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La maledizione del libro onnipotente
La maledizione del libro onnipotente
La maledizione del libro onnipotente
E-book184 pagine2 ore

La maledizione del libro onnipotente

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Info su questo ebook

Che cosa contiene di così straordinario questo libro onnipotente, Il Libro di ogni potere, per seminare solo morte e violenza attorno a sé? Quali incantesimi e malefici è in grado di provocare a chi lo possiede o a chi cerca di venirne in possesso? È un oscuro, strano "sacerdote" del male, l'ebreo Israel Kensky a custodirlo gelosamente, ma dovrà lottare con tutte le sue forze per non soccombere a forze altrettanto oscure, desiderose di utilizzare le pagine di quel bizzarro volume solo per ricavarne maggiori poteri e ricchezze. In un intrigo ricco di personaggi e di colpi di scena, Edgar Wallace tesse alla sua maniera la trama, geniale, di una terribile tragedia umana, solo apparentemente giocata sul registro del thriller. Ciò che resta è un non luogo narrativo dove la lotta fra bene e male si risolve, ancora una volta, nella inevitabile considerazione che la bestialità umana non ha né colore politico, né religione né razza.
LinguaItaliano
Data di uscita17 gen 2014
ISBN9788898137459
La maledizione del libro onnipotente
Autore

Edgar Wallace

Edgar Wallace (1875-1932) was a London-born writer who rose to prominence during the early twentieth century. With a background in journalism, he excelled at crime fiction with a series of detective thrillers following characters J.G. Reeder and Detective Sgt. (Inspector) Elk. Wallace is known for his extensive literary work, which has been adapted across multiple mediums, including over 160 films. His most notable contribution to cinema was the novelization and early screenplay for 1933’s King Kong.

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    Anteprima del libro

    La maledizione del libro onnipotente - Edgar Wallace

    onnipotente

    1. 1910

    Se un uomo di ventidue anni non ha voglia di avventura molto probabilmente non sentirà mai il richiamo di una vita e un destino romantico.

    Il presidente della Ukraine Oil Company guardava divertito il giovane seduto sulla punta della sedia vicino alla sua scrivania e notava che gli si accendevano gli occhi a ogni suo rinnovato tentativo di scoraggiarlo. Rifletteva: l'entusiasmo è una delle qualità maggiormente considerate nell’uomo che avrebbe assunto l’incarico che Malcolm Hay stava al momento considerando.

    — La Russia è un paese strano — disse Tremayne. — È uno dei misteri del mondo. Si sente gente che ritorna dalla Cina raccontare di storie fantastiche sulle idiosincrasie dei gialli. Ma, secondo quello che ne so, posso dire che un cinese è come un libro aperto di parole semplici al confronto di un contadino medio russo. Mi pare di aver capito che parlate russo.

    Hay annuì con il capo.

    — Sì, — disse — lo parlo da quando ho sedici anni e conosco entrambi i dialetti.

    — Bene — approvò Tremayne. — Tutto quello che vi resta da fare è di pensare in entrambi i dialetti. Per vent’anni sono restato nella Russia meridionale a seguire i nostri pozzi. In effetti ci andai ancora prima che i pozzi esistessero. E devo dire in tutta onestà che nonostante non penso di essere uno sciocco, oggi conosco i russi esattamente come quando arrivai laggiù. Elusivi. Sono tra le creature più elusive. Due giorni dopo che li avrete incontrati vi sembrerà di conoscerli da sempre. Dopo altri due giorni avrete già cambiato idea, e alla fine del primo anno, se avrete tenuto un diario scrupoloso, scoprirete trecentosessantacinque opinioni diverse. Sempre se l’anno non sarà bisestile.

    — Perché, cosa accade nell’anno bisestile? — domandò l’ingenuo Hay.

    — Che avrete trecentosessantasei opinioni diverse — replicò con solennità Tremayne.

    Suonò un campanello.

    — Non ve ne andrete da Londra prima di un paio di settimane — continuò — e nel frattempo sarebbe opportuno che studiaste il dossier che vi fornirò. Vi fornirò particolari sul paese, sulla zona dove si trovano i pozzi, cose che non troverete sulle guide turistiche. Ci sono alcuni personaggi di un certo peso che sarebbe consigliabile voi studiaste.

    — Li conosco quasi tutti — replicò il giovane con sicuro. — Mi sono fatto inviare dal console inglese un annuario locale.

    Tremayne represse a stento un sorriso. — E cosa dice l’annuario locale a riguardo di Israel Kensky? — domandò con un'aria innocente.

    Israel Kensky? Non ricordo questo nome.

    — È il solo nome che merita di essere ricordato — disse Tremayne seccamente.

    — Avrete comunque la possibilità di studiarlo in un ambiente per lui insolito, in questo momento infatti è a Londra.

    L’impiegato che aveva risposto al campanello era fermo sulla porta.

    — Consegnate al signor Hay tutti i libri e gli opuscoli di cui avevamo parlato — ordinò Tremayne. — A proposito, quando è arrivato il signor Kensky?

    Oggi — rispose l’impiegato. Tremayne annuì.

    — Già — disse. — Questa settimana Londra sarà popolata di gente i cui nomi non si trovano nel vostro prezioso annuario. Tutte persone che sarebbe bene conosceste. Gli Yaroslav sono qui per una sorta di visita ufficiale.

    Gli Yaroslav? — ripeté Hay.

    — Certo... — Il granduca e sua figlia.

    — Bene — sorrise il giovane. — È improbabile che possa incontrare il granduca e la granduchessa. La famiglia reale russa è un po’ esclusiva.

    — In Russia tutto è possibile. Se fra qualche anno doveste tornare da me per dirmi che siete stato nominato ammiraglio della marina russa o che avete sposato la granduchessa Irene Yaroslav, vi crederò sulla parola. Sarebbe lo stesso se tornaste senza orecchie, mozzate dai vostri vicini di casa contadini per propiziarsi lo spirito di qualche spirito martire di seicento anni fa. È questo il paese che state per raggiungere e vi invidio.

    — Sono un po' sorpreso — ammise Malcolm — quasi non riesco a crederci.

    Naturalmente, signore, ho molto da imparare e non faccio tanto affidamento sulla mia laurea.

    — La vostra laurea in scienze? Potrà esservi utile... forse sarebbe stata più utile una laurea in teologia...

    — Una laurea in teologia? Tremayne annuì. — La religione vi sarà utile in Russia, soprattutto la religione locale. Dovrete sforzarvi di adattarvi quando sarete là, Hay. E credo che non ci sia niente di meglio che familiarizzare con i santi locali. Scoprirete che ogni settimana se ne festeggiano quattro o cinque e che i vostri operai si prenderanno un giorno di libertà a ogni festa. Se non starete più che attento ne infileranno quattro o cinque che non esistono per nulla sul calendario e così non lavorerà più nessuno.

    Finì il colloquio con un gesto del capo. — Tornate domani. — Credo che dovreste incontrare Kensky — aggiunse, mentre il giovane si alzava.

    Chi è? — domandò Hay in tono cortese. — È un magnate locale?

    — In un certo senso sì e in un altro no — replicò Tremayne senza sbilanciarsi.

    — È una personalità di rilievo in quei posti, e dal punto di vista commerciale credo lo si possa considerare un magnate. Ma lo scoprirete da solo.

    Malcolm Hay camminava nelle affollate strade londinesi con l’impressione di non toccare più terra. Era il suo primo lavoro e guadagnava uno stipendio, gli sembrava un sogno meraviglioso.

    A Maida Vale ci sono molte piccole strade laterali piene di case squallide rivestite di stucco scolorito: il loro aspetto è ancora più triste e squallido per la sottile striscia d'erba chiamata giardino che corre lungo tutta la via. In una di queste, una specie di pensione, un vecchio sedeva a un banco sotto la sola luce elettrica che l’affittacamere gli aveva concesso. La stanza era arredata alla maniera delle camere in affitto.

    Ma sia colui che sedeva al banco che la donna accanto al tavolo sembravano non accorgersi della povertà attorno a loro. L’uomo era magro e con la schiena curva. Era ripiegato sul banco e lavorava con ottimi attrezzi su ciò che sarebbe diventata più tardi la copertina in cuoio di un libro. Il viso era nell’ombra, solo la punta della barba bianca tradiva la sua vera età.

    Il volto di un sessantenne dal naso aquilino si rivelò allorché alzò lo sguardo sulla donna. Il viso era emaciato e solcato dalle rughe, gli occhi scuri e brillanti. La sua compagna era una donna di ventiquattro anni, ebrea, proprio come il vecchio. Era bella e la sua bellezza era come sporcata dal sogghigno che aveva sulle labbra.

    — Se gli inglesi ti vedessero al lavoro — disse lei — penserebbero che tu sia povero, padre.

    Israel Kensky non interruppe il suo lavoro.

    — Quale libro stai rilegando? — domandò la donna dopo una pausa. — È il Talmud che ti ha dato Levi Leviski?

    Il vecchio non rispose e i lineamenti pesanti della donna si aggrottarono. Non si sarebbe detto che fossero padre e figlia, invece era così. Ma tra Sophia Kensky e suo padre non c’erano né affinità spirituale né amicizia. Ed era sorprendente che lei lo accompagnasse ovunque lui andava e che lui accettasse la compagnia di lei. A Kiev si bisbigliava che nessuno dei due si fidasse dell’altro, che ognuno teneva d’occhio l'altro. E forse c’era qualcosa di vero anche se, da parte di Sophia almeno, si poteva sospettare un altro e più valido motivo.

    Il vecchio depose i suoi attrezzi e sbatté le palpebre, quindi spostò la sedia.

    — È per un grande libro — disse soffocando una risata rauca. — È un libro dalle splendide pagine legate in acciaio. — Sorrise con disprezzo. — È il Libro onnipotente.

    — Padre, ci sono momenti in cui penso tu sia pazzo. Come potresti conoscere i segreti che agli altri sono negati? E scrivi così male. Come potresti riempire un gran libro con le tue parole?

    — Il Libro onnipotente — ripeté l’uomo, e il sorriso sul viso della donna si allargò.

    — Un libro magnifico — lo schernì lei — pieno di magia, di mistero e di incantesimi. Sai che noi di Kiev abbiamo sospetti su di te?

    Noi di Kiev — ripeté lui facendole il verso. Lei annuì. — Noi di Kiev — ripeté. — Così ti metti con la plebaglia, Sophia! — alzò le spalle con un gesto di disprezzo.

    — Anche tu sei della plebaglia, Israel Kensky — replicò lei. — Vai a cena a palazzo col granduca?

    Il vecchio cominciò a raccogliere gli attrezzi sul tavolo e a rimettere con cura i bulini in un astuccio di cuoio.

    — Il granduca non mi lapida per strada e non incendia la mia casa — ribatté.

    — Neanche la granduchessa — aggiunse la ragazza in un tono carico di significato, e lui la guardò di sbieco senza alzare il capo. — La granduchessa è al di sopra della comprensione di quelle come te — disse con durezza.

    La donna sorrise. — Verrà il giorno in cui sarà in ginocchio davanti a me — ribatté con un tono profetico. Poi, sbadigliando, si alzò in piedi. — Questo voglio ed è con questo pensiero che mi addormento tutte le notti.

    Continuò a parlare in un tono privo di calore.

    La vedo lavare i miei pavimenti e mangiare il pane che le butto...

    Israel Kensky aveva già sentito questi discorsi e non sorrise nemmeno. — Sei una donna malvagia, Sophia — disse. — Dio solo sa come possa una come te essere mia figlia. Ma cosa ti ha fatto la granduchessa perché tu sia così piena di rancore?

    — La detesto perché è. — replicò la donna con un tono di voce piatto. — La odio non per il male che mi ha fatto ma per il sorriso orgoglioso che rivolge ai suoi schiavi. La odio perché è in alto e io sono in basso, e perché segna di continuo la differenza fra di noi.

    Sei sciocca — disse Israel Kensky uscendo dalla stanza.

    — Forse — ribatté sua figlia.

    — Ora vai a letto? Sulla porta lui si voltò. — Vado in camera mia. Non scenderò più.

    — Allora me ne andrò a dormire — disse lei con uno sbadiglio senza fine. — Questa città la odio.

    Allora perché sei venuta? — domandò lui. — Non ti volevo.

    — Sono venuta proprio perché tu non mi volevi.

    Israel andò nella sua stanza e chiuse la porta a chiave. Si mise in ascolto e dopo poco udì anche la porta della figlia chiudersi a chiave con un colpo secco. Ma ci fu un doppio colpo, e capì che il rumore era voluto perché lui lo udisse e che il secondo scatto era stato provocato dall’apertura della porta. Sophia aveva chiuso e riaperto in un unico movimento. Il vecchio attese, seduto nella poltrona davanti al debole fuoco, per più o meno dieci minuti. Quindi si alzò e attraversò silenziosamente la stanza per spegnere la luce. Una traversa sopra la porta faceva in modo che chiunque all’esterno potesse vedere se la luce era accesa o spenta. Poi tornò a sedersi e tese le mani aperte alla fiamma, rimanendo in ascolto.

    Dopo un altro quarto d’ora udì un leggero cigolio e un respiro dietro l'uscio. Qualcuno tendeva l’orecchio alla sua porta. L’uomo mantenne lo sguardo fisso sul fuoco, sempre all’erta. Udì un altro scricchiolio, questa volta più forte. La casa costruita con mezzi economici a Maida Vale non poteva certo offrire la migliore protezione ai segreti movimenti di Sophia Kensky. Un altro scricchiolio, questa volta più lontano e ripetuto a tratti, gli disse che era lei a scendere le scale. Si avvicinò alla finestra e sollevò delicatamente la tenda, in modo da poter tenere d’occhio la stretta striscia di giardino. Poco dopo la sua attesa fu premiata e vide la figura della donna percorrere il viottolo lastricato, aprire il cancelletto e sparire nel buio della strada.

    Israel Kensky ritornò alla sua poltrona, ravvivò il fuoco e restò in lunga attesa, con il viso segnato grave e ansioso. La donna aveva girato a destra e percorso veloce tutta la via. Il nome della strada, o la sua pronuncia, andava al di là della sua capacità di comprensione. Non conosceva la topografia del quartiere nel quale si trovava e non parlava inglese. Un uomo uscì dall’ombra per andarle incontro quando lei rallentò il passo e raggiunse la strada principale.

    — Madre, siete voi? — domandò in russo.

    — Grazie a Dio, eccovi! Qual è il vostro nome? — domandò Sophia quasi senza fiato.

    — Boris Yakoff — fece l’altro — vi ho aspettato per un’ora, e fa freddo.

    — Non sono riuscita a uscire prima — replicò lei, adeguando il suo passo a quello dell’uomo. — Il vecchio stava lavorando alle sue sciocchezze e non sono riuscita a farlo andare a dormire. Ho sbadigliato un paio di volte, ma non ci ha fatto caso.

    — Perché è venuto a Londra? — domandò il suo compagno. — Deve avere qualche ragione importante per allontanarsi dai suoi sacchi pieni di monete.

    La donna replicò. Poi chiese: — Andiamo a piedi? Non ci sono carrozzini o carrozze?

    — Abbiate pazienza, siate paziente — ghignò l’uomo allegro. — A Londra facciamo le cose in grande. Ad aspettarvi c'è un automobile. Ma non era prudente farla venire troppo vicino alla vostra casa. Il vecchio...

    — Oh, piantatela con il vecchio — ribatté lei seccata — non dimenticate che io passo con lui quasi tutto il giorno.

    L’ostilità tra padre e figlia era troppo nota perché l’uomo si scusasse per averne parlato con tanta franchezza, del resto una caratteristica dei contadini russi. E Sophia Kensky non si offese per le domande di un estraneo, né esitò a

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