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Arnisan il longobardo
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E-book591 pagine9 ore

Arnisan il longobardo

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Info su questo ebook

Un romanzo di fantasia epica racchiuso all’interno di una cornice storica.
Attraverso le vicende della famiglia dei Duchi di Asti e dei loro antagonisti, vengono rivissuti gli ultimi mesi del Regno Longobardo e l’arrivo in Italia di Carlo Magno, Re dei Franchi; le battaglie che sostennero gli uomini di Asti; la fondazione di una nuova città in riva al mediterraneo.
Travolti dagli eventi che cancellarono il popolo longobardo dalla geografia geopolitica del tempo, vittime di una serie di uccisioni che li falcidiarono uno ad uno, separati e dispersi dall’arrivo delle armate franche, i personaggi di questo racconto lottano per sopravvivere e ricongiungersi mentre il loro mondo sembra sgretolarsi e ogni loro certezza svanire.
I loro avversari li impegneranno in una lotta senza quartiere, li braccheranno costringendoli a continui scontri, finendo però a loro volta travolti dalle vicende a cui partecipano.
Questo libro racconta la fine di un’era, vista dagli occhi di coloro che ne usciranno sconfitti e annientati, ma è anche il racconto di una nuova nascita che coinciderà con la fondazione della città di Unheila che, molti secoli dopo, sarà conosciuta come Oneglia.
LinguaItaliano
Data di uscita21 mag 2014
ISBN9788896608371
Arnisan il longobardo

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    Anteprima del libro

    Arnisan il longobardo - Ugo Moriano

    1590

    Venticinque anni dopo...

    Giugno anno 798 d.C.

    - Ariperto! Possibile che ogni mattina debba essere io a chiamarti?

    Arnisan aveva trascorso tutta la notte sveglio nella sua camera. La luce della piccola lanterna era stata la sua unica compagnia in quella nottata, una delle peggiori degli ultimi mesi. L’inverno quell’anno era stato particolarmente rigido e nei primi giorni di febbraio erano caduti alcuni centimetri di neve che avevano imbiancato per alcuni giorni tutte le colline circostanti e pure le spiagge sassose, depositandosi fin dove si frangevano le onde, ma ora, a fine giugno, il caldo era arrivato prepotentemente rendendo le giornate torride e le ore notturne afose.

    - Eccomi mio Signore, ero in attesa nella mia stanza. Non volevo disturbare il vostro sonno.

    Ariperto era lo scudiero di Arnisan da ormai oltre un anno; fin da subito si era mostrato un ragazzo attento e volenteroso, ma assolutamente non tagliato per quella particolare vita che si faceva quando si era al diretto servizio del Signore della città. Era bravo con la spada e l’arco, non gli mancavano certo coraggio e ardimento, ma assolutamente non riusciva a svolgere i compiti usuali di uno scudiero e si sentiva sempre inadeguato alle mansioni che gli venivano assegnate all’interno della piccola corte che ruotava intorno al suo Signore.

    - Disturbare il mio sonno? Ragazzo hai deciso di sfidare la sorte dileggiandomi?

    - No. Assolutamente no. Mai e poi mai mi sfiorerebbe anche solo il pensiero di mancarVi di rispetto.

    Arnisan osservò con occhio critico quel ragazzone dalle braccia robuste e dalla corporatura già ben sviluppata nonostante non avesse ancora compiuto tredici anni, poi decise di credergli.

    - Se tu dormissi in modo meno profondo – sbuffò provando quasi invidia – forse avresti notato che questa notte non ho praticamente riposato. Io, che sono riuscito a dormire mentre i Franchi ci scagliavano addosso tutto quello che avevano con catapulte e baliste, ora tribolo il questa maledetto letto di piume.

    - La prossima notte cercherò di restare più vigile, anzi, sarà mia cura vegliarvi.

    - Mi manca solo più qualcuno che mi vegli! Ariperto! Non posso credere che tu porti il medesimo nome di due nostri Re. Vai ad accertarti che in cucina stiano preparando la colazione, chiama Marhabrun e digli che si faccia trovare a tavola con me, poi convoca anche quel dannato segaossa di Ezio, voglio chiarire con lui alcune faccende prima che riesca ad uccidermi con le sue tisane. Corri!

    Lo scudiero scattò fuori dalla porta della camera come se da ciò dipendesse la sua vita; subito dopo entrarono due servette seguite da un’alta matrona con una folta capigliatura bianca raccolta in una lunga treccia che ricadeva sulla spalla sinistra. La donna, di origine romano-gotica, che ormai da anni sovrintendeva alla casa del suo Signore, la governava tiranneggiando tutti coloro che vi vivevano, Arnisan compreso.

    - Vedo che oggi vi siete svegliato di buon umore. Come va la vescica? – Chiese posando a terra una cesta piena di biancheria accuratamente piegata; passandosi poi le mani sul pulitissimo grembiule di lino che proteggeva la sua tunica di colore grigio, lisciandone inesistenti grinze, controllò con lo sguardo l’intera stanza.

    - Come non mi stancherò di ripeterti, Eithne, alla mia vescica si interessa già Ezio, che il cielo lo fulmini, e non vedo motivo per cui io debba discuterne anche con te.

    - Come volete voi, però vedo che il pitale è pieno – disse la donna gettando uno sguardo critico al bugliolo che una delle servette stava portando fuori - e mi pare di aver sentito ruscellare dell’acqua proprio fuori dalla vostra finestra sul fare della mattina. Eravate per caso voi quello che sospirava di sollievo dalla finestra?

    - Alle mie pene mancava solo che si aggiungesse una donna che alla notte ascolta i rumori della mia camera, mentre ho uno scudiero che non si desterebbe neppure se abbattessero i muri con un ariete.

    - Vedo che non avete bevuto tutta la tisana che Ezio, con mille attenzioni vi ha preparato ieri sera. – Constatò Eithne afferrando un calice intarsiato d’argento che era appoggiato sulla cassapanca posta a fianco del grande letto in legno di rovere in cui riposava il suo Signore. – Ne avete lasciato quasi la metà. – Lo avvicinò alle proprie narici facendo ruotare il liquido di colore verde scuro, per poi allontanarlo con una smorfia di disgusto. - Che odore orribile!

    - Se vi pare che abbia un cattivo odore, dovreste provare ad assaporarlo, così vi accorgereste che le esalazioni non sono la parte peggiore di quell’intruglio.

    Con un gesto deciso la donna gettò la tisana avanzata dalla notte in un secondo bugliolo che stazionava in un angolo della stanza, poi andò a piazzarsi davanti al letto con le mani sui fianchi e osservò criticamente Arnisan che se ne stava seduto sul bordo.

    Quell’uomo, che quella mattina, come molte altre negli ultimi anni, era di pessimo umore, comandava con il titolo di Duca una parte del territorio ligure occidentale. I suoi domini erano compresi tra il mare e due chiuse difensive poste ad una decina di chilometri nell’entroterra protendendosi a est fino a san Pietro del Testico, dove era stato ricostruito un castrum preesistente. A ovest il confine raggiungeva il torrente Argentina e il borgo fortificato di Tabia, anche se l’enclave della cittadina di Porto Maurizio con il suo immediato retroterra aveva lo statuto di città alleata. A est, lungo la costa, il dominio terminava con il ricostruito castrun Andorae, posto sulla via Iulia Augusta, protetto da un piccolo presidio fortificato sul Capo Mele.

    Lo sguardo di Eithne fece un rapido esame di Arnisan con indosso la sua solita camicia da notte di lana ed i piedi infilati in sandali di cuoio sformati dall’uso. All’età di cinquantanove anni l’uomo aveva ormai imboccato decisamente la via della vecchiaia senza però cedere completamente all’usura del tempo; i capelli, un tempo folti e castani, erano ormai un lontano ricordo e lui si faceva rasare regolarmente il cranio perché detestava i pochi ciuffi bianchi rimasti; compensava la mancanza di capigliatura con una folta barba bianca lunga fino a metà del torace a cui dedicava più cure di quelle che era disposto ad ammettere pubblicamente. Lo stomaco prominente lo infastidiva quando doveva stare seduto a lungo, ma spalle, braccia e gambe erano ancora robuste e vigorose, la vista era il suo cruccio peggiore perché, se riusciva ancora a vedere benissimo da lontano, gli occhi verdi con una stella castana al centro si rifiutavano di mettere a fuoco tutto ciò che era a portata di lunghezza di braccio, impedendogli di fatto di leggere e scrivere, due passatempi che, seppur molto insoliti tra i Longobardi, lui amava e di cui sentiva dolorosamente la mancanza.

    - Se hai finito di studiarmi per vedere se ho ancora buone speranze di sopravvivenza, vorrei vestirmi e scendere a fare colazione.

    - Se non vi controllassi io, non so cosa fareste.

    - Vivrei meglio! Poi se anche Ezio smettesse di interessarsi alla mia salute, credo che potrei sperare di campare fino a cento anni. Dopo aver fatto colazione è mia intenzione recarmi a controllare come procedono i lavori alla torre di Chiusanico, quindi oggi mi vestirò per andare a cavallo.

    Sbuffando sonoramente Eithne aprì la grande cassapanca in legno di castagno situata ai piedi del letto ed iniziò ad estrarre le brache color marrone e la casacca verde che solitamente Arnisan indossava per cavalcare in quelle calde giornate di inizio estate, già pensando alle lamentele per il mal di schiena che sicuramente avrebbe dovuto ascoltare al ritorno del suo Signore.

    Una volta vestitosi, Arnisan uscì nell’anticamera davanti alla sua stanza, dove si apriva anche la porta della piccola camera da letto di Eithne, per trovarsi poi nell’ampio corridoio che dava accesso alla scala in legno che conduceva al piano terra. Lungo le pareti in pietra a vista si aprivano le porte di altre camere, in due delle quali dormivano Marhabrun, il vice comandante della fortezza, e Ezio, un medico di origine bizantina. In una stanza più piccola era alloggiato il giovane scudiero.

    La costruzione del torrione in cui lui viveva era stata terminata solo una decina d’anni prima; la struttura era stata progettata preminentemente come parte di un massiccio sistema difensivo e solo secondariamente come dimora del Signore della città. Molte rifiniture erano state tralasciate privilegiando la parte principale della fortificazione in cima alla collina; ogni singolo aspetto di quell’edificio rifletteva il carattere pragmatico di chi l’aveva voluto.

    Una volta scesa la scala Arnisan si avviò con passo deciso verso una lunga tavola, su cavalletti, coperta da una pulitissima tovaglia di lino grezzo, posta nella parte centrale dell’ampio salone. Il locale era talmente spazioso da occupare due terzi del piano terra della struttura. La restante parte comprendeva una piccola armeria che custodiva le armi del Duca, una cucina con un ampio camino, una dispensa arredata con scaffali e un ampio locale adibito a bagno, dotato di servizi igienici ricostruiti su modello di quelli romani.

    Un altro abitante della torre stava seduto su una delle panche ai lati del tavolo, fissando con espressione accigliata la scodella fumante che aveva davanti.

    - Non mi dire che in quella brocca posata davanti a te c’è latte di capra!

    - Se vuoi non te lo dico, ma a quanto sembra la cucina questa mattina passa latte, pane, burro e miele.

    Chi aveva risposto era Marhabrun, un uomo abbigliato con una tunica grigia di lana, stretta in vita da una cintura di pelle e brache dello stesso colore che finivano in calzari alti fino al polpaccio. Alto quasi due metri, di corporatura snella, ma sorprendentemente forte, era il braccio destro di Arnisan da moltissimo tempo. Si conoscevano fin da ragazzi e avevano condiviso gli ultimi venticinque anni di lotte e battaglie fino a legare le loro due vite in modo indissolubile. In battaglia o durante azioni pericolose Marhabrun era sempre presente a coprire le spalle del suo amico e Signore al punto che non si contavano più le volte che l’uno aveva protetto la vita dell’altro.

    - Sono stufo di mangiare come un poppante. Aurnia portaci gli avanzi di quella lepre che hai arrostito ieri sera. E non dimenticare la birra e il vino! – Urlò rivolto verso la cucina Arnisan, sedendosi pesantemente sulla panca a fianco dell’amico

    - Neanche per idea. Voi due questa mattina mangiate quello che vi è stato messo in tavola come io ho disposto. – Con quelle parole fece il suo ingresso attraverso la porta della dispensa Ezio, l’anziano chirurgo militare delle legioni di Bisanzio. Oltre quarant’anni prima, si era congedato dall’esercito dell’Imperatore d’Oriente e una serie di vicissitudini lo avevano condotto a condividere le vicende che avevano portato tutti quanti loro in quell’angolo di Liguria prospiciente il mare. Era lui che si era assunto con piglio militaresco l’onere di mantenere tutta la comunità in buona salute, a iniziare da colui che la comandava. Tutti lo ricordavano palesemente vecchio già quando Arnisan era ancora poco più di un ragazzo ed egli, non avendo mai svelato la propria età, contribuì così alla nascita di una serie di leggende sulla sua presunta immortalità.

    - Noi non vogliamo mangiare latte di capra e pane. La cacciagione! Quello è un cibo adatto a dei veri guerrieri! E la birra e il vino sono gli unici liquidi che dovrebbe bagnare le loro gole.

    - Hai detto bene, ma latte, pane e miele sono invece molto più adatti a due vecchi come voi, che alla sera si credono ancora ventenni, salvo poi trascorrere tutta la notte a tribolare con la vescica in fiamme e lo stomaco pieno di acidi.

    - Mangiamoci questo pane e beviamo il latte, così mi tolgo di torno questo segaossi Bizantino. – brontolò Marhabrun senza alzare lo guardo dal piano della tavola, poi spezzò una forma di pane e ne porse una parte a Arnisan che stava guardando torvo il medico. Questi, sorridente, si sedette sulla panca davanti a loro predisponendosi a sua volta a fare colazione.

    - Ieri sera alle stalle, mentre stavo pulendo un’ulcera ad una gamba di uno dei garzoni, ho sentito dire che questa mattina avete intenzione di raggiungere le due chiuse per controllare lo stato di avanzamento delle opere difensive. – Disse Ezio mentre intingeva il pane nella ciotola piena di latte che aveva davanti.

    - Sì, partiremo tra poco. Suppongo che il tuo interessamento non sia del tutto casuale. – Rispose Arnisan allontanando il pane posto sul piano del tavolo

    - Ho preparato delle erbe adatte a fare degli infusi per scacciare la febbre e dovrei mandarne un sacchetto alla guaritrice che abita sulla collina sopra Chiusanico. Ho pensato di approfittare della vostra spedizione, visto che il vostro itinerario vi porta a passare da quelle parti.

    - Affidale a Ariperto, ci penserà lui a consegnarle una volta arrivati. Marhabrun andiamo?

    - Sono pronto – Rispose Marhabrun alzandosi dalla panca. Con noncuranza si pulì la bocca con la stoffa della tovaglia, guadagnandosi uno sguardo furibondo da parte di Aurnia. – Vado a dare disposizioni agli uomini che ci accompagneranno.

    - Falli montare in sella, io indosso la cotta di maglia e vi raggiungo.

    Mentre Marhabrun usciva fuori dalla torre, Arnisan entrò nel locale adibito ad armeria che occupava interamente la parete lato ovest del salone al piano terra. All’interno, lungo le pareti, vi erano scaffalature e rastrelliere in legno in cui erano riposte le armi e le armature che egli aveva acquistato o razziato durante i lunghi anni della sua vita da guerriero. Gran parte di esse giacevano inutilizzate da anni, mentre vicino alla porta d’ingresso, su un lungo bancone, vi erano appoggiate: la sua spada dalla lucente lama d’acciaio lunga quasi un metro con l’impugnatura di corno in cui era scolpito il simbolo della sua casata, la scramasax o scimitarra dall’arcuata e affilatissima lama di Damasco, due lance, l’elmo di fattura romana con il cimiero, che da quando era in Liguria aveva sostituito il vecchio elmo lamellaro. Su tre appositi supporti si trovavano le armature che lui usava, anch’esse di manifattura romana: una splendida lorica segmentata, una lorica hamata ad anelli e un’armatura in cuoio bollito. Infine uno scudo rotondo in legno rinforzato con strisce di metallo e due archi completavano l’equipaggiamento su cui lui faceva affidamento.

    - Ariperto! Dove ti sei cacciato?

    Lo scudiero entrò a precipizio nell’armeria cercando di deglutire il grosso boccone che gli gonfiava le guance impedendogli di proferir parola.

    - Secondo te, se devo pure contorcermi per infilarmi la lorica da solo, a che mi dovrebbe servire uno scudiero? – Si lamentò Arnisan mentre armeggiava con le maglie dell’armatura, poi, volgendo lo sguardo sul ragazzo che, con il volto di un colore rosso scuro, si stava praticamente strozzando nel tentativo di deglutire, respirare e rispondere al suo signore, sospirò sconsolato – Aspetta, prima cerca di prendere fiato, perché uno scudiero morto a me non serve, non che tu abbia particolari abilità, ma mi spiacerebbe veder sprecato il tempo che ho dedicato alla tua istruzione. Tienimi almeno questa parte della lorica, così riesco ad indossarla.

    - Subito, ora vi aiuto. – Riuscì finalmente a articolare Ariperto, con un sorriso di scusa sul volto.

    - Bravo, vedo che sei riuscito a inghiottire quello che avevi in bocca. Ora passami la scramasax con il suo fodero. Poi, se riesci a passare davanti alla cucina senza depredarla, corri a prendere il mio palafreno e fammelo trovare davanti alla porta.

    Mentre si stringeva la cintura del fodero, non potè fare a meno di notare, come ogni mattina negli ultimi mesi, che questa stava diventando troppo corta per i suoi fianchi.

    Visto che non ho alcuna intenzione di rinunciare al cibo, dovrò decidermi a chiamare il mastro stalliere e chiedergli di sostituire la cintura con una più nuova e, soprattutto, più lunga.

    Mentre attraversava la sala per raggiungere la porta d’ingresso, fu raggiunto da Eithne che stava controllando con occhio attento le due servette impegnate a ripulire il pavimento del grande locale.

    - Noto che avete indossato solo la casacca di lana sotto la lorica. Anche se siamo a giugno e le giornate sono ormai calde, l’aria di prima mattina è ancora fresca e, come voi ben sapete, il vostro mal di gola è sempre in agguato, quindi sarebbe bene che indossaste il mantello che ho consegnato a Ariperto.

    - Donna, tu ogni giorno mi spingi a riflettere sulle scelte che non ho saputo fare.

    - E che sarebbero mai queste scelte?

    - Venderti molti anni fa ai Saraceni, quando ancora mi avrebbero fatto il favore di prenderti. Ormai è veramente troppo tardi, dovrei essere io a pagarli.

    Eithne si voltò, offesa, ed iniziò a tiranneggiare le due ragazzine alle sue dipendenze minacciandole di orribili punizioni se tutta la torre non fosse stata ripulita a dovere.

    Arnisan, dopo aver assaporato con un sorriso soddisfatto, una delle poche vittorie verbali che in quegli anni di vita all’interno della torre era riuscito a ottenere, attraversò il vano della porta e uscì nel polveroso spiazzo antistante.

    Il sole era comparso nel cielo, solcato da sporadiche nuvole bianche, oltre il crinale della collina a est del castello mentre una leggera brezza spirava da sud portando con sé un vago odore salmastro. Tutta la popolazione che viveva o lavorava all’interno delle mura era già all’opera riempiendo l’aria dei rumori tipici di una piccola comunità affaccendata nei compiti di tutti i giorni. Poco distante dalla porta d’accesso alla torre due grossi cani neri dormivano scaldandosi ai raggi del sole; vedendolo arrivare gli si fecero incontro scodinzolando, pronti a seguirlo ovunque fosse andato.

    La struttura che Arnisan aveva iniziato a far edificare fin da quando era giunto in quella terra occupava tutta la parte alta della collina che fiancheggiava a est l’ultimo tratto del flumen Impero, un torrente che nasceva sulle colline retrostanti, prima che questo sfociasse nel mare.

    Quando molti anni prima erano giunti in prossimità della costa, su quel colle vi era solo una palizzata in legno che svolgeva le funzioni di rifugio per la popolazione che viveva sparsa nelle piccole valli circostanti e per quella che occupava il piccolo villaggio di pescatori: uno sparuto gruppo di costruzioni in legno e paglia, che sorgevano in riva al mare. Su quel sito vi erano alcune rovine di un vecchio castelum risalenti al tempo romano, ma ben poco della loro struttura originaria si era salvata. I pochi ruderi rimasti venivano utilizzati come fonte di pietre squadrate per la costruzione dei miseri casolari più a valle.

    Quando Arnisan si trovò per la prima volta nella vallata, apprezzò subito la posizione strategica di quel promontorio che fronteggiava il mare formando uno sbarramento naturale per chiunque volesse risalire il corso del torrente che scorreva ai suoi piedi. Decise che quello sarebbe stato il luogo adatto dove avrebbe edificato il borgo in cui si sarebbero fermati a vivere. Dovendo scegliere un nome decise di chiamare quella costruzione Arx-Unheila ricavando il nome dalla fusione della parola Arx che in latino significa fortezza con la trasformazione longobarda del nome Unelie con cui i nativi denominavano il povero villaggio alla base della collina.

    Le mura, alte cinque metri, che circondavano tutto il borgo erano ormai completate come la torre in cui risiedeva, mentre le due torri, a base quadrata, altre sette metri, poste sul lato sud, agli angoli delle fortificazioni, erano edificate solo in parte, mancando ad esse ancora l’intero tetto e una parte dei solai interni. L’accesso all’interno della fortificazione avveniva attraverso un gran portone in legno di quercia, rinforzato da sbarre di ferro e chiodi sporgenti, che in quel momento era aperto per permettere a tutta la popolazione di entrare e uscire senza problemi. Veniva chiuso solo di notte o in caso di pericolo, ma fino ad ora il borgo non era mai stato assalito e il portone non aveva avuto modo di dimostrare la sua solidità.

    Quella mattina, oltre agli uomini impegnati nella costruzione delle torri, vi era anche una squadra di falegnami al lavoro sul tetto della stalla, mentre due carri trainati da muli erano appena giunti con il loro carico di pietre tagliate e squadrate nella cava situata un paio di chilometri a monte di Unheila come ormai tutti, per brevità, chiamavano il borgo fortificato.

    Arnisan vide Ariperto fermo ad una decina di metri di distanza lungo il lato della torre e gli fece un cenno con la mano guantata sollecitandolo ad avvicinarsi. Lo scudiero, con i finimenti del palafreno avvolti intorno al polso della mano destra, si incamminò verso il suo Signore.

    - Ecco il suo cavallo. - Disse con un filo di voce Ariperto porgendogli le briglie.

    - Bene. Non perdiamo altro tempo, incamminiamoci. Dov’è Marhabrun?

    - Vi sta attendendo sulla strada, subito fuori la porta con otto cavalieri di scorta.

    Arnisan montò in groppa al suo baio, avviandosi lungo la via lastricata che tagliava in due il piccolo borgo che stava crescendo al sicuro all’interno dalle mura. Al suo passaggio i presenti sospendevano ogni attività e si scoprivano il capo in segno di rispetto.

    - Riuscirete a riparare il tetto entro questa sera? – Si informò, passando in prossimità della stalla, rivolgendosi direttamente al capomastro dei falegnami che stava dirigendo i lavori in piedi sulla trave del colmo.

    - Sicuramente! Ora che abbiamo le nuove tavole provvederemo a sostituire la sezione del tetto in cui vi erano le infiltrazioni.

    - Bene, allora conto di venire a controllare quando rientrerò nel pomeriggio. Il fieno bagnato non serve a nulla e a nessuno, vediamo di risolvere una volta per tutte questo problema.

    Ai lati della porta montavano la guardia due guerrieri che, appena videro giungere il loro signore, assunsero un’aria più marziale presentando le lance in segno di saluto. Una volta uscito, sempre seguito a poca distanza dallo scudiero e dai due grossi cani, vide Marhabrun circondato dai cavalieri della scorta che lo attendeva poco più in basso lungo la strada ad un centinaio di metri di distanza.

    Prima di raggiungere il gruppo si fermò ad osservare la piccola valle che si apriva davanti ai suoi occhi. Sullo sfondo vi era l’azzurro del mare su cui si intravedevano le sagome di un paio di barche uscite a pescare, mentre sulla sua destra scorreva il torrente che per un tratto segnava anche il confine tra le sue terre e il borgo alleato di Porto Maurizio; nella valle sottostante, quasi completamente occupata da colture in cui spiccavano preponderanti quelle del grano e del farro, vi erano numerose piccole case coloniche. Lungo la via che dal castello portava nella piana si era formata una piccola frazione in cui risiedevano numerosi artigiani attirati in quel luogo, oltre che dalla protezione che gli uomini e le mura soprastanti riuscivano a fornire, anche dalla continua richiesta di maestranze necessarie al completamento delle opere avviate dal Duca. Il sopraggiungere di quella manodopera specializzata aveva migliorato la qualità della vita in tutto il territorio circostante.

    Mise il cavallo al passo e dopo pochi metri si fermò davanti alla fucina del fabbro. Attraverso l’ampia porta aperta, sotto la tettoia antistante la costruzione edificata a lato della strada, si vedeva la luce della fornace e si intravedevano i movimenti dei due apprendisti impegnati ad alimentarla. Sotto il portico, con il cappello in mano, sostava il fabbro.

    - Hardhu, vorrei che domani mattina venissi da me nell’armeria della torre. Voglio indossare la lorica segmentata e controllare insieme a te se occorre fare delle modifiche. Ormai sono quasi due anni che non la utilizzo e temo che la circonferenza del mio stomaco sia ulteriormente aumentata da allora.

    - Verrò sicuramente, ma spero che le modifiche non occorrano perché toccare questo tipo di armature è sempre un azzardo. – Rispondendo il fabbro si puliva nervosamente le grandi mani sul grembiule di cuoio che ogni giorno indossava al lavoro. Mentalmente cercava di ricordare come era formata la struttura di quell’armatura, unica nel suo genere in quella comunità.

    - Lo so ed è per questo che ho atteso nella speranza di ridurre la mia circonferenza, ma ormai non ho più speranze e l’armatura sono certo che prima o poi mi servirà ancora. Tranquillizzati – continuò poi osservando il fabbro che sudava forse di più che quando era davanti alla forgia – dovrai intervenire solo sul torace, mentre per quanto riguarda braccia e gambe non dovrebbero esserci modifiche.

    Salutato il fabbro avviò il cavallo ad un leggero trotto raggiungendo il gruppo fermo lungo la strada per poi avviarsi verso valle seguito dalla sua scorta.

    La strada che percorsero in discesa era stata costruita da poco, esattamente come le antiche strade romane: larga quattro metri e con una struttura sottostante formata da una massicciata composta di tre strati di pietre sempre più piccole, aveva un piano stradale costituito da blocchi squadrati. Attualmente era lunga circa mezzo miglio e congiungeva il borgo fortificato al fondovalle, ma era intenzione di Arnisan di prolungarla almeno fino al mare.

    Il gruppo procedeva lentamente verso monte , seguendo il corso del torrente fiancheggiato da macchie di alberi di ulivo che si alternavano a zone adibite a pascolo; si fermava frequentemente, lungo la via, presso le fattorie che sorgevano nei pressi della strada sterrata che si inoltrava verso l’interno dei monti liguri per permettere al Duca di raccogliere, insieme ai saluti, anche le piccole richieste degli occupanti di quelle semplici abitazioni. Circa quattro ore dopo il gruppo era giunto alla prima chiusa sul torrente, dove fece sosta per controllare lo stato della torre posta a difesa di un vecchio, ma ancora solido, ponte in legno che permetteva ai carri l’attraversamento dell’alveo del corso d’acqua Era una delle prime costruzioni, insieme alle fortificazioni del borgo di Chiusanico, che era stata eretta a difesa della valle ed era presidiata da dieci soldati appartenenti tutti, a vario titolo, alla stessa famiglia.

    - Buon giorno Signore. Ben giunto. – Salutò il comandante delle guardie della torre andando incontro al piccolo gruppo di cavalieri. Egli era anche il capo famiglia della fara che aveva avuto l’ordine di insediarsi in quella zona per controllare l’accesso alla valle e amministrare i territori circostanti con il titolo di Sculdascio.¹

    - Buon giorno Gaira, come stanno i tuoi familiari? – Rispose Arnisan smontando da cavallo e passando le briglie dell’animale ad Ariperto.

    - Tutti bene e quel ragazzo di guardia in cima alla torre è Warin, il più giovane dei miei figli. L’anno prossimo potrà presentarsi a Voi per diventare un Winnili a tutti gli effetti.

    - Vedo che lo stai già addestrando. Sono certo che diventerà un valente guerriero, simile in tutto e per tutto a suo padre ed ai suoi fratelli. I due mulini che erano stati danneggiati dalla piena di gennaio, sono stati riparati?

    - Sì, e sono pronti a macinare il grano appena questo sarà raccolto. Devo dire che Hardhu, nella sua fucina, ha riparato alla perfezione il perno di ferro della ruota del mulino di Publio ed in poco tempo siamo riusciti a rimetterlo in funzione.

    - Ottimo lavoro. So che hai una figlia in età di marito. Vorrei parlare con te prima che tu la impegni con qualcuno.

    - Tra due settimane verrò al castello a ritirare due aratri che abbiamo mandato a riparare dal fabbro e passerò da Voi.

    - Ti aspetto, ne approfitteremo per farci insieme una cena memorabile, come quella dell’anno scorso.

    - Ho da parte dell’ottima birra, ne porterò quanto basta perché al mattino nessuno di noi sia in condizioni di alzarsi - Rispose ridendo Gaira.

    Arnisan osservò il robusto ponte in legno, con i suoi pali che affondavano nel greto del torrente protetti, alla base, da basamenti di grosse pietre squadrate che deviavano le acque.

    - Noi riprendiamo il viaggio, perché voglio essere a Chiusanico per l’ora di pranzo. Ci rivediamo questa sera quando ritorno.

    - Vi auguro un buon viaggio.

    Dopo essere rimontato in sella Arnisan si mise nuovamente alla testa del gruppo di cavalieri e tutti insieme imboccarono una larga mulattiera che, inerpicandosi su per la collina in mezzo a alberi di ulivo, querce e ontani, conduceva alla postazione difensiva di Chiusanico.

    Erano a circa metà strada quando sentirono sopraggiungere alle loro spalle un cavallo al galoppo. Immediatamente tutti estrassero le spade e Marhabrun voltò il cavallo portandosi velocemente in coda al gruppo. Dopo pochi istanti videro comparire un centinaio di metri più in basso un cavaliere che, forzando per quanto era possibile il cavallo, si stava affrettando a raggiungerli.

    - Tutti tranquilli, quel cavaliere che sta arrivando è Wilja, lo riconosco. – Disse Marhabrun facendo un cenno ai soldati della scorta che, rilassandosi, rinfoderarono le spade e si disposero ad attendere il sopraggiungere del cavaliere.

    Pochi istanti dopo Wilja giunse in mezzo a loro e tutti poterono notare che il cavallo era stremato, prossimo a cedere alla fatica.

    - Wilja, che succede? – Chiese Arnisan al nuovo giunto quando questi fermò il cavallo davanti a lui.

    - Mio Signore, quattro navi di pirati arabi sono comparse al largo della costa in direzione della foce del torrente. Ezio mi ha inviato subito ad avvisarvi. Lui ora sta disponendo le prime misure a difesa di Unheila.

    Mentre Wilja parlava i soldati di scorta a Arnisan si fissavano l’un l’altro. I pirati arabi erano una terribile minaccia per le popolazioni costiere dell’Italia e, dove comparivano, generalmente lasciavano solo morte e distruzione. Chi cadeva nelle loro mani era destinato a trascorrere il resto della vita da schiavo in qualche lontano paese dell’oriente.

    - Marhabrun – chiamò Arnisan scuro in volto – dai un cavallo fresco a Wilja e mandalo su a Chiusanico a chiamare tutti i componenti delle fare di Ragin, che si armino e vengano immediatamente ad unirsi a noi a Unheila. Swintha, precedici a valle e ordina a Gaira di tenersi pronto ad unirsi a noi.

    Non appena Wilja e Swintha furono partiti, tutto il gruppo invertì la marcia e iniziò la discesa verso il fondovalle.

    Raggiunta la chiusa sul torrente trovarono ad attenderli cinque uomini armati, in sella ai loro cavalli. Tutti quanti ripartirono ad un trotto sostenuto in direzione del mare.

    Giunti in vista di Unheila non videro segni di un attacco in corso. Tutta la popolazione della vallata era fuggita in cerca di riparo, abbandonando precipitosamente le proprie abitazioni ei lavori nei campi.

    - Non pare che ci sia in corso una battaglia, quindi siamo arrivati in tempo. – Constatò Marhabrun cavalcando a fianco del suo Signore

    - Sì, direi che l’attacco non ha avuto ancora inizio e, a dire il vero, non vedo neppure tracce di un passaggio dei Mori.

    - No, non ci sono segni che siano giunti fino a qui. - Confermò Marhabrun sollevandosi in piedi sulle staffe e osservando il paesaggio circostante

    - Raggiungiamo le mura e vediamo che sta succedendo.

    Arnisan diede di sprone spingendo il suo cavallo al galoppo, seguito da tutto il gruppo che si guardava intorno cercando di cogliere i segni di un’eventuale incursione. Quando furono a metà della strada che portava al borgo videro che venivano aperte le porte mentre sulle mura si intravedevano le sagome di alcuni arcieri.

    - Dove sono i Mori? – Chiese Arnisan balzando a terra dal cavallo non appena giunse all’interno della fortificazione. – Che sta accadendo?

    - Circa cento pirati sono sbarcati da quattro navi a ovest di Porto Maurizio e dalle ultime notizie giunte pare che abbiano iniziato a compiere razzie su per la vallata del torrente Prino – rispose Ezio che lo stava attendendo subito oltre il portone d’ingresso. – Porto Maurizio ha schierato tutti gli uomini validi a propria difesa, ma non può assolutamente contrastare le scorrerie che stanno avvenendo lungo la vallata. Gli abitanti di Porto temono che prima di notte i Mori cercheranno di attaccare pure loro.

    - Su quanti uomini possiamo contare?

    - Subito dopo aver mandato Wilja ad avvisarti ho chiamato a raccolta tutte le nostre forze. Sono giunti poco fa diciotto uomini dal Castrum di Diano, dalla Pieve di San Pietro e dalla villa occupata da Farald. Presto dovrebbero giungerne altri venti dal Castrum Andorae. Al momento, escluso le forze che sono con te possiamo contare su quarantuno cavalieri, quindici fanti e ventidue arcieri.

    - Basteranno. Marhabrun, seguimi nella torre. Ezio, quando giungono i rinforzi da Chiusanico e da Andorae, trattienili al borgo. Ariperto, seguimi!

    Arnisan percorse a lunghi passi la distanza che lo separava dalla torre ed entrò nel salone seguito da presso da Marhabrun e Ezio

    - Cosa conti di fare? - Domandò Ezio.

    - Conto di ributtarli in mare prima che cali il buio. Non possiamo permetterci di lasciarli qui intorno con la possibilità di attaccarci durante la notte. Tu cosa ne pensi Marhabrun?

    - Sono d’accordo che dobbiamo spazzarli via il prima possibile. Ogni istante che restano a terra compiono nuove distruzioni e causano altri lutti.

    - Bene, io sono dell’idea di aggirarli attraversando la collina dei Bardellini per poi attaccarli mentre sono sparsi per la vallata del Prino intenti a saccheggiare. Dovremmo eliminarne parecchi prima che riescano a raggrupparsi, poi vedremo di spazzare via i rimanenti appena tenteranno di radunarsi per affrontarci. Ezio, manda un messaggio ai difensori di Porto Maurizio chiedendo loro di restare in posizione difensiva fino a che noi non avremo attaccato, poi dovranno cercare di tagliare loro la via verso il mare. Marhabrun, raduna tutti i cavalieri. Partiamo immediatamente. Eithne, - continuò rivolgendosi alla donna che sostava a poca distanza da loro - fai preparare pane, formaggio, olive e fiasche di vino da distribuire a tutti gli uomini che verranno con me. Mangeremo a cavallo perché ogni minuto è prezioso.

    Arnisan trasse un respiro profondo osservandola nel mettere subito all’opera tutte le donne che le capitavano a tiro, poi notò la presenza del suo scudiero che stava immobile in una zona d’ombra lungo la parete dell’armeria.

    - Ariperto, prepara subito il mio destriero e, quando arrivo, fammi trovare pronta la spada, lo scudo, l’elmo con il cimiero e il mantello rosso.

    Afferrò un boccale di bronzo colmo di birra che gli veniva offerto da una Eithne silenziosa e preoccupata, poi, dopo essersi dissetato, uscì nuovamente sotto il sole che illuminava il piazzale dove si erano radunati tutti i cavalieri.

    Ariperto sopraggiunse a cavallo dalla stalla portando per le briglie il destriero pomellato del suo Signore. Appeso alla sella vi era lo scudo rotondo. Giunto davanti alla torre balzò a terra e consegnò a Arnisan il cinturone di cuoio con il fodero e la spada lunga, poi attese ordini trattenendo per le briglie la propia cavalcatura.

    Una volta indossato il cinturone Arnisan montò a sua volta in sella e si voltò ad osservare i cinquantacinque cavalieri, tutti quanti armati di lancia, spada e scudo rotondo, nel frattempo lo scudiero si era avvicinato al suo Signore preparandosi ad accompagnarlo in battaglia.

    - Ariperto, tu resterai a Unheila insieme a Ezio, sei ancora troppo giovane per partecipare ad una battaglia. Marhabrun dai il segnale di partenza.

    Cinquanta cavalieri Longobardi lasciarono Arx-Unheila nelle prime ore di quel pomeriggio assolato di giugno e, una volta discesa la strada ed attraversato il greto del torrente, iniziarono a salire, formando una lunga fila di cavalli e cavalieri, lungo uno dei tanti sentieri che attraversavano la collina dei Bardellini.

    Due ore dopo raggiunsero vallata retrostante Porto Maurizio.

    - Marhabrun, manda avanti i nostri sei migliori cacciatori perché non voglio sorprese, anche se i Mori dovrebbero essere molto più a valle. Vediamo di individuarli prima che loro si accorgano di noi.

    Pochi istanti dopo sei dei migliori cacciatori e cercatori di tracce si allontanarono a ventaglio davanti alla colonna, mentre tutti gli altri cavalieri, con Arnisan in testa, riprendevano la marcia silenziosa.

    Arnisan procedeva come tutti i componenti della spedizione, immerso nei suoi pensieri e ricordi. Il magnifico elmo di foggia romana con il grande cimiero rosso era una delle poche cose che aveva portato con sé quando era partito alla volta di Susa, ormai moltissimi anni prima; era qualche anno che non lo indossava, come ormai erano parecchi anni che non si trovava a dover guidare i propri uomini in battaglia ed ora, forse a causa dell’età, quell’elmo si stava rivelando un peso che gli faceva irrigidire e dolere i muscoli del collo; le paraguance gli irritavano la pelle del volto, il mantello lo stava facendo sudare copiosamente. Passando in mezzo a macchie di boschi di pini marittimi e querce, interrotti da tratti di terreno dedicati al pascolo o coltivati ad ulivi, si accorgeva di non sentire più nessuna traccia dell’eccitazione che, nelle passate occasioni, contraddistingueva i momenti prima dello scontro, ma viceversa provava un senso di tristezza al pensiero che qualcuno che in quel momento cavalcava dietro di lui, sarebbe sicuramente morto prima di sera e, qualcun altro avrebbe sofferto tutte le pene derivanti dalle ferite causate dalle armi dei pirati.

    Cercò di scacciare quelle sensazioni per concentrarsi sulla battaglia imminente. Mentre spostava per l’ennesima volta l’elmo, cercandogli una posizione che gli torturasse meno i muscoli, vide ritornare uno degli uomini andati in avanscoperta.

    Marhabrun alzò il braccio indicando in tal modo a tutta la colonna di fermarsi.

    - Ragiperto, li avete visti? – Domando Arnisan

    - Poco più avanti si apre una piccola conca. Abbiamo contato sedici Mori. Una fattoria è in fiamme e vi sono alcuni morti, ma hanno raggruppato alcuni ragazzi, credo pensino di portarseli via.Gunth è rimasto ad osservarli , lo troveremo al limitare della radura. Gli altri cacciatori hanno localizzato una seconda fattoria mezzo miglio più a valle, anche laggiù vi sono in azione dei pirati.

    - Va bene. Marhabrun avanziamo al trotto ed appena usciamo allo scoperto ci allarghiamo su tre righe per poi attaccare al galoppo. Winnili! – disse poi alzando la voce – Cogliamoli di sorpresa senza dar loro scampo; nessuno deve riuscire a fuggire. Andiamo!

    Tutto il gruppo mise i cavalli al trotto, i guerrieri prepararono le lance e gli scudi pregustando la caccia che si sarebbe scatenata tra pochi minuti.

    Arnisan sganciò lo scudo dalla sella e lo imbracciò a sinistra, poi estrasse la spada lunga essendo lui l’unico, insieme a Marhabrun, a non avere la lancia.

    Percorsero in pochi minuti il tratto di sentiero che si snodava all’ombra di alcune grosse querce per poi sbucare in uno spazio aperto ritrovandosi a meno di duecento metri dalla fattoria in fiamme.

    Arnisan sollevò la spada nel segnale di attacco e tutti quanti partirono al galoppo. Davanti all’ondata di cavalieri che sopraggiungeva, i pirati si sbandarono immediatamente cercando di salvarsi con la fuga e quello scontro non diventò mai una battaglia, ma semplicemente fu una spietata caccia ai fuggitivi. I saraceni erano tutti quanti a piedi e la loro fuga terminava immancabilmente quando la punta di una lancia Longobarda li trapassava da parte a parte. In pochi minuti tutto fu finito.

    Alcuni Longobardi scesero da cavallo per uccidere con la scramasax qualche Moro ormai agonizzante, poi furono nuovamente tutti in sella in attesa di nuovi ordini.

    Arnisan si accorse di non aver neppure dovuto usare la spada, c’era sempre qualche giovane cavaliere vicino a lui che lo precedeva nell’assalto ai nemici. Per qualche istante osservò la lunga lama di acciaio ancora lucida, poi si rivolse ai suoi uomini.

    - Per ora è stato facile, vediamo di fare in modo che continui ad essere così. Dietro quel crinale laggiù vi è un’altra fattoria, andiamo a dare quel che si meritano a quegli infedeli che la stanno depredando.

    Tutto il gruppo ripartì al trotto in direzione del mare costeggiando il lato destro di un piccolo torrente in secca. Dopo essersi lasciati alle spalle una folta macchia di canne che erano stati costretti ad aggirare, giunsero in vista di un secondo cascinale, anche questo in fiamme. Ad un primo sguardo il luogo sembrava deserto, ma poi i cavalieri videro una colonna di uomini che si stava velocemente ritirando trascinandosi dietro un gruppo di prigionieri trattenuti da una corda legata alla sella del cavallo di uno dei pirati.

    I Longobardi spinsero i cavalli al galoppo e si allargarono su due schiere formando un fronte di lance con al centro Arnisan e Marhabrun. Il gruppo dei fuggitivi era composto da una mezza dozzina di uomini a cavallo e una ventina di soldati a piedi. Vedendo sopraggiungere la cavalleria Longobarda i cavalieri si diedero alla fuga abbandonando i prigionieri, mentre i saraceni appiedati cercarono di formare un fronte compatto usando le lance, e alcuni di loro iniziavano a scagliare con i loro archi frecce che, però, caddero nel vuoto oppure furono facilmente deviate dagli scudi degli attaccanti.

    Pochi istanti prima che i cavalli piombassero su di loro, i pirati si diedero alla fuga rompendo lo schieramento. Anche questo secondo scontro si risolse in una serie di brevi inseguimenti tra gli arbusti e gli alberi che crescevano nella piccola conca, terminando invariabilmente con l’uccisione del fuggitivo.

    Appena le forze degli infedeli si erano scompaginate, Arnisan aveva fermato il proprio cavallo, subito affiancato da Marhabrun. Mentre i suoi uomini portavano a termine la strage di arabi, diede ordine di liberare i prigionieri abbandonati dai pirati che, ancora tutti quanti legati insieme, cercavano di allontanarsi più il possibile dal luogo dello scontro.

    - Finora è stato facile perché li abbiamo colti di sorpresa, ma la prossima volta saranno pronti ad accoglierci.

    - Sicuramente quelli che ci sono sfuggiti a cavallo staranno correndo a dare l’allarme, ma ormai dovrebbero essere ridotti ad una cinquantina di uomini o poco più e sicuramente le forze di Porto Maurizio li staranno tenendo sotto pressione. – Rispose Marhabrun osservando con occhio distaccato l’uccisione degli ultimi pirati.

    - Se le informazioni che aveva Ezio sono giuste, credo che in questo momento staranno cercando di ritornare alle navi per imbarcarsi. Raduna gli uomini e vediamo di andarli a spazzare via definitivamente.

    - Winnili! In marcia! – Urlò Marhabrun, riprendendo il cammino a fianco di Arnisan.

    L’ultimo tratto del torrente Prino, prima della foce, era interamente coperto da una foresta di pini marittimi che solo negli ultimi trecento metri lasciavano nuovamente il posto ad una stentata brughiera bruciata dalla salsedine portata dai venti di mare.

    I Longobardi dovettero mettere i cavalli al passo e procedere in ordine sparso sotto le chiome degli alberi aprendosi la via nel sottobosco fino a sbucare sul tratto libero vicino alla riva del mare.

    - Maledizione, ma quanti sono? – Imprecò Marhabrun osservando la scena che si stava svolgendo davanti a loro.

    Ancorate nelle basse acque prospicienti la foce del torrente vi erano sette navi saracene dotate di ventiquattro remi e di vele. Sul terreno digradante verso la spiaggia sassosa si era formata una schiera di pirati armati di lancia e scudo, mentre subito dietro erano allineati numerosi arcieri; sul lato sinistro dello schieramento saraceno era appostata un’unità di cavalleria composta da circa venti cavalieri.

    - Sicuramente tra fanti e arcieri sono almeno un centinaio, ma quelli che più mi preoccupano sono i cavalieri alla nostra destra.

    - Non vedo traccia delle forze di Porto Maurizio. Che facciamo? - Chiese Marhabrun grattandosi la barba.

    - Se ci ritiriamo gli lasciamo campo libero per i saccheggi e il ricordo di un posto in cui tornare per prossime razzie, quindi li attaccheremo e li ricacceremo in mare. Formeremo una prima linea di attacco con quaranta di noi, mentre i restanti dieci raddoppieranno la nostra ala destra. Marhabrun tu guiderai il nostro fianco destro e assalirai la loro cavalleria, mentre io guiderò l’attacco al lato sinistro del loro schieramento. Inizieremo il combattimento con una traiettoria frontale, poi noi convergeremo verso il loro settore sinistro.

    - Winnili! Preparatevi ad attaccare. Formate una linea. Ragiperto, tu e la tua fara formerete una seconda linea sul fianco destro del nostro schieramento! – Urlò Marhabrun cercando di sovrastare il rumore delle urla che provenivano dallo schieramento dei Mori distante poco più di 150 metri.

    Arnisan imbracciò saldamente lo scudo e, usando l’elsa della spada si aggiustò l’elmo sulla fronte, guardò a ponente il sole giunto a due terzi della sua parabola discendente, stimando che avrebbero avuto ancora più di tre ore di luce.

    Quando vide Marhabrun pronto davanti all’ala destra dello schieramento, alzando in alto la spada, diede il segnale di attacco lanciando contemporaneamente il destriero al galoppo.

    La massa di cavalli e cavalieri percorse in pochi istanti oltre la metà della distanza che li separava dal fronte di lance arabe in attesa, mentre sugli attaccanti iniziarono a piovere le frecce scagliate dagli arcieri; a quel punto lui diede il segnale di spostare la direttiva dell’attacco verso il fianco sinistro degli avversari e poi si concentrò su quegli uomini che li attendevano sul limitare della spiaggia.

    Quasi subito le urla dei pirati diventarono più lontane, trasformandosi quasi da sottofondo ai battiti del proprio cuore; Arnisan percepiva e assecondava i movimenti del cavallo lanciato nella corsa quasi che loro due fossero diventati una sola cosa, in modo chiaro sentiva la presenza dei due Longobardi che cavalcavano ai suoi fianchi e l’impatto di una freccia contro lo scudo gli scosse per un istante il braccio sinistro, poi i suoi occhi misero a fuoco la sagoma di un pirata armato di lancia che si era venuto a trovare sulla sua traiettoria.

    Lo assaltò piombandogli addosso di lato e mentre lui cercava di spostare la punta della sua lancia, con un colpo netto della spada gli tagliò in due l’asta passando poi oltre e finendo per travolgere e calpestare con il cavallo uno degli arcieri retrostanti.

    Davanti a lui c’erano la spiaggia e il mare ed allora fece fermare il cavallo per poi costringerlo a voltarsi verso il nemico che ormai si trovava alle sue spalle. Mentre era impegnato con il cavallo un arciere lasciò cadere l’arco e si lanciò contro di lui impugnando una spada ricurva; fortunatamente lo attaccò dal lato destro e prima che potesse ferire lui o il suo destriero, la lunga spada di Arnisan calò a tagliargli di netto il braccio lasciandolo urlante con il moncherino che spruzzava sangue verso il cielo.

    Terminata la giravolta del cavallo si lanciò nuovamente nella battaglia che si era trasformata in una grande mischia in cui si affrontavano uomini e animali. Nella sua visuale comparve la figura di un pirata che stava trafiggendo con la sua lancia un longobardo steso sulle pietre. Egli fece volteggiare la sua spada spaccando poi in due l’elmo e la testa del nemico. Stava risollevandosi per cercare un altro avversario quando sul fianco del suo cavallo piombò un cavaliere saraceno armato di mazza di ferro.

    Lo scontro tra i due animali sbilanciò Arnisan e la mazza ferrata dell’assalitore calò sul suo scudo staccandone un pezzo lanciando in aria schegge di legno. L’impatto intorpidì il suo braccio e, più per riflesso che per volontà, parò con la spada il secondo colpo. Le due armi si incrociarono facendo scintille. Arnisan si trovò praticamente affiancato al suo assalitore, la spada contro la mazza, mentre scorgeva ogni particolare di quel volto, che spuntava sotto l’elmo, dalla carnagione scura senza un filo di barba.

    Il saraceno, impegnato nello scontro, aveva contratto le labbra mettendo in mostra una chiostra di

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