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Segreta promessa: Harmony Collezione
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E-book168 pagine2 ore

Segreta promessa: Harmony Collezione

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Info su questo ebook

Prudence Elliot rimane di stucco quando un nuovo lavoro la riporta faccia a faccia con Laszlo Zsadany, l'irresistibile enigma passato nella sua vita sette anni prima come una cometa, lasciando nella propria scia soltanto i frammenti del suo cuore spezzato. Ancora più scioccante, però, è scoprire che non solo Laszlo è un plurimilionario, ma che la loro storia d'amore era stata suggellata con un'inconsueta cerimonia. E nonostante sulle prime entrambi decidano di provare a mantenere la loro relazione su un piano strettamente professionale, non possono negare quello che ancora provano l'uno per l'altra.
LinguaItaliano
Data di uscita20 mag 2016
ISBN9788858949269
Segreta promessa: Harmony Collezione

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    Anteprima del libro

    Segreta promessa - Louise Fuller

    successivo.

    1

    Accigliato, con una ciocca nera che gli ricadeva sulla fronte, Laszlo Cziffra De Zsadany fissava la giovane donna dai lunghi capelli biondi e lisci. Serrò i denti notando il contrasto tra l'innocenza degli occhi azzurri e la voluttuosa sensualità delle labbra.

    Era bellissima. Non si poteva non guardarla. Una bellezza che poteva sedurre e incantare. Per una donna così, un uomo avrebbe potuto rinunciare al suo regno, tradire il suo Paese e perdere il senno.

    Laszlo sorrise. Avrebbe anche potuto sposarsi!

    Il sorriso si spense subito. Abbassò lo sguardo sulla piccola targhetta d'oro fissata alla cornice. Katalina Csesnek de Veszprem. Ma anche se gli occhi erano fissi sulla scritta, la sua mente continuava a vedere il viso della modella. Sbuffò. Cosa c'era in quel ritratto che lo turbava tanto? Però, mentre si poneva quella domanda, si rifiutava di rispondersi.

    Quando la guardava non vedeva Katalina ma un'altra. Una di cui non avrebbe mai più pronunciato il nome. Non c'era una somiglianza particolare, solo alcune similitudini. La forma del viso, il colore dei capelli, nient'altro. Eppure...

    Si voltò verso una finestra che dava sulla campagna ungherese. Quando sentì il verso di una civetta, rabbrividì. Portava sfortuna udire il verso della civetta di giorno, pensò, scandagliando il cielo con gli occhi, in cerca del volatile. La sfortuna cresceva col numero degli avvistamenti, quindi sperò che si trattasse di un esemplare solitario e di passaggio.

    A un tonfo attutito alle sue spalle, si voltò. Besnik, il suo pastore scozzese, si era seduto pesantemente sul pavimento. Laszlo si accovacciò e gli accarezzò un orecchio. «Lo so» sussurrò. «Hai ragione. Ho bisogno di un po' d'aria. Vieni.» Schioccò le dita e il cane si alzò scodinzolando. «Andiamo, prima che cominci a dare i numeri e a contare civette.»

    Avanzò lentamente lungo i corridoi del castello. I pannelli di legno, che rivestivano le pareti, scintillavano alla luce ancora fioca e l'odore familiare di cera e lavanda gli calmò i nervi, mentre scendeva le scale. Passando davanti allo studio del nonno, si meravigliò notando che la porta era socchiusa. Sbirciò dentro e vide che la stanza non era vuota. Suo nonno Janos era seduto alla scrivania.

    Laszlo sentì una stretta al cuore notando quanto sembrasse fragile. Anche se erano passati sei anni dalla morte di sua moglie Annuska, era ancora schiacciato dal dolore. Esitò un attimo, poi chiuse la porta. Gli era sembrato immerso nelle proprie meditazioni ed era chiaro che avesse bisogno di stare solo.

    Si chiese come mai si fosse alzato così presto e d'un tratto ricordò. Edmund Seymour sarebbe arrivato quel giorno.

    Non c'era da sorprendersi che Janos non fosse riuscito a dormire. Per trent'anni la sua collezione d'arte era stata una ragione di vita, un'ossessione personale e oggi per la prima volta l'avrebbe mostrata a un estraneo, Edmund Seymour, l'esperto d'arte che sarebbe arrivato da Londra.

    Laszlo fece una smorfia. Non si fidava degli sconosciuti e provava un'antipatia istintiva per Seymour, un uomo che non aveva mai conosciuto, con cui non aveva mai parlato, ma con cui sarebbe stato costretto a convivere per settimane.

    Aprendo la porta con la spalla, sbirciò con cautela all'interno della cucina, poi rifiatò lentamente. Bene! Rosa non si era ancora alzata. Non si sentiva pronto ad affrontare il suo sguardo penetrante. A parte suo nonno, la loro governante era l'unica persona alla quale non riusciva a nascondere i propri sentimenti. Solo che a differenza di Janos, Rosa non gli risparmiava certo gli interrogatori di terzo grado.

    Aprì l'enorme frigorifero e mugugnò, davanti alla carne e alle verdure che riempivano i ripiani.

    Poi, nonostante il nodo di risentimento che gli stringeva il petto, sentì la tensione allentarsi. Richiuse il frigo. Il cibo era stato una distrazione, durante la lunga malattia di sua nonna; poi, dopo la sua morte, era diventato una passione. Una passione che lo aveva portato a finanziare un ristorante nel centro di Budapest. Ci aveva messo molto denaro e molto lavoro, ma ne era valsa la pena. Ora, era titolare di una catena di ristoranti stellati. Non era più solo il nipote di Janos, ma un indipendente, ricco uomo d'affari che si era fatto da solo.

    Sospirò. Non che non fosse fiero di essere uno De Zsadany, era solo che quel nome portava con sé responsabilità e obblighi. Come quello di sopportare la visita di Seymour. Oh, se solo quel maledetto avesse telefonato per disdire l'appuntamento!

    Il suo cellulare squillò. Laszlo lo guardò. Era Jakob! Si sentì stranamente sollevato.

    «Laszlo! Speravo di trovarti sveglio. Sono sicuro che tu te lo sia dimenticato e volevo solo ricordarti che oggi abbiamo un ospite.»

    Laszlo scrollò la testa. Tipico di Jakob! Gli telefonava per controllarlo. Jakob Frankel era il legale della famiglia De Zsadany. Era un brav'uomo, ma Laszlo non avrebbe mai abbassato la guardia con lui come con chiunque altro, dopo ciò che era accaduto l'ultima volta.

    «So che non ci crederai, Jakob, ma ricordavo benissimo che oggi arriva Seymour.»

    L'avvocato rise, nervoso. «Manderò una macchina, ma se tu potessi essere lì ad accoglierlo...»

    «Certo che ci sarò» lo interruppe Laszlo, irritato dal tono ossequioso del legale. «Voglio esserci» disse sgarbato. «Anzi, fammi sapere se c'è altro che possa fare.» Era il suo modo di scusarsi.

    «Certo, certo. Ma sono sicuro che non sarà necessario» proseguì Jakob in fretta.

    Laszlo borbottò qualcosa. L'hobby di suo nonno gli era sempre sembrato insensato, ma la morte di Annuska aveva cambiato la sua convinzione così come aveva cambiato tutto il resto.

    Dopo il funerale, la vita al castello era diventata sempre più triste. Janos si era chiuso nel suo dolore inconsolabile, ma quando lo shock era passato, il dolore si era trasformato in depressione. Una specie di letargia che il tempo non sembrava guarire. Laszlo era disperato. I giorni erano diventati mesi e i mesi, anni. Poi, di colpo, il nonno si era risollevato ed era tornato a essere se stesso.

    La causa di quel cambiamento era quasi piovuta dal cielo. Chissà dove, Laszlo aveva scovato un fascio di lettere che Annuska e Janos si erano scambiati molti anni prima, in cui parlavano del loro comune amore per l'arte.

    Senza farsi troppe illusioni, Laszlo aveva incoraggiato il nonno a rinverdire la vecchia passione. Con sua grande sorpresa, Janos aveva perso gradualmente l'aria distratta e svogliata e nel giro di poche settimane aveva deciso di far catalogare la sua vasta e incredibile collezione. Aveva contattato la casa d'aste Seymour a Londra e il suo stravagante proprietario, Edmund Seymour, era stato invitato a visitare Kastely Almasy.

    Laszlo fece una smorfia. La felicità del nonno veniva prima dei suoi sentimenti, ma come avrebbe sopportato la presenza di un estraneo a casa propria?

    La voce di Jakob irruppe nei suoi pensieri.

    «So che odi avere estranei intorno...» Ci fu un attimo di silenzio imbarazzato. «Quello che volevo dire...»

    Laszlo tagliò corto. «Ci sono più di trenta stanze, nel castello, Jakob, quindi credo di potercela fare con un solo ospite, non credi?» Per un attimo si sentì un verme. Seymour poteva restare un anno se questo serviva a rendere felice il nonno. Dalla morte di Annuska, il tempo aveva cessato di avere importanza. La sola cosa importante era vedere il nonno ristabilito. «Ce la posso fare» borbottò di nuovo.

    «Certo... certo.» L'avvocato rise nervosamente. «Potresti perfino divertirti. Ieri, Janos mi ha detto che questa visita potrebbe essere l'occasione buona per dare una festa e invitare i vicini. I Szecsenyi sono persone divertenti e hanno una figlia della tua età.»

    Alla luce tenue del mattino, la stanza sembrò di colpo grigia e fredda come una tomba. Laszlo strinse la mano sul telefono mentre il suo cuore cominciò a martellare come un tamburo di guerra.

    Respirò a fondo per calmarsi. «Ci penserò» disse. Il tono era cordiale ma non c'erano dubbi sul sottofondo gelido. «Forse il nostro ospite preferirebbe incontrare solo artisti.»

    Sapeva che era un'iniziativa del nonno e che aveva incaricato Jakob di buttar lì l'idea. Janos sperava di vedere suo nipote sposato. E perché non avrebbe dovuto? Il suo matrimonio era stato felice per quarantacinque anni.

    Laszlo strinse i pugni. Se solo avesse potuto farlo. Se solo avesse potuto sposare una graziosa, perfetta, dolcissima ragazza come Agnes Szecsenyi! Questo sarebbe stato più prezioso di cinquanta collezioni d'arte, per Janos.

    Però non sarebbe mai accaduto. Lui aveva un segreto e per quante feste o cene potesse organizzare il nonno, non avrebbe mai trovato moglie in quelle occasioni.

    «Hai letto bene i miei appunti, Prue? Di solito hai una certa tendenza alla superficialità...»

    Prudence Elliot scostò una ciocca di capelli biondi dagli occhi grigio-tempestoso, respirò a fondo e contò fino a dieci, in silenzio. Il suo aereo era atterrato in Ungheria da meno di un'ora e quella era la terza telefonata di suo zio Edmund. La stava pedinando per telefono, pensò irritata.

    Edmund si prese una pausa. «Non voglio fare il brontolone, è che... Be', vorrei essere lì con te...»

    Prudence nascose un sospiro esasperato e subito dopo si sentì in colpa. Non le era difficile comprendere l'ansia dello zio. Aveva costruito la sua casa d'aste dal nulla e quello doveva essere il giorno più importante della sua carriera, il culmine del lavoro di una vita. Era stato chiamato a catalogare la leggendaria collezione d'arte del famoso plurimilionario ed eremita, Janos Almasy De Zsadany.

    Con un fremito di paura, Prudence ripensò all'espressione eccitata e terrorizzata di Edmund, quando era stato invitato nel castello ungherese dei De Zsadany. Ricordava bene le sue parole.

    È un moderno Medici, Prue. Nessuno conosce l'esatto contenuto della sua collezione, ma si presume che possa aggirarsi sul miliardo di dollari.

    Ci sarebbe dovuto essere Edmund, con i suoi trent'anni d'esperienza, sul sedile posteriore della limousine dei De Zsadany, non lei, che non si sentiva all'altezza della reputazione dello zio. Solo che Edmund era in Inghilterra, confinato a letto, convalescente dopo un fortissimo attacco d'asma.

    Si morse un labbro e si voltò a guardare i campi su cui stava calando l'oscurità. Non avrebbe mai voluto trovarsi lì ma non aveva avuto scelta. In quel momento Edmund era oberato di debiti e su di lui incombeva lo spettro del fallimento. Il compenso di De Zsadany avrebbe risollevato le sorti dei libri contabili. Non c'era stata la possibilità di rimandare la partenza. L'avvocato di De Zsadany era stato inamovibile sull'immediato inizio del lavoro. E così, riluttante e spaventata, ora si trovava in Ungheria.

    Sentì Edmund sospirare all'altro capo della linea.

    «Mi dispiace, Prue» mormorò. «Non dovrei tormentarti con i miei mugugni mentre tu sei stata così brava e disponibile.»

    Prudence si vergognò di se stessa. Edmund era come un padre per lei. Le aveva dato tutto, una casa, una famiglia, la sicurezza economica e perfino un lavoro. Ora aveva bisogno di lei e non poteva deluderlo.

    Prudence sospirò. «Ti prego, cerca di non preoccuparti. Se avrò bisogno di qualunque cosa, ti telefonerò. Andrà tutto bene, te lo prometto.»

    Edmund la salutò e chiuse la comunicazione. Prudence appoggiò la schiena al sedile di morbida pelle e socchiuse le palpebre. Poco dopo sentì che la macchina stava rallentando. Quando aprì gli occhi, due grandi cancelli di ferro battuto si stavano spalancando al passaggio della limousine. Dopo qualche minuto, dall'ombra emerse un enorme castello di pietra grigia, che sembrava uscito da un libro di fiabe.

    Senza sapere come c'era arrivata, si trovò in un grande salotto, sorprendentemente accogliente, illuminato da una vera collezione di antiche lampade da tavolo e dal fuoco che scoppiettava nel camino. Stava per sedersi su un divano quando notò il quadro.

    Il cuore le balzò in gola. Si avvicinò piano, sfiorò incredula la cornice del dipinto e volse lo sguardo sulle pareti. C'erano due Picasso del Periodo Rosa, un delizioso Kandinskij, un ritratto di Rembrandt che avrebbe mandato in estasi Edmund e un Lucian Freud che ritraeva un levriero addormentato.

    Era ancora in stato di shock quando una voce divertita le risuonò alle spalle. «Prego... li guardi da vicino. Ho paura che ormai questi poveri quadri si sentano completamente ignorati da noi.»

    Prudence arrossì. Farsi sorprendere a curiosare a casa d'altri era imbarazzante, ma se l'ospite era uno degli uomini più ricchi d'Europa, be', allora era davvero mortificante.

    «Io... io... mi dispiace» balbettò,

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