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Il re della gloria. La stirpe della sindone: Ugo Moriano
Il re della gloria. La stirpe della sindone: Ugo Moriano
Il re della gloria. La stirpe della sindone: Ugo Moriano
E-book439 pagine6 ore

Il re della gloria. La stirpe della sindone: Ugo Moriano

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Info su questo ebook

Lucio Servilio Piso Cesare, giovane tribuno della famiglia Giulia, viene chiamato a Capri nella villa dell’imperatore Tiberio per essere promosso legato.  Subito dopo riceverà l’incarico di indagare sul comportamento di Pomponio Flacco, potentissimo governatore della Siria ,e si troverà coinvolto nelle vicende legate alla passione di Cristo.
Osteggiato anche da Ponzio Pilato, da anni prefetto della Giudea, cercherà, grazie all’aiuto del fidato centurione Gaenus e alla fedeltà del servo gallico Ruadhan, di sopravvivere a inganni e tradimenti.
Il suo amore per Eliza lo porterà, nonostante sia devoto ai propri dei, ad aiutare Giuseppe e Nicodemo, concedendo loro di liberare il corpo del Nazzareno dalla croce sul Golgota e poi concorrerà, a scapito dei propri interessi, a porre al sicuro il Sacro Telo.
Una storia epica dove tutti i personaggi dovranno fare scelte spesso difficili e dolorose.
L’inizio di una straordinaria epopea legata alla Sacra Sindone.
LinguaItaliano
Data di uscita5 ott 2021
ISBN9791220853811
Il re della gloria. La stirpe della sindone: Ugo Moriano

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    Anteprima del libro

    Il re della gloria. La stirpe della sindone - Ugo Moriano

    Prologo

    -

    Anno 1046 ab Urbe condĭta

    Lindum – Britannia

    Gennaio 293 d.C. - VI anno del regno di Massimiano

    I

    Dopo alcuni anni piuttosto rigidi, caratterizzati da brevi estati tiepide e inverni decisamente freddi, durante il sesto anno del regno dell’imperatore Marco Aurelio Valerio Massimiano Erculeo, nella Britannia inferiore il clima si era mostrato più clemente del solito anche se proprio in quegli ultimi giorni di ianuarius aveva preso a nevicare con una certa insistenza e la temperatura si era abbassata sensibilmente.

    - Che silenzio. Quando nevica così piano e senza vento, sembra quasi che il mondo esterno sia scomparso nel nulla. In tutto questo bianco non ci sono più sentieri o strade da seguire. Se non smettesse più, come farebbero a trovarci?

    Emilio si voltò verso Togodumno, il ragazzino di un anno più giovane di lui, che, dopo aver dato voce ai propri pensieri, si era fermato al suo fianco.

    - Forse siamo rimasti solo noi e non vedremo mai più altri uomini oltre a Publio e Elio - rispose con un sorriso. - Resteremo qui ai loro ordini fino a che entrambi non saranno morti di vecchiaia.

    - Terribile! Non oso neppure pensarci. Per fortuna sappiamo che tutto intorno a noi è rimasto esattamente come prima. Quando smetterà di nevicare e la strada sarà sgombra, ritorneranno a farci visita le donne del borgo e magari ci porteranno qualcosa di buono da mangiare.

    A sentir parlare di cibo, lo stomaco di Emilio emise un sordo brontolio. Egli era un ragazzo robusto e godeva da sempre di un vigoroso appetito; i ridotti pasti che lui e il suo compagno consumavano insieme ai due religiosi più anziani, più che saziarlo gli stimolavano la fame lasciandolo perennemente insoddisfatto.

    Da quando sono arrivato qui ho sempre la pancia vuota. Il freddo e tutto il resto sarebbero più sopportabili se ogni tanto in tavola ci fosse un bel pezzo di pane e magari una fetta di carne ad accompagnare le immancabili zuppe di verdura. Per un momento gli vennero in mente i biscotti di miele, burro e grano macinato preparati da sua madre. Pur sapendo che era solo frutto della sua immaginazione, tanto era il desiderio di poterne sgranocchiare uno, che gli parve di cogliere nell’aria il dolce aroma di quelle delizie.

    - Fa davvero freddo - disse Togodumno dopo aver starnutito un paio di volte. - Me ne torno dentro a spaccare la legna, così mi scaldo un po’.

    Emilio lo guardò rifugiarsi all’interno della legnaia dove in estate gli uomini delle fattorie circostanti avevano ammassato tronchi e rami. Il suo compagno di lavoro e studi era un ragazzino magro, con due grandi occhi castani che sembravano sempre spalancati per la sorpresa. Erano trascorsi un paio di mesi da quando si erano incontrati per la prima volta e lui non riusciva a ricordare un solo momento in cui Togodumno non fosse stato raffreddato. Certi giorni gli colava solo il naso, altri aveva la tosse o era senza voce per la gola infiammata. Spesso sputava catarro.

    E’ qui da più di due anni e alle volte guardandolo mi domando come abbia fatto a sopravvivere. Prima di me aveva un altro compagno della stessa età che si chiamava Dafydd, ma l’autunno scorso è morto per un’infiammazione intestinale. Adesso al suo posto ci sono io e spero proprio di non seguirne sorte.

    Reprimendo un brivido, Emilio si strinse nel pesante e caldo mantello che gli aveva donato sua madre prima della partenza. Anche le vesti sottostanti erano di buona qualità e lo avrebbero aiutato a sopportare il gelo invernale.

    Togodumno invece proveniva da una famiglia più povera, discendente da una delle tribù dei Catuvellauni, gente che, prima della conquista della Britannia da parte di Roma, dominava quelle terre. I suoi parenti non gli avevano dato nulla oltre i poveri vestiti che indossava al momento della partenza e quindi, invece di un buon mantello, portava sulle spalle una vecchia coperta piena di buchi e rammendi.

    - Mi vieni ad aiutare? Non la devo mica spaccare tutta io la legna! Tra poco Publio ci chiamerà e se non avremo riempito la cesta ci manderà a letto senza cena. - la voce si interruppe per un colpo di tosse a cui ne seguirono subito altri.

    - Fai con calma, tra un attimo vengo e ci penso io.

    Emilio voleva godersi ancora qualche istante di pace. Da quando era arrivato in quella piccola comunità cristiana sperduta nelle campagne intorno a Lindum la sua vita si era svolta secondo ritmi che, oltre al sonno notturno e le preghiere, non prevedevano altre pause.

    Pur sapendo che il ricordo lo avrebbe rattristato, si concesse di pensare nuovamente a casa sua e alla famiglia ormai lontana. Chissà cosa stavano facendo in quel momento.

    Era nato e vissuto in una villa che si affacciava sul fiume Dee, poco distante dal grande ponte in pietra che lo attraversava. Oltre a diversi poderi, pascoli e boschi, la casa disponeva di un piccolo molo fluviale che permetteva ai suoi proprietari di dedicarsi sia alla pesca, sia a un piccolo commercio da diporto.

    Suo padre Aulus Pianarius per diverso tempo era stato un centurione della Legio XX Valeria Victrix e al momento del congedo aveva ottenuto in premio quell’antica costruzione. Essa in precedenza era appartenuta a un notabile che alcuni anni prima aveva fortemente appoggiato la rivolta di Postumo. La successiva vittoria di Aureliano lo aveva fatto cadere in disgrazia e i familiari sopravvissuti alle epurazioni erano stati deportati sul continente, così l’abitazione e tutte le sue dipendenze erano cadute in disuso fino a che non entrarono a fare parte delle assegnazioni ai legionari più meritevoli. Una volta diventato proprietario, Aulus, lavorando con impegno, in poco tempo aveva riportato ogni singolo edificio all’antico splendore e Emilio vi era cresciuto insieme ai tre fratelli e alle due sorelle.

    Adriano da tre anni è in Siria e sta facendo una bella carriera tra le fila della Legio X Fretensis. Tra un decennio potrebbe anche diventare centurione come papà pensò riandando con la mente al fratello maggiore. L’anno dopo la sua partenza si sono sposate Terenzia ed Emilia e infine, due mesi fa, sono andato via pure io. Adesso con la mamma è rimasto solo Tito.

    Fin da piccolo Emilio aveva amato più la lettura e la scrittura che non lo scudo e la spada. Quando aveva iniziato a ipotizzare il proprio futuro, si era immaginato destinato a una brillante carriera civile, magari al servizio di qualche governatore.

    Pensavo di diventare un alto funzionario, invece sono finito qui e, almeno per quel che ne so, non tornerò mai più a casa, né rivedrò la mia famiglia.

    Sentendo un groppo in gola, prima che gli si inumidissero gli occhi, si voltò e rientrò nella legnaia dove, seduto su un grosso ceppo, lo stava aspettando Togodumno.

    - Finalmente ti sei deciso! - esclamò il ragazzino porgendogli la vecchia accetta. - Domani sarà il gran giorno e davvero mi spiacerebbe trascorrere la vigilia in punizione!

    - Se veramente non volevi correre questo rischio, potevi continuare a spaccare la legna - ribatté Emilio mentre, facendo fuggire un grosso geco, si chinava ad afferrare un ramo tutto bitorzoluto e storto.

    - Lo sai che se mi stanco troppo poi non riesco a disegnare come vogliono loro. Mi è già successo di prendere delle vergate solo perché avevo i muscoli indolenziti dopo aver lavorato per due.

    Emilio sapeva che era vero. Togodumno gli aveva raccontato tutte le angherie che era stato costretto a subire da parte di Dafydd. I due ragazzini, pur essendo coetanei, non avevano la stessa indole, così presto il più debole si era trovato ad essere ferocemente sottomesso e costretto a lavorare anche per l’altro.

    - Stai tranquillo, - gli disse mentre lavorava alacremente su rami e ceppi - oggi nessuno di noi verrà punito per aver fatto poca scorta di legna.

    - Mi domando dove la bruciano - Togodumno afferrò un pezzo di corteccia dal pavimento di terra battuta e lo gettò nel mucchio che stava predisponendo Emilio. - Ogni giorno portiamo nella casa due ceste belle piene, ma, a parte quel poco fuoco che accendono per far scaldare la zuppa, non vedo mai altri camini accesi. È un miracolo se non moriamo tutti di freddo.

    - Prima o poi lo scopriremo, vedrai! - Emilio, per conservarla affilata, piantò l’accetta in un tronco predisposto per quella funzione. - Adesso aiutami a portare la cesta.

    I due ragazzini, afferrata una maniglia ciascuno, lasciarono il riparo della legnaia e s’incamminarono lungo il sentiero che, passando accanto alla piscina un tempo usata come abbeveratoio per gli animali del cortile, portava all’edificio principale.

    A parte quel settore della struttura, tutto il resto del complesso era in stato di abbandono e alcune parti, se non si fosse intervenuti per tempo con dei lavori di consolidamento, non sarebbero rimaste in piedi a lungo.

    Ogni volta che posava gli occhi su quegli edifici ormai fatiscenti, Emilio non poteva fare a meno di raffrontarli con la propria abitazione natia.

    Mio padre ha fatto davvero un gran lavoro.

    Ogni parte della villa affacciata sul Dee era stata riportata in perfetta efficienza. La pars dominica, come anche la pars rustica, mostravano un intonaco liscio e tinteggiato a colori vivaci, il grande locale della cucina, dove il fuoco ardeva per tutta la stagione fredda, era circondato dalla bubilia, l’equilia e il gallinarium dove mucche, cavalli e galline godevano di un adeguato riparo. Non mancavano le stanze dei pastori e dei bovari, quelle degli schiavi e dei loro sorveglianti e i preziosissimi magazzini, dove venivano conservati il grano e altri cereali.

    Qui invece siamo solo in quattro: due vecchi e due ragazzini che vivono in compagnia di tre capre e poche galline. A parte qualche rifornimento alimentare e un po’ di legna, non riceviamo nulla e mai nessuno viene a lavorare per noi.

    Pur comprendendo che, in quei tempi difficili per i cristiani, fosse meglio non ostentare troppo la propria religiosità, quella loro vita segregata dal mondo gli pareva davvero eccessiva.

    Lui era nato in una famiglia che aveva abbandonato il culto di Giove e di tutti gli dei del panteon per convertirsi all’unico vero Dio, ma grazie alla prudenza dei suoi genitori e al fatto che le persecuzioni più dure si erano scatenate soprattutto nelle grandi città continentali, non aveva mai dovuto patire le conseguenze della loro scelta.

    - Smettila di fantasticare e allunga il passo, altrimenti qui finisce che ci congeliamo! - brontolò Togodumno passandosi il dorso della mano sul naso per asciugarne il muco che colava.

    II

    La sera prima, quasi il Signore avesse voluto ascoltare i desideri di Emilio, oltre alla solita minestra di verdure, lui e Togodumno avevano ricevuto una mezza pagnotta piuttosto stantia, due fette di formaggio di capra e, cosa quasi miracolosa, ben tre cucchiai di miele.

    Con la pancia finalmente piena i due ragazzi avevano trascorso una notte tranquilla e la sveglia del mattino, quando fuori non iniziava neppure ancora ad albeggiare, era stata meno penosa del solito.

    Publio ed Elio li avevano accompagnati nella sala dove solitamente pranzavano e lì, altra novità inaspettata, nel camino ardeva già un vivace fuoco. Accanto al piano di pietre su cui bruciavano i ceppi vi erano due secchi pieni d’acqua tiepida e una tinozza di legno. Li avevano fatti spogliare e poi lavare, infine, quando i giovani si erano rivestiti, Elio aveva portato in tavola una colazione a base di latte, pane e miele.

    - Questo è davvero un giorno speciale - sussurrò Togodumno mentre si stavano sedendo a tavola.

    - Sembrerebbe davvero di sì, quindi taci, prima di rovinare tutto facendoci prendere una punizione - rispose Emilio a bassa voce, sfruttando un momento in cui i due anziani religiosi si erano allontanati parlottando tra loro.

    Per quanto ai ragazzi la regola apparisse a dir poco fuori luogo, visto che erano solo in quattro e pertanto il silenzio abbondava tra quelle mura, fin dal primo giorno era stato loro ordinato di non parlare durante i pasti e neppure quando erano presenti i loro superiori, salvo che non fossero stati direttamente interrogati.

    Finita la colazione, si erano riuniti tutti in preghiera.

    A metà mattinata, attraverso la cortina di nevischio che continuava a calare morbidamente dal cielo, arrivò il vescovo di Lindum accompagnato da un paio di chierici. Egli viaggiava a dorso di mulo, i suoi seguaci procedevano a piedi, uno davanti, l’altro dietro all’animale.

    Una volta entrato nella costruzione principale, l’alto prelato, abbigliato con vesti pregiate e con una lunga barba che calava ad appoggiarsi sullo stomaco prominente, si era subito appartato in una stanza con Publio ed Elio. Poco dopo tutti insieme si erano recati nella piccola chiesa adiacente l’edificio.

    Qui, durante una cerimonia davvero sbrigativa, seguita dalla celebrazione di una messa ancora più spiccia, Emilio e Togodumno presero i voti ed entrarono così a far parte a pieno titolo di una congregazione cristiana di cui, almeno in quei primi attimi, non compresero bene le finalità particolari.

    Meno di due ore dopo il suo arrivo, il vescovo se ne andò in tutta fretta adducendo come spiegazione di essere atteso in città per la celebrazione di un importante matrimonio.

    - Non c’è proprio paragone tra quello che avrebbe mangiato qui e le leccornie che gli verranno servite durante il banchetto di nozze - commentò Togodumno quando i ragazzi si ritrovarono momentaneamente soli. - Neppure una bufera accompagnata dall’arrivo dei lupi sarebbe riuscita a bloccarlo.

    - Emilio, Togodumno, seguitemi - ordinò Publio affacciandosi alla porta.

    Senza fiatare i due s’incamminarono dietro il religioso e, per la prima volta, fu loro permesso di oltrepassare una pesante porta di legno che fino ad allora era rimasta sempre sbarrata. Non osando porre domande, attraversarono alcuni locali rimasti sempre inaccessibili, addentrandosi così in un’ala dell’edificio apparentemente in disuso da decenni.

    Dopo aver percorso uno stretto corridoio in muratura, si affacciarono in una nuova stanza con le pareti decorate da affreschi che rappresentavano scene di caccia. Lì, accanto a una scala che sprofondava nel pavimento, trovarono Elio con in mano una lanterna a olio accesa.

    Che ci vogliano portare in una cella vinaria per festeggiare fino a ubriacarci qualche particolare ricorrenza? immediatamente dopo averlo formulato, Emilio scacciò quel pensiero assurdo, proprio non ce li vedeva i suoi due accompagnatori impegnati a tracannare boccali di birra o, peggio ancora, vino.

    - Prima di mostrarvi il segreto che da molti decenni è custodito qui sotto, - disse Publio voltandosi verso di loro - Elio vi darà alcune spiegazioni su cosa in futuro ci aspettiamo da voi.

    - Il Signore vi ha scelti per un’importante missione di vita. Voi d’ora in poi porterete avanti il lavoro che fino a ieri abbiamo fatto noi e che, prima di noi, hanno fatto molti altri nostri confratelli. - Elio fece una pausa per controllare se i suoi ascoltatori fossero attenti, infine proseguì. - Da oggi sarete i segreti custodi e scrittori delle cronache del sacro telo della Sindone. Registrerete tutti i fatti relativi alla preziosa reliquia che ha avvolto il corpo di Cristo nel sepolcro e ne conserverete la storia, trascrivendola su nuovi rotoli qualora ce ne fosse bisogno. Non potrete mai raccontare a nessuno di questo vostro lavoro, pena la condanna alla dannazione eterna.

    - Avete ben compreso? - domandò Publio fissandoli negli occhi.

    - Sì – dissero in coro i due ragazzi.

    - Bene, aspettate qui.

    Senza attendere risposta il religioso raggiunse una statua in pietra raffigurante una donna con tra le mani un telo ripiegato, si chinò ed estrasse dal piedistallo in laterizio due dei mattoni, poi, non senza una certa fatica, da quel buco prelevò un panno arrotolato che quando dispiegò rivelò nascondere una piccola scatola di legno.

    Tenendola tra le mani quasi con venerazione ritornò di fronte ai giovani che erano rimasti immobili dove li aveva lasciati, l’aprì e ne estrasse due medaglioni agganciati a piccole catene metalliche che consegnò al suo anziano confratello.

    - Questo è il simbolo del tuo servizio. Dio ti ha scelto e da oggi lavorerai solo per la sua gloria – disse Elio mentre, uno dopo l’altro, li poneva al collo dei ragazzi.

    Avendolo ricevuto per primo, Emilio ne approfittò per esaminarlo. Lo afferrò delicatamente e, sperando di non attirare attenzioni troppo ruvide, abbassò lo sguardo sul quell’oggetto in bronzo, all’apparenza antico, con sopra una fine cesellatura. A prima vista quel delicato lavoro di incisione sembrava raffigurare un cerchio di spine con sopra appoggiata una penna.

    - Cosa significa? – domandò Togodumno che, non appena se lo era ritrovato al collo, aveva subito imitato il suo compagno.

    - Saprete ogni cosa a suo tempo – rispose con un’inusitata gentilezza Elio.

    - Adesso scendiamo - disse Publio sospingendoli piuttosto bruscamente in avanti. - Vi mostreremo dove custodiamo il tesoro che ci è stato affidato e poi, per quanto ci sarà possibile, risponderemo alle vostre domande.

    Fu così che, scendendo una ripida scala di legno, Emilio si trovò per la prima volta nel luogo dove probabilmente avrebbe trascorso una parte importante della sua vita.

    Adesso iniziava a comprendere il senso delle lunghe e severe lezioni di scrittura a cui si era dovuto sottoporre quotidianamente. Il fatto che i suoi istruttori non lesinassero l’uso della verga ogni volta che commetteva il più piccolo sbaglio incominciava a sembrargli quasi logico.

    Togodumno subiva lo stesso trattamento da molto più tempo. Pur avendo una buona padronanza della scrittura, da lui si pretendeva l’eccellenza nell’arte del disegno sacro. Il ragazzino aveva un vero dono, ma comunque si era dovuto impegnare fino allo spasimo per affinarlo oltre quelli che immaginava fossero i propri limiti. Anche in questo la verga aveva svolto il proprio lavoro senza economia.

    Nessuna traccia di umidità. Sembra quasi di essere in un altro mondo. Pensò il ragazzo sentendo che pure l’aria era fine e asciutta.

    A parte il breve periodo estivo, per tutto il resto dell’anno negli edifici soprastanti regnava una costante cappa di umidità che impregnava ogni cosa, dagli scrostati intonaci delle pareti alle vesti che puzzavano sempre di muffa.

    Rispetto a sopra, qui fa addirittura troppo caldo si disse Emilio volgendo lo sguardo intorno fino a scorgere il baluginare delle fiamme in un camino, mezzo nascosto da uno dei massicci pilastri che sostenevano le volte. - Ecco dove va a finire tutta la legna che ci fanno tagliare.

    - Non restate lì come statue, venite così vi facciamo vedere dove dovrete lavorare - Elio, dopo aver fatto loro un imperioso cenno, li precedette al centro del locale.

    In quello spazio sotterraneo vi erano posizionati due bellissimi plutei in legno massiccio su cui erano stati appoggiati diversi rotoli di fogli di papiro accanto ai quali attendevano i calami e i calamai. Lungo le pareti e appese ai pilastri erano disposte diverse lampade che in quel momento erano tutte accese.

    Al centro vi era un grande leggio su cui era stato posizionato un rotolo parzialmente inserito in una protezione di pergamena. Accanto, su una bassa panca, vi era una cassa che ne conteneva molti altri.

    - Questa - disse Publio avvicinandosi al leggio - è la prima parte delle cronache della Sindone. Racconta del sacro telo che ha avvolto il corpo di Cristo quando è stato deposto nella tomba di Giuseppe. Voi dovrete leggerla attentamente e poi ricopiarla sui rotoli che vi abbiamo messo a disposizione. Una volta terminata, passerete alla seconda, alla terza, e così via fino a ricopiare tutta la storia. Se nel frattempo arriveranno ulteriori notizie, interromperete il lavoro per registrarle; poi riprenderete da dove avevate lasciato.

    - In che modo lavoreremo? - domandò Togodumno asciugandosi il naso con il dorso della mano.

    - Tu ricopierai i disegni e controllerai che Emilio non faccia errori nella trascrittura - rispose Elio allungandogli uno schiaffo sulla mano usata per mondarsi il naso. - Lui invece, dopo aver terminato la copiatura, controllerà che i tuoi disegni siano perfettamente identici a quelli dell’originale.

    - Quindi faremo due nuove serie di rotoli? - Emilio cercava di farsi un’idea del proprio futuro che si stava presentando come una vita molto monotona scandita da ritmi lavorativi sempre uguali.

    - Sì.

    - Se l’originale è uno solo, perché dobbiamo farne due? - Togodumno cercò di tirare su con il naso per evitare una nuova punizione.

    - Perché la seconda copia, una volta ultimata, verrà conservata in un apposito nascondiglio predisposto in un’altra stanza della villa - Elio fece un paio di passi verso il ragazzo più piccolo, preparandosi a colpirlo se avesse nuovamente commesso l’errore di asciugarsi il muco senza usare la pezza di stoffa. - Così, anche se succedesse qualcosa di terribile qui sotto, ci sarebbe sempre la possibilità di recuperare le informazioni.

    - Prima - disse Emilio rivolgendosi a Elio - hai detto che il nostro lavoro è segreto. Ma se è così, come faremo a ricevere nuove parti della storia? Voi non siete in contatto con altri, vero?

    - No, e nessuno, a parte la guardiana del sacro telo, sa dove siamo, questo per un motivo di sicurezza.

    - Ma qualcun altro deve pur saperlo! - proseguì Emilio mentre si avvicinava a uno dei plutei. - Se no come fanno a mandarvi gli aggiornamenti da aggiungere alla cronaca?

    - I singoli aggiornamenti vengono redatti a Roma come cronache generiche da due nostri confratelli che lavorano sotto la diretta supervisione del vescovo, poi un corriere li porta a Mediolanum e da qui raggiungono Civitas Turonorum, per poi venir inviati sulla costa e imbarcati per la Britannia. Infine arrivano a Lindum e, se tutto è andato bene, vengono lasciati al vescovo il quale, senza sapere cosa contiene la missiva, li fa portare a noi che infine ne decifriamo le parti importanti.

    - Una trafila lunga e complicata - commentò Togodumno badando bene di mantenere un’adeguata distanza da Elio.

    - Certo, ma proprio per questo, se qualcosa va storto, diventa facile spezzare il filo che ci lega a chi li ha spediti. Fino ad ora nessuno è riuscito a risalirlo.

    - È davvero così importante riportare tutte le notizie relative a quel lenzuolo? Una volta segnato dov’è conservato, fino a che non lo sposteranno, cosa ci sarà mai da ricordare? - Togodumno non aveva ancora finito di parlare che subito ricevette da Publio un poderoso calcio nel sedere che gli fece fare un gran balzo in avanti.

    - Asino! - esclamò il religioso tentando di rifilargliene un secondo - Qui vengono raccontate tutte le storie degli uomini e delle donne che hanno avuto un ruolo nel conservarlo! Trascrivendole scoprirete le loro vicende e i sacrifici che sono stati fatti per preservare la reliquia fino al giorno in cui si compirà la profezia. Se tale cronaca cadesse in mani sbagliate molti nostri confratelli verrebbero presi e condannati a terribili torture.

    - Altre domande? - chiese con viso truce Elio.

    - No - risposero all’unisono i due ragazzi.

    - Allora non perdete tempo. Iniziate subito a leggere, così capirete di che cosa tratta e poi vi darete da fare per ricopiarlo. Noi vi sorveglieremo e, anche se ora siete dei confratelli, la verga sarà sempre pronta a spronarvi qualora iniziaste a battere la fiacca.

    Con quell’ultima minaccia, i due uomini ritornarono verso la scala e senza voltarsi salirono al piano superiore.

    - Ti ha fatto male? - domandò Emilio vedendo che il suo compagno zoppicava.

    - Non più di altre volte. Finché mi prende a calci va bene, diventa pericoloso quando afferra un bastone. Una volta mi ha spezzato due costole. Quando Publio diventa furioso, cerca di scappare, perché non bada mai a quanta forza mette nel colpirti.

    - Cercherò di starci attento. Comunque la nostra situazione è migliorata, finché staremo qui sotto non dovremo più patire il freddo.

    - È vero! Forse mi passerà anche il raffreddore! - esclamò con tono speranzoso Togodumno. - Così toglierò a quei due un motivo per picchiarmi.

    Emilio lo sperava per lui. Purtroppo non credeva che li avrebbero lasciati a svolgere solo quell’incarico. Quasi sicuramente si sarebbero dovuti sobbarcare anche gli altri lavori e pertanto avrebbero preso freddo ugualmente e poi, alla notte, sarebbero ritornati nelle loro celle gelate, quindi difficilmente il suo compagno sarebbe guarito.

    - Allora, vediamo cosa c’è scritto sul primo rotolo?

    - Sì, sono curioso!

    Emilio si avvicinò al leggio e sfilò la carta dalla custodia in pergamena. Lo stato di conservazione non era pessimo, ma il tempo stava già logorando la sfoglia di papiro e scolorendo l’inchiostro. Nel giro di qualche anno sarebbe stato difficile interpretare correttamente quanto c’era scritto.

    - Allora? Leggi qualche riga a voce alta - domandò Togodumno che non si era azzardato a toccare il prezioso manoscritto con le mani sporche.

    Emilio per qualche istante non riuscì a decifrare nulla perché il suo sguardo vagava sugli splendidi decori colorati che contornavano il testo e che a volte ne facevano addirittura parte. Il suo giovane compagno era un bravo disegnatore, ma la mano che aveva tracciato quelle figure era di un livello davvero sublime.

    Dovrà davvero applicarsi molto se vorrà arrivare a eguagliare chi li ha disegnati. Temo che la verga non resterà inoperosa per molto tempo.

    Il testo era scritto in greco, lingua che lui conosceva benissimo, la qualità dei tratti di calamo non era particolarmente elevata e questo gli diede un senso di sollievo.

    - Perché non leggi? - Togodumno si agitava torcendosi le mani, indeciso se prendere l’iniziativa o attendere ancora qualche attimo. - Se ritornano e si accorgono che siamo stati qui senza fare nulla, non gli parrà vero di poterci subito punire. A te piace prenderti delle vergate?

    - No. Adesso inizio. Tu siediti su quello sgabello e ascolta la storia.

    Anno 766 ab Urbe condĭta

    Principato di Augusto

    Anno XXXX – 13 d.C

    Da oltre un mese Ruadhan si stava preparando fisicamente e spiritualmente per superare uno degli eventi più importanti nella vita di un uomo: affrontare la prova che lo avrebbe consacrato come un guerriero adulto del grande popolo dei Sequani. Si era allenato con rigore e, sfruttando ogni attimo libero da incombenze, aveva cercato di simulare le stesse condizioni che molto probabilmente avrebbe trovato quando sarebbe arrivato il momento di fare sul serio.

    Due giorni prima, durante una delle sue uscite pomeridiane dal villaggio, aveva incrociato le tracce di un giovane cervo e le aveva seguite fino ad arrivare lungo la riva di uno dei tanti piccoli corsi d’acqua confluenti nel Saona. In mattinata, protetta dalla rigogliosa vegetazione che la nascondeva da possibili predatori, la bestia si era abbeverata e poi aveva ripreso il proprio peregrinare.

    Ucciderlo sarà un bellissimo allenamento in vista della caccia sacra aveva pensato mentre, dopo aver catturato una quaglia, ritornava verso il proprio villaggio.

    Contando sul fatto che questi animali se non vengono minacciati sono alquanto abitudinari, il giorno successivo il giovane aveva raggiunto lo stesso posto solo per scoprire che il cervo lo aveva preceduto e si era già allontanato, pertanto l’uccisione era stata rimandata.

    Quella mattina, dopo un appostamento che era iniziato alle prime luci dell’alba, Ruadhan si sentiva pronto a tendere il proprio agguato, ma la futura vittima, forse percependo un odore estraneo o semplicemente messa in allarme da qualche istinto atavico, dopo essersi avvicinata all’acqua si era innervosita e allontanata prima che la freccia letale potesse venir scoccata.

    Il giovane però, nonostante la delusione, non si era dato per vinto e aveva dato avvio alla caccia. Il cervo, ignaro di essere seguito, si muoveva tra gli alberi che, folti e verdi, ricoprivano le colline circostanti al fiume, il suo inseguitore lo braccava tenendosi però alla dovuta distanza per non segnalare la propria presenza.

    Vi erano state un paio di occasioni adatte a colpire, ma ogni volta Ruadhan non si era sentito sicuro di centrare il bersaglio e pertanto, piuttosto che rischiare di perderlo per sempre, aveva rimandato l’attacco a un’occasione migliore.

    La pazienza gli aveva sempre ripetuto suo padre è la prima virtù di un vero cacciatore

    Mentre si muoveva furtivo tra tronchi e cespugli fioriti, sentiva crescere nel petto l’eccitazione. Se non avesse commesso errori, sarebbe ritornato dalla sua famiglia con quel giovane esemplare pronto per essere scuoiato e arrostito. Tutti lo avrebbero festeggiato e la birra sarebbe corsa a fiumi, perché anche i migliori cacciatori difficilmente riuscivano ad abbattere un capo simile.

    Tra pochi giorni dovrò affrontare le prove per diventare un uomo, ma se uccido il cervo avrò già dimostrato a tutti di cosa sono capace.

    Nudo, con un coltello trattenuto al fianco da una corda legata in vita, una faretra con cinque frecce che si era pazientemente costruito durante l’inverno e l’arco che gli era stato donato da suo nonno, scivolava silenzioso tra le ombre del sottobosco scavalcando ostacoli o aggirando con precauzione i rami troppo bassi.

    Essere un giovane sequano, in quei tempi dominati dalla forza di Roma, non era più come quando i suoi avi facevano parte di un fiero popolo libero che, se era il caso, poteva combattere alla pari con Edui, Allobrogi o Elvezi. Ancora al tempo di suo nonno, superati i riti della pubertà, si diventava un vero guerriero, fiero della propria forza, consapevole che le proprie armi avrebbero fatto la differenza in battaglia, invece adesso un ragazzo rischiava di venir arruolato nelle milizie ausiliarie che appoggiano le legioni per essere poi mandato a fare la guerra contro genti sconosciute in terre di cui nessuno aveva mai sentito parlare.

    Io non combatterò mai per quei maledetti invasori si ripeté come faceva sempre quando ci pensava. Mi batterò contro di loro e troverò il modo di scacciarli dai nostri villaggi.

    Nella sua mente di ragazzino di tredici anni la fantasia faceva scorrere immagini di scontri epici, di battaglie in cui lui, dopo aver ucciso il capo dei romani, ingiungeva loro di andarsene per sempre e poi ritornava dalla sua famiglia per essere festeggiato come un eroe.

    Tutto preso da quei pensieri, solo all’ultimo momento si accorse che il cervo si era fermato. Bloccandosi a sua volta come una statua, rimase immobile a metà di un passo con il cuore che batteva così forte da fargli sembrare impossibile che la sua preda non lo sentisse.

    La bestia volgeva da una parte e dall’altra il capo sormontato da un piccolo palco di corna, come se stesse cercando di capire da che direzione potesse giungere il pericolo. I suoi muscoli, tesi allo spasimo, fremevano sotto la morbida pelliccia bruna, pronti a scattare non appena fosse stata chiara la direzione da prendere.

    Ruadhan, guardandolo, si rese conto che adesso era un bersaglio perfetto. Se fosse riuscito a tendere l’arco e a scagliare la freccia, questa volta non avrebbe potuto in alcun modo mancarlo.

    Lentamente, senza cambiare postura né spostare lo sguardo, poco alla volta sollevò il braccio che sosteneva l’arco, mentre l’altra mano scivolava nella faretra ed afferrava un dardo.

    Pregando silenziosamente Teutates, Belanu e tutti gli dei che gli venivano in mente, incoccò e iniziò a tendere la corda, ma poi si fermò, incapace di portare a termine il gesto perché aveva realizzato dove si trovava.

    Il cervo si era fermato in una piccola radura nei pressi di una bassa pozza d’acqua, probabilmente alimentata da una fonte sotterranea, tutt’intorno crescevano ontani, sorbi e noccioli con le prime foglie verdi che ne punteggiavano i rami, mentre l’edera ne avvolgeva rigogliosa i tronchi. A livello del terreno vi erano bassi cespugli di ginestre e biancospino che sembravano formare un cerchio intorno a quell’incavo naturale.

    Sono in un bosco sacro!

    Non avrebbe mai potuto uccidere nulla in quel luogo perché ogni singola pianta era cara agli dei e sicuramente uno di loro lo vegliava. Se lui avesse osato versarvi del sangue la sua ira sarebbe stata terribile, di questo ne era sicuro.

    Immediatamente, mentre riponeva la freccia, gli vennero alla mente un’infinità di storie legate a posti simili. Poche finivano bene e raramente chi vi era rimasto coinvolto ritornava a casa baciato dalla fortuna, molto spesso invece accadeva l’opposto o addirittura il malcapitato scompariva e il suo corpo non veniva più ritrovato.

    Devo andarmene in fretta. Forse lo stesso cervo è un’incarnazione della divinità che custodisce questo luogo. Per fortuna non l’ho colpito, ma potrebbe essersi offeso comunque.

    Voleva scappare, i suoi muscoli erano tesi quanto quelli della preda che fino a

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