L'enigma dello Shar Pei
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Durante il viaggio attraverso mezza penisola, Eliseo affronterà con Danny Manuel situazioni imbarazzanti, comiche e pericolose, tra continui colpi di scena e incontri con personaggi bizzarri e curiosi. Tra loro si consoliderà gradualmente un rapporto di amicizia e complicità che alla fine li condurrà alla capanna sulla spiaggia di Fregene, cuore dell’enigma che li ha impegnati per tutto il romanzo. “L’enigma dello Shar Pei” è il resoconto incalzante di un viaggio al limite del surreale.
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Anteprima del libro
L'enigma dello Shar Pei - Massimo Gesuè
L’enigma dello Shar Pei
Massimo Gesuè
Copyright© Officine Editoriali 2015
Prima edizione ebook Marzo 2015
Tutti i diritti riservati.
Il presente file può essere usato esclusivamente per finalità di carattere personale. Tutti i contenuti sono protetti dalla legge sul diritto d’autore. Officine Editoriali declina ogni responsabilità per ogni utilizzo del file non previsto dalla legge. È vietata qualsiasi duplicazione del presente ebook.
ISBN 978-88-98041-49-7
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Ebook by: Officine Editoriali
Elaborazione grafica copertina: Officine Editoriali
Questo libro è un’opera di fantasia. Personaggi e situazioni sono invenzioni dell’autore e hanno il solo scopo di rendere realistica la narrazione. Qualsiasi analogia o riferimento a fatti, eventi, luoghi e persone, vive o scomparse, è da ritenersi puramente casuale.
Ai miei due figli Marco e Annachiara che, sono sicuro, renderanno migliore il mio futuro.
E a mio papà Fulvio che, sono certo, ha reso indimenticabile il mio passato.
SOMMARIO
Prologo
Prima del lungo viaggio
Il concerto di Danny
A casa dopo lo show
Nasce una canzone
Beve sunto
Il pugno di Danny
Jesus Christ Superstore
Verso San Chirico Raparo
L’intervista
Nessuno in giro
Il prete e la pazza
La vedova Montemurro
Alberto
Confidenze notturne
Scritto sulla sabbia
La fotografia
All’inseguimento del boss
Il compagno di scuola
Il chitarrista di Cimitile
Ritorno a Roma
La capanna sulla spiaggia
Stadio San Paolo, Napoli
Ringraziamenti
Prologo
Non riesco ancora a crederci, non mi sembra possibile: se soltanto 6 mesi fa mi avessero detto che un giorno mi sarei trovato in auto con il mio idolo, probabilmente avrei consigliato al mio interlocutore una visita psichiatrica presso uno bravo, anzi, il migliore.
Invece, ora sono proprio accanto a Lui, il mio mito, l’autore di Lady Selvaggia
, Metropolitana
, Gabbie Di Cemento
e soprattutto di Ora Basta
.
Ora basta, urliamolo tutti,
basta governo dei farabutti,
basta tangenti e corruzione,
scendiamo in piazza: RIVOLUZIONEEEE.
Scusate, mi viene da cantarla ogni volta che la nomino, quella canzone; ogni volta che sento pronunciare le due parole del titolo.
Danny Manuel, il rocker di Albuccione, ha scritto questo brano di getto, dopo l’ennesimo scandalo politico scoppiato nel paese e gli studenti, i disoccupati, i cassintegrati, i licenziati e persino i pensionati lo hanno eletto come loro inno, urlandolo a gran voce sotto le finestre dei palazzi del potere, nei loro cortei di protesta.
E ora, Danny Manuel è seduto sul sedile del passeggero della mia Panda 1.2 verde, in viaggio sull’autostrada A1, all’altezza di Caianello, destinazione San Chirico Raparo, provincia di Potenza, con lo stereo che manda So Sad
di George Harrison.
Danny è incazzatissimo con il sottoscritto. Il perché, beh … è una lunga storia, cominciata il 15 gennaio 2012.
Prima del lungo viaggio
Qualcuno, mi pare fosse Oscar Wilde, ha detto che la felicità non è avere quello che si desidera ma desiderare quello che si ha
: belle parole, sì, belle davvero. Vale a dire sentirsi appagato di ciò che si possiede.
E allora, se la mia interpretazione della frase di Wilde è corretta, mi domando: perché io dovrei essere felice? Non che io sia infelice, intendiamoci, però non sono nemmeno felice.
Mi chiamo Eliseo — e già il nome la dice lunga, su come possa essere felice — ho 23 anni e sono l’unico figlio di Daniele e Monica, entrambi dentisti; se avete avuto mai la sfortuna di dover ricorrere a cure dentarie, beh, credo possiate immaginare che i guadagni dei miei genitori garantiscano un tenore di vita eccellente. Non posso lamentarmi di loro, se penso a quanto mi hanno dato; fin da quando ero piccolo hanno sempre soddisfatto e assecondato ogni mio capriccio, dal trenino elettrico alla bicicletta, dai videogiochi ai jeans firmati, dall’iscrizione in palestra alla chitarra elettrica. Quello che mi è mancato è stata la loro presenza, la loro vicinanza, i loro consigli, le loro premure, le loro attenzioni, le loro carezze, perfino i loro rimproveri e gli schiaffi. Tutte cose per le quali non serviva denaro. O le hai ma non sei in grado di tirarle fuori, o non le hai.
Quello che più non sopportavo dei miei era che la loro scarsa vicinanza fosse dovuta alla loro ossessione per ... per il sesso; come definire due persone che sono pronte a sfruttare qualsiasi occasione per chiudersi in una stanza, in un bagno, nella cabina di uno stabilimento balneare, in un ascensore, in un ripostiglio, insomma qualunque posto offra un minimo di tranquillità, e … e darci dentro?
Non ho idea se esista un termine scientifico per definire il loro comportamento, quello che importa è che alla fine io abbia dovuto spesso scontrarmi con una porta chiusa quando avevo bisogno di loro per un consiglio, per un parere, per un aiuto. E dietro quella porta chiusa, quasi sempre gemiti, sospiri, il cigolio del letto … insomma, la classica colonna sonora di un amplesso.
Sono praticamente cresciuto con i miei nonni materni, Ernesto e Rosa — i genitori di papà vivono in Sicilia, non li vedo molto spesso — e ora che Rosa non c’è più, investita da un pirata della strada mentre tornava a casa dalla spesa, nonno Ernesto passa le giornate a sbevacchiare, o al bar sotto casa o nella sua camera da letto. Non si ubriaca mai pesantemente, ma riuscire ad imbastire con lui un discorso è impresa ardua per gran parte della giornata.
Più facile parlare con Elvis, il mio pappagallo cenerino: l’ho chiamato come il Re del Rock and Roll perché nel negozio dove l’ho acquistato la radio passava Burnin’ Love
e lui sembrava ballasse, ondeggiando sul trespolo ed emettendo striduli suoni. Mi fa compagnia, Elvis, soprattutto dopo che la mia storia con Giorgia è finita. Anche se mi chiedo spesso se sia mai iniziata. Ci siamo messi insieme praticamente da subito, io e Giorgia — il primo anno all’Istituto Tecnico Commerciale Gioberti era iniziato da pochi mesi — e per cinque anni abbiamo provato a far funzionare il nostro rapporto, fatto più di reciproche accuse che di tenerezze e condivisioni. Alla fine, abbiamo capito che non era cosa e che era inutile andare avanti: ognuno per la sua strada e via. La sua strada poi l’ha condotta a lavorare in banca: ora è fidanzata con un collega e dice di essere felice. Io invece sono single. Però un lavoro ce l’ho anche io; oddio, lavoro … se per lavoro s’intende una attività fisica o concettuale svolta magari con l’ausilio di appositi macchinari; se pensiamo al lavoro come all’impiego di un’energia per arrivare ad uno scopo preciso; come ad un’attività volta a un servizio o ad una produzione, magari remunerata, beh … allora il mio non è un lavoro.
Zio Giacomo, il fratello della mia mamma erotomane, un bel giorno ha deciso di aprire un negozio ma … mica un negozio normale, no. Mica, per esempio, un negozio di articoli sportivi, di alimentari, di libri e dischi, di elettronica, nemmeno di ferramenta o di cibi esotici, o di indumenti per animali domestici. Zio Giacomo, il fratello della mia mamma erotomane — sposata con il mio papà erotomane — ha aperto un grande negozio di articoli religiosi, vesti e paramenti sacri.
Ora si tratta soltanto di trovare un nome, un bel nome che attiri e incuriosisca la gente.
Sembrava che si aspettasse frotte di preti, monache, monsignori e seminaristi pronti a fare la ressa in periodo di saldi; sembrava che si aspettasse il Papa che sotto Natale entrasse a comprare qualche mozzetta da regalare ai vescovi o una Pellegrina nuova per sé.
Quando suggerii io un nome, lo buttai lì per scherzo, per amore della battuta, della risata, convinto che non mi avrebbe mai preso sul serio nessuno, tantomeno lo zio Giacomo. Ecco perché la mattina del 10 gennaio 2011, in via delle Grazie, a un passo dal Vaticano, ero l’unico che rideva davanti alla grande insegna azzurra del Jesus Christ Superstore
che apriva i battenti con la benedizione di Monsignor Abenzio Cascella, vescovo della Diocesi di Porto Santa Rufina.
Vi serve una berretta tricorno senza fiocco? Avete necessità di un colletto doppio? Il vecchio Saturno vi si è ristretto per i troppi lavaggi della vostra affezionata perpetua procurandovi una fastidiosa emicrania? Volete una stupenda acquasantiera elettronica in materiale metacrilato realizzata a mano? Un copri leggio in tessuto con ricamo della Madonna Miracolosa? È appena arrivato uno splendido inginocchiatoio in legno massello italiano, dotato di sgabello, appendi borse e ripiano poggia libri, può interessare? Entrate al Jesus Christ Superstore e sarò lieto di servirvi e accontentarvi, abbiamo il 3 per 2 sui rosari in argento puntinato e sui porta ostia e il 30% di sconto sui pacchetti da 100 di immaginette per questua.
Sì, sono il commesso del negozio dello zio Giacomo — proprio io che ho un campionario di imprecazioni che farebbero montare l’invidia di un camallo genovese — e lavoro 8 ore al giorno dal lunedì al venerdì per la bella somma di 900 euro mensili, e nel periodo delle Cresime mi toccano anche gli straordinari.
Fortunatamente, lo zio Giacomo è un datore di lavoro molto accondiscendente e nei periodi di scarsa clientela — cioè quasi sempre — mi concede parecchio tempo per fare un giretto nei dintorni; giretto che mi porta quasi sempre alla Feltrinelli di viale Giulio Cesare a spendere i miei lauti guadagni in CD, DVD e, più raramente, libri. Sì. Fortunatamente c’è la musica a salvarmi; e il mio lettore mp3 da 8 Giga con le canzoni dei Beatles, dei Kinks, di Bruce Springsteen, di Dylan, dei Doors, di Battisti, De Andrè, Danny Manuel è lì a farmi compagnia nelle lunghe ore al Jesus Christ Superstore che, altrimenti, dovrei passare a chiacchierare con lo zio Giacomo e con Svetlana, la cassiera factotum 65enne di Boyarka — a un tiro di schioppo da Kiev — mentre spolveriamo corone, calici, statue dell’Addolorata, o mentre facciamo l’inventario delle ampolline e dei candelieri.
Volete mettere, che so, Waterloo Sunset
dei Kinks o Point Blank
del Boss con i commenti di mio zio che sfoglia l’ultimo catalogo di arredi per sagrestia o con la voce querula di Svetlana che telefona alla sorella Polina per sapere se preparando il Kapusniak — minestra in brodo di carne tipica dell’Ucraina — lo stinco di maiale va fatto cuocere 20 o 40 minuti? O volete paragonare le melodie vocali dei Beach Boys di Good Vibrations
con quelle delle tre monache del monastero Benedettine Santa Cecilia che, per comprare un rosario, fanno le prove come se stessero acquistando un microfono?
La musica è la mia ancora di salvezza, la mano che mi tiene a galla, e non solo al negozio di zio Giacomo: a casa, le cuffie del lettore CD mi permettono di isolarmi dagli osceni mugolii provenienti dalla camera dei miei genitori, o dalle loro litigate che, quasi sempre, vertono sulla durata dei loro amplessi,
Hai inserito il turbo, stasera? L’hai conquistata, la Pole Position?
Guarda che sei tu che sembravi la safety car, ciccia, non dare la colpa a me.
o dai canti etilico partigiani di nonno Emilio che, dopo cena, si ritira nella sua stanza con una bottiglia di Montepulciano d’Abruzzo e 2 pacchetti di cracker.
E poi c’è lei, anzi … Lei: la mia Fender Telecaster American Vintage, inseparabile compagna da sette lunghi anni, amica di tante notti insonni e di pochissime serate in alcuni locali insieme alla mia band. Si, ho una band, facciamo cover dei Beatles, siamo quattro ma non siamo affatto favolosi e riusciamo ad ottenere un ingaggio per pochi euro ogni tre, quattro mesi. Ci chiamiamo The Beagles
— che fantasia, eh? Io avevo proposto Illusi In The Sky
ma non è piaciuto — e il nostro slogan potrebbe essere: quattro cani che suonano per quattro gatti
, visto che ai nostri concerti non si raggiunge mai una grande partecipazione di pubblico, perlopiù composto da qualche amico e parente. Una volta sono venuti anche i miei genitori e, quando li ho visti allontanarsi insieme verso i bagni del locale, ho cominciato a tremare, smettendo solo quando li ho visti rientrare pochissimi minuti dopo: o avevano inserito entrambi il turbo, oppure era stato un falso allarme.
Ho sempre sperato che la musica potesse rappresentare la mia ancora di salvezza, la mia via di fuga: da qualche anno scrivo canzoni, canzoni che parlano di solitudine, di rabbia, di paura, di voglia di scappare, di ricominciare.
Nulla di nuovo, lo so, e infatti sono canzoni che non hanno suscitato l’interesse di coloro ai quali le ho fatte ascoltare: case discografiche, radio, promotori di concorsi. Niente, nulla da fare, solo una serie di le faremo sapere
, grazie ma non siamo interessati
, buone, però non è il nostro genere
... quando andava bene. A volte erano rifiuti più pesanti ... il proprietario di un locale al quale mi ero proposto per una serata è arrivato a domandarmi se per me la parola melodia
fosse l’implorazione di una vergine. E così, addio sogni di gloria, addio all’ambizione di diventare un giorno anche io un rocker, di vedere il mio nome su giornali e manifesti, di leggere le recensioni dei miei dischi sulle riviste specializzate, di avere frotte di ammiratrici adoranti sotto il palco, pronte a lanciarmi i loro indumenti intimi e i loro peluche profumati. E le interviste alla radio, le apparizioni in televisione, le lettere dei fan, le discussioni sui forum in rete, i duetti con Elisa o Gianna Nannini, le improvvisate sul palco di Ligabue o di Vasco, o di Danny Manuel, per suonare qualche pezzo insieme, i dischi d’oro, di platino.
Danny Manuel … il rocker di Albuccione. Albuccione è una piccola frazione di Guidonia Montecelio, in provincia di Roma, che