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La promessa
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E-book226 pagine3 ore

La promessa

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Info su questo ebook

L'amore può sopravviere alla morte? Questa è la domanda a cui Angela dovrà far fronte dopo la morte tragica e inaspettata di Samuel. Una promessa fatta da lui attraverso un sogno porterà Angela a percepire il mondo in modo diverso; lasciandosi alle spalle il buio, le sue paure e i suoi dubbi e trasformando la sua vita più di quanto avrebbe mai immaginato.
Un romanzo che parla dell'amore assoluto, quell'amore che è privo di giudizi e di condizioni. Un amore capace di trasformare la nostra anima con lo scopo di raggiungere finalmente la felicità.
La Promessa è un romanzo pieno di speranza che vi permetterà di capire il vero significato dell'amore.

LinguaItaliano
EditoreCarol Munt
Data di uscita6 mag 2016
ISBN9781507140420
La promessa

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    Anteprima del libro

    La promessa - Carol Munt

    La promessa

    Carol Munt

    Traduzione di Antonia Mariani

    La promessa

    Autore Carol Munt

    Copyright © 2016 Carol Munt

    Tutti i diritti riservati

    Distribuito da Babelcube, Inc.

    www.babelcube.com

    Traduzione di Antonia Mariani

    Babelcube Books e Babelcube sono marchi registrati Babelcube Inc.

    Giovedì 27 settembre 2007

    La voce precisa e malinconica di Beck Hansen che intonava la sua Lost Cause emerse dagli altoparlanti e inondò gli spazi vuoti attorno a Samuel. Sin da quando ascoltò la canzone per la prima volta sapeva che possedeva quell’aura di magnificenza che accompagna ogni genio. Si tratta di una scintilla, uno sfolgorio di energia che resta mimetizzato per sempre in ogni creazione che lo possa vantare. Dopo le prime battute, un retrogusto agrodolce si fece largo nel suo stomaco. Mai, prima di allora, aveva avuto la possibilità di sentire sulla propria pelle il triste significato di quelle parole. Le cause perse non erano fatte per la sua condiscendente forma di essere, e abbandonare, per quanto complicato fosse il caso, non era il modo migliore di affrontare i problemi.

       La canzone non era ancora terminata quando decise di accostare l’auto per prestare maggiore attenzione al suo contenuto. Perché dobbiamo complicare sempre tutto?, si disse. Poi, fissò davanti a sé nel tentativo di trovare uno spiraglio di luce. Impossibile. La pioggia intensa cadeva torrenziale sui finestrini appannati, e il buio della notte impediva di vedere più in là dell’asfalto illuminato leggermente dai fari dell’auto.

       Nessun altro guidatore passava per quella strada.

       Terminata l’esibizione spense la radio e tornò il silenzio costellato dal continuo scalpiccio dell’acqua. E lì, in un niente che lo avvolgeva completamente, la immagine di Angela scoppiò nella sua mente così come una figura statica e isolata al centro di un vuoto immenso.

       È una follia vivere con qualcuno la cui vita si erge sulla paura; è come costruire una bellissima villa sulle sabbie mobili, pensò. Poi sorrise per quella strana idea. A dire il vero aveva voglia di piangere, ma come sempre preferì ignorare il dolore e rassegnarsi all’evidenza. Non avrebbe mai potuto aiutare Angela. Né avrebbe potuto estirpare la paura dal suo dentro. Non era tipo da poterlo fare. Le persone cambiano da sole, se si vedono obbligate a farlo, e se non cambiano la cosa migliore è allontanarsi, staccarsi da loro, nient’altro. Senza rancori né rimproveri, lasciarle dove sono e continuare il cammino. Forse è proprio questa la cosa migliore da fare, mormorò, lasciare Angela e sperare che possa trovare il suo posto.

       Amava Angela. Capì chi era non appena la vide quella notte, nella galleria d’arte, con i capelli lunghi e mossi color cioccolato, gli occhi a mandorla color miele, le labbra perfette, rosee, vive. Indossava un vestito di un intenso blu scuro e un paio di ballerine nere che si muovevano inquiete al ritmo dei suoi passi.

       Sì, l’amava. L’amava, decisamente.

       Samuel si appoggiò al sedile. Restò così per un paio di minuti, fino a quando non capì che era assurdo continuare a riflettere su quell’argomento. Difatti, la decisione era stata presa qualche ora prima, quando aveva chiuso la porta e si era lasciato alle spalle una Angela sommersa dalle ombre.

       Accese di nuovo l’auto e continuò il suo tragitto verso nord, dove i boschi riescono a dissipare, come per magia, il dolore dei cuori infranti. A breve sarebbe stato lì, respirando il profumo di terra bagnata, ascoltando il mormorio del fiume nel suo cammino attraverso le montagne. Desiderava arrivare, pur sapendo che durante la sua permanenza avrebbe dimenticato tutto ciò che era accaduto recentemente. Anche l’attaccamento fittizio che provava per Angela sarebbe svanito, e non ci sarebbe stato nessun passo indietro, lei avrebbe per sempre vagato nel passato.

       I pensieri di Samuel si inseguivano nella sua mente come uccelli. Li osservava uno a uno, mentre i suoi muscoli maneggiavano con inerzia i comandi dell’auto. Bastò solo un secondo per rendersi conto che il suo cammino su questo mondo era arrivato al termine. In un secondo, le abbaglianti luci di un treno restarono impresse nei suoi occhi aperti e attoniti. Un solo istante per contemplare come il passato e il futuro restassero relegati al nulla e per accogliere l’unico pensiero del presente, che imperava su qualsiasi altra cosa.

       Angela, balbettò in un rantolo.

       E le sue pupille restarono dilatate; il corpo inerte tra il metallo contorto di quella che, fino a poco tempo prima, era una macchina.

       Poi, smise di piovere.

    LA PROMESSA

    Angela restò a fissare il vuoto per il tempo sufficiente a consentire che la sigaretta accesa incastrata tra le sue dita si consumasse da sola, cosa che normalmente accade tra i cinque e i sette minuti. Lo aveva già cronometrato precedentemente, in un momento di dolore intenso. Succedeva sempre così. Prima si rannicchiava sotto la coperta, sul divano, sul letto, non importava dove. Avvolgeva con le braccia le sue gambe flesse, poi si stringeva le ginocchia contro il petto. Voleva farsi piccola, piccolissima, come quando aveva uno o due anni. Anche meno, mesi, giorni. O anche meno, ore, secondi. Desiderava non essere ancora nata. Essere null’altro che un insignificante feto al riparo all’interna di una bolla. Se ci fosse riuscita, se fosse riuscita a trasformarsi in un essere insignificante, allora forse anche il dolore avrebbe ridotto le sue dimensioni, diventando ugualmente insignificante. Ma quella tattica non dava mai il risultato sperato. Anzi, davanti all’impotenza i suoi pensieri intensificavano la sua disperazione, e questa disperazione, a sua volta, incrementava il dolore, trasformando quel momento in agonia assoluta. Era lì che, spinta dalla necessità di scappare, si alzava in piedi e deambulava alla cieca, cercando di incontrare uno stimolo che potesse soddisfare il suo desiderio di liberazione. Accendeva una sigaretta e si lasciava di nuovo cadere su un letto inconsistente. Restava lì, come una statua di pietra. In quel momento abitava tutta lei, tutta tranne il suo essere più intimo che si trovava invece in un luogo lontano, ricordando i giorni felici insieme a Samuel. Giorni felici, anche i più tristi potevano essere trasportati al presente avvolti in un’aura di soddisfazione. Tutto ciò non faceva altro che aumentare il dolore. Ma Angela non lo sapeva. Era convinta che quei ricordi fossero la sua unica salvezza, e per tale ragione ricorreva ad essi ancora una volta.

       Angela esaminò la cenere caduta sul pavimento. Tra le sue dita era rimasto solo il filtro della sigaretta, che emanava un odore sgradevole simile a quello di cartone bruciato. Se ne sbarazzò, schiacciandolo contro il portacenere di cristallo, poi tornò a concentrarsi sulla cenere sparsa ovunque. Passò in quel modo parecchio tempo, osservandola, giocandoci, disegnando solchi e figure come se si trattasse di una spiaggia di sabbia: un cuore, la ’S’ di Samuel, una croce. Aveva bisogno di continuare a piangere, ma le ore avevano prosciugato il suo corpo. Cos’altro poteva fare? Disegnare. Non lo aveva fatto dal giorno prima dell’incidente. Un intero mese senza realizzare una sola pennellata era troppo.

       Angela si mise in piedi e andò verso l’armadio dello studio in cui teneva tutto il materiale di studio. Lo aprì, prese il quaderno degli schizzi e iniziò a sfogliarlo, cercando una pagina bianca. Era praticamente nuovo, perciò non tardò a imbattersi nell’ultimo foglio utilizzato. Su quel foglio, oltre a un disegno scarno, c’era una frase triste e solitaria scritta a matita. Angela la lesse e le lacrime iniziarono immediatamente a cadere, unite a singhiozzi strazianti.

       Aveva dimenticato quella frase.

       In un impeto di rabbia impugnò il carboncino e iniziò a scarabocchiare ogni parola. Voleva avvolgerle in una tale oscurità che nessuno, leggendole, avrebbe potuto identificarle. Guardò il nero del foglio e immaginò Samuel che lo osservava da qualche luogo sconosciuto con i suoi grandi e intensi occhi verdi. Voleva parlargli, voleva tradurre in parole tutto ciò che le scorreva dentro.

       Angela appoggiò il quaderno sul tavolo e dopo qualche secondo di riflessione iniziò a scrivere.

    Giovedì, 25 ottobre

    Caro Samuel,

    è passato quasi un mese da quando te ne sei andato, e la tristezza aleggia ancora sul mio volto. Il dolore lancinante che travolse il mio petto è pian piano sfumato, e ora al suo posto sembra essersi instaurato un battito cardiaco pesante e letargico che a volte vorrei si fermasse in modo da poter abbandonare questo mondo di ombre in cui tu sei sempre stato la mia unica luce. Come fu difficile trovarti, ma quando ci riuscii seppi subito che la mia ricerca era terminata. Ora mi domando che senso ha che la vita ti faccia godere di un qualcosa di tanto bello per poi rubartelo così. Non riesco a capirlo. È possibile che non siamo altro che fragili marionette nelle mani di un Dio che si diverte con noi, trasformando questo mondo nel suo teatrino personale? In tal caso, l’unico modo di confrontarmi con Lui sarebbe il diventare l’unica padrona della mia stessa morte, visto che non posso esserlo della vita. In questo modo forse incontrerei finalmente la libertà. In ogni caso, il mio personaggio in questa opera sta iniziando a scemare. Non credo risulti più interessante.

    Mi manchi tanto. Ho la sensazione che la morte sia sempre un po’ più presente nella mia vita. Prima mio padre, e ora tu…

    Non ho ancora parlato con nessuno di tutti questi miei pensieri. Credo che non li capirebbero. Loro non sentono la tua assenza tanto quanto la sento io. Sono diventata del tutto vuota. Come prima di conoscerti. Però in quel ‘prima’, il nulla che attraversava il mio corpo era diventato parte di me, e non ne ero cosciente. Ora invece posso percepirlo, e fa male più di quanto avrei mai potuto immaginare. Vorrei riuscire a riempirlo, ma so che sarebbe impossibile. Mi resta solo l’abituarmi di nuovo a lui. Questo è tutto ciò che mi hai lasciato. Un enorme buco nel cuore.

       Angela lesse le parole scritte sul foglio, e un leggero conforto penetrò sotto la sua pelle. Nei momenti anteriori alla decisione di iniziare a scrivere non aveva trovato in niente e nessuno la possibilità di dare sfogo ai suoi sentimenti. In fondo sapeva che era poco probabile che Samuel la stesse ascoltando, ma non le importava. Cercava un’altra forma di esprimersi oltre ai suoi disegni e ai suoi pennelli. In trentadue anni era rimasta sempre immutata, ingoiando ogni emozione per paura di essere ferita dagli altri, e si sentiva stanca, come se la pelle, i muscoli e le ossa, che fino a quel momento avevano sostenuto tanto silenzio e tanta finta felicità, avessero deciso di rinunciare a questa funzionale, lasciandola abbandonata al suo destino.

       Questo fu il motivo per cui quella scoperta, il fatto di aver scoperto un’altra forma di catarsi, la spaventò e confortò allo stesso tempo. Ma questa volta la sua opera sarebbe stata custodita, lontana da altri occhi non fossero i suoi.

    Sabato, 27 ottobre

    Non so se riesci ad ascoltarmi. In qualche modo credo che tu mi stia accanto. Riesco a sentire il tuo profumo che inonda la stanza, o forse non è nient’altro che l’odore del tuo corpo che ancora persiste sulle lenzuola. Un odore di cui tutto è restato impregnato.

    Desidero tanto stare con te, e non so perché io sia ancora qui. Dove sei, Samuel? Sento che c’è qualcosa di tutto questo che mi sfugge. Non riesco a spiegarlo. Forse è il dolore che mi sta facendo impazzire. Prego Dio che estirpi da me questa angoscia, ma è inutile. La mia voce si perde nel nulla.

    Vorrei continuare con la mia vita. Tornare a lavoro, e fingere che con il trascorrere delle ore il mio essere, a fine giornata, sarà del tutto guarito. Ma so che tornare alla galleria significherebbe affrontare la realtà, e io non sono ancora pronta ad accettarla. Forse non lo sarò mai, ma sai come si dice, Il tempo cura ogni ferita.

    Il tempo. È sicuro? Credi che il tempo guarisca tutto? Se è così, allora quanto devo aspettare? Non lo so, più guardo l’orizzonte e più non sono in grado di misurarlo. Vago tra il passato e il futuro, cercando risposte. Entrambi mi sembrano estremamente dolorosi. A volte credo che sia meglio concentrarmi sui nostri momenti peggiori, così da cercare una scusa che giustifichi la tua morte. Che cosa orribile, vero?

    Nulla può giustificare la morte, per quanto ad essa restiamo destinati.

    Martedì, 30 ottobre

    La gente continua a chiamare per chiedermi se sto bene. Non mi domandano: Come stai?. No. Mi chiedono: Stai bene?. In tal modo si liberano di eventuali risposte scomode. Per quella domanda ci sono solo due risposte: o No. Io scelgo sempre la prima, e chiudo l’argomento. Alle persone non piace ascoltare storie tristi, ma allo stesso tempo si sentono obbligate a preoccuparsi per gli altri, e quello è il modo migliore per prendere due piccioni con una fava.

    Oggi è venuta a trovarmi Teresa. Ogni tanto si affaccia, per raccontarmi di come va la galleria e per mostrarmi i quadri delle nuove esposizioni. Credo che non vede l’ora che io torni. Non è mai rimasta per tanto tempo da sola, non si è mai fatta carico di tutto il lavoro. Forse pensa che restare chiusa in casa per un mese sia già troppo. Ma cos’è un mese quando devi ricostruire quattro anni di vita insieme a una persona che non c’è più? Non è niente. Nient’altro che un secondo nella storia del mondo.

    Credo che non si aspettavano questa mia reazione. Mi hanno sempre considerata una persona forte, forgiata sulle disgrazie, ma questa volta la tua morte mi ha atterrata.

    Vorrei tornare indietro. Cancellare in un solo colpo quest’ultimo mese, e tornare a quella notte. Così non ti lascerei andare. Ti obbligherei a restare qui, con me.

    Ho letto attentamente il bugiardo delle pasticche che il medico mi ha prescritto per riuscire a dormire. Dice che non bisogna prenderne più di quattro al giorno. Io ne assumo due prima di dormire, e non mi fanno niente. In un primo momento crollo, esausta, ma poi mi sveglio sempre verso le cinque di mattina e non riesco più ad addormentarmi. Ho pensato di inghiottirle tutte in una volta, così da addormentarmi e non risvegliarmi più.

    Questo è quello che vorrei. Addormentarmi e non svegliarmi.

    Mercoledì, 31 ottobre

    Trascorro ore intere ad osservare i quadri appesi in sala. Quelli che dipingesti la scorsa estate, ricordi? Non sapevo cosa fosse davvero l’arte astratta prima di conoscerti. Un giorno capì che ogni pennellata che facevi veniva direttamente dal tuo ventre, e seppi che nessuno mai avrebbe guardato ai tuoi lavori come facevo io. Gli altri avrebbero potuto commentare tecnica, la miscela di colori e forse avrebbero anche osato qualche interpretazione surrealista, quasi sempre errata. Ma non sarebbero mai arrivati a captare l’essenza di ciò che era davanti ai loro occhi. Quel privilegio restava riservato unicamente a me, e mi riempiva di orgoglio perché mi faceva sentire vicina a te più di quanto lo fosse mai stata qualsiasi altra persona. In quel modo ti facevo mio, possedevo ogni singolo tuo pensiero. Ogni singolo tuo gesto. Quanto ti invidiavo, e continuo a farlo. Ogni volta che ammiro uno dei tuoi quadri vorrei averlo dipinto io. Ma non ne sarei in grado…forse, dopo tutto, non sono mai arrivata a comprenderti. Forse è stata tutta una farsa. Forse in verità non ho mai captato la verità nascosta dietro le tue pennellate. Sono così belle. Se solo avessi avuto il dono che avevi tu…un dono che è andato via per sempre. Un dono che è semplicemente svanito. E nulla può essere fatto per riportarlo indietro.

    I giorni, per Angela, non erano altro che meri pretesti per restare legata a questo mondo. Ascoltava le conversazioni con un finto entusiasmo. Tutti, attorno a lei, volevano farla sorridere. Tuttavia, quando non era presente, parlavano di lei dicendo: Poverina. Deve essere orribile perdere una persona amata in quel modo. Se mi accadesse qualcosa di simile, non saprei come superarlo., Prima suo padre, e ora questo. Temo non riuscirà più a riprendersi.. Angela era ignara di tutte queste opinioni. Sapeva che gli altri parlavano dell’accaduto, ma ignorava in quali termini e, di fatto, preferiva non conoscerli. Parole e frasi come poverina, che peccato, non è giusto, immergevano il suo cuore in una incomprensione impossibile da ovviare, e per questo motivo cercava in ogni modo di eludere qualsiasi conversazione che avesse come argomento principale la recente scomparsa di Samuel. Atteggiamento illusorio, se si pensa che chi lesionava di più il cuore di Angela con i suoi giudizi era sua madre, la signora Rosario Tuset. Una donna fredda, composta, dal portamento fiero e solenne, erede di una grande ricchezza, il cui unico fine nella vita era stato incontrare un marito di pari reddito. A venticinque anni si era così legata al figlio maggiore della benestante famiglia Gisbert, un certo Gregorio, che aveva visto in poche occasioni, perlopiù quando si recava alle feste che la famiglia organizzava ogni anno nella loro lussuosa e sprecata tenuta estiva. Fu in una di queste serate di gala che le famiglie Tuset e Gisbert progettarono questo matrimonio, per la felicità di tutti, compresa quella degli sposi che prospettavano già un futuro di irrimediabile solitudine. Si sposarono un ventidue ottobre, e nove mesi dopo la signora Tuset diede alla luce Angela, determinata a continuare a respirare l’accogliente profumo di sua madre, a qualsiasi costo. Ma siccome non c’è essere più tenace di colui il cui cervello è stato dissipato dal passaggio del tempo in questo mondo, alla fine la mano grossa e pelosa del dottore riuscì a strapparla dal suo nido e a portarla da questo lato. E lì resto, sconsolata, tremando per il freddo. Dopo quest’esperienza dolorosa e angosciante, Rosario Tuset decise di non avere altri figli. Decisione che si rafforzò con il passare degli anni, in cui poté verificare come un esserino piccolo e

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