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La maledizione dell'orologio astrale
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La maledizione dell'orologio astrale
E-book199 pagine2 ore

La maledizione dell'orologio astrale

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Info su questo ebook

Da quando sette secoli fa è stato installato sulla Torre dei Signori a Padova quel prodigioso orologio astrale ideato da Jacopo Dondi si sono susseguiti misteriosi, tragici eventi di portata internazionale, documentati storicamente.

E se anche la Prima Guerra Mondiale...?
LinguaItaliano
Data di uscita8 nov 2016
ISBN9788822863102
La maledizione dell'orologio astrale

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    Anteprima del libro

    La maledizione dell'orologio astrale - Bruno Maffeis

    inutile?"

    Caro lettore,

    Tutto è vero, documentato e documentabile, nella ricostruzione dei fatti contenuta in queste pagine. Tutto tranne due cose, che sono frutto di pura fantasia: 

    * la famigliola dei quattro protagonisti della ricerca (ogni riferimento a persone reali è puramente casuale) 

    * il titolo. Non esiste, infatti, maledizione alcuna nell’Universo, né sugli esseri viventi, né sulle cose. Esistono solo la casualità, la coincidenza, anche se talvolta sorprendenti e sconvolgenti. In questo libro vengono raccontati fatti tragici realmente accaduti ai discendenti di una nobile famiglia veneta nel corso di questi ultimi sette secoli, da quando un loro capostipite ha costruito un prodigioso orologio astrale. Il lettore voglia perdonare se per legittima licenza poetica questi fatti tragici sono arbitrariamente estrapolati tra mille altri eventi occorsi alla famiglia, al semplice scopo di dimostrare un assunto che rimane sempre e comunque indimostrabile: sono la conseguenza di una maledizione protrattasi nei secoli per un ‘peccato’ (in campo astrologico) commesso dal capostipite della famiglia nella costruzione di quell’orologio astrale. Maledizione che ha contagiato cose e persone (anche di altissimo rango) venute in contatto direttamente o indirettamente con i discendenti di questa stirpe dinastica. Alla famiglia le cui vicende sono qui raccontate auguriamo continua prosperità. E al Grand Hotel Orologio di Abano, dal quale prende spunto la narrazione, auguriamo di ritornare presto al prestigio, alla grandeur, alla fama internazionale che lo hanno caratterizzato per tutto il secolo scorso, fino al momento del declino conseguente, secondo alcuni, alla maledizione originaria. Uguale augurio di sempre maggior splendore al castello del Catajo che - stando ai fatti storici qui narrati - sarebbe stato inconsapevole portatore della negatività riconducibile all’orologio astrale. Ma ovviamente trattasi solo di brutti scherzi della coincidenza e della casualità. Altra nota: relativamente ad alcuni dei fatti storici qui raccontati, nei documenti consultati si sono notate differenti versioni. Per non appesantire il testo e i dialoghi, qui si fa riferimento ad una sola versione, senza accenno alle altre versioni. 

    l’autore

    PREFAZIONE E PREMESSA

    Un passo indietro nella Storia

    Tutto il concatenarsi degli avvenimenti storici qui narrati, riportati alla luce dalle ricerche dei quattro protagonisti (una famigliola milanese in vacanza ad Abano, casualmente coinvolta in un’appassionante indagine nei Colli Euganei) ruota intorno alla dinastia nobiliare padovana dei Dondi che ha meritato di fregiarsi del secondo cognome ‘Dell’Orologio’ per uno straordinario orologio astrale ideato e costruito da Jacopo Dondi, nella prima metà del 1300.

    Da quando quell’orologio è entrato in funzione sulla Torre del Palazzo dei Signori di Padova (e lo è ancor oggi) membri di quella famiglia o personaggi o edifici che avevano avuto a che fare con loro sono stati vittime di drammi o di incidenti misteriosi: il vescovo di Padova Scipione Dondi Dell’Orologio che in visita pastorale in un paesino di montagna scivola e muore; Gaspare Dondi dell’Orologio che intento a sovrintendere i lavori per la costruzione della cappella del suo castello in cima ad una ripida roccia, scivola e si sfracella in basso (a questo fatto storico fa riferimento l’illustrazione di copertina); l’arciduca Ferdinando D’Asburgo, erede e al trono d’Austria, che nel 1914 trascorre qualche giorno di riposo al Catajo, uno dei castelli di proprietà imperiale, legato ai Dondi Dell’Orologio, prima di recarsi in visita ufficiale a Sarajevo, visita tragica: verrà ucciso insieme alla moglie da un indipendentista; sarà questa la scintilla che farà esplodere la Prima Guerra Mondiale; Massimiliano d’Asburgo che ha soggiornato a lungo al Catajo insieme alla giovane moglie Carlotta del Belgio in attesa che terminasse la costruzione del suo Castello di Miramar, a Trieste: nominato imperatore del Messico, sarà fucilato e la moglie impazzirà dal dolore; l’imperatrice ‘Sissi’ che ha soggiornato più volte al Catajo: una vita a Corte segnata da dolorosissime vicende e troncata tragicamente dal pugnale di un anarchico. Altro caso clamoroso è quello di Lucrezia Dondi Dell’Orologio, andata sposa al marchese Pio Enea II Obizzi, barbaramente uccisa nel 1600 nel suo palazzo da un amico di famiglia; un fatto che ha sconvolto i Padovani; il ricordo di lei rimane ancora vivissimo e indelebile in città; è sepolta nella Basilica del Santo; la sua presenza - a detta di molti, anche studiosi e ricercatori - si manifesta nel suo castello del Catajo sotto forma di fantasma.

    C’è un legame tra queste morti tragiche e quell’orologio astrale?

    Qualcuno parla di ‘maledizione’... La famigliola milanese, rinunciando alle ben meritate vacanze, seguendo il ‘file rouge’ che lega questi personaggi riuscirà a scoprire l’anomalia nell’orologio astrale che è forse all’origine della negatività che circonda uomini e cose legati direttamente o indirettamente al costruttore di quell’orologio astrale.

    PREMESSA

    Per una più esatta comprensione del contesto sociale e di alcune delle vicende qui narrate riteniamo opportuno riportare integralmente il testo di uno storico del 1800, Andrea Gloria, che narra in tutti i suoi particolari la tragica notte del 1654, durante la quale la bella marchesa Lucrezia Dondi Dell’Orologio, moglie del ricco marchese Pio Enea II Obizzi, venne barbaramente uccisa da un amico di famiglia. E’ uno dei fatti più tragici che hanno marcato la dinastia dei Dondi dell’Orologio. Brevi brani di questo testo verranno riproposti nel corso del nostro racconto.

    Lucrezia Dondi Dell'Orologio

    La notte tragica della vile uccisione di Lucrezia

    "Lucrezia degli Obizzi e il suo secolo.

    Narrazione storica documentata"

    di Andrea Gloria 

    edito in Padova nell’anno 1853 

    Padova, Palazzo degli Obizzi, 15 novembre 1654

    Volgea il sole all’occaso; e Attilio, fermo nel reo proponimento,vestito a nero di felpa e avvolto in largo mantello, preso un affilato rasojo, serratolo tra panni, s’avviò al palazzo degli Obizzi. Rinvenne sotto il portico l’abbate Cattabeni; e parlottando con lui, si presentò alla marchesa Lucrezia, ch’era attenta a dimestiche brighe. Le rivolse un saluto, a cui ella gentilmente rispose. E saputo che poco dopo ella col figlio Ferdinando e co’servi sarebbe ita alla basilica di santo Antonio, e che il figlio anco in quella notte avrebbe dormito diviso dalla madre in altra stanza contigua. soprapreso da gioja diabolica parli. Tutto fatalmente favoriva la iniqua sua trama.

    In quel mezzo Attilio visitò il Capitano, e già sull’imbrunire rivolse i passi al palazzo degli Obizzi. Trovò socchiusa la porla: entrò di soppiatto, con la faccia avvallala e col cappello sugli occhi. Deserto il luogo, ascese le scale. Benché pratichissimo d’ogni stanza, spiò i letti, gli ingressi e le uscite; e formato il piano, si rabbujò nel prefisso covo ad attendere il desiderato istante .

    Reduce Lucrezia dalla basilica del Santo a notte ferma, nell’ora solita recitò col figlio e co’servi il rosario e le consuete preghiere. Consumò alcune ore, siccome donna casereccia, in cure della famiglia; poi cenò. E verso le dieci circa pomeridiane, dato ordine a tutti di coricarsi, entrò nella sua camera, consolata delle fatte divozioni e lieta nella propria coscienza.

    Le pareti di quella stanza erano coperte di cuoj dorati e sopra il letto stava ricco cortinaggio turchino. Una porta metteva alla stanza di Ferdinando; un’altra piccola, pur coperta di que’cuoj a finto muro, con un andituccio d’onde salivasi all’appartamento delle serve, e discendeasi al resto del palazzo. Questa porticella fu lasciata socchiusa da Lucrezia, onde quelle donne potessero all’uopo accorrere ai bisogni proprj o del figlio. Funesta precauzione!

    Per tre lunghe ore ella e Ferdinando inquieti e smaniosi non trovavano riposo, finché, stanche le membra, dormirono alfine. Allora Attilio, sbucato dal suo nascondiglio, tesi gli orecchi, non udendo né voce né motto, a tentoni pian piano s’appressò alla porticella. Entrato, la chiuse per di dentro. Avvicinatosi all’altra della stanza di F’erdinando, fece lo stesso; e reso certo che nessuno entrar potesse, assalì il letto della sopita matrona.

    Qui mancano i documenti per descrivere ad uno ad uno gli atti nefandi e violenti di Attilio, le vigorose difese di Lucrezia, ed ogni punto della lotta, che il lettore si figurerà agevolmente. Giacché al primo strepito deste le serve e il figlio, udirono un lungo agitarsi, un fioco gemere e lamentare di lei, come avesse impedita la bocca al grido, un forte squassare e cigolare del letto. In sulle prime credettero Lucrezia agitala in sogno dai soliti spauracchi. Ma quando l’intrepida donna, svincolatasi dall’iniquo e balzata di letto, con grida e voci distinte diè certi segni della violenza che l’era recata, allora le donne da una parte e Ferdinando dall’altra tentarono accorrere in soccorso; ma invano, chè le porte erano chiuse.

    Attilio intanto, deluso e fremente, col rasojo in mano minacciava la vittima, che non impaurita alla vista del ferro, ed opponendo forza a forza, si dispose a novello e più fiero combattimento. Quindi un aggirarsi per la camera, un calpestio, uno sconvolgere di sedie, un urtare, un dibattersi, un mettere a soqquadro tutto, un gridare replicato della meschina:’Beata Vergine, sant’Antonio, soccorretemi! Morirò sì, più tosto morirò, traditore! Ajuto, mio Dio! Donne, Ferdinando, ajuto Sono assassinata!’Il figlio angosciato tentava indarno di scassinare la porta, sclamando con voce rotta dai singhiozzi:’Mi apra, signora madre, mi apra; la porta è chiusa!’ Ella trattenuta da Attilio, fra le ambasce e l’ansia mortale rispondea:’Gettala giù, figlio!’Allorché quel dèmone

    svergognato, invaso dalle Furie d’inferno, sul punto d’essere scoperto, e certo che lo sarebbe vivendo Lucrezia, abbrancatala e gettatala per terra, disperato vibrò il lagliente ferro a soffocarle la parola nella gola, e scannatala compiè l’esecrando misfallo.

    Ogni strepilo, ogni voce in quel punto cessò. Indi Attilio, spento il lume, aperta la porticella, nell’atto di fuggire, s’imbattè fra il bujo in Ferdinando, che per altra porta ed altre stanze era colà accorso. Cozzatisi l’un l’altro, il giovinetto cadde per terra, ed ebbe sulla spalla l’impronta della insanguinata mano. Rialzatosi, e pieno l’animo di spavento salì alle camere delle donne; e Attilio, chiusane la uscita, calato per una segreta scaletta, per stanze disabitate, aprendo con violenza due porte, fra cui una piccola che meltea sulla strada, fuggì.

    Le serve attonite e irresolute non sapeano che fare, che credere. Incoraggiate dalla presenza del figlio, stimando tuttavia sogni le cose udite, le asserite da lui, scesero di nuovo per chiarirsi dello avvenuto; ma giunte alla porta che metteva nell’andituccio, la rinvennero chiusa. Comprese da terrore affacciaronsi al verone; e gridando soccorso con quanto di voce aveano in gola, dopo lungo strillare e penare, svegliarono lo staffiere Fiorentino che al di là d’un cortiletto scioperato poltriva. Egli risvegliato udite le grida delle donne, ascese col lume; ed entrato nella camera di Lucrezia, videla stesa sul limitare della porta, e non ancora estinta afferrargli con ambe le mani una gamba, in segno di chiedergli aita. A tale scena il Fiorentino o stordito o disumano o codardo, se ne uscì; e detto alle donne che la Marchesa era uccisa, senz’altro dire o fare - cosa incredibile! -tornò al suo letto.

    Conturbato il giovinetto al truce avviso, e temente che il suo sangue pure si cercasse, scongiurò le donne a soffocare i gemiti e le strida per non essere scoperto, e ricovrò sott’uno de’loro letti. Là quasi morto di gelo e di tremito restò fin oltre le sette del mattino, allorché lo staffiere risalito, per vedere e saper meglio le cose, aperse la porta delle donne. Esse, ripreso coraggio, scesero ed entrarono con Ferdinando nella camera della loro signora, dove videro, inorridite, spettacolo atroce e compassionevole. Ella stesa morta sul nudo suolo, in mezzo la stanza, tutta lorda di sangue e tabe, cogli occhi affossati, colle mani giunte e ravvolte nel rosario, che agonizzante con istremo sforzo avea tratto di sotto del capezzale. Nel suo corpo molte ferite; le più ampie nella gola, sur una spalla, sul mento e presso un orecchio; moltissime sulle mani, sulle braccia, sul petto. Le coperte del letto abbaruffate, i mobili spostati: prove del lungo conflitto e dell’eroica resistenza. Trovarono il manico d’un rasojo e un bottone d’ambra odorifero incastrato in oro, ch’ella nel difendersi avea strappati ad Attilio.

    Così moriva quella santa donna, sgozzata in olocausto alla fede conjugale, trionfante di sua purezza e virtù.

    E ora Lucrezia riposa nella Basilica di Sant'Antonio

    Ma nel suo castello ancor oggi tanti sentono la sua presenza

    La salma di Lucrezia Obizzi Dell’Orologio venne sepolta «con grande concorso di nobili e di popolo» - come dicono le cronache - nella veneratissima cappella della Madonna Mora, all’interno della Basilica di Sant’Antonio, proprio nell’esatto punto ove quattro secoli prima era stata deposta la salma del Santo. In origine, nel Medio Evo, quella cappella era una modesta chiesetta nella quale il Santo amava pregare e dove chiese di essere portato quando sentì che la morte ormai era vicina. Alla sua morte venne lì sepolto e la sua salma vi rimase per una trentina d’anni.

    Il tempo per i Padovani per costruire intorno alla cappella che lo aveva visto morire e che custodiva le sue spoglie quella grande Basilica (una tra le chiese più grandi al mondo); terminata la costruzione, le reliquie del Santo vennero trasportate al centro della Basilica, sotto la cupola. Lì, in quella cappellina (ma non rimane più niente della costruzione originaria) ora, appunto, riposa la salma di Lucrezia. Dopo il suo cruento assassinio compiutosi nel palazzo di famiglia a Padova tutti i suoi oggetti personali vennero trasferiti e gelosamente custoditi nel castello del Catajo di proprietà del marito, il marchese Pio Enea II Obizzi. Anche un pezzo del pavimento della camera intriso del sangue di Lucrezia morente è stato portato al Catajo ed è lì custodito come preziosa reliquia. La tradizione vuole che pochi giorni dopo la sistemazione del pavimento insanguinato su una parete del Catajo il figlio Ferdinando che aveva assistito impotente alla sua uccisione abbia iniziato a vedere una strana figura, vestita di un manto azzurro, aggirarsi inquieta nei corridoi del castello; i suoi movimenti erano accompagnati da flebili rumori indefinibili. Anche altre persone - familiari, servitù, visitatori - allora e poi in seguito lungo i secoli hanno affermato di aver avuto le stesse sensazioni. Anche rilevamenti in epoca recente con strumenti scientifici hanno evidenziato inspiegabili fenomeni.

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