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Il "Narrative"
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E-book356 pagine5 ore

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Info su questo ebook

Non si sa di sicuro se sia nato nel 1782 o 1783. Quando si presenta nel giugno del 1815 alle autorità egiziane esibisce 2 documenti rilasciati l'uno, il passaporto, a Cadice e l'altro, il certificato sanitario a Roma. Nel primo nasce il 1782, nell'altro l'anno dopo. Il cognome padovano era in realtà Bolzon che lui cambiò in Belzoni perché riteneva, a ragione, che Bolzon fosse la forma dialettale di Belzoni. A quattordici anni abbandona Padova e va ad abitare da parenti a Roma. Dato il luogo ha una improvvisa vocazione religiosa e finisce in convento dove resta per poco tempo.

Tornato laico va prima in Francia (in epoca napoleonica) poi in Olanda e infine, quando ormai ha venticinque anni, in Inghilterra. Poco dopo sposa Sara, donna coraggiosissima che lo seguirà nei suoi primi viaggi.

A Londra, dapprima si esibisce in teatro al Sadler's Wells sollevando in una volta sola ben otto uomini, poi approda al Covent Garden in un musical composto da Tommaso Dibdin intitolato "Valentino and Orson".

Viene il momento dei viaggi e l'"uomo forzuto" si esibisce in Portogallo in "Sansone e Dalila".

È in questo momento della sua vita, quando Belzoni è alla soglia dei 40 anni, che sente parlare della pompa idraulica e ha l'idea di portarne una in Egitto dove l'acqua del Nilo veniva ancora sollevata con le pertiche. Il brigantino "Benigno", comandato da Pietro Pace, trasporta lui e moglie nel luogo desiderato e l'approdo avviene il 9 giugno 1815, nove giorni prima di Waterloo. Tutto il resto, fino alla sua improvvisa morte avvenuta il 3 dicembre del 1823, è narrato nel libro che lo stesso Belzoni ha scritto.
LinguaItaliano
Data di uscita3 nov 2014
ISBN9788897264460
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    Anteprima del libro

    Il "Narrative" - Giovanni Battista Belzoni

    FRONTESPISZIO

    Il NARRATIVE

    di Giovanni Battista Belzoni

    e

    IL MODESTO RACCONTO DELLA SIGNORA BELZONI SULLE DONNE EGIZIANE, NUBIANE E TURCHE

    Traduzione dall'inglese e cura di Gianpietro Grecchi

    COLOPHON

    Tutti i diritti riservati

    Copyright ©2014 Oltre edizioni

    http://www.oltre.it

    info@oltre.it

    ISBN 978-88-97264-46-0

    ISBN cartaceo 978-88-97264-41-5

    Titolo dell'opera: Il Narrative

    Autore: Giovanni Battista Belzoni

    Traduzione dall'inglese e cura di Gianpietro Grecchi

    La traduzione è stata realizzata sulla base dell'edizione inglese di J. Murray, London, 1820.

    Collana * passato remoto

    diretta da Roberto Maggi

    Le tavole a colori dell'inserto sono state fotografate da Mario Setter

    (mariosetter@email.it), presso la Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, dalla copia del libro edito da J. Murray, London, 1820.

    Seconda edizione novembre 2014

    Il curatore, Gianpietro Grecchi, è titolare di un blog al seguente indirizzo:

    http://il-narrative.tumblr.com

    Sarà lieto di rispondere alle domande dei lettori.

    Contattatelo!

    FRONTESPISZIO

    COLOPHON

    Cenni sull’autore Giovanni Battista Belzoni

    Il curatore: Gianpietro Grecchi

    Introduzione

    Note e Bibliografia

    I personaggi del Narrative

    Le gerarchie

    Gli acquerelli di Alessandro Ricci

    NARRAZIONE DELLE RICERCHE E RECENTI SCOPERTE DI PIRAMIDI, TEMPLI, TOMBE E SCAVI IN EGITTO E IN NUBIA E DI UN VIAGGIO FINO ALLA COSTA DEL MAR ROSSO ALLA RICERCA DELL’ANTICA BERENICE NONCHÉ DI UNA SPEDIZIONE ALL’OASI DEL TEMPIO DI GIOVE AMMONE

    di Giovanni Battista Belzoni

    Prefazione

    Primo viaggio: ricerche e operazioni in Egitto e Nubia

    Secondo viaggio: il sarcofago di alabastro

    Terzo viaggio: la città fantasma

    Motivi del mio viaggio nel Mar Rosso

    Relazione del trasporto dell’obelisco dall’isola di File ad Alessandria

    Viaggio all’oasi di Giove Ammone

    RITORNO IN EUROPA E ULTIMO VIAGGIO

    di Gianpietro Grecchi

    Ritorno in Europa e ultimo viaggio

    IL MODESTO RACCONTO DELLA SIGNORA BELZONI SULLE DONNE EGIZIANE, NUBIANE E TURCHE

    di Sarah Belzoni

    Il modesto racconto della signora Belzoni sulle donne egiziane, nubiane e turche

    Cenni sull’autore Giovanni Battista Belzoni

    Non si sa di sicuro se sia nato nel 1782 o 1783. Quando si presenta nel giugno del 1815 alle autorità egiziane esibisce 2 documenti rilasciati l’uno, il passaporto, a Cadice e l’altro, il certificato sanitario a Roma. Nel primo nasce il 1782, nell’altro l’anno dopo. Il cognome padovano era in realtà Bolzon che lui cambiò in Belzoni perché riteneva, a ragione, che Bolzon fosse la forma dialettale di Belzoni. A 14 anni abbandona Padova e va ad abitare da parenti a Roma. Dato il luogo ha una improvvisa vocazione religiosa e finisce in convento dove resta per poco tempo. Tornato laico va prima in Francia (in epoca napoleonica) poi in Olanda e infine, quando ormai ha 25 anni, in Inghilterra. Poco dopo sposa Sara donna coraggiosissima che lo seguirà nei suoi primi viaggi. A Londra dapprima si esibisce in teatro al Sadler’s Wells sollevando in una volta sola ben 8 uomini, poi approda al Covent Garden in un musical composto da Tommaso Dibdin intitolato Valentino and Orson. Viene il momento dei viaggi e l’uomo forzuto si esibisce in Portogallo in Sansone e Dalila.

    E’ in questo momento della sua vita, quando Belzoni è alla soglia dei 40 anni, che sente parlare della pompa idraulica e ha l’idea di portarne una in Egitto dove l’acqua del Nilo veniva ancora sollevata con le pertiche. Il brigantino Benigno comandato da Pietro Pace trasporta lui e moglie nel luogo desiderato e l’approdo avviene il 9 giugno 1815, nove giorni prima di Waterloo. Tutto il resto fino alla sua improvvisa morte avvenuta il 3 dicembre del 1823 è narrato nel libro che lo stesso Belzoni ha scritto.

    Il curatore: Gianpietro Grecchi

    Gianpietro Grecchi inizia la sua carriera giornalistica allAvanti! diretto da Pietro Nenni. Poi si sposta a Roma e lavora a Rassegna sindacale allora diretta da Tatò, futuro segretario di Berlinguer. E’ assunto infine a il Il Giorno da Italo Pietra e lavora alla redazione esteri. Seguono altre promozioni parallele all’età e diventa capo redattore centrale. Ha occasione di fare frequenti viaggi all’estero e si appassiona in particolare alla storia egiziana. Una volta pensionato, studia egittologia a Bologna sotto la guida di Pernigotti.

    Ha pubblicato il romanzo Sangue sulla via della seta e i saggi Napoléon, guerre e amori e Waterloo: la verità nascosta.

    Introduzione

    di Gianpietro Grecchi

    Belzoni ricevette un riconoscimento non comune per un archeologo: una grossa scritta azzurra all’interno della camera sepolcrale della piramide di Chefren lo ricorda come colui che scoprì l’ingresso dell’impenetrabile monumento che, insieme alle altre due piramidi di Giza, è una delle meraviglie del mondo antico. Poco prima che il padovano riuscisse nella sua storica impresa i francesi residenti in Egitto, guidati dal piemontese Bernardino Drovetti, per molti anni console di Parigi nonché consigliere del Pascià d’Egitto Mohammed Alì, avevano promosso una raccolta di firme in tutte le corti europee per ottenere dal governo egiziano di utilizzare anche l’esplosivo pur di farsi strada nei sepolcri degli antichi faraoni della IV° dinastia. Ma fortunatamente ottenne migliori risultati l’ingegno di Belzoni che un assalto militare ai più bei tesori che l’antichità ci abbia lasciato.

    L’attività del padovano ha avuto aspetti curiosi di cui s’è persa memoria, ma il fatto paradossale è che la memoria l’hanno smarrita anche gli egiziani visto che non hanno mai pensato di accomunare ai meriti del nostro compatriota quelli dell’Islam. Sì perché, come nel colpo di scena finale dei migliori film, una volta raggiunta la camera sepolcrale della piramide di Chefren, Belzoni ebbe la sorpresa di trovare sui muri un graffito in lettere arabe. Fattolo tradurre, risultò che un migliaio di anni prima, cioè circa 200 anni dopo la conquista araba, il Pascià Mohammed Ali aveva fatto aprire il monumento dal maestro lapicida Mohammed Ahmed che riuscì a raggiungere la camera sepolcrale. Constatato che non c’era nulla che potesse essere prelevato, tantomeno la mummia del faraone, gli stretti cunicoli furono richiusi e nessuno più s’interessò alla piramide.

    Se questa fu l’impresa belzoniana più famosa, altre scoperte di non minore importanza furono: la scoperta della tomba di Seti I, che l’esploratore scambiò per quella di Psammuthis della XXVI dinastia, e quella del tempio di Abu Simbel, il capolavoro voluto dal grande Ramses II, ormai sepolto sotto la sabbia. Per la verità lo svizzero Johan Burckhardt già nel 1813 aveva identificato questo monumento (la leggenda tramanda che la regina Nefertari sia morta sulla sua soglia) ma non aveva intrapreso alcuno scavo. Fu Belzoni che il 4 agosto del 1817 ebbe la capacità e il coraggio di penetrare dopo migliaia d’anni nel suo interno. Come è noto, questo tempio nel 1960 è stato smantellato e poi ricomposto 60 metri più in alto per evitare di seppellirlo sotto l’enorme lago voluto da Nasser per poter produrre energia elettrica.

    I frequenti errori di Belzoni nel comprendere datazioni, utilità e importanza del mondo antichissimo che andava scoprendo vanno perdonati, poiché i soli testi che poteva consultare e in cui aveva piena ..…) fiducia erano le memorie di viaggio di Erodoto e Strabone¹, spesso vittime delle fantasiose verità inventate dagli egiziani per proteggere la sacralità e l’integrità dei loro più antichi monumenti. Altre false scoperte del padovano descritte nel Narrative furono quella della misteriosa città di Berenice (evidentemente un abbaglio) e quella del tempio a Giove Ammone, divinità influenzata dal mondo greco. Qui l’equivoco fu più grave poiché il nostro archeologo sbagliò anche la località; infatti collocò il ritrovamento nell’oasi minore di Bahariah, dove non fu mai eretto alcun tempio alla sincretica divinità.

    Se questi sono infortuni quasi inevitabili, in rapporto al periodo dell’attività belzoniana che precede di poco la decrittazione dei geroglifici fatta nel 1822 da Champollion, resta il fatto che la qualità delle scoperte del nostro connazionale sono tali da farne uno dei personaggi più importanti e di più duratura memoria del mondo dell’egittologia. Ciò che colpisce è che la vocazione per queste imprese, da cui non può ovviamente essere disgiunta la speranza, poi realizzata, di un facile arricchimento, gli maturò tardi e per caso quando era prossimo ai 40 anni, dopo una vita che non è una esagerazione definire picaresca.

    Cominciamo dall’inizio. Nel caso di Belzoni è appropriato affermare che al principio era il caos, infatti non quadrano né il cognome né il certificato di nascita. Nessun dubbio invece sul luogo dove il futuro esploratore si affacciò alla vita: Padova, contrada Ognissanti. Il padre, Giacomo, era un barbiere e tirava avanti a fatica la famiglia composta dalla moglie Teresa e da quattro figli. Sul registro della vicina parrocchia risulta annotata la nascita di Giovanbattista Bolzon ma, quando nel giugno 1815 l’esploratore presenta alle autorità egiziane i documenti rilasciatigli a Cadice e a Malta, ovvero passaporto e certificato sanitario, risulta chiamarsi Giovanbattista Belzoni nato a Roma. I doganieri, un poco distratti, non notano peraltro che il passaporto riporta come data di nascita il 1782 mentre il certificato sanitario annota 1783.

    Per quanto riguarda il cognome è probabile che la falsificazione sia dovuta alla convinzione, istillatagli dal padre, che l’origine della famiglia fosse capitolina, per cui il cognome Bolzon era considerato la versione dialettale patavina di Belzoni. La data di nascita ondivaga, invece, aveva probabilmente a che fare con le professioni artistiche che il futuro egittologo esercitò in Inghilterra, il saltimbanco e poi l’attore, che gli imponevano una duratura giovinezza.

    Nulla sappiamo sui suoi primi studi e sulla formazione giovanile. Certo è che, già da bambino, aiutava il padre in bottega. A undici anni tentò, insieme al fratello Antonio, di fuggire da casa con méta Roma ma, poiché i due avventurosi ragazzi stavano fuggendo a piedi, giunti sull’Appennino emiliano distrutti dalla fatica e dal poco cibo, tornarono a casa. Tre anni dopo il giovane Bolzon riuscì tuttavia a coronare il suo sogno di andarsene a vivere a Roma in casa di parenti. Quando era già famoso, l’esploratore si lasciò sfuggire che nel periodo capitolino aveva fatto studi di idraulica e poi, convinto di avere una vocazione religiosa, era stato in convento. Inquieto di natura, a 18 anni Belzoni (ormai aveva cambiato il cognome) partì per la Francia dove soggiornò due anni, poi si spostò in Olanda e infine, a 25 anni, era il 1803, approdò in Inghilterra, paese che divenne la sua seconda patria. Era un giovane alto quasi due metri e di bell’aspetto, quindi non poteva passare inosservato. Poco dopo Belzoni si sposò con Sarah, donna coraggiosissima che lo seguirà in gran parte delle sue peregrinazioni egiziane e lo accompagnerà fino al Marocco nella sua ultima avventura. Di lei non sappiamo nulla, né sul suo aspetto né sulla sua origine. Fra i contemporanei c’è chi l’ha descritta come matronale, chi come piccola ma determinata. Quello che è certo è che il loro fu un buon legame e che la coppia non ebbe figli.

    Belzoni in Inghilterra lasciò, prima dell’avventura egiziana, tracce talmente evidenti della sua presenza che poi non gli sarà possibile cancellare quando, più in là negli anni, nel suo nuovo conformismo borghese di uomo d’avventura e di successo, ricordare il passato lo metterà a disagio. L’italiano gigantesco trovò come suo primo e unico lavoro quello di artista teatrale e diventò presto, con successo, protagonista in Sansone della Patagonia, in Gigante cormorano e in Gigante Ferragus. A Londra, sul palcoscenico del Sadler’s Wells, faceva una grande figura quando compariva con ampie vesti orientali e quattro lunghe piume bianche sul capo che dilatavano oltremodo la sua già ingombrante mole. Il suo numero consisteva nel sollevare contemporaneamente 8 spettatori.

    Comunque, nel suo piccolo, il padovano faceva carriera, tanto da approdare nel 1804 al Covent Garden in un musical composto da Tommaso Dibdin dal titolo Valentino and Orson. Questi per l’esploratore sono anni confusi, spesi alla ricerca del denaro, ovviamente collegato al successo. Nonostante i suoi sforzi, nel suo caso certamente erculei, questo obiettivo, anziché essere a portata di mano, sembrava però decisamente irraggiungibile. A questo punto Belzoni ebbe l’idea di portare i suoi spettacoli in Portogallo dove erano di stanza truppe inglesi. Al teatro San Carlo di Lisbona andò in scena il 13 febbraio 1813 Sansone e Dalila; era scontato il ruolo del nostro che, in realtà però, da tempo dedicava il suo tempo libero a studiare l’idraulica, scienza che l’affascinava.

    Seguirono altre inquietudini e continui viaggi in Spagna, Sicilia e Malta, dove fu folgorato dalla possibilità di cambiare finalmente mestiere e fare denaro dedicandosi alla sua grande passione ingegneristica. Non si sa chi gli abbia dato questa informazione, ma è certo che qualcuno, proprio sull’isola, gli abbia parlato del dramma della siccità egiziana e dei miracoli che lì avrebbe potuto compiere una moderna pompa idraulica, visto che il popolo dei faraoni tirava ancora su l’acqua dal Nilo con le pertiche. Belzoni decise subito di partire per l’Egitto, dove sperava di diventare, se non famoso, almeno ricco, accompagnato dalla moglie Sarah e dal domestico irlandese James Curtain. La traversata da Malta fu compiuta sul brigantino Benigno comandato da Pietro Pace e l’approdo avvenne il 9 giugno del 1815. Da qui inizia il Narrative.

    Due secoli dopo che giudizio si può dare sull’attività di Belzoni e che opinione hanno di lui gli archeologi che gli sono succeduti e hanno condiviso la sua passione, proseguendo sul campo l’attività estenuante delle ricerche? Citeremo di seguito giudizi significativi, ma è necessario chiarire due questioni che avvelenarono la serenità di Belzoni quando era in vita e offuscarono poi la sua memoria. La prima sono i suoi rapporti con il console inglese Salt, la seconda i suoi metodi d’indagine a dire poco rustici. Di fatto c’è ancora oggi un atteggiamento di sufficienza di certi archeologi anglosassoni, che sono restii ad accettare il fatto che un saltimbanco abbia potuto fare scoperte egittologiche di enorme rilevanza. Dal loro punto di vista sarebbe stato molto più corretto se le mummie dei faraoni le avesse ritrovate il console Salt, al quale andarono comunque tutti gli onori. Questo nonostante che la sua campagna di ricerche nella valle dei Re, durata quattro mesi, non avesse portato a nessun ritrovamento, come sono stati inutili tutti i suoi tentativi di penetrare nelle piramidi della piana di Giza. Questa corrente di pensiero, che ancora oggi ha degli adepti, tende a presentare Belzoni come un dipendente stipendiato da Salt al quale andrebbero dunque tutti gli onori, mentre il nostro connazionale sarebbe stato soltanto un cavapietre.

    La realtà, come ci narra Belzoni nel suo libro, fu invece molto diversa. Salt pagò Belzoni perché sovraintendesse al trasporto del busto del cosiddetto giovane Memnone, poi i rapporti fra i due si interruppero. La differenza fondamentale fra Salt e Belzoni è che il console (la cui collezione è ora al Louvre) comprava dagli egiziani i reperti antichi senza alcuna fatica, mentre il padovano faceva da solo con sudore e intelligenza le sue scoperte, alcune eccezionali come la famosissima tomba di Seti I.

    Certamente oggi, nonostante l’ammirazione per l’uomo, non si può concordare sui rustici metodi di scavo belzoniani. Quando scopriva una tomba, aspettava soltanto il tempo necessario perché la malsana aria millenaria incapsulata uscisse, poi accendeva una candela ed entrava. Se vedeva una statua o un oggetto trasportabile che lo interessava se lo prendeva, senza nessun riguardo per i significati che andavano smarriti. Inoltre lo stesso Belzoni, con le apocalittiche scene descritte nel Narrative, come ad esempio quella in cui cade su una catasta di mummie polverizzandole in un turbinio di crani e di ossa, ha certamente contribuito a lasciare ai posteri un’immagine negativa del suo lavoro. Però, a sua discolpa si deve considerare che l’archeologia, intesa come scienza, sarebbe venuta alla luce soltanto verso la metà dell’Ottocento, mentre l’ambiente in cui Belzoni operava era quello speculativo dei consoli di diversi Paesi europei che cercavano soltanto di trarre il massimo profitto dall’egittomania, allora diventata una moda, e vendevano a caro prezzo collezioni alle varie corti europee.

    Belzoni invece, nonostante fosse bisognoso di denaro più dei suoi avversari, privilegiava molto il piacere della ricerca e subiva prepotentemente il fascino del mondo antico. Comunque, è indiscutibile che anche lui abbia procurato danni a una delle sepolture più preziose: gli ipogei reali dei figli di Ramses II. L’archeologo americano Kent R. Weeks, che ha scavato per anni in questo enorme sepolcro, scrive nel suo libro La tomba perduta: Belzoni, la moglie e il pittore Alessandro Ricci hanno costruito un modello di questo ipogeo, lungo circa 15 metri, con una serie di calchi fatti di stucco dipinto, così da riprodurre in grandezza naturale due camere della stessa tomba. Furono proprio i calchi a danneggiare le parti originali del sepolcro. Lo stesso rimprovero a Belzoni fu fatto da Howard Carter, lo scopritore della tomba di Tutankhamen, che fu ispettore delle antichità della Valle dei Re. Scrive Carter: Il calcare in cui la tomba di Seti I è stata scavata e scolpita, sebbene di buona qualità, è comunque molto scistoso e pieno di fessure naturali che, in molti casi, si sono sgretolate con il passare dei secoli, per cui alcune parti della superficie si sono scrostate e sono cadute a pezzi. Questo stato di cose non è stato certo migliorato dai primi esploratori e cacciatori di antichità come Belzoni. Le sculture dipinte sono state rovinate dall’esecuzione di calchi bagnati. Le pareti scolpite sono state fatte a pezzi in maniera indiscriminata per ricavarne cartigli e graziosi pezzi in rilievo. C’è n’è abbastanza per inchiodare Belzoni ai suoi torti postumi.

    Però lo stesso Carter, l’archeologo che fece le scoperte più importanti, nelle sue memorie modifica non poco l’affermazione precedente: "Passiamo al 1815 – scrive – e incontriamo uno dei più famosi personaggi dell’egittologia: Giovanbattista Belzoni, che raccolse le sue esperienze egiziane in un libro pubblicato nel 1820² che è uno dei più affascinanti di tutta la letteratura sugli scavi in Egitto." Avrebbero commentato lapidari i latini sive bonum sive malum fama est, invece da noi è calata su questo personaggio una sorta di damnatio memoriae senza smagliature che noi vorremmo rimuovere.

    1 Oltre alla Description de l’Egipte di Dominique Vivant Denon, 1802.

    2 Cioè il Narrative, n.d.t.

    Note e Bibliografia

    Giovanni Belzoni scrisse il rapporto sulla sua attività in Egitto in inglese. L’opera: Narrative of the Operations and Recent Discoveries within the Pyramids, Temples, Tombs and Excavations in Egypt and Nubia; and of a Journey to the Coast of the Red Sea, in search of the ancient Berenice; and another to the Oasis of Jupiter Ammon, pubblicata a Londra nel 1820, ebbe grande successo, così come la mostra da lui progettata ed allestita l’anno successivo alla Egyptian Hall di Piccadilly.

    Il libro fu tradotto in francese nel 1822, ed in italiano dalla Tipografia dei F.lli Sonzogno nel 1825. Altre due traduzioni, fuori commercio, sono state realizzate, una nel 1924 per il Comune di Padova, l’altra a cura del Lyon Club di Padova nel 1982 in occasione delle Celebrazioni Belzoniane. Nel 2007, il Museo Civico Archeologico di Bologna, nel quadro del rinnovamento della sezione egizia, ha allestito la Mostra, Giovanni Battista Belzoni. Un Indiana Jones alla riscoperta dell’antico Egitto, ispirata a quella londinese.

    Sulla figura e sulle imprese di Belzoni esiste un’ampia bibliografia, anche in italiano.

    Citiamo qui:

    Aa.Vv., Celebrazioni Belzoniane, 1778-1978, Padova 1982.

    L. Montobbio, Giovanni Battista Belzoni. La vita, i viaggi, le scoperte, Padova 1984.

    G. Peretti, Belzoni: il pioniere dell’egittologia, Este 1985.

    M. Zatterin, Il gigante del Nilo: storia e avventure del grande Belzoni, l’uomo che svelò i misteri dell’Egitto dei faraoni, Milano 2000.

    D. Picchi, M. Tinti, Presentazione alla mostra Giovanni Battista Belzoni.Un Indiana Jones alla riscoperta dell’Egitto, in La terra, gli uomini e gli dèi: il paesaggio agricolo nell’Antico Egitto. Atti del III° colloquio, Bologna, 30-31 maggio 2007, Imola 2008.

    I personaggi del Narrative

    Il resoconto dei viaggi e delle scoperte di Belzoni non è soltanto fitto di scavi e di avventure, ma anche di personaggi, a volte di grande importanza. Qualche cenno sulle loro vite può essere utile per farsi un’idea del mondo che si muoveva intorno al nostro archeologo.

    Mohammed Ali Pascià d’Egitto

    Fu il fondatore dell’Egitto moderno. La sua dinastia finì con la morte a Roma, nel 1952, del Re in esilio Farouk. Mohammed era di origine macedone, ma di genitori albanesi. Nacque nel 1769 (quindi era coetaneo di Napoleone) e anche lui scelse la carriera militare. Nel 1799, con il grado di maggiore, guidò una spedizione in Egitto di truppe albanesi che intervenivano in aiuto degli inglesi per scacciare le truppe napoleoniche. Sopravvissuto a burrasche politiche di ogni tipo, nel 1805 fu nominato, dalla Sublime Porta di Costantinopoli, Governatore dell’Egitto, carica che non abbandonò più e che dal 1841 divenne ereditaria. Prima di questa conclusione, guidò una serie infinita di guerre e di eccidi contro tribù troppo potenti, come quella dei mamelucchi, e contro gli stessi turchi. Mohammed si arrogava il merito di avere introdotto in Egitto la civiltà occidentale. Belzoni ne fa una descrizione leggermente ironica e dissacratrice ma, come è noto, storia e cronaca raramente coincidono.

    Bernardino Drovetti

    L’anima nera di Belzoni fu un piemontese nato il 7 gennaio 1776 a Barbania Canavese vicino a Torino, dove studiò legge e poi militò nelle truppe napoleoniche. Partecipò da coraggioso alla battaglia di Marengo che, per l’ennesima volta, finì con una disfatta austriaca. In quell’occasione, il Primo Console (quella era allora la titolazione del futuro Imperatore) lo notò. Quando il Piemonte divenne territorio francese, Napoleone nominò Drovetti console in Egitto, carica che mantenne fino al 18 giugno 1815, data di Waterloo. Caduto l’Imperatore, Drovetti fu rimosso ma, sei anni dopo, Luigi XVIII lo reintegrò, poiché Parigi aveva bisogno di un rappresentante molto introdotto alla corte del Cairo per potere competere con gli inglesi. In effetti, Drovetti seppe ritagliarsi il ruolo di consigliere politico del Pascià. Fu lui a premere per il taglio dell’istmo di Suez e, da buon bonapartista, combatté la schiavitù e fece pressioni perché divenisse obbligatoria la vaccinazione antivaiolosa.

    Se questa è la faccia più presentabile della medaglia, l’altra è che fu sempre abilissimo nel coltivare i propri interessi, tanto da diventare il più importante collezionista di antichità egizie. Tutti i musei europei furono suoi clienti e i suoi reperti ora abbelliscono i musei di Parigi, Marsiglia, Lione, Ginevra e Dresda. Ma l’affare più importante Drovetti lo fece con la madre patria, quando cedette, per quattrocentomila lire, la bellissima collezione che ora arricchisce il superbo museo egizio di Torino. Colpito da arteriosclerosi, Drovetti morì nel 1852, quando ormai era fuori di senno.

    Henry Salt

    Fu console generale inglese in Egitto dal 1815. In precedenza aveva svolto una carriera di viaggiatore e di politico itinerante. Aveva per due volte circumnavigato l’Africa e stava per fare riannodare le relazioni fra l’Abissinia e l’Europa, quando le frequenti guerriglie bloccarono ogni tentativo. Più vicino alla scuola di Drovetti, cioè una vita tutta lavoro e collezioni, che all’estetismo di Belzoni, organizzò a sua volta, con il fondamentale aiuto del nostro esploratore, una imponente raccolta di antichità che trasportò a Livorno. Qui venne a visitarla Champollion che, entusiasta di ciò che vedeva, fece poi pressioni sul governo parigino perché acquistasse quel patrimonio. I francesi si fidarono ciecamente del loro grande connazionale e ora questa straordinaria collezione costituisce il nucleo più importante della sezione egittologica del Louvre.

    John Lewis Burckhardt

    Esploratore svizzero, fu uno dei più importanti orientalisti dell’Ottocento. Fu amico prezioso di Belzoni e fu suo il merito di avere introdotto il nostro all’egittologia sul campo. Belzoni ricambiò con una amicizia vissuta con grande trasporto e ammirazione. Nato a Losanna nel 1770, Burckhardt visse sempre sotto il mantello inglese. Fu alla Mecca, a Palmira e a Damasco, attraversò il Sinai e scalò il monte Ararat che è quello su cui, secondo la Bibbia, si arenò l’arca di Noè. Lasciò in eredità all’università di Cambridge una ricca raccolta di manoscritti arabi.

    William John Bankes

    Famoso collezionista, amico del console Salt. Ebbe al suo servizio l’avventuroso ferrarese islamizzato Giovanni Finati. Belzoni recuperò per lui il famoso obelisco di File che, conteso dal Drovetti, finì per cadere nel Nilo da dove fu poi ripescato. Il prezioso cimelio è tuttora a Kingstone Hall, nel castello della famiglia Bankes.

    Giovanni Finati

    Nato a Ferrara e finito al Cairo dopo una vita straordinariamente avventurosa, accompagnò in qualità d’interprete lord Bankes durante la sua esplorazione dell’Alto Egitto. Fu il giannizzero di cui Belzoni tace il nome. Presenziò sia all’apertura del tempio di Abu Simbel che alla scoperta della tomba di Seti I. Divenne l’uomo di fiducia del console Salt, ma prima scortò la signora Belzoni durante un viaggio in Palestina. Raccolse i tumultuosi ricordi della sua vita in un libro, pubblicato nel 1830 dallo stesso editore di Belzoni, John Murray, intitolato Narrative of the life and adventures of Giovanni Finati.

    Alessandro Ricci

    Esperto disegnatore nonché medico, nato a Siena, fu per Belzoni un utilissimo compagno per poter riprodurre i disegni delle tombe, in particolare quella di Seti I. Sempre con il ruolo di disegnatore, fu aggregato alla famosa spedizione del 1828 con Champollion e il toscano Rosellini, finanziata da Parigi e dal Granducato di Toscano. Svolse lo stesso ruolo anche nel viaggio di Drovetti all’oasi di Sivah e in quello di Bankes. Dei suoi viaggi tenne un giornale che fu pubblicato soltanto nel 1930 da Angelo Sammarco al Cairo, che in Italia presto scomparì. Dopo quasi 200 anni, e dopo 80 dall’ultimo avvistamento, il dottor Daniele Savoldi dell’ateneo pisano nel 2010 ne ha finalmente scoperta una copia. Questo fatto, spiega il professor Betrò dell’ateneo, È un rinvenimento eccezionale per l’egittologia.

    G.B. Caviglia

    Nato nel 1770 e morto nel 1845, fu per diversi anni capitano della marina mercantile. Approdato in Egitto, fu preso dalla passione per gli scavi archeologici. Nel 1817 entrò nella piramide di Cheope, poi lavorò alla Sfinge di cui riuscì a mettere in luce i due lati e il tempietto. Nel 1821 scoprì il colosso di Ramses II a Bedrascin.

    Federico Cailliud

    Gioelliere, nato a Nantes nel 1787 e morto nel 1869. Ebbe una passione per i viaggi e la mineralogia. Giunse in Egitto nel 1815 accolto favorevolmente dal Pascià, grazie ai buoni uffici di Drovetti. Belzoni si spingerà fino alla costa del Mar Rosso alla ricerca della mitica Berenice, proprio in seguito a notizie avute da Cailliud.

    Luigi Niccolò Filippo Augusto Conte di Forbin

    Dopo Drovetti, fu l’altro nemico di Belzoni. Era un genialoide con la passione della pittura. Nato in Provenza nel 1779, il conte servì nelle armate napoleoniche. Fatta la pace di Vienna, si dimise dall’esercito e dal ruolo di ciambellano della principessa Paolina Borghese, poi andò a Roma per studiare le Belle Arti. Frutto dei suoi studi un quadro Eruzione del Vesuvio che, portato in Francia, gli aprì le porte dell’Istituto. Poco dopo divenne direttore generale dei musei reali. Viaggiò in Egitto e in Siria e, ovviamente, incrementò con notevoli opere d’arte le collezioni dei musei francesi. Non fu mai un archeologo "sul campo ma, piuttosto, un commerciante di antichità. Probabilmente ciò lo infastidiva e lo induceva ad assumere a volte atteggiamenti troppo disinvolti, che irritavano oltremodo Belzoni.

    Le gerarchie

    Il resoconto dei viaggi e delle scoperte di Belzoni non è soltanto fitto di scavi e di avventure, ma anche di personaggi, a volte di grande importanza. Qualche cenno sulle loro vite può essere utile per farsi un’idea del mondo che si muoveva intorno al nostro archeologo.

    Mohammed Ali Pascià d’Egitto

    Fu il fondatore dell’Egitto moderno. La sua dinastia finì con la morte a Roma, nel 1952, del Re in esilio Farouk. Mohammed era di origine macedone, ma di genitori albanesi. Nacque nel 1769 (quindi era coetaneo di Napoleone) e anche lui scelse la carriera militare. Nel 1799, con il grado di maggiore, guidò una spedizione in Egitto di truppe albanesi che intervenivano in aiuto degli inglesi per scacciare le truppe napoleoniche. Sopravvissuto a burrasche politiche di ogni tipo, nel 1805 fu nominato, dalla Sublime Porta di Costantinopoli, Governatore dell’Egitto, carica che non abbandonò più e che dal 1841 divenne ereditaria. Prima di questa conclusione, guidò una serie infinita di guerre e di eccidi contro tribù troppo potenti, come quella dei mamelucchi, e contro gli stessi turchi. Mohammed si

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