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Occhi di diamante
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E-book386 pagine5 ore

Occhi di diamante

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Info su questo ebook

Romanzo storico-romantico. Due amici, Micheal ed Elizabeth, crescono insieme nella savana africana di fine 1800, anche se le rispettive famiglie sono acerrime nemiche. Il padre della bambina, il marchese Capasso, è convinto che il nobiluomo inglese, lord Sinclair, si sia fatto assegnare dal governo, attraverso la corruzione di qualche funzionario, le terre più fruttifere. Micheal a diciotto anni, essendo il secondogenito, parte per una scuola militare in Inghilterra e lascia il padre e il fratello maggiore a gestire le miniere di oro e di diamanti della famiglia. Elizabeth cresce e diventa una naturalista appassionata. Crea, infatti, nelle sue terre infruttifere una piccola riserva naturale. Anthony, il figlio maggiore del lord, muore e Micheal deve tornare in Africa per gestire i beni di famiglia. Elizabeth, in pessime condizioni finanziare, deve trovare un lavoro per poter curare il padre colpito da una paralisi e quindi, sotto falso nome, va a fare la governante dai Sinclair. Micheal non la riconosce, perché sono passati molti anni, però prova una strana attrazione per questa fanciulla. Avendone l’opportunità, Elizabeth fruga nello studio del vecchio lord e trova le prove della truffa verso suo padre. Micheal cerca di rintracciare Elizabeth, ignaro di averla sotto gli occhi. Lui vorrebbe, infatti, fare dei saggi sulla terra dei Capasso per cercare giacimenti di rame, ma Elizabeth risulta scomparsa. Nel frattempo alcuni cacciatori di frodo uccidono degli animali nella riserva della ragazza. L’attrazione tra Michael e la governate di casa Sinclair è sempre più forte. Alla fine la domestica, che si era finora presentata con il nome di Jane Leaven, rivela di essere Elizabeth, ma si autoaccusa di esser anche la responsabile della morte di Anthony Sinclair. Anche il nuovo lord, però non è una santo e nasconde degli scheletri nell’armadio. Riuscirà Micheal a convincere Elizabeth a spostare la sua riserva per poter così accedere alle riserve di rame? Elizabeth è responsabile della morte di Anthony? Quale segreto Micheal si porta dietro dall’India?
LinguaItaliano
Data di uscita3 apr 2014
ISBN9788869092084
Occhi di diamante

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    Anteprima del libro

    Occhi di diamante - Greta Simmons

    Occhi di diamante

    Greta Simmons

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    Questo libro è stato realizzato con BackTypo

    un prodotto di Simplicissimus Book Farm

    Occhi di diamante

    Indice dei contenuti

    Cenni Storici

    Prologo

    1

    2

    3

    4

    5

    6

    7

    8

    9

    10

    11

    12

    13

    14

    15

    16

    17

    Cenni Storici

    Africa

    Il Continente nero è stato letteralmente devastato dall’'uomo civile.

    Questo paese, infatti, aveva già subito molteplici trasformazioni da parte degli europei nei secoli antecedenti alla colonizzazione bianca ed è molto probabile che, tranne le regioni ricche di giungla, gli ecosistemi naturali fossero già stati alterati dall'economia agro-pastorale, soprattutto nomade, di alcune popolazioni indigene. Ma la poca popolazione, decimata dalla tratta degli schiavi e dalle malattie, l’uso limitato dell’agricoltura e la gran varietà di risorse naturali del paese avevano assicurato prosperità alla fauna e alla flora fino all’arrivo degli uomini occidentali.

    Sin dall’inizio della colonizzazione l’uomo europeo cambiò del tutto questa situazione, attraverso la caccia con armi da fuoco, l’agricoltura più intensiva e l’allevamento. Nel 1800 l’Africa fu dunque preda di colonizzatori, cacciatori, esploratori e trafficanti.

    Dal 1652, quando un piccolo contingente di olandesi dette vita a Città del Capo per assicurare i rifornimenti alle navi della Compagnia Olandese delle Indie Occidentali, il continente nero fu martirizzato da uomini privi di scrupoli.

    Con l’arrivo di nuovi immigrati le risorse per sfamare le persone e provvedere alle navi di passaggio iniziarono a scarseggiare e i coloni cercarono nuovi pascoli in terre più fertili verso l'interno. Iniziarono così le prime penetrazioni nell’entroterra del paese. Nei secoli successivi gli ambienti naturali della regione del Capo furono gradualmente alterati, e agli inizi del 1800 l’intere zone erano state quasi completamente private della loro fauna naturale che fino a qual momento era rimasta intatta.

    L’ampia regione, estesa tra il Vaal a sud, il Limpopo a nord, il Drakensberg a est e il Kalahari a ovest, era abitata da un numero così straordinario d’erbivori selvatici da non trovare uguale in nessun'altra zona del continente. Quando queste terre, che poi diventeranno il Transvaal, il Natal e lo Stato Libero dell'Orange, furono colonizzate, lo sfruttamento dei prodotti della natura e della fauna selvatica era alla base dell'economia degli europei.

    In un primo tempo l'abbondanza delle risorse favorì i rapporti tra bianchi e indigeni, ma ben presto quest’intesa si trasformò in una lotta di potere per lo sfruttamento dell’ambiente. Per tagliare fuori i neri dal commercio della selvaggina, furono emanate delle leggi che riservavano la caccia ai soli Boeri (contadini). La nascente élite di latifondisti rafforzò il controllo sulle terre per escludere dalla caccia i nativi e i Boeri con un basso patrimonio. Risale a quegli anni l'estinzione completa di alcune specie, come il quagga e l'antilope azzurra.

    La colpa della riduzione della fauna selvatica fu attribuita agli indigeni. Secondo la comunità bianca, i nativi annientavano la natura e ammazzavano gli animali. Le classi medio-alte europee concepivano la caccia per scopi commerciali o sportivi e condannavano come crudele quella perpetrata dai neri, con il solo scopo di sfamare le tribù. Ovviamente furono i bianchi a uccidere molti più animali degli indigeni, i quali non potevano certo compiere grandi stragi perché non potevano tenere armi da fuoco e non avevano il diritto di possedere le licenze di caccia.

    Alla caccia intensiva si sommò un altro problema, quello della riduzione degli spazi adibiti agli animali a favore degli insediamenti umani.

    Solo a fine del 1800 si registra una sostanziale inversione di tendenza. La diminuzione degli animali, infatti, portò i governanti del tempo a prendere provvedimenti per la tutela degli stessi.

    Le prime aree protette del Sudafrica furono quelle delle foreste statali della provincia del Capo, alle quali si aggiunsero le riserve di caccia (game reserves) nella provincia del Transvaal, e infine quelle del Natal e dello Stato Libero dell'Orange. Il fine dei parchi era di creare dei santuari naturali destinati al ripopolamento della selvaggina. Per questi motivi le misure di protezione degli animali non furono accolte entusiasticamente dai bianchi.

    A quel tempo, però, per tutelare gli erbivori non si vide altro modo che sterminare i predatori, cioè i leoni, i leopardi, i ghepardi, gli sciacalli, le iene, i licaoni, oltre a tutti i rapaci e alcune specie di rettili. Scelta naturalmente dannosa. Inoltre tali parchi non avevano alcun tipo di protezione contro gli incendi e gli altri fenomeni naturali. Ciononostante molti erbivori, sull’orlo dell’estinzione, riuscirono a sopravvivere.

    La regione della Transvaal sarebbe diventata, negli anni a venire, la leader mondiale della conservazione della natura. A quel tempo la zona era inadatta all’occupazione umana o all’allevamento di animali domestici a causa della mancanza di potenzialità agricole e del clima. Per di più la regione era invasa da malattie davvero particolari, come la malattia del sonno. Solo molto tempo dopo si insediarono fattorie in quest’area e si scoprirono miniere di diamanti a Kimberley e d’oro a Witwatersrand.

    Con l’istituzione dei parchi nacquero anche nuove figure lavorative come quelle dei ranger, uomini impiegati per contrastare la piaga del bracconaggio, ovvero di quei cacciatori che uccidevano alcune specie per poi vendere zanne e pelli ad acquirenti occidentali. Tali uomini erano, come oggi, individui poveri e privi di mezzi ai quali il comportamento colonizzatore e imperialista dei bianchi aveva peggiorato molto la vita.

    Solo agli inizi del novecento lo sport della caccia grossa fu sostituito da un romantico attaccamento alla natura e la protezione faunistica fu rimpiazzata con una nuova idea di conservazione ecologica, finalizzata allo studio e al godimento dello spettacolo offerto dalla vita selvatica.

    Il Parco Nazionale Kruger fu inaugurato nel 1898 come riserva faunistica da Sabie e Paul Kruger.

    Le miniere di diamanti nell'area vicino alla città di Kimberley sono state scoperte nel 1870, mentre quelle di oro, del Witwatersrand, nel 1885.

    La regione del Transvaal è stata abitata fin dal secolo VIII dalle genti Venda e Sotho. Nel 1817 venne, però, invasa da altri tribù indigene. Questo rese l’area molto debole e facile da conquistare da parte dei vicini coloni Europei.

    Nel 1852 il Regno Unito firmò un trattato con i bianchi insediatisi nella regione, patto che riconosceva la loro indipendenza. Nel 1856 i Boeri adottarono il nome di Repubblica Sudafricana per il Transvaal. Questa provincia confinava con il Botswana a ovest, con lo Zimbabwe a nord e con il Mozambico e lo Swaziland a est.

    Il Cullinan era il più grande diamante della storia, grezzo pesava 3.106 carati. Il Cullinan fu tagliato in 9 pietre maggiori e 96 pietre più piccole. Fu trovato nella Miniera Premier del Transvaal (Sud Africa) nel Gennaio del 1905. E' stato chiamato Cullinan in onore di Sir Cullinan, presidente della Premier Diamond Mine Company.

    India

    Nel 1857 scoppiò la grande rivolta promossa inizialmente dai sepoy, le truppe indiane che prestavano servizio militare negli eserciti della Compagnia delle Indie.

    La rivolta ebbe motivazioni religiose: le cartucce per i fucili che gli inglesi distribuivano erano unte con grasso di vacca e il grasso per le canne era di maiale. Ciò suscitò lo sdegno sia degli Hindù che dei Musulmani. Si intendeva così protestare contro la violazione delle tradizioni locali operata sistematicamente dai conquistatori. A questo problema si unì il fatto che i sepoy erano spesso impiegati fuori dei confini indiani con il conseguente rischio di perdere la loro casta. Quasi tutti erano, infatti, reclutati tra le classi alte dei bramani e dei rajput. I soldati ritenevano che gli inglesi stessero cercando così di convertirli al cristianesimo.

    Ai sepoy si unirono presto masse esasperate di contadini e artigiani ridotti in miseria. Tale rivolta fu repressa dopo un anno di duri combattimenti, massacri e atroci rappresaglie, e richiese l’intervento di ingenti forze inglesi.

    La rivolta del 1857 indusse il governo di Londra ad assumere direttamente il controllo dell’India come colonia. Non cessò per questo lo sfruttamento del paese, tuttavia esso fu gestito in modo più razionale e si tentò di compensare il peso fatto gravare sulle masse indiane con alcuni vantaggi propri della civiltà europea. Si creò un’efficiente amministrazione, si costruirono delle grandi ferrovie e alcune industrie, e furono istituite le scuole inglesi per farne un valido alleato del regime coloniale. La guerra del 1857 segnò l’inizio della lotta per l’Indipendenza. Il sub-continente era ormai in subbuglio, non si trattava più di sporadici episodi locali o della solita resistenza delle tribù delle province di frontiera. Sotto la guida di intellettuali, ricchi commercianti e nobili, i giovani indiani si stavano organizzando per liberare il paese dagli invasori. 

    Prologo

    Sud Africa - 1867

    Sarebbe dovuto partire per l'Europa e intraprendere la carriera militare. Michael Sinclair era il secondogenito del duca di Northampton. Era un figlio cadetto e quindi destinato a una carriera nell'esercito di Sua Maestà o nella Chiesa protestante inglese.

    Poiché Michael non si vedeva con l'abito talare aveva scelto la cavalleria e così, nel fiore degli anni, sarebbe partito per l'Inghilterra.

    Il ragazzo era entusiasta. Finalmente, grazie a questo lavoro nell'esercito, si sarebbe costruito una vita tutta sua. A suo fratello maggiore sarebbe toccato amministrare le terre e gli affari della famiglia Sinclair in Africa.

    Il momento degli addii si era rivelato più difficile del previsto. Aveva preso commiato da tutti i suoi cari la sera precedente, pregandoli di non piangere. Aveva salutato i genitori e Anthony, suo fratello; Olivia, la fidanzata di quest'ultimo; ed Elizabeth...

    Già, la piccola Elizabeth. Quello era stato l'addio più straziante. L'aveva abbracciata forte, forte, le aveva rivolto un sorriso e le aveva raccomandato di fare la brava bambina.

    Elizabeth era una ragazzina di appena tredici anni, mentre lui ne aveva diciotto precisi. La bambinella aveva grandi occhi grigi, un bell'ovale e una cascata di capelli bruni, che le nascondeva il volto.

    Lizzie, come la chiamavano tutti in famiglia, era la figlia più piccola del loro vicino di casa. La loro proprietà, infatti, confinava con quella di un nobile italiano squattrinato, fuggito da Napoli per debiti di gioco.

    Michael per Elisabethlui nutriva un affetto smisurato. A lei raccontava tutto: le sue aspirazioni e i suoi desideri. La ragazzina lo adorava e trascorreva con lui ogni attimo della giornata. Stava a guardarlo per ore, in silenzio, mentre studiava per entrare all'Accademia militare o lo accompagnava in giro per la tenuta, risvegliando in lui un sentimento di protezione mai provato, neppure per i suoi stessi famigliari.

    A stento Michy aveva trovato il coraggio di dirle addio.

    Era l'alba e la casa era ancora immersa nel sonno. Il giovane uscì dalla porta di casa, affondando gli stivali nel fango. Il cielo era nero e minacciava tempesta. Non si voltò indietro, finché non fu abbastanza lontano, temendo di vedere sua madre alla finestra. Raggiunse la collinetta dove lui e Lizzie si davano sempre appuntamento per andare a cavallo insieme. Da lassù si poteva scorgere la villa, il giardino e l'intera vallata.

    Quella era la sua casa, il suo mondo, la sua Africa. Adesso solo Dio avrebbe saputo quanto tutto quello gli sarebbe mancato.

    Attraversò una fratta di siepi di ibiscus piantate da sua madre. Raggiunse il piccolo ruscello di Bikilu, dove lui ed Elisabetta si divertivano a fare il bagno, e proseguì verso la strada maestra. Salì su di una roccia che sporgeva sul rigagnolo e restò a osservare la corsa placida delle acque. Anche lì Lizzie gli aveva fatto compagnia. Sorrise malinconico, ripensando ai suoi occhi insondabili, al suo sorriso impacciato e a quelle manine infantili. In quegli ultimi mesi aveva passato molto tempo in riva al fiume per pensare al suo futuro. Cara, dolce, piccola Elizabeth. Quasi sicuramente quella piccola mocciosa gli sarebbe mancata più di tutti gli altri. Avvertì una fitta al cuore, pensando alla sua piccola gazzella della savana. Elizabeth era uno spirito libero e selvaggio, amante della natura, degli animali e delle tribù locali. Al contrario di Michy, nato a Londra e venuto in Africa a soli otto anni, lei era nata e cresciuta nel continente nero e si riteneva una vera e propria africana.

    Elisabetta vestiva con abiti disadorni, andava in giro a piedi nudi e gli unici gioielli che indossava erano dei bracciali rigidi, di ottone e di rame, da portare ai polsi, proprio come le donne native. Inoltre non si legava quasi mai i capelli: li lasciava cadere sulle spalle, bruni e lunghi fino alla vita.

    Michael si chiese come avrebbe fatto senza di lei, senza quella piccola indigena che gli donava sempre allegria e speranza.

    Sospirò profondamente. Era meglio allontanarsi in fretta. La carrozza lo aspettava sul ciglio della strada; era giunta l'ora di partire. 

    Michael doveva partire quella stessa mattina. Lo sapeva da più di un mese, ma ancora non si era abituata all'idea di perderlo per sempre.

    Lui era felice di poter tornare nella sua terra natia, si vedeva dalla luce che gli splendeva negli occhi.

    Elizabeth sapeva di aver perduto il suo migliore amico per sempre. Michael era il suo amico, il suo confidente, il suo fratello maggiore, era tutta la sua vita. Ma adesso non aveva più bisogno di lei, poiché i tempi dei giochi e delle risate erano finiti. Michy era un uomo adesso. Lui l'aveva tenuta fino all'ultimo istante con sé, durante le passeggiate all'aria aperta e nello studio di casa Sinclair, ma adesso stava per iniziare una nuova vita, una vita di cui lei non faceva più parte. Lei ne era sinceramente felice, ma anche un po' amareggiata.

    La marchesa Elisabetta Capasso, accoccolata su una poltrona della sua stanza da letto, guardava fuori della finestra sorgere il sole. Sperava che quei raggi caldi acquietassero il dolore interiore che le straziava il cuore.

    Doveva vedere Michy ancora un’ultima volta. Voleva vedere il suo eterno amico ancora un’ultima volta.

    Era l'alba e lui stava sicuramente partendo. Forse proprio in quegli stessi istanti le ruote della carrozza stavano cominciando a muoversi.

    Lei non lo avrebbe mai più rivisto.

    Michael. Oh, Michael!

    La ragazzina scattò in piedi e per non essere vista dalla servitù sgattaiolò fuori della finestra. I domestici di casa erano già in piedi e vedendola uscire di soppiatto dalla porta principale sarebbero andati di corsa da suo padre. Il marchese Giuseppe Capasso a quell'ora dormiva come un sasso, dopo essersi scolato chissà quante bottiglie di vino, ma ciò non gli avrebbe certo impedito di arrabbiarsi e chiuderla a chiave in camera. Non le aveva mai permesso di frequentare i Sinclair e lei aveva sempre disatteso i divieti paterni.

    La ragazzina aprì la finestra e, usando la grata di ferro sul quale si arrampicava una pianta di gelsomino, discese fino a terra.

    Corse a perdifiato attraverso il giardino, scavalcò con un salto la staccionata che divideva le due proprietà e si gettò a capofitto in direzione della strada principale. Attraversò una piccola macchia di cedri e poco oltre si fermò, ansimante.

    La carrozza era ancora ferma in fondo alla strada. Michael non era ancora partito!

    Lizzie si poggiò al tronco di un albero e riprese fiato. Attese dietro al fusto del cedro, tirando un sospiro di sollievo. Da quel sicuro nascondiglio avrebbe visto arrivare l’amico del cuore.

    Anche se lui la reputava una bambina lei voleva salutarlo ancora una volta e augurargli buona fortuna.

    Si ricordò del loro primo incontro, del giorno in cui lord Sinclair aveva comprato la tenuta confinante con la loro. Rammentava ancora il giorno in cui dalle stecche del cancello aveva visto un bambino di circa otto anni, che per farla smettere di piangere, dopo un capitombolo, le aveva regalato il suo soldatino di legno.

    _ Tieni, prendilo. Ti piacerà giocare con l'ammiraglio Nelson _ le aveva detto.

    Lei quel giorno piangeva perché suo padre l'aveva nuovamente sgridata e Michael, per consolarla, le aveva regalato quel giocattolo maschile, poiché era l'unica cosa che, al momento, aveva per le mani.

    I due bambini erano cresciuti insieme in quella terra lontana e selvaggia e adesso Michael era diventato un uomo bello e dolcissimo.

    Michy voleva molto bene a suo fratello e a Olivia. E forse amava anche lei, ma non più degli altri suoi cari. Lei era soltanto la piccola Lizzie.

    A Londra, in compagnia di chissà quali belle e sofisticate signore, avrebbe dimenticato la sua piccola gazzella africana, mentre lei lo avrebbe sempre tenuto nel cuore.

    Lizzie era ancora giovane e troppo piccola per capire. Sua madre era morta di tubercolosi quando lei aveva appena tre anni e così era stata affidata a una vecchia tata. Nessuno quindi le aveva mai spiegato i moti del cuore. Ma sapeva che quello che nutriva per Michael non era soltanto affetto fraterno. No, ogni giorno che passava quel sentimento si tramutava sempre più in qualcosa che lei non sapeva ancora definire. Dopo la morte di sua madre e la vita con un padre alcolizzato Michael era stato la sua unica fonte di felicità. Lui aveva dato un senso alla sua esistenza e adesso forse lo amava. Ma come poteva una ragazzina di tredici anni sapere che cos'era l'amore? Forse stava fraintendendo il profondo legame che la univa al suo vicino di casa. Che cosa sarebbe stato di lei quando Michy se ne fosse andato? Forse sarebbe morta di dolore e di tristezza.

    In quel momento sentì il rumore prodotto dagli stivali sul selciato e, oppressa da un peso enorme sul cuore, si appoggiò con la schiena al tronco dell'albero. Poi, appena vide Michael sbucare da dietro una siepe, uscì dal suo nascondiglio arboreo.

    Lui scorse un movimento vicino alla fratta e lentamente voltò la testa.

    Lizzie era là ad attenderlo.

    La sua piccola amica era pallidissima e lo fissava con occhi pieni di lacrime.

    _ Piccola gazzella africana. Non dovevi uscire all'alba. Se tuo padre scopre che non sei in casa si arrabbierà.

    _ Lo so, ma non m’importa. Dovevo salutarti ancora.

    Lei lo guardava fisso e senza rendersene conto le sfuggì un gemito.

    Nello scorgere la carrozza Michael aveva avvertito un sentimento di malinconia mista a consolazione.Stava lasciando la sua casa per un futuro incerto e nuovo. Un futuro che lui avrebbe costruito con le sue stesse mani. Che egoista era stato a pensare con gioia al suo avvenire mentre la piccola Elizabeth sarebbe rimasta in quel continente selvaggio in compagnia di un padre ubriacone. L'infelicità di quella bambina gettava un’ombra di tristezza sulla sua euforia.

    Ah, Lizzie. Piccola, dolce, fragile Lizzie!

    _ Tornerò con i gradi da maggiore e sarai fiera di me.

    _ Io lo sono già _ gli rispose lei con l'anima negli occhi.

    _ Lo so, mia piccola indigena. Vorrei restare con te ma non posso. Vedrai che l'anno prossimo, alla scuola di Nelspruit, ti farai nuovi amici e mi dimenticherai.

    _ No, non accadrà mai _ rispose lei con il viso corrucciato.

    Michael la prese tra le braccia e la strinse forte a sé. Poi le sollevò il faccino e premette le sue labbra contro la fronte della ragazzina, in un bacio fraterno.

    _ Oh. Elizabeth. La tua pace mi darà conforto per tutto il viaggio.

    Dopo si voltò e andò alla carrozza. Vi salì sopra e si gettò sui sedili di velluto, sospirando.

    Michy non aveva mai provato molto affetto per nessuno dei suoi famigliari, ma quella piccola monella lo aveva stregato. Quella sorellina gli sarebbe rimasta sempre nel cuore, ne era certo.

    La carrozza partì. Il futuro del giovane inglese era cominciato.

    Michael per non affogare nel rimpianto si concentrò su ciò che lo attendeva: marce, addestramenti, divise e lustrini. Sentiva dentro di sé l'entusiasmo della giovinezza.

    Lizzie rimase a guardare la carrozza che si allontanava lungo la strada che conduceva a Pretoria. Poi quando la vettura scomparve all'orizzonte, raccolse il volto fra le mani, si accasciò a terra e pianse fino allo sfinimento.

    Lo vedeva ancora di fronte a sé: alto, bello, con i capelli color nocciola e il suo vestito da viaggio di squisita fattura.

    La sua vita era finita, poiché Michael se n'era andato per sempre, portandosi via il suo cuore, la sua anima e la sua stessa esistenza. A lei adesso restava soltanto la collera di suo padre e le rare visite di sua sorella Anna, sposata a un vicario del vicino villaggio di Iwazigu.

    Aveva sempre i due vecchi Sinclair, da cui rifugiarsi quando le cose con il genitore si mettevano male, e l'affetto sincero di Anthony, ma non era la stessa cosa. Lei voleva bene all’intera famiglia Sinclair, andando contro le direttive di suo padre. Ma come poteva continuare a frequentare i nobili inglesi ben sapendo che gli avrebbero sempre rammentato Michy? L'aveva perso per sempre. Ne era sicura. Anche se un giorno fosse tornato loro due non sarebbero più stati quelli di un tempo. Lui, partito poco più che fanciullo, sarebbe tornato uomo, lei sarebbe cresciuta da sola, tramutandosi in una donna.

    Lui sicuramente in Inghilterra avrebbe incontrato molte donne già mature e pronte ad amarlo e lei sarebbe cresciuta nella sua selvaggia Africa, diventando una donna impegnata nella salvaguardia degli animali. Questo era il suo scopo, ciò che si era prefissata fin da piccola. Sarebbe cresciuta senza Michael, sarebbe vissuta senza il suo amore, poiché lui le voleva bene come un fratello e basta. Lei, nei suoi tredici anni, lo amava, lo adorava, lo venerava. L'avrebbe sempre portato nel cuore e nessuno sarebbe venuto a conoscenza di quel sentimento. Lo avrebbe amato in silenzio, di nascosto.

    Adesso anche per lei cominciava una nuova vita, una vita senza Michael.

    1

    Northern Provinc -1875

    Villa Parthenope era il nome della casa dei marchesi Capasso de Forres. La casa era malridotta quanto il vecchio nobile italiano, costretto a letto dopo un attacco apoplettico. Giuseppe Capasso de Forres di Santa Croce, conte palatino, cavaliere del Sacro Romano Impero ed esarca di Bisanzio era paralizzato dal collo in giù, incapace quindi di parlare e di muoversi. Solo i suoi occhi rivelavano che dentro quel corpo inerte scorreva ancora la vita.

    Dall'esterno la villa aveva un aspetto sinistro, quasi fosse una di quelle case maledette di cui si parla nelle vecchie storie paesane. Le pietre della facciata erano rovinate e coperte di edera, mentre all'interno i saloni erano disadorni e cupi. La stanza da letto del vecchio marchese era ampia, ma il suo arredamento era ridotto all'osso.

    Le finanze erano sempre più misere, ma da quando Elizabeth aveva preso le redini della casa, dopo l'ictus paterno, la villa era decisamente più pulita, magari povera ma linda e ordinata.

    Elisabetta entrò nella camera del padre; vicino al letto dell'ammalato sostavano in piedi il dottore e l'avvocato di famiglia. C'era voluto molto tempo perché quei due signori riuscissero a raggiungere quell'area sperduta e selvaggia.

    Durante la notte il vecchio marchese era peggiorato e adesso si temeva che quel nuovo attacco se lo sarebbe portato via per sempre.

    Giuseppe giaceva a letto, pallido e inerte. Il suo viso rugoso era esangue e imperlato di un velo di sudore. La fioca luce di un lume a petrolio gli conferiva un colore evanescente e marmoreo, quasi fosse già cadavere.

    L’uomo stava immobile, il suo respiro era quasi impercettibile e i capelli erano madidi di sudore, mentre profonde occhiaie scure scendevano verso le guance. Il suo aspetto era orribile e straziante per chiunque lo guardasse.

    Elizabeth si sedette su di una poltrona accanto a lui, prendendogli una mano e stringendola forte con la propria, ma il malato rimase inerte come una statua. La ragazza non aveva mai provato amore per il padre, ma quella morte atroce e carica di sofferenza stava spazzando via ogni rancore.

    _ Signorina, ricordate che vi debbo parlare _ le sussurrò all'orecchio l'avvocato, piegandosi un po' su di lei.

    La ragazza gli rivolse un'occhiata comprensiva.

    Si raccomandò alle cameriere e al dottore che suo padre non restasse mai solo e che venissero subito a chiamarla in caso le sue condizioni fossero peggiorate ulteriormente.

    La fanciulla fece strada al legale verso un salottino adiacente alla stanza da letto. Poi si sedette davanti all'uomo e intrecciò le mani in grembo. Il suo volto pallido e spento manifestava la stanchezza che da mesi ormai la pervadeva.

    Lizzie era una bella fanciulla, ma alla sua bellezza mancava qualcosa. Mentre si chiedeva cosa in quella nobildonna non andasse, Mr. Gibson si lisciò i folti baffi. Era la seconda volta che vedeva Elizabeth; prima del malore era sempre stato il marchese a gestire il poco denaro di famiglia. Una vita fatta di feste, balli e abiti pregiati! Ecco cosa mancava a quella giovane fanciulla. Elizabeth era nata e cresciuta in un paese selvaggio, quando invece avrebbe dovuto vivere in Europa e condurre un’esistenza agiata e spensierata. Il tipo di vita che ogni fanciulla della sua età aveva il diritto di fare.

    Improvvisamente, conscio del silenzio che si era creato con le sue divagazioni mentali, si schiarì la voce.

    La prima volta che, saputo dell'attacco avuto dal marchese, si era recato in quell'angolo sperduto del Sud-Africa aveva pensato che il colloquio con la figlia del marchese Capasso sarebbe stato semplice, ma adesso, per la seconda volta, si sentiva a disagio di fronte a quella fanciulla alla quale il destino avrebbe dovuto riservare un buon matrimonio, una casa e dei figli.

    Impietosita dall'agitazione del legale la ragazza prese la parola.

    _ Allora, quanto mi è rimasto dopo i vostri calcoli _ la sua voce era calma e pacata.

    L'avvocato afferrò al volo l'aiuto offertogli dalla fanciulla.

    _ Pochissimo, madame.

    Poi si accomodò meglio sulla poltrona e proseguì con tono professionale.

    _ Come sapete, vostro padre ha mangiato la sua fortuna e quella di vostra madre, inoltre i suoi scavi alla ricerca di diamanti e di oro non hanno portato i risultati sperati.

    Lizzie rimase in silenzio. Il signor Gibson era un bell'uomo sui quaranta, forse un po' pomposo, ma gentile.

    _ Al punto in cui siamo non so neppure se i soldi che ci sono basteranno per pagare il lavoro del medico e dell'infermiera assunta per accudire costantemente vostro padre.

    _ Cosa posso fare? _ domandò.

    _ Vedete, cara Elizabeth, ho avuto modo di riflettere molto sulla vostra condizione e temo che per voi ci sia poco margine di azione. Non avete denaro e nessun familiare che vi possa aiutare, gli unici vostri parenti vivono a Napoli e si disinteressano totalmente di voi. Credo che l'unica soluzione sia chiedere un prestito ai vostri illustri vicini, i quali, considerando i rapporti che intrattenevano con vostro padre, non accetteranno.

    Lizzie sospirò

    _ Però potreste anche sposarvi _ concluse lui vedendola così abbattuta.

    _ Sposarmi?_ fece eco la ragazza, perplessa.

    _ Sì, sposarvi. Oh, badate, so benissimo che non siete un buon partito, poiché non avete neppure la dote, ma qualche uomo... seriamente interessato a voi... e libero si può sempre trovare _ buttò là l’avvocato.

    Un pesante silenzio cadde nella stanza. All'esterno i barriti degli elefanti risuonavano per la savana.

    Elisabetta sapeva che i suoi vicini non l'avrebbero aiutata, troppe volte suo padre e il vecchio lord Sinclair avevano litigato per questioni economiche. Il marchese napoletano aveva sempre accusato l’aristocratico britannico di avergli rubato le miniere di diamanti vicino alla città di Kimberley oltre a quelle già enormemente redditizie di carbone nello Swaziland. Suo padre non era mai riuscito a parlare dei Sinclair senza diventare paonazzo dalla rabbia. Se almeno Michael fosse stato in Sud-Africa; lui certamente non le avrebbe negato un aiuto.

    Ah, ma che vado a pensare si rimproverò per l’ennesima volta. Il suo amico del cuore mancava da quel paese da più di otto anni e quasi sicuramente si era rifatto una vita in Inghilterra. La corrispondenza tra lei e Michael si era bruscamente interrotta dopo un anno dalla partenza del giovane. Probabilmente lui aveva moglie e figli e non poteva certo andare in soccorso di una donna che ricordava soltanto come una mocciosa che gli correva sempre dietro.

    Lizzie riportò lo sguardo sull'avvocato e, notando la sua espressione di trepidante attesa, si sentì salire il sangue al cervello.

    _ Debbo rifletterci, Mr. Gibson. Il matrimonio non è una decisione da prendere in cinque minuti.

    _ Sì, capisco _ osservò un po' deluso il legale.

    In quel momento Elizabeth provò quasi pena per quel

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