Signorine quasi perbene
Di Anna Botter
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Anteprima del libro
Signorine quasi perbene - Anna Botter
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Collana Sentieri
SIGNORINE QUASI PERBENE
di Anna Botter
Proprietà letteraria riservata
©2023 Edizioni DrawUp
www.edizionidrawup.it
redazione@edizionidrawup.it
Progetto editoriale: Edizioni DrawUp
Direttore editoriale: Alessandro Vizzino
Grafica di copertina: Adriana Giulia Vertucci
I diritti di riproduzione e traduzione sono riservati.
Nessuna parte di questo eBook può essere utilizzata, riprodotta o diffusa, con qualsiasi mezzo, senza alcuna autorizzazione scritta.
I nomi delle persone e le vicende narrate non hanno alcun riferimento con la realtà.
ISBN 978-88-9369-360-8
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La signorina Carla
Sono le 14.30 di un afoso pomeriggio estivo: è il 15 agosto 1957.
Madre Alberta è di turno in portineria. Nonostante l’età ormai avanzata si dedica, quasi con devozione, al suo compito di custode della casa religiosa in cui vive. Anche se l’udito non l’aiuta, le sembra di aver sentito suonare la campanella all’ingresso, quindi affronta la calura estiva per capire se effettivamente qualcuno si sia palesato al portone delle Stelline[1], omonimo edificio di Milano, oggi in corso Magenta.
Apre lo sportellino dell’enorme portone che dà all’esterno: non vede anima viva, mentre una ventata d’afa la investe impertinente, infilandosi dal piccolo anfratto ricavato nell’antica porta di legno.
La suorina, rassicurata, torna sul suo scomodo sgabellino in ferro battuto e continua a ricamare: conosce, a memoria, gli schemi dei centrini, che confeziona, instancabile, all’uncinetto. Mezzo occhio aperto per proseguire il ricamo e l’altro mezzo chiuso per la consueta pennica, dopo pranzo, che le permette di sonnecchiare mentre, ligia al suo ruolo, fa la guardia all’intero stabile.
Un suono prolungato e inequivocabile interrompe, però, il rituale pomeridiano.
«Stavolta hanno suonato» dice Madre Alberta, tra sé e sé, sobbalzando e alzando la sottana della tonaca un po’ lisa. Quindi s’incammina claudicante verso il portone con passo quasi deciso. Apre con convinzione lo sportellino ed ecco un volto, è don Materno paonazzo come non mai, che concitato urla: «c’è un bambino!»
Madre Alberta apre, più per la fretta fattale da don Materno che per una reale comprensione di quel che sta accadendo. Il sacerdote la spintona verso l’interno per mettere al riparo una cassetta della frutta e verdura zeppa di tessuti raggomitolati alla rinfusa. Tra i teli sbuca un musetto arrosato.
«Mi venga un colpo!» urla la povera suorina in un dialetto mantovano quasi dimenticato: «un bambino nella cassetta del mercato! Diavolo d’un don Materno dove l’ha trovato, in piazza? E perché mai l’ha portato qui?»
«Era davanti al portone. Il bambino era davanti al portone!» grida il prete grondante di sudore un po’ per l’elevata temperatura esterna, un po’ per lo spavento.
«Mi pareva di aver sentito suonare anche prima, ma non avevo visto nessuno!» chiarisce con tono deciso la suorina, orgogliosa di essere corsa al portone per un giustificato motivo e un tantino sorpresa dal contenuto della cassetta della frutta e verdura.
«Voglio ben vedere, come fa un bimbo di questa età a rispondere?» incalza il don con un tono accusatorio e preoccupato.
Nel frattempo, madre Alberta ha cominciato a scampanellare.
Stavolta si è appesa alla campanella del cortile interno al convento e, una alla volta, dalle stanze arrivano le suore, superiora compresa! Suor Angelica dà indicazioni perché il bimbo venga immediatamente soccorso e suor Clementina cerca di capire se sia il caso di chiamare un medico: nessuno riesce a comprendere quanto il bambino sia rimasto al sole.
Ben presto si scopre che si tratta di una bimba, robusta e ben accudita anche se, di fatto, da quel momento, verrà registrata come figlia di NN[2].
Secondo il regolamento interno alla casa religiosa, come sempre accadeva, spettava a madre Alberta, di turno in portineria quel giorno, dare il nome alla piccola che successivamente sarebbe stata battezzata da don Materno con il nome di Carla, da quel momento in poi detta Carletta, proprio come la madre della suorina. La bimba poteva avere 8-10 mesi, ma la registrarono nata il 15 agosto 1957.
Solo pochi mesi prima, venerdì 19 aprile, in prossimità della Pasqua, era stata abbandonata un’altra bambina sempre durante il turno di portineria di madre Alberta.
Le era stato imposto il nome di Adelina, come la migliore amica di madre Alberta, morta a soli dieci anni a causa di un’encefalite morbillosa: una bimba minutina con qualche problema di salute, spesso febbricitante e con una tignosa tosse persistente che impediva il sonno di chiunque si trovasse in camera con lei.
Carletta e Adelina crebbero insieme, esattamente come due sorelle e furono le ultime due bimbe abbandonate davanti all’Orfanatrofio di via delle Stelline. Tra le due il legame era solidissimo e le suore speravano, in cuor loro, che questo affiatamento reciproco permettesse alle due ragazzine di avere un riferimento solido anche per il futuro.
L’addio
L’anziana madre Alberta sperava che le piccole, cresciute nel massimo della devozione e capaci di recitare a memoria le lodi del mattino e le orazioni serali, potessero rimanere insieme per sempre o, per lo meno, il più a lungo possibile.
Nell’estate del 1970, però, al portone di via delle Stelline si presentò una donna accompagnata da un militare in divisa d’ordinanza.
La signora magrissima con un profilo somigliante a un dipinto di Modigliani, avvolta in un vestito nero a fiorellini piccoli piccoli, sosteneva di essere la madre di una bimba abbandonata il venerdì prima della Pasqua del 1957.
La donna era stata costretta a quel vergognoso gesto da una situazione che, in quegli anni, non le consentiva in alcun modo di provvedere alla sua piccola, anzi, abbandonarla, in quel momento, era parsa la soluzione migliore.
La signora, con voce suadente, sottile e timorosa al contempo, raccontava che era riuscita a riscattarsi, a trovare un lavoro dignitoso e a sposarsi con il maresciallo che la accompagnava. Ciò le permetteva di porre rimedio a una vicenda che la teneva ancora sveglia di notte e la tormentava in ogni ora del giorno.
L’ufficiale alto alto e magro, strizzato nella sua uniforme, era molto composto in quell’inusuale ma compìto ruolo e aveva lasciato senza parole le suore che, una dopo l’altra, si erano raccolte in silenzio nell’atrio e ascoltavano la donna e le sue parole emozionate e, a tratti, intrise di commozione, mentre Marisa descriveva l’amore incondizionato che, nei pochi mesi che era rimasta con lei, aveva dedicato alla sua piccola bimba.
I garbati coniugi erano quindi arrivati per portare a casa Adelina, che con Carla, in quelle ore, era al mercato a comprare frutta e verdura per il pranzo.
Le consorelle proposero alla coppia di fermarsi per il pasto: sarebbe stata quella l’occasione per incontrare per la prima volta Nicoletta, questo era infatti il nome che la donna, prima di abbandonarla, aveva dato alla sua piccola, ispirandosi all’amabile Orsomando[3], che proprio in quell’anno era stata valletta al Festival di San Remo.
Suor Angelica si premurò di presentare nel migliore dei modi la coppia a Adelina, che al suo rientro trovò ancora tutti nell’atrio. La superiora si prodigò, soprattutto, a indorare la pillola alla ragazza. Inutile dire, però, che l’attonita Adelina non la prese affatto bene e si rifugiò in una sorta di letargo catatonico: nessuno prese bene l’arrivo di quella coppia, seppur parecchio dignitosa e dai modi