aveva imparato a non lamentarsi.

    «Allora andiamo.»

    Oliver le offrì il braccio, e si diressero

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