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Le esplorazioni e le avventure che hanno cambiato la storia
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Le esplorazioni e le avventure che hanno cambiato la storia
E-book375 pagine5 ore

Le esplorazioni e le avventure che hanno cambiato la storia

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Info su questo ebook

Gli uomini leggendari che hanno raggiunto i confini del mondo 

Dalla scoperta dell’America allo sbarco sulla Luna, da Machu Picchu all’Antartide, dalle sorgenti del Nilo all’Everest

Viaggiare ha sempre esercitato sull’uomo un fascino magnetico, irresistibile. Spingersi verso i confini del mondo, fin dall’antichità, è stata la risposta al suo insopprimibile desiderio di conoscenza e sete di avventura. L’esplorazione è un elemento fondamentale della storia dell’uomo. Per terra o per mare, tra le montagne o nel deserto, nessuna impresa è mai stata davvero impossibile e spesso la determinazione di qualche sognatore ha spinto di un passo avanti l’intera umanità. L’Amazzonia e il Sahara, l’Antartide e il deserto di Gobi. E poi l’Everest, le Ande, la Luna, gli oceani più tempestosi della Terra. Questo libro racconta le avventure di Marco Polo e di Cristoforo Colombo, di Ferdinando Magellano e di James Cook, di Henry Morton Stanley e Charles Darwin, del Duca degli Abruzzi e di Fosco Maraini. Con uno sguardo attento agli esploratori moderni, da Reinhold Messner a Neil Armstrong, e da Mike Horn a Simone Moro. Una storia dell’umanità attraverso le grandi scoperte, capaci di regalare emozioni al lettore di oggi.

Le avventure e le scoperte dei più grandi esploratori che hanno soddisfatto la sete di conoscenza dell’uomo

Tra gli argomenti trattati:
1255-1269. Marco Polo e la sua avventura in Cina
1492-1494. Cristoforo Colombo e il primo sbarco nelle Americhe
1519-1522. Il giro del mondo di Ferdinando Magellano
1776-1779. L’ultimo viaggio del capitano James Cook
1831-1846. La grande esplorazione di Charles Darwin
1874-1877. Henry Morton Stanley traversa l’Africa da Zanzibar al Congo
1912. Conquista e tragedia, Amundsen e Scott al Polo Sud
1914-1916. L’odissea antartica di Ernest Shackleton
1928. Umberto Nobile, il dirigibile Italia e la Tenda Rossa
1947. Thor Heyerdahl traversa l’Oceano Pacifico sul Kon-Tiki
1969. Neil Armstrong, Buzz Aldrin e l’Apollo 11 sbarcano sulla Luna
1989-1990. Reinhold Messner e Arved Fuchs attraversano l’Antartide sugli sci
1999-2000. Mike Horn sulla linea dell’Equatore
Stefano Ardito
è una delle firme più note e prestigiose del giornalismo di montagna e viaggio. I suoi reportage compaiono sulle maggiori testate italiane. Con la Newton Compton ha pubblicato 101 storie di montagna che non ti hanno mai raccontato, 101 luoghi archeologici d’Italia dove andare almeno una volta nella vita, Le grandi scalate che hanno cambiato la storia della montagna e Cammini e sentieri nascosti d’Italia. Nel 2015 ha vinto il Premio Cortina Montagna. Le esplorazioni e le avventure che hanno cambiato la storia è il suo ultimo libro.
LinguaItaliano
Data di uscita24 ott 2018
ISBN9788822726612
Le esplorazioni e le avventure che hanno cambiato la storia

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    Anteprima del libro

    Le esplorazioni e le avventure che hanno cambiato la storia - Stefano Ardito

    588

    Prima edizione ebook: novembre 2018

    © 2018 Newton Compton editori s.r.l., Roma

    ISBN 978-88-227-2661-2

    www.newtoncompton.com

    Realizzazione a cura di Librofficina

    Stefano Ardito

    Le esplorazioni e le avventure che hanno cambiato la storia

    Storie di uomini ai confini del mondo, dalla scoperta dell’America allo sbarco sulla Luna, da Machu Picchu all’Antartide, dalle sorgenti del Nilo all’Everest

    Indice

    Introduzione

    982-988. Erik il Rosso colonizza la Groenlandia

    990. Sigerico sulla Via Francigena

    1245-1247 . Giovanni da Pian del Carpine tra i mongoli

    1271-1295. Marco Polo e la sua avventura in Cina

    1325-1354. L’interminabile viaggio di Ibn Battuta

    1497-1499. Vasco da Gama, dal Portogallo all’India

    1492-1493. La scoperta dell’America di Cristoforo Colombo

    1513. Vasco Nuñez de Balboa scopre l’oceano Pacifico

    1519-1522. Il giro del mondo di Ferdinando Magellano

    1541-1542. Francisco de Orellana percorre il Rio delle Amazzoni

    1642-1643. Abel Tasman scopre la Nuova Zelanda e la Tasmania

    1712-1727. Padre Ippolito Desideri da Pistoia al Tibet

    1733-1741. Vitus Bering verso la Kamcˇatka, l’Alaska e le Aleutine

    1776-1779. L’ultimo viaggio del capitano James Cook

    1785-1788. Jean-François de La Pérouse esplora l’oceano Pacifico

    1786. Jacques Balmat e Michel Gabriel Paccard sul monte Bianco

    1796-1797. Mungo Park e il fiume Niger

    1799-1804. Il viaggio di Alexander von Humboldt in America Latina

    1803-1806. Meriwether Lewis e William Clark attraversano gli Stati Uniti da costa a costa

    1831-1836. Il viaggio di Charles Darwin intorno al mondo

    1851-1855. Heinrich Barth attraversa il Sahara

    1857-1863. Richard Burton, John Speke e James Grant verso le sorgenti del Nilo

    1860-1861. Robert Burke e William Wills attraversano l’Australia

    1866-1873. L’ultimo viaggio di David Livingstone

    1869. John Wesley Powell scende il canyon del fiume Colorado

    1874-1877. Henry Morton Stanley traversa l’Africa da Zanzibar al Congo

    1878-1879. Adolf Erik Nordenskiöld percorre il Passaggio a Nord-Est

    1886-1887. Francis Younghusband attraversa il deserto di Gobi e il Karakorum

    1888. Edouard-Alfred Martel inventa la speleologia

    1888-1889. Fridtjof Nansen traversa la Groenlandia con gli sci

    1892-1897. Vittorio Bottego esplora i fiumi Giuba e Omo

    1897. Il Duca degli Abruzzi sul Sant’Elia

    1899. Douglas Freshfield e Vittorio Sella intorno al Kangchenjunga

    1908-1909. La corsa al Polo Nord tra Robert Peary e Frederick Cook

    1911. Hiram Bingham alla scoperta di Machu Picchu

    1911-1912. Conquista e tragedia, Roald Amundsen e Robert Falcon Scott al Polo Sud

    1913-1914. Filippo De Filippi nel cuore dell’Asia

    1914-1916. L’odissea antartica di Ernest Shackleton

    1923-1924. Il viaggio a Lhasa di Alexandra David-Néel

    1927. Il volo di Charles Lindbergh attraverso l’Atlantico

    1927-1932. Sven Hedin nel deserto di Gobi e lungo la Via della Seta

    1928. Umberto Nobile, il dirigibile Italia e la Tenda Rossa

    1937. Giuseppe Tucci e Fosco Maraini in Tibet

    1937. L’ultimo volo di Amelia Earhart

    1943. Padre Alberto De Agostini sulle Ande della Patagonia

    1944-1945. La grande fuga di Heinrich Harrer verso il Tibet

    1947. Thor Heyerdahl traversa il Pacifico sul Kon-Tiki

    1950. Le avventure di Jacques-Yves Cousteau sulla Calypso

    1953. Edmund Hillary e Tenzing Norgay sull’Everest

    1958. Haroun Tazieff scende nel vulcano Nyiragongo

    1961. Jurij Gagarin vola intorno alla Terra

    1965. Walter Bonatti in canoa sullo Yukon

    1988. L’ultimo record di profondità di Enzo Maiorca

    1969. Neil Armstrong, Buzz Aldrin e l’Apollo 11 sbarcano sulla Luna

    1979. Bryan Allen e il Gossamer Albatross sorvolano la Manica senza motore

    1989-1990. Reinhold Messner e Arved Fuchs attraversano l’Antartide sugli sci

    1991-1993. Ffyona Campbell attraversa l’Africa a piedi

    1995-1996. Göran Kropp dalla Svezia alla vetta dell’Everest

    1996-2001. Børge Ousland attraversa da solo l’Antartide e l’Artico

    1999. Il volo intorno al mondo del Breitling Orbiter

    1999-2000. Mike Horn sulla linea dell’Equatore

    2018. Simone Moro e Tamara Lunger sul Pik Pobeda

    A Walter Bonatti, Heinrich Harrer, Thor Heyerdahl, Edmund Hillary, Mike Horn, Fosco Maraini, Reinhold Messner, Bernard Moitessier, Simone Moro e Haroun

    Tazieff, che mi hanno raccontato le loro esplorazioni.

    Introduzione

    Alcuni momenti della storia dell’esplorazione e dei viaggi sono celebri in tutto il mondo. Lo sbarco di Cristoforo Colombo nelle Indie, circondato da marinai e soldati spagnoli e affiancato da un gruppo di religiosi in preghiera. L’atterraggio di Charles Lindbergh al Bourget, davanti a centomila persone festanti. L’arrivo di Hillary e Tenzing sugli 8848 metri dell’Everest, nella solitudine assoluta, dopo trent’anni di tentativi e vittime.

    A far ricordare altri momenti, oltre alle immagini, provvedono delle frasi. Pensate all’incontro a Ujiji, sulle rive del lago Tanganyika, quando Henry Stanley si rivolge all’uomo che sta cercando da un anno, e che ha finalmente incontrato: «Doctor Livingstone, I presume?».

    Pensate ai primi passi di Neil Armstrong sulla Luna, quando l’astronauta dell’Apollo 11, prima di lasciare la scaletta del

    LEM

    , dice al controllo di Houston e al mondo un’altra frase che fa storia: «Un piccolo passo per un uomo, un grande balzo per l’umanità».

    Viaggiare, esplorare, scoprire cosa c’è oltre l’orizzonte è fondamentale per l’uomo fin dalla preistoria. Se avessero potuto scrivere e tramandare le loro avventure ai posteri, i primi gruppi di Homo sapiens che hanno abbandonato l’Africa per dirigersi verso l’Asia e l’Europa tra vulcani in eruzione, bestie feroci e altre insidie ci avrebbero lasciato dei racconti avvincenti.

    Sappiamo qualcosa – ma non abbastanza per inserirle in questa raccolta di storie che hanno un nome, un cognome e una data – delle grandi esplorazioni compiute dai fenici, per conto proprio a scopi commerciali e poi su incarico degli egizi. È la regina egiziana Hatshepsut, intorno al 1500 avanti Cristo, a inviarli verso la Terra di Punt, la costa orientale dell’Africa.

    Un migliaio di anni più tardi due comandanti cartaginesi, Imilcone e Annone, si spingono nell’oceano Atlantico verso la Gran Bretagna e il Sudafrica. Purtroppo, però, né i pochi documenti sopravvissuti dell’antica Cartagine, né i geroglifici che decorano il tempio di Deir-el-Bahari e altri edifici dell’Egitto antico, ci aiutano a far passare dal mito alla storia quei viaggi straordinari.

    Grazie agli storici greci, sappiamo molto di più sulla straordinaria spedizione di Alessandro Magno dalla Macedonia e dall’Asia Minore verso la Persia e l’India, compiuta tra il 334 e il 323 avanti Cristo, e che si conclude con la morte del condottiero a soli trentatré anni di età.

    Tito Livio e altri storici dell’Urbe ci hanno raccontato in dettaglio le imprese di Giulio Cesare e dei generali romani di età imperiale in Gallia, in Gran Bretagna e in Oriente. Il viaggio di Annibale dalla Spagna all’Italia attraverso i Pirenei e le Alpi, accompagnato da fanti, cavalieri ed elefanti, è un’impresa straordinaria anche dal punto di vista esplorativo.

    Nell’impostare questo libro, però, ho scelto fin dall’inizio di non includere le campagne puramente militari. Oltre a quelle antiche che ho appena citato, mi sembra giusto che restino fuori le sanguinose spedizioni cinquecentesche di Hernán Cortés in Messico, e di Francisco Pizarro in Perù e nel resto dell’impero degli incas.

    Certo, se si guarda alla storia del mondo, il confine tra le imprese puramente militari e quelle che le hanno precedute (e quindi rese possibili) è spesso sfumato. Senza le navigazioni di Cristoforo Colombo attraverso il Mare Oceano, e i viaggi di Vasco Núñez de Balboa nelle selve di Panama e di Francisco de Orellana sul Rio delle Amazzoni, le sanguinose campagne dei conquistadores non sarebbero state possibili.

    Le malattie e il selvaggio sfruttamento economico che hanno spinto verso la rapida estinzione gli indios dell’America centrale e dei Caraibi non hanno traversato l’Atlantico con Pizarro e Cortés, ma sulla Santa Maria, la Pinta e la Niña, le tre caravelle del navigatore genovese.

    Il confine tra viaggio di esplorazione e conquista è sfumato anche in altre epoche e altri luoghi. Il capitano James Cook, straordinario protagonista dell’esplorazione degli oceani, è animato da spirito pacifico ma ospita sulle sue navi dei reparti di Royal Marines in armi.

    La sua ricerca geografica, d’altronde, si svolge su navi della Royal Navy britannica. Anche Cook, come migliaia di ufficiali, marinai e soldati, è un ingranaggio della costruzione del più grande impero della storia. Quello dove un secolo dopo, al tempo della regina Vittoria, il sole non potrà più tramontare.

    Un altro personaggio che abbiamo citato all’inizio, l’angloamericano Henry Stanley, nella sua traversata dell’Africa da Bagamoyo alla foce del Congo uccide con carabina e revolver più di quaranta indigeni, per poi citare ogni scontro a fuoco nel suo diario e nei suoi libri. Per questo motivo, oggi, viene guardato con fastidio dagli africani.

    Secondo chi scrive e molti altri, però, la vera colpa di Stanley non sta in quei colpi di pistola e fucile, sparati contro tribù ostili e cannibali che vogliono uccidere e mettere in pentola i componenti della spedizione. Grazie al lavoro esplorativo di Stanley, pochi anni dopo, nascerà il Congo belga, proprietà privata di re Leopoldo

    II

    . Una delle colonie più crudeli della storia dell’Africa, come racconta Joseph Conrad in Cuore di tenebra, nei confronti della vita e delle proprietà dei colonizzati. Una colonia che ha una responsabilità decisiva nel fare di quella parte del continente una terra di sofferenza e di rabbia, ancora squassata da massacri e da terribili violenze.

    Non tutte le esplorazioni della storia, per fortuna, sono state spinte dalla voglia di espansione e conquista da parte delle potenze europee. A far mettere in viaggio Marco Polo da Venezia alla volta del Catai, il lontano e ricchissimo impero cinese, è semplicemente la voglia di arricchirsi da parte della famiglia del giovane mercante veneziano. Ibn Battuta, instancabile percorritore dell’Africa e dell’Asia, vuole conoscere e descrivere il mondo pacificato e governato dall’Islam.

    Altre imprese, come il viaggio del gesuita Ippolito Desideri da Roma fino agli altopiani del Tibet, sono spinte dalla voglia, sempre forte nel papato, di portare il messaggio di Cristo in terre lontane. E di convertire, se possibile, migliaia o milioni di pagani, e di seguaci di altre fedi, in Asia, nelle Americhe e in Africa.

    Anche David Livingstone, straordinario esploratore dei fiumi, dei laghi e delle savane africane, è prima di tutto un missionario, che spera attraverso i suoi viaggi tra il lago Tanganyika e il fiume Zambesi di combattere la terribile piaga della schiavitù.

    Novecento anni prima di lui un altro britannico, l’arcivescovo Sigerico, ha viaggiato come pellegrino da Canterbury fino a Roma. Voleva pregare in San Pietro e nelle altre basiliche dell’Urbe, genuflettersi davanti al papa e ricevere la sua investitura solenne. Il suo percorso, la Via Francigena, da qualche anno è ridiventato famoso.

    Tra l’Otto e il Novecento, nelle avventure che raccontiamo in questo libro, iniziano a comparire delle motivazioni diverse. La voglia di conoscere la natura e le culture del mondo motiva lo straordinario viaggio di Alexander von Humboldt verso l’Amazzonia e le Ande, e l’incredibile itinerario di Charles Darwin attraverso gli oceani e i continenti del pianeta.

    Hanno motivazioni analoghe, nel cuore alto e selvaggio dell’Asia, i viaggi compiuti da Giuseppe Tucci, Sven Hedin, Alexandra David-Néel, Filippo De Filippi e Fosco Maraini.

    I tentativi di raggiungere i due Poli da parte di Scott, Amundsen e Peary, le avventure del Duca degli Abruzzi sulle montagne di tutti i continenti, le spedizioni britanniche all’Everest, la cima più alta della Terra, hanno una motivazione ancora diversa.

    Queste imprese non puntano ad annettere nuove terre ai Paesi che le hanno promosse, e comprendono degli scienziati che però restano in un ruolo subordinato. La loro vera motivazione è il flag waving, lo sventolare la bandiera del proprio Paese, in un’epoca di intensa competizione tra nazioni anche negli angoli più remoti del Terra.

    A chi ha dei dubbi su questa affermazione consigliamo di dare un’occhiata alle date. Negli ultimi anni dell’Ottocento, Luigi Amedeo di Savoia, il celebre Duca degli Abruzzi, pensa da tempo a delle spedizioni importanti, ma non ha fondi per realizzarle. Per lui le casse della Casa Reale italiana si aprono all’improvviso nel 1897, pochi mesi dopo la battaglia di Adua. La sanguinosa sconfitta, sugli altopiani dell’Etiopia, che ha dato un colpo terribile al prestigio dell’Italia nel mondo.

    Le motivazioni degli avventurieri e degli esploratori di oggi, in parte geografiche e in parte puramente sportive, iniziano a comparire dopo la metà dell’Ottocento, con la pericolosa discesa delle rapide del fiume Colorado da parte di John Wesley Powell e dei suoi compagni di avventura.

    Hanno motivazioni fondamentalmente sportive, una ventina di anni dopo, l’invenzione della speleologia da parte di Edouard-Alfred Martel nei pozzi e nei canyon calcarei della Francia (un’avventura che ha conseguenze importanti sulla sanità pubblica). E la traversata dei ghiacciai della Groenlandia sugli sci compiuta dal norvegese Fridtjof Nansen e dai suoi compagni di avventura.

    Poi, man mano che ci si approssima ai giorni nostri, gli exploit puramente sportivi e inutili si alternano con quelli legati al progresso tecnico e alla scienza.

    Nella seconda categoria rientrano le imprese aviatorie di Charles Lindbergh e Amelia Earhart, il volo spaziale di Jurij Gagarin intorno alla Terra e il primo sbarco sulla Luna da parte degli astronauti dell’Apollo 11, ma anche le esplorazioni subacquee e non di Jacques-Yves Cousteau e della nave Calypso.

    S’ispira a una ricerca completamente diversa, nei primi anni del secondo dopoguerra, la romantica e straordinaria traversata dal Sudamerica alla Polinesia da parte di Thor Heyerdahl e dei suoi amici imbarcati sulla zattera di balsa battezzata Kon-Tiki. Un viaggio ispirato alla ricerca dell’oceano Pacifico e dei suoi popoli.

    In epoche più vicine a noi, la tecnologia e il progresso hanno un ruolo importante in avventure poco note come il primo giro del mondo compiuto da una mongolfiera, il Breitling Orbiter, e la prima traversata della Manica di un aereo ultraleggero e a pedali, il Gossamer Albatross.

    Sono straordinari (e celebri) esempi di avventure inutili, ispirate al passato e alla necessità di trovare un nuovo equilibrio tra l’umanità e la Terra, le avventure in montagna e non solo vissute da due alpinisti straordinari come Walter Bonatti e Reinhold Messner.

    Abbiamo scelto di raccontare il primo nello Yukon e il secondo in Antartide, ma molte altre imprese di questi due grandi campioni avrebbero meritato un capitolo. Nella stessa categoria di Reinhold e Walter, per chi più dei monti e dei deserti ama il mare, rientrano le navigazioni e le scelte di vita di Bernard Moitessier.

    Poi, avvicinandoci alla contemporaneità, lo spazio per l’esplorazione pura si restringe, e per compiere qualcosa di nuovo uomini e donne devono progressivamente spogliarsi, ridurre i mezzi tecnici a disposizione, inventare e seguire percorsi sempre più difficili e regole ogni volta più severe.

    Il mio lavoro di cronista e scrittore specializzato in viaggi, natura e montagna mi ha portato a far visita a Reinhold Messner subito dopo la traversata dell’Antartide, a incontrare su un isolotto siberiano Mike Horn che stava per concludere il suo viaggio sul Circolo polare artico, a scrivere di Simone Moro e Tamara Lunger durante e al termine della loro gelida avventura in Siberia.

    Non sono mai riuscito a incontrare, purtroppo, due grandi avventurieri scandinavi come Børge Ousland e Göran Kropp. Il primo, nato in Norvegia, ha traversato da solo e sugli sci prima i ghiacci dell’Antartide e poi quelli dell’Artico. Il secondo, originario della Svezia, ha aggiunto pepe al suo progetto di salire l’Everest viaggiando in bicicletta dal suo Paese natale a Kathmandu, e rifiutando ogni rifornimento e ogni aiuto esterno sulla montagna.

    Conosco solo attraverso i suoi video e i suoi scritti Ffyona Campbell, che tra il 1992 e il 1993 ha compiuto uno dei viaggi avventurosi più duri e crudeli della storia. Nella sua progressione a piedi da Città del Capo alla costa settentrionale del Marocco, questa ragazza britannica deve affrontare di tutto.

    Guerre e massacri, confini chiusi e animali aggressivi, sassate da parte di integralisti islamici e avance violente da parte di maschi aggressivi e repressi. La sua storia, le sue paure e il suo successo ci ricordano due cose che è bene tenere a mente.

    La prima è che il duro ma affascinante percorso di Ffyona attraverso il Sahel e il Sahara, un tempo rotta per viaggiatori avventurosi, è da tempo appannaggio di uomini e donne disperati, che mettono in gioco la vita per arrivare in Europa, e sopravvivere alla violenza e alla fame.

    Quando li vediamo su gommoni e barconi che rischiano di affondare a ogni miglio, oltre alla pietà e al desiderio di dare loro una mano, dovremmo riflettere su come è cambiato il pianeta. E su come il Sahara, insieme ad altri territori che in passato erano simbolo di natura e avventura, sia diventato un luogo di sofferenza e di morte.

    Poi, pensando a Ffyona Campbell e a Tamara Lunger, e prima di loro ad Alexandra David-Néel e Amelia Earhart, si capisce un’altra cosa importante. Quello dell’avventura, dell’esplorazione e dei viaggi, per molti secoli, è stato un mondo quasi esclusivamente al maschile.

    Le donne vi trovavano spazio come regine promotrici di viaggi (dall’egizia Hatshepsut a Isabella di Castiglia), come muse ispiratrici da lasciare nel confort di casa, o nei classici ruoli di mogli, di prostitute e di amanti.

    Gli ultimi capitoli del libro ci insegnano che questo mondo è cambiato, e che l’avventura in rosa ha raggiunto la piena indipendenza. Buon viaggio ragazze, insegnate a noi stupidi maschi la strada!

    STEFANO ARDITO

    982-988

    Erik il Rosso colonizza la Groenlandia

    I drakkar, le agili navi dei vichinghi, sono una presenza frequente e temuta nell’Europa dell’Alto Medioevo. Stretti e slanciati, lunghi in media venticinque metri (ma quello ritrovato nel 1997 a Roskilde, in Danimarca, ne misura dieci di più) hanno un pescaggio ridotto, che consente loro di navigare in un metro d’acqua.

    Questa caratteristica rende i drakkar estremamente veloci, consente ai loro capitani di avvicinarsi alla riva e di inoltrarsi lungo il corso dei fiumi, e permette ai guerrieri dell’equipaggio di scendere e risalire in pochi minuti. La simmetria di queste imbarcazioni, che dispongono di fatto di due prue, consente delle rapide inversioni di rotta.

    In mare aperto, la singola vela permette ai drakkar di spostarsi velocemente, percorrendo delle distanze molto lunghe senza sfiancare inutilmente l’equipaggio. Nei pressi della costa si usano invece i remi, che danno alle navi agilità, e consentono di accelerare rapidamente. In combattimento, i remi sono lo strumento di propulsione principale.

    Sulla prua di gran parte dei drakkar, minacciose teste di drago o immagini di divinità mostruose consentono ai vichinghi di spaventare i loro nemici già prima dello sbarco. La forma di queste imbarcazioni si evolve nel corso dei secoli. Le più grandi, utilizzate per scorrerie e migrazioni fin dall’

    VIII

    secolo, restano in uso in Norvegia fino al Quattrocento.

    Per i popoli dell’Europa settentrionale e non solo, i vichinghi e i loro drakkar sono una minaccia terribile. Il primo a essere saccheggiato, nel 793, è il monastero inglese che sorge su un isolotto accanto alla costa del Northumberland – Lindisfarne, detta Holy Island (isola sacra) – poco a sud del confine con la Scozia. Poi le incursioni si moltiplicano, e arrivano più lontano.

    Nel corso del

    IX

    secolo vengono attaccati e devastati i porti spagnoli e portoghesi dell’Atlantico. Nell’Europa orientale i Rus’, i vichinghi svedesi, seguono il corso del Volga, devastano le ricche città di Novgorod e Kiev, e arrivano a minacciare Costantinopoli e le città marinare e carovaniere della Siria.

    Nell’885, dal Mare del Nord, una flottiglia vichinga risale la Senna e saccheggia Parigi. Un quarto di secolo prima, nell’860, altre navi erano entrate nel Mediterraneo dove avevano attaccato e devastato Luni, la Città del marmo sulla costa tra la Versilia e la Liguria. Secondo alcuni storici, potrebbe essere stata scambiata per Roma.

    Ma i vichinghi non sono solamente dei guerrieri. E i loro drakkar, adatti a navigare sia nell’immensità dell’oceano sia a poca distanza dalla costa, sono anche degli strumenti che si prestano all’esplorazione e al commercio.

    Grazie a loro, gli uomini arrivati dalle coste della Scandinavia colonizzano le isole Shetland, Orcadi e Fær Øer. Intorno all’815, centinaia di coloni arrivati dalla Norvegia traversano l’Atlantico settentrionale e si installano sui litorali dell’Islanda.

    In un secolo la comunità dei vichinghi islandesi raggiunge i sessantamila abitanti, e la pressione demografica e le tensioni sociali creano i presupposti per una nuova ondata migratoria. La vicenda di Erik il Rosso (Erik Raude in norvegese, Erik den Røde in danese) si inserisce proprio in questi anni.

    Qualche volta, utilizzando il patronimico, il condottiero-esploratore viene chiamato Erik Thorvaldsson. Il soprannome, ovviamente, si riferisce al colore dei capelli.

    Nato intorno al 940 nel Rogaland, sulla punta meridionale della Norvegia, Erik all’età di dieci anni deve seguire il padre Thorvald che viene esiliato per omicidio. L’uomo, la sua famiglia e il suo clan si insediano nella regione di Hornstrandir, nel Nord-Ovest dell’Islanda.

    Secondo la tradizione, Erik è un giovane sfacciato e aggressivo. Dopo la morte del padre prende in moglie Thorhild, figlia di Jorund Atlisson, e si trasferisce nella regione di Haukadale, nell’Ovest dell’Islanda. Chiama il suo insediamento Eiríksstaðir, la città di Erik.

    Nel 980, per errore, alcuni dei thrall (servi) di Erik fanno staccare una frana che schiaccia la casa del suo vicino Valthjof. Per reazione Eyiolf, un membro del clan di Valthjof, uccide i servi colpevoli. Erik si vendica ammazzando Eyiolf e altri guerrieri. Per questo motivo, viene esiliato sull’isola di Oxney, al largo della costa islandese.

    Due anni dopo, per motivi diversi, Erik il Rosso si scontra con un altro vicino, Thorgest. In uno scontro, due dei figli di Thorgest vengono uccisi dagli uomini di Erik. L’assemblea degli uomini del villaggio decide di esiliare Erik con tutta la famiglia per tre anni.

    Erik il Rosso, oltre che pronto alle risse, è un uomo che ama l’avventura. Ha sentito parlare molte volte della terra a ovest dell’Islanda che è stata scoperta quasi un secolo prima da un altro navigatore norvegese, Gunnbjörn Ulfsson. Decide di raggiungerla, e di stabilirsi lì.

    Nel primo viaggio, che compie tra il 982 e il 983, Erik riesce ad aggirare la punta meridionale della terra sconosciuta, e a sbarcare nel fiordo oggi conosciuto come Tunulliarfik. Passa i due anni successivi a proseguire l’esplorazione verso ovest e verso nord, battezzando molti luoghi con il suo nome.

    All’isola dà il nome di Grønland, Groenlandia, che significa isola verde. È un’esagerazione, ma non troppo. A quei tempi il clima della Terra era molto più caldo di oggi, nel Sud dell’isola più grande del mondo era possibile allevare bestiame e coltivare.

    Nel 985, quando i tre anni di esilio finalmente terminano, Erik il Rosso si imbarca e torna in Islanda. Qui, però, convince centinaia di persone che la nuova colonia è una terra di grande speranza. Nel 988 riparte insieme a più di quattrocento persone, su venticinque navi. Molte di queste imbarcazioni tornano indietro o affondano, ma quattordici arrivano alla meta.

    Una volta in Groenlandia, i vichinghi di Erik il Rosso si dividono tra la Colonia orientale (Eystribyggð) e la Colonia occidentale (Vestribyggð), collegate da insediamenti minori. Secondo la Saga di Erik il Rosso, scritta nel

    XIII

    secolo, Erik vive come un gran signore a Brattahlíð, nell’Eriksfjord che da lui prende il nome, insieme alla moglie e ai quattro figli, i maschi Leif, Thorvald e Thorstein e la femmina Freydis.

    Sembra che gli insediamenti vichinghi della Groenlandia sopravvivano a un’epidemia terribile, ma la popolazione non aumenta, attestandosi a lungo tra le tremila e le cinquemila persone. Gli archeologi, nel corso del Novecento, scoprono i resti di oltre quattrocento edifici in pietra. Per gli storici, la colonia si spegne intorno all’epoca di Cristoforo Colombo, anche a causa del raffreddamento del clima.

    Uno dei figli di Erik, Leif Eriksson, intorno all’anno Mille introduce il cristianesimo in Groenlandia e costruisce la prima chiesa dell’isola. Il padre Erik, che prima di morire rifiuta ancora una volta di convertirsi, si spegne intorno al 1010. I suoi figli, però, utilizzano l’Isola verde come un trampolino per proseguire l’esplorazione verso ovest.

    Leif Eriksson, anche se non è il primo vichingo ad avvistare il Nordamerica, è certamente il primo che si dedica a esplorare il Vinland, la Terra della vite, la parte settentrionale dell’isola canadese di Terranova. Secondo quel che racconta la Saga, Leif invita il padre a viaggiare con lui.

    Prima che le navi salpino, però, Erik cade da cavallo. Considera questo fatto come un cattivo presagio, lasciando che il figlio navighi verso ovest senza di lui. Il secondo figlio di Erik, Thorvald, muore in territorio americano, ucciso in uno scontro con dei pellerossa mentre cerca di risalire il fiume San Lorenzo.

    Per secoli, il racconto della scoperta di Terranova, avvenuto quasi cinque secoli prima della scoperta ufficiale dell’America, viene ritenuto leggendario. Nel 1961, invece, l’archeologa norvegese Anne Stine Ingstad scopre alcune tombe e la base di una decina di grandi capanne vichinghe a L’Anse aux Meadows, sulla costa settentrionale di Terranova. I resti e gli oggetti recuperati risalgono ai primi anni dell’

    XI

    secolo.

    990

    Sigerico sulla Via Francigena

    Una grande avventura di più di mille anni fa continua a ispirare, ogni anno, migliaia e migliaia di europei dei giorni nostri. La Via Francigena, lunga esattamente mille miglia (pari a milleseicento chilometri), collega l’antica città inglese di Canterbury e le coste della Manica con le Alpi, la Pianura Padana e Roma.

    Intorno all’anno Mille la Francigena era utilizzata da soldati, mercanti e pellegrini che si spostavano attraverso l’Europa. Oggi, trasformata in un lungo e spettacolare itinerario da fare a piedi, accoglie i camminatori religiosi e laici che si dirigono verso la Città Eterna e San Pietro.

    Lasciate alle spalle l’Inghilterra e la Manica, il percorso toccava Calais e Arras, Reims, Besançon e Losanna, per scavalcare le Alpi, le più alte montagne d’Europa, al passo del Gran San Bernardo, l’Alpis Poenina degli antichi. Da Aosta raggiungeva la pianura a Ivrea, traversava il Po a Pavia, storica roccaforte dei longobardi, poi proseguiva per Piacenza e Fidenza.

    Il tracciato saliva di nuovo tra i boschi dell’Appennino fino al passo della Cisa, e costeggiava alla base le Alpi Apuane in direzione di Camaiore e di Lucca. Poi, passato l’Arno, continuava tra le colline della Toscana verso Siena, e da qui in direzione del lago di Bolsena, di Viterbo e di Roma. Il tracciato, negli ultimi duecento e più

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