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Misteri e storie insolite di Padova
Misteri e storie insolite di Padova
Misteri e storie insolite di Padova
E-book256 pagine4 ore

Misteri e storie insolite di Padova

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Info su questo ebook

Un tour tra i suoi segreti, i suoi miti, i fantasmi e le leggende.

Padova è una città che non molti conoscono, ma che cela tesori amati e lodati nei secoli da scrittori e poeti. Paola Tellaroli, con la curiosità e l’amore per questa città che la contraddistinguono, ci propone un tour tra i suoi misteri, miti, fantasmi e leggende. Ci sono aspetti segreti, nascosti e meno indagati nella storia di Padova? Certo! Non mancano castelli animati dalla presenza di fantasmi, trafugamenti di ossa di illustri personaggi, tombe misteriose. E poi c’è la Padova esoterica, quella piena di simboli e immagini che, se letti in modo appropriato, ci faranno scoprire elementi nuovi presenti sulle statue, le chiese e gli edifici più importanti della città. Si tratta di segreti sotto gli occhi di tutti i passanti, che tra queste pagine troveranno però, finalmente, la chiave di lettura per svelarli.


Paola Tellaroli

È nata a Castel Goffredo, in provincia di Mantova, nel 1986. È assegnista di ricerca in Biostatistica, ha vissuto in varie città, finché è casualmente approdata a Padova ed è scattato l’amore. Dopo il successo di 101 cose da fare a Padova almeno una volta nella vita, edito dalla Newton Compton, ha pubblicato 101 perché sulla storia di Padova che non puoi non sapere e Misteri e storie insolite di Padova.
LinguaItaliano
Data di uscita12 ott 2015
ISBN9788854187061
Misteri e storie insolite di Padova

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    Anteprima del libro

    Misteri e storie insolite di Padova - Paola Tellaroli

    346

    Prima edizione ebook: ottobre 2015

    © 2015 Newton Compton editori s.r.l.

    Roma, Casella postale 6214

    ISBN 978-88-541-8706-1

    www.newtoncompton.com

    Realizzazione a cura di Librofficina

    Progetto grafico: Carol Gullo

    Realizzazione: Alessandro Tiburtini

    Foto: © Shutterstock Images

    Paola Tellaroli

    Misteri e storie insolite di Padova

    Un tour tra i suoi segreti, i suoi miti, i fantasmi e le leggende

    A chi, con i suoi giorni e le sue notti,

    coi suoi sogni e i suoi incubi,

    ha alimentato questo libro.

    La cosa più bella che possiamo sperimentare è il mistero.

    ALBERT EINSTEIN

    Introduzione

    Può una città come Padova, così ricca di storia, di personaggi illustri e di nebbia non celare alcun segreto? Non scherziamo! Addirittura la sua nascita è tuttora avvolta in un’aura di impenetrabile mistero. Antenore o non Antenore? Questo sarà il nostro primo dilemma. Ma tralasciando il mito greco e la sua arcinota leggenda, pensate al fatto che Padova è stata la città di Pietro d’Abano, accusato tre volte dal tribunale dell’Inquisizione di magia, eresia e, per non farci mancare nulla, ateismo. E i miracoli di sant’Antonio li vogliamo tralasciare? Certo che no! Inoltre Padova, per la sua posizione tattica, fu un punto nevralgico per i templari e altri ordini cavallereschi che qui risiedettero a lungo. Ma non vi voglio svelare tutto subito, credo sia proprio il caso di fare la misteriosa.

    Vi posso però dire che, dopo aver scoperto insieme 101 cose da fare a Padova almeno una volta nella vita e aver cercato di rispondere ai 101 perché sulla storia di Padova che non puoi non sapere, dovreste essere pronti ad affrontare il lato più oscuro di questa città, il suo dark side. Perciò in questo libro ripercorreremo insieme alcuni degli innumerevoli arcani talvolta nascosti fra le pagine di libri ben impolverati, altre volte in bella vista – ma solo per gli occhi più attenti e allenati – sui muri dei nostri palazzi secolari. Non mancheranno di certo storie di streghe, simboli esoterici, fatti miracolosi, enigmi irrisolti e infinitamente discussi, apparizioni, sparizioni, e – figuriamoci! – fantasmi. E ancora parleremo di dame assassinate, cavalieri, demoni, fatti di cronaca nera anche piuttosto recenti, incontreremo delle sirenette e conosceremo semplici leggende metropolitane.

    Di certo le storie che state per leggere non saranno quelle che solitamente trovate nei libri di storia e nelle guide ufficiali, ma non per questo sono da considerarsi meno importanti. Spesso infatti i misteri derivano da credenze popolari radicate che, oltre a divertire, stimolano la nostra curiosità intellettuale e ci sfidano a capire il modo di pensare dei nostri antenati. Solo conoscendo le leggende a cui i nostri predecessori hanno così vivamente creduto possiamo davvero ambire ad avere accesso alla storia della città che ci circonda. Perciò non pretenderò che crediate a tutto quello che vi racconterò, anzi talvolta sarò addirittura io la prima a de-misterizzarvi alcune storie, ma altre resteranno avvolte dalle tenebre, come è nella natura dei migliori misteri.

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    Il grande mistero di Antenore

    In principio fu Antenore. Sul serio? Fu davvero lui il fondatore della città? Ma soprattutto, Antenore esistette veramente? Domande lecite, vista la fitta aura di mistero che da sempre circonda questo personaggio. Comunque, andiamo con ordine. Tutto partì dalla penna di Virgilio, che scrisse nell’Eneide:

    […] Antenore, sfuggito

    lui pure ai Greci, poté facilmente

    penetrare in Illiria, superare

    la Dalmazia e le fonti del Timàvo,

    e dove il fiume con grande rimbombo

    della montagna va per nove bocche

    dilagando nel mare e, mare fatto,

    inonda i campi coi flutti sonanti,

    fondò Padova e lì fissò la sede

    dei Troiani, a cui diede un nuovo nome,

    e, deposte le armi, vive in pace.

    L’idea piacque molto ai padovani, essendo l’eroe troiano particolarmente pio e con grandi ideali di pace, così da eleggerlo fondatore della città. L’unico controcorrente fu Tito Livio, che nelle sue Storie accompagna Antenore solo fino allo sbarco, senza in alcun modo legarlo alla nascita di una città.

    Nel 1274, durante gli scavi per la costruzione di un ospizio per trovatelli in via San Biagio, venne alla luce una duplice bara di cipresso e piombo dentro un’arca riportante l’incisione Regis Antenoris Memoria. Quando si scoprì che la bara conteneva lo scheletro di un guerriero, il poeta e giudice Lovato de’ Lovati non ebbe alcun dubbio: finalmente erano state ritrovate le ceneri di Antenore. Il colpo di grazia lo diede l’antica profezia del sapiente medievale Merlino, che recitava: «Quando la capra parlerà e ’l lovo risponderà Antenore se troverà». Nemmeno a farlo apposta, il capomastro che dirigeva i lavori si chiamava proprio Capra, e la somiglianza fra lovo, che significa lupo, e Lovati trasformò i sospetti in certezze in un batter d’occhio. Anche la cittadinanza non aveva più alcun dubbio e fu quindi dato il via a solenni cerimonie. Nell’euforia del momento, Lovati propose di collocare il sarcofago a ridosso della chiesa di San Lorenzo, proprio davanti a casa sua, e di collocare la sua tomba accanto a quella di Antenore. Non poteva immaginare che, a causa del bassorilievo di un cane sul lato del sarcofago, quella tomba nella consuetudine popolare sarebbe per sempre stata ricordata come la tomba del cane di Antenore.

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    Tomba di Antenore (incisione ottocentesca).

    In seguito qualche dubbio doveva essere sorto, se negli anni Ottanta del secolo scorso questi resti furono inviati ai laboratori dell’università dell’Arizona, a Tucson. Gli accertamenti provarono che il materiale risaliva a un periodo fra il 135 e il 430 d.C. e apparteneva a un guerriero ungherese, troppo giovane per aver fondato Padova dopo la distruzione di Troia, che le fonti storiche collocano nel 1183 a.C. A quanto pare, però, i padovani non sono ancora del tutto convinti, perché il sarcofago non è stato spostato e per tutti è tuttora noto come la tomba di Antenore; chissà per quanti altri secoli ancora resterà nel suo bellissimo posto d’onore in via San Francesco. Per sicurezza, inoltre, ad Antenore è stata anche eretta una statua in Prato della Valle. Vero oppure no, il suo mito ne ha fatta di strada per arrivare fino a qui, perciò è pur giusto ricordarlo.

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    Una Stonehenge de’ noantri

    A cavallo fra i comuni di San Martino di Lupari e di Castello di Godego, nella parte settentrionale della provincia padovana, si trova una delle cinque riserve archeologiche del Veneto: Motte di Sotto. Il nome Motte si riferisce al misterioso terrapieno quadrangolare che si estende su di un’area pianeggiante e racchiude una superficie di quasi 50.000 metri quadrati. È vero che la natura non smette mai di sorprendere creando forme fantasiose, ma questa volta sembrava un po’ troppo. Fortunatamente a pensarlo non fu uno qualsiasi, quanto piuttosto il forse poco poetico ma di certo concreto geologo Achille Tellini. Costui studiò il sito e avanzò l’ipotesi che si trattasse di un castrum romano. Scavi successivi provarono invece che le origini del sito erano ancora più remote, probabilmente risalenti all’età del bronzo.

    Oggi il terrapieno è coperto di vegetazione e il fossato che lo circonda è pressoché scomparso. La porzione di terreno adibita a scopi difensivi si innalza in media di 4 metri dal piano della campagna circostante, ed era costituita da cumuli di terra, probabilmente provenienti dallo scavo del fossato adiacente, e da un sistema di pali in legno infissi nel terreno verticalmente e connessi a tavole orizzontali. I ritrovamenti nella parte interna del terrapieno, come manufatti in bronzo, pietra e ceramica, oggi sono conservati presso il Museo Civico Torre di Malta a Cittadella: grazie a essi è stato possibile ricostruire la vita di questo villaggio, dedito per lo più alla coltivazione di cereali e all’allevamento di mucche, capre e pecore.

    Il sito è comunque tutt’oggi oggetto di studio: chi ci viveva? Quali erano le abitudini dei suoi abitanti? Qual era il suo scopo preciso e perché questa sua posizione? Molti quesiti risultano irrisolti. Fra le ipotesi più affascinanti che si stanno verificando ci sarebbe la tesi secondo la quale questo luogo serviva a segnare i solstizi e gli equinozi, e addirittura che potesse servire a misurare il tempo e a leggere gli assetti astronomici. Insomma, una Stonehenge de’ noantri.

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    Le leggende di Abano

    Non arrivo certo per prima se vi dico che le Terme Euganee sono dei luoghi divini: scommetto che anche voi, inzuppati come dei biscottini nelle acque sulfuree, vi siate sentiti divinamente. Ebbene, non siamo solo noi, poveri mortali, a sostenerlo, ma lo dicono anche la storia e la leggenda. Le nostre acque termali calde e curative sono infatti conosciute fin dai tempi dell’Impero romano.

    Gli antichi paleoveneti avevano qui un santuario lacustre molto trendy fra l’

    VIII

    e il

    III

    secolo a.C. Scrittori latini di ogni tempo, tra il primo Impero e la tarda antichità, hanno rivolto la loro attenzione a questo miracoloso angolo di terra così speciale: i suoi soffioni solforosi incutevano timore agli uomini di un tempo, che attribuivano questi fenomeni a manifestazioni divine e ne descrivevano la provenienza in numerose storie e leggende. Ne segue che le mitiche dicerie riguardanti queste zone si sprecavano. La più importante è quella che racconta come Ercole e i suoi eroici compagni greci, sfiniti e stanchi dopo aver ucciso Gerione, furono ristorati dalle virtù miracolose di queste acque calde. Essi non vollero più ritornare in Grecia, attratti anche dalla bellezza dei Colli Euganei, e vi si fermarono a vivere stabilmente. Ercole stesso, preso forse dai sensi di colpa, avrebbe costruito un tempio in onore del dio Gerione sul piccolo Colle Montinone, dove le acque calde sgorgavano più abbondantemente. Pensate cosa succederebbe se oggi tutti i turisti che si innamorano delle Terme Euganee costruissero un tempio ai propri dèi. Ce ne sarebbero così tanti da non lasciar spazio nemmeno a un albergo.

    Ai piedi del Colle Bortolone, per essere precisi nella zona dell’attuale Montegrotto, si trovava invece l’oracolo del dio Apono, che avrebbe poi dato il nome ad Abano. Svetonio ci racconta che questo oracolo era talmente noto nel mondo romano che addirittura l’imperatore Tiberio, durante il suo viaggio nell’Illiria, volle fermarsi a fare quattro chiacchiere con lui. L’oracolo lo invitò a buttare dei dadi d’oro nella fonte, proprio dove oggi si trova Abano, per conoscere il futuro che lo attendeva. La leggenda vorrebbe che i dadi gettati avessero reso preziosa l’acqua, attribuendole lo speciale potere di guarire svariate malattie e di donare una fortuna sfacciata al tavolo da gioco dei casinò. Su, scherzavo, ché per guarire dalla febbre del gioco serve ben altro.

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    Le acque solforose del lago di Arquà

    Il lago della Costa che si trova nella vallata ai piedi del borgo di Arquà Petrarca non è sempre stato come lo conosciamo oggi. Non solo perché attualmente le sue rive appaiono in stato di abbandono e un tempo ormai lontano il lago presentava dimensioni assai più vaste, no no, c’è di più: che anche il mostro di Loch Ness, in origine, fosse padovano? Non esageriamo. E allora di cosa sarà stato mai riempito questo bacino? Vi do un indizio: non si tratta di spritz! Va bene, ve la faccio breve: un tempo il lago sembra non fosse alimentato, come è invece oggi, da una sorgente termale.

    I fumi esalati da queste acque calde – che secondo una leggenda sono metà dolci e metà salate –, che nelle giornate invernali e nell’oscurità della notte sembrano celare la presenza di spiriti maligni, hanno ispirato numerose leggende. Fra queste, la più famosa è quella che narra come, prima dell’anno Mille, al posto del lago sorgesse il monastero di una piccola comunità di frati, gestita da un priore avaro e dispotico.

    La leggenda inizia – come nelle migliori storie – in una notte d’inverno, quando un mendicante bussò alla porta del convento e il priore ordinò di non aprire. Il più giovane dei fraticelli, Martino, pregò e convinse il suo superiore ad avere pietà per quell’uomo. Così al povero viandante, macilento e intirizzito, fu dato del pane raffermo, ma venne comunque rifiutata l’ospitalità. Quella notte frate Martino non riusciva a chiudere occhio, non potendo distogliere il pensiero dal poveretto scacciato in malo modo. Si decise quindi a uscire a cercarlo. Il fratino trovò il viandante raggomitolato nella neve accanto al muro del monastero, lo fece entrare di nascosto, lo rifocillò e lo fece riposare, mandandolo fuori di soppiatto prima dell’alba perché nessuno lo scoprisse. La notte successiva il viandante bussò nuovamente alla porta, e questa volta il priore in persona gli sbatté in faccia la porta del monastero. Quella notte il frate di buon cuore uscì nel freddo e nella neve con la sua coperta da dare al povero. Quando tornò sui suoi passi scoprì però che

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