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Radici lontane: Un nuovo caso per la coppia Vassallo-Ardoino
Radici lontane: Un nuovo caso per la coppia Vassallo-Ardoino
Radici lontane: Un nuovo caso per la coppia Vassallo-Ardoino
E-book309 pagine4 ore

Radici lontane: Un nuovo caso per la coppia Vassallo-Ardoino

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Info su questo ebook

Godersi i frutti di una truffa milionaria non è semplice come potrebbe apparire e ne sa qualcosa Fedora Palti, la protagonista del romanzo. Qualcuno la sta braccando per svuotarle il considerevole conto in banca e ucciderla. Ben presto si accorge che chi vive sotto mentite spoglie, seppur ricco, ha ben pochi amici e fidarsi è sempre un azzardo che si rischia di pagare a caro prezzo. L’unica soluzione è una fuga disperata e avventurosa in cui il tentativo di ritornare al paese di origine si somma alle trattative per saldare i propri conti con la giustizia italiana. Angelo e Noemi, i due ispettori della questura di Imperia, validamente supportati da tre giornalisti locali e da un Procuratore in pensione, cercheranno di aiutarla a sopravvivere per poi gettarsi a loro volta nella mischia quando la situazione si farà disperata.
LinguaItaliano
Data di uscita21 mag 2016
ISBN9788869431364
Radici lontane: Un nuovo caso per la coppia Vassallo-Ardoino

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    Anteprima del libro

    Radici lontane - Ugo Moriano

    Capitolo 1

    Alfredo percorse quasi correndo gli ultimi passi nel corridoio deserto. Mentre, con mani malferme, cercava di inserire nell’apposita fessura la chiave magnetica che gli avrebbe permesso di sbloccare la porta, si voltò almeno tre volte a osservare il tragitto appena attraversato. Nessuno era sbucato dalla rampa delle scale in lucido marmo nero che conduceva a quel piano. L’ascensore con cui era arrivato non mostrava segni di vita. Eppure il suo cuore batteva all’impazzata, la paura l’opprimeva, si sentiva osservato.

    Aveva trascorso la notte precedente a giocare alla roulette nel migliore casinò di Punta Cana. La fortuna da molto tempo si era nuovamente dimenticata di lui, ma la cosa non gli importava visto che poteva spendere qualsiasi cifra senza preoccupazioni. Sul far della mattina era stato ospite di una giovanissima e bella prostituta di colore con cui aveva condiviso l’esperienza nella casa da gioco e solo dopo mezzogiorno, con ancora i postumi della nottata appena trascorsa, si era messo in viaggio verso l’albergo.

    Quando era entrato nella hall con la barba sfatta e gli occhi pesti era stato ancora una volta assalito da una pressante sensazione di pericolo imminente che in poco tempo si era trasformata in vero e proprio panico. Senza neppure rispondere agli ossequiosi saluti degli addetti alla ricezione, si era precipitato nel primo ascensore libero ed aveva premuto il pulsante con sopra il numero 9.

    Sentiva l’assoluto bisogno di ritrovarsi nell’illusoria sicurezza della suite.

    Ancora una volta la luce della serratura rimase rossa e lui alzò lo sguardo sullo stipite per verificare, ammesso che ce ne fosse stato bisogno, se il numero della camera fosse quello giusto.

    – Apriti, forza apriti!

    Se si fosse ascoltato solo un paio d’anni prima non sarebbe stato in grado di riconoscere come propria la voce piagnucolante con cui stava implorando il meccanismo magnetico posizionato sul battente, ma da allora erano cambiate moltissime cose e, soprattutto, non era più lo stesso uomo.

    Il suo udito, teso a cogliere ogni più piccolo rumore, percepì il leggero ronzio dell’ascensore quando si mise in movimento e questo lo spinse sull’orlo del panico. Il leggero clic della serratura ed il passaggio dal rosso al verde della piccola luce poco sopra la fessura in cui stava freneticamente inserendo la scheda magnetica lo salvarono da una fuga ignominiosa.

    Appena dentro la stanza bloccò la serratura e, dopo aver attraversato l’ampio soggiorno della suite, si precipitò in bagno dove, da una tasca interna di un beauty firmato Lousis Vuitton, prelevò un piccolo sacchetto di plastica trasparente che conteneva una trentina di pastiglie color ambra. Dopo averne inghiottite tre, ritornò nel soggiorno e bevve un bicchiere d’acqua, poi raggiunse la camera da letto, si stese e, con gli occhi chiusi, aspettò che facessero il loro solito benefico effetto.

    Le tende color crema velavano la luce del caldo sole pomeridiano che stava scaldando le spiagge esclusive di Punta Cana. L’impianto di condizionamento rendeva gradevoli la temperatura e l’umidità all’interno degli appartamenti dell’esclusivo resort posizionato a poca distanza dal meraviglioso mare che bagna le coste della Repubblica Dominicana.

    Il suo respiro, fino a pochi istanti prima corto e affannoso, divenne più rilassato e i tratti del viso si distesero. La palpebre si abbassarono e dopo poco sopraggiunse il sonno provocato dai farmaci.

    Se qualcuno di coloro che lo avevano frequentato fino all’inverno del 2009 fosse entrato nel lussuoso appartamento affacciato sul mar caraibico non avrebbe riconosciuto l’uomo magro, con tutti i capelli grigi, sdraiato sul lenzuolo di raso color tortora.

    Alfredo, quasi quattro anni prima, grazie ai servigi di un grande studio forense situato in uno dei palazzi più esclusivi in Upper East Side a New York, aveva cambiato le proprie generalità ed ora i suoi documenti lo identificavano come Giovanni Gastoldi, cittadino elvetico del Canton Ticino.

    Egli era alto circa un metro e ottanta, ben proporzionato e, grazie all’assidua frequentazione di palestre e centri fitness, aveva un fisico ancora tonico e asciutto, anche se negli ultimi mesi l’abuso di farmaci e alcool avevano iniziato a incidere sulla sua condizione di forma. Fin da ragazzo era stato orgoglioso dei propri capelli castani e ondulati che amava portare leggermente lunghi sul collo e sapeva di possedere due bellissimi occhi verdi leggermente venati di castano.

    All’età di vent’anni aveva iniziato a lavorare come Capogestione nelle Ferrovie dello Stato italiano e da allora, fino alla vigilia del 2010 aveva trascorso tutta la propria vita lavorativa spostandosi tra le varie stazioni del ponente ligure.

    Nell’estate del 2009 l’incontro casuale nelle sale del casinò di Sanremo con Giorgio Brundego, un funzionario della filiale di Imperia Oneglia della Banca Cooperativa del Risparmio di Firenze, aveva cambiato completamente la sua vita.

    Il bancario lo aveva convinto a prendere parte ad una truffa ai danni del SuperEnalotto e lui, dopo un’iniziale diffidenza, aveva aderito. Oltre all’organizzatore vi erano altri cinque partecipanti, tutti della provincia di Imperia.

    Incredibilmente il colpo, grazie all’infedeltà di un tecnico informatico della SISAL, andò a segno e la vincita era stata di novantuno milioni di euro!

    Giorgio aveva architettato un sistema molto ingegnoso per portare i soldi all’estero ed evitare che uno dei partecipanti alla frode prelevasse tutto il bottino senza così doverlo dividere con gli altri.

    Ognuno di loro conosceva la banca di Aruba e il conto su cui, dopo una serie di triangolazioni con altri istituti di credito, erano depositati i soldi, ma era in possesso solo di una parte del codice d’accesso per poterli prelevare. Quindi dovevano essere tutti presenti nel momento in cui si sarebbero spartiti il malloppo.

    Per ridurre al minimo la possibilità di eventuali fughe di notizie o delazioni, solo l’organizzatore doveva conoscere le generalità degli altri associati, ma Alfredo, basandosi sulla metodicità maniacale del suo interlocutore, aveva immaginato che per effettuare gli incontri preparatori egli avrebbe scelto sempre lo stesso luogo e più o meno la stessa ora, sicuramente ritenendoli elementi scaramantici.

    Così era stato e in questo modo aveva scoperto l’identità di altri tre complici.

    Fin da pochi giorni dopo aver aderito alla truffa aveva maturato l’idea di uccidere tutti gli altri partecipanti, tecnico informatico compreso. Se doveva compiere un atto illegale allora voleva anche goderne il massimo dei benefici ed era giunto velocemente alla conclusione che, una volta intascata la propria quota, non sarebbe trascorso molto tempo prima che uno di loro si facesse beccare a spendere denari di cui non avrebbe saputo spiegare la provenienza.

    Preso il primo, segretezza o no, gli inquirenti sarebbero riusciti a risalire agli altri componenti della banda e loro sarebbero finiti in carcere. Questo non doveva assolutamente accadere!

    Una volta sicuro che i soldi erano giunti nella banca di Aruba, armato con un fucile subacqueo ad aria compressa, era entrato in azione. La prima vittima era stata l’organizzatore stesso, l’unico che aveva dovuto torturare a lungo per farsi svelare, oltre alla sua parte di codice, anche l’identità dei complici che non era riuscito a scoprire da solo. La seconda vittima era stato Siffano, la talpa all’interno della SISAL.

    Poi gli altri, uno ad uno, li aveva costretti a rivelargli i dati in loro possesso e li aveva uccisi. Doveva restare l’unico a incassare la vincita ed invece erano rimasti in due perché si era infatuato di una delle partecipanti: Fedora Palti.

    La donna, con una grave malattia degenerativa agli occhi, aveva aderito alla truffa per pagarsi le cure negli Stati Uniti, presso il NewYork-Presbyterian Hospital dove vi era un’equipe medica e un’apparecchiatura sperimentale che offrivano una minima garanzia di riuscire a salvarle la vista.

    Lui aveva progettato di ucciderla per ultima, ma poi le cose erano andate diversamente.

    Nonostante il torpore causato dai farmaci, colse chiaramente il clic che segnalava lo sblocco della serratura della porta d’ingresso.

    Finalmente Fedora è rientrata. Dobbiamo allontanarci immediatamente da quest’albergo e lasciare l’isola.

    Con movimenti impacciati, scese dal letto. I farmaci avevano fortemente minato il suo senso dell’equilibrio e per poco non cadde sul folto tappeto che ricopriva il pavimento.

    Immaginava già la discussione che avrebbe dovuto affrontare perché la sua compagna non sarebbe stata contenta di abbandonare, ancora una volta in tutta fretta, l’ennesimo hotel in cui soggiornavano, ma non potevano rimanere un solo istante di più, di questo ne era sicuro.

    Tre settimane prima, quando le aveva praticamente imposto di fare in fretta e furia le valige per lasciare la suite che occupavano da solo pochi giorni in un albergo esclusivo nel cuore di Città del Messico, uno stupendo edificio in stile coloniale affacciato sulla Zócalo, la piazza principale della città, lei gli aveva detto chiaramente in faccia che era diventato completamente paranoico.

    – Così non possiamo più andare avanti! Ultimamente fuggiamo continuamente da un posto all’altro e ogni volta tu continui pensare di essere seguito. Questo non è vivere! – gli aveva gridato Fedora mentre riempiva nervosamente le valige con i propri vestiti – Se non fossimo carichi di soldi, sembreremmo zingari. Questa è la quarta volta in tre mesi!

    – Ti giuro che non mi sono inventato i due che ieri ci stavano osservando mentre facevamo colazione in calle Amsterdam. C’erano davvero!

    Quella mattina avevano raggiunto la Colonia Condesa perché lei voleva visitare il Parque México, area fittamente alberata frutto di un progetto in stile Art Déco ideato dall’architetto José Luis Cuevas, famosa per essere stata luogo di atterraggio di Charles Lindbergh, e il Parque España, realizzato nel 1921 per celebrare il centenario dell’indipendenza e da pochi anni dichiarato Territorio di Musica e Poesia.

    Poco dopo le tredici si erano accomodati ad uno dei tavoli del La Bodega, ma, mentre attendevano di poter ordinare alcuni dei piatti tipici della piccante cucina messicana, lui aveva notato per la terza volta nel giro di meno di due ore, due uomini ora seduti ad un bar posto di fronte all’ingresso del ristorante.

    Più li osservava e più era certo di averli già scorti il giorno precedente nelle vicinanze dell’hotel dove soggiornavano. Tanto gli bastò per lasciare immediatamente il ristorante, precipitarsi a fare i bagagli e abbandonare il giorno stesso la capitale del Messico.

    – Fedora, finalmente sei ritornata!

    Alfredo fece un paio di passi incerti verso la porta che dava accesso al soggiorno.

    Capitolo 2

    – Arrivederci a presto signora Gastoldi.

    La bella commessa, con un sorriso smagliante, le tenne aperta la porta del negozio e poi l’accompagnò fino all’auto che da più di un’ora la stava attendendo accanto al marciapiede.

    Un paio di bei ragazzi dalla corporatura atletica, probabilmente europei o nord americani, vestiti con bermuda e t-shirts colorate, le passarono accanto e le dedicarono un’occhiata di apprezzamento. Uno dei due fece un commento ammirato e l’altro le dedicò un sorriso.

    Avranno quasi la metà dei miei anni – pensò Fedora fermandosi a fianco della vettura in attesa.

    Comunque la loro attenzione non la infastidì e la prese come un complimento alla sua persona.

    Aveva da poco compiuto quarantaquattro anni ed era consapevole di essere in splendida forma.

    Era sempre stata una donna minuta e piacente con due bei seni della quarta misura che attiravano gli sguardi degli uomini ma ora, lunghi mesi di palestra e massaggi uniti al sapiente lavoro di parrucchieri ed estetiste avevano esaltato la sua femminilità che veniva ancor più sottolineata dai vestiti delle migliori maison.

    Con un gesto distratto si sistemò i lunghi capelli castani che, su indicazione di uno dei migliori parrucchieri di New York, si era lasciata cresce in sostituzione del taglio a caschetto portato in passato.

    – Grazie, ora posso fare da sola. – Disse rivolgendosi alla commessa ancora ferma al suo fianco.

    Fedora consegnò all’autista le tre buste griffate che contenevano gli acquisti appena effettuati nello showroom in Avenida Gregorio Luperon e, con in mano il bouquet di rose gialle, gentile omaggio del titolare del negozio appena visitato, si sedette sul sedile posteriore della Mercedes.

    Ormai solo Alfredo mi chiama Fedora eppure non riesco proprio ad abituarmi al mio nuovo nome. Marialuisa Gastoldi del Canton Ticino! Ancora ieri, quando il responsabile alla reception mi ha chiamato per consegnarmi i biglietti per lo spettacolo della sera, inizialmente non avevo neppure capito che si stava rivolgendo a me. Devo stare attenta, se no qualche volta combinerò un guaio.

    – Dove andiamo, signora? – chiese il taxista dopo aver atteso alcuni secondi in silenzio.

    – Scusi, mi ero distratta. Mi riporti in albergo, grazie.

    Appoggiandosi meglio allo schienale del sedile e apprezzando l’aria condizionata all’interno dell’auto, Fedora si predispose ad affrontare circa un’ora e mezza di viaggio.

    Quella mattina, poco dopo le nove e trenta, era salita sul taxi e si era fatta portare a La Romana, una città a circa ottanta chilometri da Punta Cana. Ultimamente preferiva trascorrere le giornate lontana da Alfredo perché il suo continuo nervosismo, anzi, per meglio dire, la sua costante paura di essere seguito, rapinato o ucciso da non meglio identificati sicari, le stavano rendendo la vita impossibile.

    Gli avvocati di New York ci avevano suggerito di non fermarci a lungo negli stessi posti e, almeno per cinque anni, di continuare a muoverci nelle più svariate parti del mondo, ma adesso stiamo davvero esagerando! Praticamente non riusciamo più a restare nemmeno due o tre settimane perché lui diventa sempre più paranoico. Eppure, durante il primo anno che siamo stati insieme, sembrava un uomo così sicuro! Uno a cui potevi affidarti completamente.

    A dire il vero Fedora stava mentendo anche a se stessa. Sicuramente Alfredo, dopo gli eventi che li avevano portati a fuggire dall’Italia, si era assunto il compito di programmare e soprattutto progettare il loro futuro, ma lei aveva sempre avuto la sensazione che vi fosse ancora un lato oscuro e nascosto del suo carattere.

    Alcune volte aveva addirittura avuto paura di lui e si ricordava ancora perfettamente il giorno, sulla spiaggia di uno dei più lussuosi hotel sull’isola di Viti Levu, in cui aveva creduto che volesse ucciderla.

    Lei da settimane gli stava chiedendo insistentemente di devolvere ad alcune onlus una parte consistente del denaro che avevano acquisito illegalmente e lui si era sempre opposto dicendole che per due fuggiaschi i soldi non bastano mai. Quella mattina però improvvisamente aveva accettato le sue richieste. Per alcuni istanti si era sentita al settimo cielo, ma poi il suo compagno le aveva proposto di andare a fare un po’ di pesca subacquea. Repentinamente, nonostante il caldo sole che inondava la spiaggia della bellissima isola su cui si erano rifugiati, si sentì gelare ed ebbe la certezza che si stesse preparando ad assassinarla. Ogni volta che ci ripensava rivedeva la scena come se fossero stati personaggi di un film.

    – Certamente. – aveva risposto alzandosi dal lettino con un sorriso come se fosse stata felice di averla finalmente spuntata. Le stavano tremando le gambe, ma si impose di camminare e addirittura precederlo verso la battigia.

    – Allora andiamo.

    Alfredo, con un plateale sospiro di rassegnazione, aveva afferrato il fucile subacqueo e l’aveva seguita.

    Fedora sentiva crescere dentro di sé la paura. Percorse la distanza che li separava dal corto pontile di legno a cui era ormeggiato un piccolo dhoni, l’imbarcazione tipica dei pescatori locali, con lo stesso stato d’animo con cui un condannato procede verso il patibolo.

    Pensa Fedora! Pensa! Se sali con lui su quella barca, non ritorni più indietro!

    La sua mente era sommersa da un turbinio di pensieri e sensazioni e non riusciva a imbastire un ragionamento razionale. Lo stomaco era talmente contratto che dovette reprimere un conato di vomito. Ogni passo l’avvicinava al punto di non ritorno e lei ormai era pronta a darsi alla fuga quando, proprio quasi sul lato del secondo gradino che conduceva al piano del pontile, vide sporgere una scheggia di legno.

    Fu una scelta immediata, aumentò l’andatura e poi, caricandoci sopra tutto il proprio peso, appoggiò il piede sinistro sulla scheggia acuminata conficcandosela nella carne.

    Aveva lanciato un urlo e si era lasciata cadere all’indietro finendo distesa sulla spiaggia. Immediatamente dalla pianta del piede fuoriuscì un copioso rivolo di sangue che andò a mischiarsi con la sabbia. Alfredo era accorso e, vista la ferita, l’aveva subito sollevata di peso e riportata sulla sdraio, poi, dopo aver tamponato con una maglia la piccola emorragia, aveva chiesto di chiamare un dottore ad un inserviente dell’albergo subito accorso.

    In seguito non riuscì mai a trovare una spiegazione razionale che spiegasse la chiara sensazione di pericolo provata quel giorno, ma ancora adesso era certa di essere riuscita a scampare ad una morte terribile nel mare davanti alla isole Fiji.

    Da allora aveva guardato il suo compagno con occhi diversi e, pur continuando a condividere con lui quella nuova vita, non si era mai più sentita al sicuro.

    Pure la loro relazione sentimentale, dopo i primi mesi di entusiasmo, era andata velocemente deteriorandosi ed ora, anche se continuavano a stare insieme, i loro rapporti erano improntati più che altro ad una collaborazione quasi forzata e da oltre un anno non avevano più fatto sesso insieme.

    Fedora guardò il paesaggio fuori dal finestrino e dopo qualche istante vide un ragazzino, seduto nel cassone di un vecchio autocarro che viaggiava lentamente lungo la Carretera La Romana, fare un gesto di saluto alla lussuosa Mercedes nera che correva sull’Autopista del Coral.

    Lui forse in questo momento invidia gli occupanti della bella vettura che gli passa a poca distanza, ma non sa quanta paura e quante preoccupazioni viaggiano dietro questi finestrini oscurati.

    Capitolo 3

    In quel tratto lontano dalle spiagge la strada era fiancheggiata da una lunga teoria di alte palme che con le loro foglie a forma di lisca di pesce gettavano scure strisce d’ombra sull’asfalto non sempre ben conservato dell’Autopista del Coral.

    Fedora, come ormai spesso capitava, si lasciò assalire dalla nostalgia della sua terra ligure. Le Alpi quasi affacciate sul mare, gli innumerevoli muri a secco posti a sostegno di strette terrazze in cui ulivi contorti e secolari affondavano le radici, bassi filari di vigna aggrappati ai fianchi delle colline. Per l’ennesima volta si domandò cosa stessero facendo i suoi due anziani amici vicini di casa, Catainin e Antonio, e soprattutto si chiese cosa pensassero riguardo la sua scomparsa. Si conoscevano da sempre e lei, quando ancora non aveva preso parte alla truffa organizzata da Giorgio Brundego, era stata per loro un po’ come una figlia da accudire e su cui vegliare.

    All’improvviso, dalla sera alla mattina, era fuggita insieme ad Alfredo lasciandosi tutto alle spalle. Probabilmente avevano pensato che pure lei fosse stata vittima del pazzo che uccideva con l’arpione e in fondo non ci sarebbero poi andati tanto distanti, visto che ormai era convinta di stare viaggiando per il mondo insieme a lui.

    Sicuramente la Banca Cooperativa del Risparmio di Firenze di Imperia, per rifarsi almeno parzialmente dei propri crediti nei suoi confronti, le aveva pignorato la casa e poi chissà, forse l’aveva già venduta all’asta.

    C’era stato un momento, poco dopo il loro soggiorno nelle isole Fiji, che aveva seriamente pensato di provare a riscattarla o ricomprarla. Era stata l’abitazione dei suoi genitori e prima di loro dei suoi nonni materni e pensare che altri ora vivessero in quelle stanze la faceva stare male. Sarebbe bastato dare incarico a uno studio legale e quasi certamente, non dovendo badare ai soldi, in poco tempo sarebbe ritornata di sua proprietà.

    Alfredo, durante un’accesa discussione, l’aveva dissuasa dicendole che la magistratura e le forze investigative si sarebbero subito allertate se una donna svizzera fosse comparsa all’improvviso per acquistare il vecchio edificio in piazza Architetto Brunengo a Gazzelli. Una volta avviate le indagini non ci avrebbero messo molto ad accorgersi che l’acquirente in realtà non aveva un vero passato e a quel punto per loro due non ci sarebbe stato scampo. Li avrebbero braccati risalendo alle loro transazioni finanziarie bloccandogli un conto dopo l’altro e alla fine sarebbero arrivati ad arrestarli.

    Voglio ritornare a casa! Non ne posso più di questa vita da apolidi. Altri potrebbero considerarla un’esistenza favolosa: arriviamo in località da sogno, scendiamo nei migliori alberghi, mangiamo in ottimi ristoranti, possiamo acquistare quasi tutto senza pensare al domani e poi riprendiamo il nostro peregrinare, ma io non voglio trascorrere il resto dei miei giorni così!

    Negli ultimi tempi, mentre le paranoie del suo compagno aumentavano, Fedora aveva maturato la convinzione che dovevano separare le loro strade ma purtroppo lui proprio non voleva saperne.

    Il grosso del capitale deve restare in un unico fondo di amministrazione! Solo così possiamo spuntare contratti convenienti e farlo fruttare come si deve. Tu non puoi pretendere di prenderti metà dei soldi e andare via. Non dopo tutto quello che ho fatto per te!

    Quelle erano state le argomentazioni di Alfredo durante la loro ultima discussione. Più delle parole era stato il suo sguardo quasi da invasato che l’aveva spinta ad accettare il suo punto di vista e, per il momento, a non affrontare più apertamente il discorso.

    Dopo l’operazione a New York, quando avevano compreso che sarebbe guarita e avrebbe conservato la vista, erano ritornati nello studio degli avvocati a cui si erano affidati per cambiare identità e con i loro esperti avevano progettato l’aspetto economico della loro esistenza.

    Ognuno di loro aveva nelle proprie piene disponibilità un capitale di dieci milioni di dollari mentre la parte restante del capitale, circa sessantacinque milioni di dollari, erano confluiti in un fondo esclusivo di cui ognuno di loro possedeva una chiave di accesso, ma se non fossero stati ambedue presenti il capitale sarebbe rimasto intoccabile.

    Alfredo aveva protestato dicendo che non c’era bisogno di simili precauzioni, ma lei, che già iniziava a nutrire qualche dubbio su come si erano svolti i fatti che avevano visto morire, uno ad uno, tutti gli altri partecipanti alla giocata, aveva insistito fino a riuscire a spuntarla.

    In privato, uno degli avvocati le aveva detto che aveva fatto bene, perché si era predisposta una specie di assicurazione sulla vita. Se fosse morta il suo compagno avrebbe perso quasi tutto.

    Suppongo che la cosa non dispiacerebbe più di tanto ai gestori del fondo d’investimento in cui abbiamo versato i soldi – aveva pensato Fedora mentre uscivano dallo studio nel grattacelo di Manhattan.

    – Signora, gradisce fermarsi qualche minuto al solito bar? – domandò l’autista.

    Generalmente, sulla via del ritorno da La Romana, si fermava a bere un drink in un bar molto caratteristico posto a circa

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