La ragazza con la forbice tra i capelli
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Anteprima del libro
La ragazza con la forbice tra i capelli - Erika Cataldo
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Prologo
Potrei iniziare da cose banali, come dal fatto che Nina odiava il freddo e d’inverno sentiva di più la mancanza di certi abbracci.
Potrei scrivere della malinconia nelle giornate di pioggia, dei pensieri che vagavano nei corridoi al buio, delle finestre da cui non si poteva vedere il mondo.
Potrei scrivere di cose banali, e in ogni caso vi racconterei la verità.
Il fatto è che lei era semplicemente, e almeno in apparenza, una ragazza normale, che talvolta amava l’amore e che spesso odiava il suo lavoro.
Ma si sa, la normalità ha un confine labile e dipende dagli innumerevoli punti di vista.
Per cui non vi racconterò la storia di Nina dal suo principio. Che per quanto banale, come tutte le storie che si rispettino, meriterebbe un’attenzione quasi meticolosa ai particolari e ai dettagli che la popolano, rendendola a loro modo unica.
Ciò non di meno, vi racconterò della sua innata paura di sbagliare. Vi narrerò delle notti passate a scrivere discorsi che di giorno non sarebbero mai avvenuti. Del suo inventarsi domande e successivamente le risposte ed eventuali repliche. Per poi al mattino, puntualmente, stracciare il tutto. Vi racconterò, soprattutto, quello che di Nina ancora non si sa. Quello che lei, ogni mattina, nascondeva dietro il suo sorriso migliore. Vi narrerò delle sue frasi non dette. Dei silenzi interminabili. Degli sguardi.
Perché la storia di Nina è così.
Ẻ fatta di questo e poco altro.
È una storia banale, ve l’ho già detto.
I finali sono tristi, la gente preferisce gli inizi
Bisogna innanzitutto precisare che Nina non aveva mai avuto molti amici, o a essere più precisi non ne aveva avuto quasi nessuno.
Per questa ragione l’incontro con Jack l’ortolano, che potrebbe risultare, forse, insignificante ai fini della nostra vicenda, fu, invece, di rilevante importanza nella storia personale di Nina.
Si erano conosciuti in treno un martedì pomeriggio qualsiasi.
Il viaggio era lungo e lei si era, come al solito, persa nella musica e nei suoi pensieri. Lui era salito di fretta.
Nina era rimasta subito impressionata dai suoi occhi verdi, così rari per un egiziano. Pochi minuti dopo era entrato il controllore. Era un uomo grasso e all’apparenza simpatico, e a lei fu subito chiaro che non aveva nessuna voglia di fare quello che stava facendo. Forse, pensò, era intrappolato su quel regionale, che tutti giorni percorreva la stessa monotona tratta, le medesime stazioni. Magari sognava di partire per l’Australia per poter finalmente vedere i canguri. Oppure non vedeva l’ora di ributtarsi nella lettura del suo romanzo preferito, una vecchia copia di Guerra e pace, regalatogli da una bella ragazza che era partita per l’America. Controllò svogliatamente i biglietti della ragazza, ma quando arrivò il turno di Jack, quest’ultimo si prodigò in una delle sue migliori interpretazioni: «Signor controllore, la prego, non mi dia la multa. Ho dimenticato il marsupio con soldi e documenti al cantiere.»
(Bisogna precisare che a quei tempi Jack l’ortolano era ancora Jack il muratore.)
Il controllore a dir la verità, disse che in mancanza di soldi e documenti avrebbe dovuto chiamare la polizia. Aggiunse però, che in effetti, sarebbe stato un procedimento che gli avrebbe portato via un sacco di tempo. Combattuto tra la decisione di attenersi alle regole, o quella di andare a casa in orario aveva continuato a rivolgersi verso Nina.
«Signorina mia, ma secondo lei, io cosa devo fare?»
«Posso, forse, andare contro le mie responsabilità?»
Lei non credeva utile dover rispondere a quelle domande retoriche, ma si era presa un po’ a cuore la vicenda, al punto che avrebbe pagato lei il biglietto pur di far terminare quel supplizio. Così disse solamente:
«Secondo me dovrebbe credere alla buona fede di questo signore, e per questa volta lasciar correre.» E così avvenne.
Uscito il controllore dallo scompartimento, Jack aveva subito voluto ringraziarla e avevano iniziato così a conversare. Lui le aveva raccontato che faceva il muratore, ma qualche volta anche il pizzaiolo e altre ancora vendeva frutta e verdura. E che in realtà in Egitto aveva insegnato arabo al liceo. Le aveva raccontato, poi, che non si chiamava veramente Jack, ma che ormai tutti lo chiamavano così.
Sul finire del viaggio, aveva deciso che si poteva fidare abbastanza della ragazza da farle una confidenza.
«Sai» disse, «non è vero che non ho nemmeno un soldo. Qualcosa mi è rimasto, ma mi serve.»
«Per comprare il fumo.»
Nina era rimasta impassibile. Non era suo compito giudicare. E poi non aveva mai dubitato che la storia del marsupio fosse tutta una scusa.
«Tu fumi?» si era informato Jack.
Lei aveva sinceramente risposto di no.
«E cosa fai per svagarti?»
«Leggo, scrivo poesie brutte, lettere d’amore senza destinatario, e talvolta guardo il soffitto.»
«Fai bene a non fumare» aveva continuato Jack. «Starai sicuramente meglio.»
«Sì» aveva ammesso lei, per nulla convinta.
Il fatto era che Nina non era dotata di un vero e proprio talento per la scrittura. Lei scriveva soprattutto per necessità.
E lo faceva di continuo.
Oltre alle poesie brutte e alle lettere d’amore senza destinatario, adorava cimentarsi nella scrittura di finali tristi.
C’è chi di storie ne inizia mille senza riuscire a portarne a termine nessuna; lei preferiva concludere storie che non erano mai state iniziate.
Forse potreste pensare che se queste storie non le aveva mai nemmeno cominciate era per via di quel finale triste e amaro che le attendeva inesorabilmente dietro l’angolo.
Che senso ha iniziare a scrivere una storia predestinata a finire in maniera così drammatica?
Eppure in questo pensiero non potrebbe esserci nulla di più falso. Sapeva da tempo che un finale triste rende la storia più dignitosa. E poi amava davvero quei finali, più di qualsiasi lieto fine che la sua mente avrebbe potuto concepire. Ed era fortemente convinta che quelle storie valesse la pena scriverle. E scriverle dall’inizio. Solo che faceva fatica. Era, quindi, unicamente questione di predisposizione. Le veniva più facile scrivere poesie brutte, non di quelle dove fiore fa rima con cuore, ma di quelle in cui le immagini sono abusate, stereotipate. Quelle che parlano di un novembre piovoso e malinconico, di un gennaio in cui il freddo entra dentro le ossa. Le veniva quasi naturale scrivere lettere d’amore senza destinatario. Le parole d’amore che possedeva, venivano invertite come gli addendi in una somma, provocando sempre le stesse emozioni, ma ogni volta in maniera differente. Ed era senz’altro più utile scrivere stralci di conversazioni che un giorno magari sarebbe stata costretta a improvvisare.
Ma le storie, quelle di cui possedeva già un finale triste, Nina si riprometteva sempre di scriverle, ma non riusciva mai.
La verità vera delle cose
L’amicizia con Jack l’ortolano si era evoluta quando lui era stato assunto al reparto frutta e verdura del piccolo negozio di alimentari sotto casa di Nina. (Ultimo rimasto di una specie ormai in estinzione).
Nonostante lei avesse sempre seguito una dieta anarchica a base di pizza e pasta, e l’ultima vitamina l’avesse assunta sotto stretto consiglio medico, aveva cominciato ad aggirarsi tra carote e peperoni con l’unico scopo di sentire le storie di Jack, che