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Misteri, crimini e storie insolite di Firenze
Misteri, crimini e storie insolite di Firenze
Misteri, crimini e storie insolite di Firenze
E-book296 pagine4 ore

Misteri, crimini e storie insolite di Firenze

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Info su questo ebook

Il volto segreto della culla del Rinascimento

Sotto l’immagine patinata di meta turistica da milioni di visitatori l’anno, Firenze nasconde il suo volto più segreto. È la parte in ombra della città, quella dove enigmi e misteri hanno disegnato le trame occulte che innervano i duemila anni della storia fiorentina. Tra vicoli angusti e monumenti ricchi di simbologie alchemiche sono custodite le tracce di miti antichi e crudeli, di atroci delitti, di saperi magici ed esoterici, di architetture le cui origini risultano tuttora avvolte dall’oscurità.
L’enigmatica fondazione etrusca della città, la strage di mafia di via dei Georgofili, il giallo dell’avvelenamento di Pico della Mirandola, il mostro di Firenze, l’inquietante presenza del conte Dracula (quello vero), gli efferati omicidi che negli anni Novanta hanno riempito le pagine della cronaca nera, sono solo alcuni dei misteri all’ombra della Cupola. Misteri che in parte non saranno mai risolti e altri destinati a lasciare un segno indelebile nella città. Valentina Rossi in questo libro li scandaglia uno per uno e delinea un mosaico di storie a tinte fosche.

Una Firenze mitica, esoterica e criminale
Se ami il mistero, ami Firenze

La città dei morti sotto l’ex cinema Gambrinus
Sulle tracce delle antiche chiese ariane
Antichi culti misterici a San Miniato al Monte
Il mistero della sindone di passaggio a Firenze
Dante Templare
L’enigma del 4 luglio 1442
Una brutta estate di sangue
Il vangelo delle streghe emerso dall’ombra dei secoli
Delitto e mistero all’ospedale di Santa Maria Nuova
Il duplice omicidio di Signa
Il Leonardo occultato
Arsenio Lupin allo Stibbert
Gli agenti del RIS riesumano Pico della Mirandola

…e tanti altri argomenti


Valentina Rossi
Nata nel 1972, è dottore di ricerca in Progettazione architettonica e urbana. Vive e lavora a Firenze. Con la Newton Compton ha pubblicato 101 cose da fare a Firenze almeno una volta nella vita, 101 storie su Firenze che non ti hanno mai raccontato e Misteri, crimini e storie insolite di Firenze.
LinguaItaliano
Data di uscita16 dic 2013
ISBN9788854159655
Misteri, crimini e storie insolite di Firenze

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    Anteprima del libro

    Misteri, crimini e storie insolite di Firenze - Valentina Rossi

    es

    182

    Prima edizione ebook: ottobre 2013

    © 2013 Newton Compton editori s.r.l.

    Roma, Casella postale 6214

    ISBN 978-88-541-5965-5

    www.newtoncompton.com

    Realizzazione a cura di Corpotre, Roma

    Valentina Rossi

    Misteri, crimini e storie insolite di Firenze

    Il volto segreto della culla del Rinascimento

    omino

    Newton Compton editori

    Introduzione

    Firenze è la città degli Uffizi, della cupola del Brunelleschi, di Boboli e del Ponte Vecchio. Ogni giorno migliaia di turisti percorrono le sue strade, ne fotografano i monumenti, entrano nelle chiese e nei musei e si fermano di fronte ai capolavori del Rinascimento contemplandone i più piccoli dettagli. A prima vista la città del giglio è quanto di più esposto allo sguardo altrui si possa pensare. Così si potrebbe credere che una città perennemente in mostra come lo è quella di Firenze non possa avere segreti. Come si fa a nascondere qualcosa di fronte a tutti quegli occhi che ti scrutano in ogni angolo dalla mattina alla sera?

    E invece Firenze di cose ne nasconde tante, e forse di proposito, per una questione di autodifesa. Come si spiegano sennò quei palazzi che più che residenze sembrano delle fortezze? Dietro quei muri possenti si celano storie che per secoli sono rimaste avvolte nel mistero. Per non parlare delle biblioteche e degli archivi della città che in antichi documenti e in manoscritti impolverati custodiscono le tracce di saperi dimenticati e spesso per noi incomprensibili. Come per esempio l’antica e oscura sapienza alchemica, che a Firenze fu coltivata dai granduchi medicei, al riparo da occhi indiscreti nelle segrete stanze di Palazzo Vecchio.

    Nei primi anni del Novecento lo storico Pasquale Villari scrisse che le origini di Firenze sono assai oscure e che i cronisti ne hanno taciuto o le hanno avvolte nella leggenda. E in effetti la città di Dante tiene nascosti i suoi segreti proprio fin dalle origini, a partire dall’affascinante enigma degli etruschi, su cui ancora non è stata ancora stata fatta completa chiarezza ma che avvolge la nascita di Firenze in un alone di impenetrabile mistero.

    Questo libro raccoglie alcuni degli innumerevoli misteri che se ne stanno da secoli al riparo dell’ombra della cupola. Dagli enigmi della storia dell’arte ai presunti significati occulti ed esoterici adombrati in certi dipinti, dalle vicende fiorentine dei templari agli inquietanti fatti di sangue che in tempi anche recenti hanno riempito le pagine della cronaca nera. Ci sono pure storie di streghe, di fantasmi, e anche di ufo.

    Storie note e meno note, ma che obbediscono tutte a un unico scopo: porre domande che forse non troveranno mai una risposta.

    La città dei morti sotto l’ex cinema Gambrinus

    Questo il dato storico oggi considerato certo: Firenze venne fondata dai romani intorno all’anno 59 a.C., molto probabilmente in primavera.

    Giulio Cesare era al suo primo consolato e aveva da poco promulgato la lex Iulia agraria quando gli agrimensori dell’impero giunsero sulla riva destra dell’Arno e si dettero da fare per individuare il cardo e il decumano, le due direttrici ortogonali in base alle quali si sarebbe sviluppato il nuovo centro urbano. Che il sito fosse quello giusto, lo avevano in precedenza accertato i sacerdoti interrogando gli dèi attraverso la lettura dei fulmini e dei visceri di certi animali offerti in sacrificio alle potenze olimpiche.

    Quando inauguravano una nuova colonia, i discendenti di Romolo stavano ben attenti a rispettare un rituale di fondazione preciso, le cui origini si perdevano nella notte dei tempi. Così anche a Florentia, una volta tracciati il cardo e il decumano, al loro incrocio si provvide a scavare il mundus, la fossa consacrata agli dèi degli inferi. Quindi ci si occupò di segnare, con un aratro trainato da un toro e da una giovenca bianca, il solco perimetrale dell’urbs lungo il quale sarebbero state erette le mura urbane.

    Tutte queste operazioni di solito i romani le conducevano su territori vergini. Ma andò così anche a Firenze?

    Di certo i nuovi arrivati non sapevano che proprio là dove essi avrebbero costruito il Foro, a pochi passi dal mundus, si estendeva una vera e propria città dei morti, ampia circa quattromila metri quadrati. Che i coloni nemmeno sospettassero dell’esistenza di una necropoli sotto il lato ovest dell’attuale piazza della Repubblica è ovvio: quelle tombe risalgono infatti a un periodo compreso tra il x e l’viii secolo a.C. e le frequenti alluvioni dell’Arno, succedutesi in quegli otto secoli precedenti la fondazione di Florentia, avevano ricoperto le sepolture di uno spesso strato di terreno argilloso.

    Del resto di questi sepolcri sotterranei non ne sapremmo niente neanche noi se tra il 1892 e il 1894 gli addetti ai lavori di demolizione e riqualificazione del centro storico non si fossero imbattuti per caso in un orcio di terracotta sepolto nell’area sottostante l’ex cinema Gambrinus, oggi occupato dall’Hard Rock Cafe. In quell’occasione fu rinvenuto un certo numero di ossuari dalle caratteristiche simili: un grande vaso fittile coperto da un lastrone di arenaria e contenente un vaso più piccolo, a doppio tronco di cono con sopra una ciotola capovolta a mo’ di coperchio. All’interno del contenitore più piccolo erano custodite le ceneri del defunto, assieme ai resti di ossa usciti incombusti dal processo di cremazione.

    Analizzati i reperti, gli archeologi convennero sul fatto che quella necropoli fosse da ricondurre all’antica civiltà dei villanoviani. Chi siano i villanoviani, però, è questione che rimane avvolta da un alone misterioso. Innanzitutto occorre precisare che questo popolo, risalente alla prima Età del ferro, prende il nome da Villanova, la località in provincia di Bologna dove intorno alla metà dell’Ottocento venne ritrovata una necropoli costituita da tombe a incinerazione riconducibili al ix-viii secolo a.C.

    Siamo stati noi moderni, quindi, a chiamare così i villanoviani, e fino a poco più di un secolo fa non sapevamo nemmeno che esistessero. Ora, alcune cose le possiamo dare per certe: che si trattava di una civiltà piuttosto avanzata, dedita in prevalenza all’allevamento e all’agricoltura e abile a lavorare il bronzo, che adorava il Sole, la Luna e la stella del mattino e che al posto di una scrittura alfabetica utilizzava simboli, come per esempio quello dell’uovo, allegoria della rinascita, e quello della svastica, allegoria della vita e della fertilità.

    Altre questioni, le più cruciali, rimangono invece ancora aperte. Una su tutte divide i ricercatori, ovvero se i villanoviani altro non fossero che i progenitori meno evoluti degli etruschi, una specie di etruschi della prima ora. Secondo alcuni, ciò è vero senza ombra di dubbio; secondo altri, la civiltà villanoviana era costituita da popolazioni autoctone che soltanto in epoche più recenti sarebbero entrate in contatto con la civiltà etrusca e da questa assimilate.

    La faccenda riguarda anche Firenze e getta un’ombra sulle certezze che i libri di storia riportano circa le origini stesse del capoluogo toscano.

    La necropoli del Gambrinus, infatti, indica che di sicuro nei suoi paraggi doveva estendersi un villaggio di villanoviani. Dove esso fosse situato non lo sappiamo e forse non lo sapremo mai. In ogni caso il fatto retrodata di molti secoli la presenza di un’organizzazione urbana sul suolo di Firenze.

    È stato inoltre osservato che tutti i centri di stanziamento villanoviani sono poi diventati importanti città etrusche. Tutti tranne Firenze?

    Ma queste considerazioni aprono una porta sul prossimo mistero.

    L’enigma della Firenze etrusca

    C’erano gli etruschi a occupare il suolo di Firenze prima che i romani vi fondassero la loro colonia? Esisteva davvero, sulla riva destra dell’Arno, una città più antica di quella romana, quella che lo storico romano Floro aveva definito Municipium splendidissimum?

    Se così fosse, al libro della storia della città di Dante andrebbe aggiunto un intero capitolo: il capitolo numero uno.

    Durante il secolo scorso l’esistenza di una Florentia Etruscorum era stata caldeggiata da eminenti storici come Robert Davidsohn, ed era stata categoricamente smentita da studiosi altrettanto autorevoli come Mario Lopes Pegna. In effetti la prova regina che dimostri la presenza di un centro abitato etrusco, là dove un giorno sarebbe sorta Firenze, non è ancora stata trovata. Alcuni indizi però ci sono. Ma veniamo ai fatti.

    Come abbiamo già visto, sotto la centrale piazza della Repubblica si estendeva una necropoli villanoviana. E un’altra area cimiteriale ad essa coeva è stata rinvenuta tra borgo Pinti e via Laura, nel settore nord-est del centro storico. È certo che le ultime urne siano state calate là sotto entro e non oltre la fine dell’viii secolo a.C. Poi più niente: l’Arno esonda periodicamente, il fango inghiotte i resti delle capanne del presunto villaggio dei villanoviani e ciò che rimane è una specie di landa desolata che per otto lunghi secoli attende silenziosa l’arrivo della civiltà, nel nostro caso portata direttamente da Roma. O almeno così parrebbe, visto che nello spesso strato di terreno alluvionale accumulatosi sopra quei sepolcri non sono stati trovati resti archeologici sufficienti ad attestare tracce di vita organizzata precedente alla colonizzazione romana.

    Nel frattempo a nord, sulle colline gli etruschi erigono Fiesole e le sue mura ciclopiche, e a ovest, nei pressi di Prato, fondano la città di Gonfienti. Nella piana fiorentina, alle pendici del monte Morello, cominciano ad apparire i giganteschi tumuli di terra che ricoprono le tombe sotterranee dei principi dei Rasenna (questo il nome con cui gli etruschi chiamavano se stessi): le monumentali tombe a tholos, cioè a falsa cupola, le cui caratteristiche costruttive e simboliche rimandano ai mondi lontani e misteriosi di Micene e forse della Sardegna nuragica.

    Siamo in un arco di tempo compreso tra il vii e il vi secolo a.C. e, sullo sfondo di tutto questo fervore etrusco nell’agro fiorentino, è difficile pensare che l’area oggi occupata da Firenze non attirasse l’attenzione dei Rasenna. E in realtà è probabile che l’abbia attirata, se non altro per un motivo del tutto pratico. È proprio all’altezza della futura Florentia, infatti, che l’Arno risultava più facilmente guadabile per chi, arrivando da sud, doveva procedere a nord, verso gli Appennini. In tale luogo, inoltre, la stessa configurazione del fiume si dimostrava particolarmente adatta alla costruzione di un porto fluviale, al quale in effetti potrebbero essere ricondotti i resti di un gigantesco muro di calcestruzzo rinvenuto nel 1901, allorché si gettarono le fondazioni del monumento che sta nel mezzo di piazza Mentana (ci troviamo dietro il palazzo della Signoria e vicino al Ponte Vecchio, per intenderci…).

    Così sono molti i ricercatori che oggi ritengono più che plausibile l’esistenza, se non di una vera e propria città, almeno di un emporio fiorentino, ovvero di un luogo di stoccaggio e scambio delle merci utile ai traffici della vicina Fiesole.

    Tuttavia il ritrovamento di alcune statuette di carattere votivo ha fatto pure pensare all’ipotesi che il centro in riva all’Arno fosse dotato anche di aree di culto di un certo rilievo.

    Ma c’è di più. Le antiche cronache fiorentine sostengono che «dov’è Fiorenza oggi, ab antico si avea due ville, l’una si chiamava Villa Arnina, e l’altra Camartea»[1]. Danno cioè come dato di fatto che lì sorgessero due città. Una di queste era la Florentia etrusca? Probabilmente sì, anche se la certezza forse non l’avremo mai.

    Un semplice ragionamento, però, può venirci in aiuto. I romani erano guerrieri, gli etruschi artigiani e commercianti. I romani, bisogna ammetterlo, erano piuttosto rozzi, gli etruschi raffinati ed eleganti. E sono stati gli etruschi a insegnare ai romani tecniche costruttive e ingegneristiche straordinariamente evolute per quei tempi.

    Ora, i fiorentini hanno fondato la loro ricchezza sull’industria manifatturiera e sul commercio, e hanno fatto della loro città la culla del Rinascimento. E questa eccezionale concentrazione di geni e di artisti, non si potrebbe spiegare con la circostanza che nelle vene di Giotto e di Dante, di Brunelleschi e di Lorenzo il Magnifico scorra sangue etrusco?

    Certo si tratta soltanto di un indizio, ma grande come una casa…

    La leggenda dell’eroe romano che diede nome alla città

    Le origini di Firenze sono assai oscure, né valgono a rischiararle i cronisti, i quali o ne tacquero o le avvolsero nelle leggende.[2]

    Pasquale Villari, 1905

    Se le origini etrusche di Firenze rimangono tuttora avvolte nel mistero, anche la fondazione di Florentia da parte dei romani è circondata da un alone di leggenda. La storiografia moderna ha certo chiarito in maniera definitiva alcuni aspetti della questione, ma la versione più avvincente della nascita del capoluogo toscano è quella giunta fino a noi attraverso i resoconti dei cronisti medievali. I quali, non potendo attingere a fonti scritte di prima mano (perché non ce n’erano), hanno tratto il materiale per le loro cronache dai giacimenti senza tempo del mito.

    In realtà il racconto dell’origine di Firenze parte da Roma e ruota attorno ad un personaggio che esistette per davvero; un personaggio passato alla storia per essere un individuo degenerato e un assassino senza scrupoli: Lucio Sergio Catilina, il senatore romano noto per la celebre congiura.

    Dopo aver tentato invano di accedere al consolato, con tre tentativi andati a vuoto, Catilina ne aveva avuto abbastanza e aveva imboccato la strada delle maniere forti ordendo la sua cospirazione contro il potere oligarchico del senato. Ma il complotto era stato smascherato e all’eversore toccò affrontare le accuse dei senatori riunitisi per l’occasione presso il tempio di Giove Statore. Di fronte a lui, Cicerone diede il via a una delle sue più famose arringhe e guardandolo negli occhi esordì con queste parole: «Quousque tandem abutere, Catilina, patientia nostra?» (Fino a quando, Catilina, abuserai della nostra pazienza?).

    Con calma sprezzante Catilina ascoltò l’orazione, quindi tentò di difendersi ma non riuscì a terminare il suo discorso perché i senatori presero a urlare e a lanciargli improperi. Allora l’uomo si alzò in piedi e pronunciò la sua maledizione: «Se cercherete di appiccare un incendio contro di me, sappiate che non lo spegnerò con l’acqua ma con le rovine». Poco dopo la drammatica seduta, il patrizio lasciò l’Urbe e prese la via di Fiesole, la città dell’Etruria dove aveva trovato rifugio un bel numero di congiurati a lui fedeli e decisi a mettere Roma a ferro e fuoco. Il senato non stette a guardare, dichiarò Catilina nemico dello stato e gli scagliò contro le sue legioni. La battaglia finale, cruentissima, ebbe luogo nei pressi dell’attuale Pistoia. Catilina fu trovato in mezzo a un mucchio di cadaveri che respirava ancora. Venne decapitato all’istante e i suoi resti furono gettati in un fiume che scorreva lì vicino. Correva l’anno 62 a.C.

    Fin qui tutto vero. E adesso la leggenda della nascita di Florentia che prende l’avvio proprio dalla morte di Catilina.

    Una volta sterminata quell’armata di sanguinari sovversivi, le milizie romane si lanciarono ad attaccare Fiesole, la città che aveva accolto Catilina e i suoi, dimostrandosi in questo modo sfacciata avversaria di Roma. I fiesolani si batterono strenuamente, lasciando sul campo di battaglia parecchi cadaveri, tra cui quello di Fiorino, uno dei due valorosi consoli a capo delle truppe inviate dall’Urbe. Le cronache medievali descrivono Fiorino come un nobile romano, appartenente alla schiatta dei Fracchi, o dei Floracchi, ma in verità costui non sembrerebbe esser mai esistito. Tuttavia si racconta che giunta a Roma la notizia della sua morte il senato decretasse l’invio sulle colline toscane di ingenti rinforzi. Fiesole doveva essere distrutta una volta per tutte. Alla guida dei legionari stavano ben otto condottieri, tra cui Giulio Cesare. Fiesole però resisteva e l’assedio dei romani si trascinava per le lunghe tanto che, stremata, gran parte dell’esercito dalle rive dell’Arno se ne tornò a quelle del Tevere. A presidiare quei luoghi rimase soltanto Giulio Cesare con i suoi soldati e alla fine, dopo un assedio protrattosi per anni, Fiesole si arrese. Giulio Cesare la rase al suolo fino all’ultima pietra, dimostrando tuttavia grande nobiltà d’animo nel risparmiare i nemici che avevano alzato la bandiera bianca. Ma affinché questi non rifondassero la famigerata Fiesole, Cesare diede avvio alla fondazione di una città tutta nuova che avrebbe accolto, oltre ai coloni romani, anche i reduci fiesolani. La città avrebbe portato il suo nome, si sarebbe cioè chiamata Cesaria, e sarebbe sorta esattamente nel luogo in cui Fiorino era stato ucciso a tradimento. Ma il senato romano, a cui la faccenda del nome Cesaria non piaceva per niente, stabilì che alla costruzione del nuovo centro urbano, assieme a Cesare avrebbero dovuto partecipare anche gli altri condottieri che avevano preso parte a quella guerra. Ognuno di loro avrebbe eretto un edificio e il primo che l’avesse terminato avrebbe dato il nome alla città. Così Albino si occupò di lastricare le strade, Macrino dell’acquedotto, Gneo Pompeo delle mura urbane e Marzio del campidoglio. Ci misero tale zelo che terminarono tutti allo stesso momento e con la questione del nome ci si ritrovò pertanto punto e a capo. In un primo momento si pensò a qualcosa di simile a piccola Roma, ma poi si optò per Floria visto che lì vi era appunto morto l’eroico Fiorino e che tra l’altro i campi dei dintorni erano costellati da miriadi di fiori. Soprattutto gigli. A poco a poco nel linguaggio comune Floria divenne Fiorenzia che significa spada fiorita.

    E qui si chiude la leggenda della fondazione di Firenze. Fiorino probabilmente è stato inventato di sana pianta e Fiesole per fortuna sta ancora al suo posto. Ma come una volta ha dichiarato Jean Cocteau, mentre la storia parte dalla realtà e finisce quasi sempre nella menzogna, la mitologia parte dalla menzogna e finisce quasi sempre nella realtà. E la realtà, per Firenze, nei secoli ha significato anche sanguinosissime guerre civili, di cui quella tra i guelfi e i ghibellini è uno degli esempi più eclatanti. Tanto odio e tanta crudeltà il mito ce li ha spiegati così: con la convivenza nella stessa città di due popoli che in origine furono acerrimi nemici e si batterono fino all’ultimo sangue. I romani da una parte e i fiesolani (che erano etruschi!) dall’altra.

    Le piramidi di Pontassieve

    Lasciando Firenze in direzione sud e percorrendo la strada provinciale per Rosano, a circa un chilometro da Pontassieve e in località Le Sassaie, si ergono tre colline che, a guardarle bene, sembrano proprio delle piramidi. Tali alture sono ricoperte dalla vegetazione, il che può trarre in inganno, ma se si osserva con attenzione, i loro profili sono così netti e definiti che paiono tirati con la riga. Sicché il dubbio di trovarsi di fronte a delle strutture artificiali, e non a dei rilievi naturali, in effetti viene. La questione è particolarmente intrigante, anche perché è stato rilevato che le tre colline sarebbero disposte nello spazio esattamente nello stesso modo in cui lo sono le tre piramidi di Giza, e cioè secondo un ordine che riflette quello delle tre stelle centrali della costellazione di Orione. L’unica differenza sarebbe che, mentre le tre piramidi egizie sono orientate secondo la direttrice nord-sud, quelle toscane presentano invece un orientamento nord-est. Pure le rispettive dimensioni dei tre rilievi sembrerebbero ricalcare, per lo meno nelle proporzioni, quelle dei monumenti funebri di Cheope, Chefren e Micerino.

    Uno scherzo della natura, oppure nel cuore della Toscana è custodito un mistero che se svelato potrebbe portare a riscrivere i libri di archeologia? Se quelle piramidi sono veramente state realizzate da mano umana, e così parrebbe, quale arcaica civiltà potrebbe mai averle erette? Ormai le ipotesi sull’esistenza di avanzate civiltà antidiluviane, che avrebbero abitato il nostro pianeta anche più di dodicimila anni fa, hanno cominciato ad aprirsi una strada anche nel terreno della scienza ufficiale più ortodossa. E chissà che in qualche modo le piramidi di Pontassieve non abbiano a che fare con ancestrali presenze umane, le cui tracce ci sono finora rimaste sconosciute.

    Dalle analisi dei resti rivenuti nelle aree a ridosso del fiume Sieve, per lo più schegge di selce e diaspro, gli archeologici hanno potuto appurare la presenza in quel territorio di insediamenti di cacciatori del Paleolitico superiore, risalenti a venticinquemila anni fa. Il che significa che, quando vi giunsero gli etruschi, parecchi ma parecchi anni prima la zona era già stata occupata da popoli di cui sappiamo poco o niente.

    Sull’enigma delle piramidi di Pontassieve non è stata condotta alcuna indagine di natura scientifica, e quasi nulla è stato scritto. In Italia è stato però rilevato un caso analogo nel parco regionale di Montevecchia, in provincia di Lecco. Anche qui, tre colline dall’inconfondibile forma piramidale; e anche qui, disposte come le piramidi di Giza, seguendo la configurazione di Orione. Ma a differenza di quelle toscane, le piramidi lombarde sono state oggetto di misurazioni molto precise, effettuate con l’ausilio degli strumenti utilizzati in archeoastronomia. E tali misurazioni hanno confermato che quelle strutture piramidali non possono costituire l’esito di un processo naturale, perché pendenze collinari con quei gradi di inclinazione in natura non esistono. Il che ha portato appunto a pensare a un intervento di tipo artificiale. In particolare si ipotizza che le piramidi di Montevecchia siano state ricavate modellando le colline e asportandone il materiale roccioso in eccesso. Potrebbe essere andata così anche a Pontassieve?

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