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Le avventure di Zull e Ainhoa: La magia bolle in pentola
Le avventure di Zull e Ainhoa: La magia bolle in pentola
Le avventure di Zull e Ainhoa: La magia bolle in pentola
E-book174 pagine2 ore

Le avventure di Zull e Ainhoa: La magia bolle in pentola

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Info su questo ebook

Fate spazio in cucina: da oggi la magia profuma di spezie! Ecco a voi Ainhoa, maga ribelle, che a pozioni e calderoni preferisce pentole e ricette. "Sono una cuoca, non sono una maga!" vi dirà allontanandosi dal suo ristorante pluristellato, per accompagnare Zull in qualche straordinaria avventura. Passeggiando per Venezia insieme a loro, scopriremo le proprietà del tofu, l'efficacia dell'uovo Gps e i misteri della natura. Inoltre, incontreremo il terribile Tragante. Ma non c'è nulla da temere, perché sarà così impegnato a farsi un selfie che nemmeno noterà il nostro arrivo. Il male è fritto! Basta un po' di fiducia... mescolata con aglio, alghe e un pizzico di peperoncino!
LinguaItaliano
Data di uscita28 giu 2017
ISBN9788893690706
Le avventure di Zull e Ainhoa: La magia bolle in pentola

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    Anteprima del libro

    Le avventure di Zull e Ainhoa - Mia Stella

    978-88-9369-070-6

    Capitolo 1

    Si parte

    Nel villaggio di Sciambaloa non succedeva mai niente: era tutto così monotono e piatto che a fare notizia potevano bastare i colori vivaci dello smalto della figlia, sofisticata e un poco snob, della bibliotecaria o il nuovo bizzarro taglio di capelli dell’unico nipote, poco promettente, dell’unico avvocato che c’era. La vita scorreva di generazione in generazione, senza mai lasciare un segno nella storia. Interamente nascosto tra montagne poco visitate dai turisti, Sciambaloa non veniva neanche segnalato nelle mappe. Quando un giornale parlava della zona o veniva stampata una nuova cartina della regione, sembrava che intervenisse una crudele maledizione a fare sì che questa amena borgata non venisse nemmeno considerata. Le scuse portate al sindaco del paese, già poco vispo di suo e ogni volta più indifferente alla fatale consuetudine, erano sempre le stesse: Spiacenti, un errore di stampa. Chiedo scusa, il giornalista non ci avrà fatto caso, e altre banalità. Eppure questo villaggio non era affatto trasparente, come borbottavano i suoi abitanti.

    Mentre gli adulti lavoravano, i bambini andavano a scuola e quasi mai, crescendo, progettavano di andare a vivere altrove. E forse in pochi si erano qualche volta chiesti cosa ci fosse poco lontano dal paese: veniva da sospettare che prendessero fin troppo alla lettera quel detto che circolava tra i meno giovani, secondo cui la felicità è sempre dietro l’angolo, semplicemente a portata di mano. Regnavano pigrizia e rassegnazione, tanto che anche il tempo sembrava annoiato e scorreva da centinaia di anni senza i più banali scombussolamenti. Finché, il sette di ottobre, in una fresca sera d’autunno, giunse da non si sa dove un forestiero. Camminava a passo molleggiato tra una scia di foglie che sembravano precederlo, rincorrerlo e danzargli attorno come farfalle, avvolgendolo in un cerchio perfetto e dorato. Diceva di chiamarsi Zull. E fischiettava. Il nome parve quantomeno stravagante, ma la sua faccia non lasciava sospettare nulla di particolare. Insomma nessuno fece troppo caso al suo arrivo fino a quando in molti iniziarono a intuire che Zull, di diverso dagli altri, non avesse solamente il proprio nome: si sparse ben presto la voce che disponesse di capacità straordinarie. La notizia girò di bocca in bocca e, come prevedibile, a ogni passaggio si arricchiva di dettagli sensazionali. Prese il via da una confidenza tra il guardiano notturno e la postina: il guardiano, in una delle sue ronde, non solo aveva visto Zull parlare con uno zaino che si illuminava dei sette colori dell’arcobaleno, ma aveva anche scoperto che il ragazzo ospitava una giraffa in giardino. La postina, che aveva giurato di custodire il segreto, si era lasciata scappare qualche banale indiscrezione con la macellaia che, con suo marito, non aveva misteri. Quest’ultimo pranzava spesso con l’anziana madre e pensò che non ci sarebbe stato nulla di male nel raccontarle finalmente qualcosa di curioso. A ogni divulgazione del chiacchiericcio corrispondeva un ingigantimento del suo contenuto: quando la voce raggiunse per ultimo il sindaco del paese, riportava che Zull parlava con gli animali, che qualcuno aveva visto fotografie in cui nuotava con le balene e che, una volta, aveva litigato con la giraffa del suo giardino, perché aveva addentato il suo zaino, in cui era contenuta una donna che gli cucinava il pranzo.

    La questione del pranzo fu una trovata del fornaio, che diceva di riconoscere sempre profumi di pane, di dolci e di spezie orientali uscire dalla sua inseparabile sacca. Per non essere l’unico sprovveduto che non si era accorto di niente, il fruttivendolo aggiunse che, oltre alle solite giraffe, anche un albero parlante aveva messo radici accanto al bellissimo roseto di Zull. Uomo di indole creativa, arrivò addirittura a giurare che i suoi limoni provenissero proprio da quell’albero.

    Allora tutti iniziarono a fare a Zull le stesse domande: Parli con gli animali? sei un mago? Sei un extraterrestre? Hai sposato una strega? Un giorno il ragazzo aprì la porta di casa e si trovò davanti al naso una fila di gente con il cane al guinzaglio, smaniosa di sapere se il cucciolo era soddisfatto della sua sistemazione in famiglia, nonché di conoscere le sue preferenze culinarie.

    L’unica cosa su cui non esistevano dubbi era che quel giovane provenisse da un paese lontano, anche se a nessuno sembrava interessare quale posto fosse: alla gente del villaggio non importava particolarmente da dove Zull venisse, quanto piuttosto che restasse. E per i più curiosi che ponevano a Zull mille domande, e che restavano insoddisfatti da risposte evasive, non c’era altra scelta che fantasticare con personali supposizioni. In poco tempo la caffetteria Aliba-bar della piazza centrale vide un crescendo di clienti smaniosi di nuovi pettegolezzi. La vita piatta del villaggio fu così scossa da un’ardita impennata e indubbiamente i proprietari del bar, che avevano dovuto triplicare la produzione di brioche della mattina per far fronte al nuovo andirivieni, non ebbero nulla da contestare. Lo smalto della figlia della bibliotecaria non era più l’unico argomento su cui offrire la propria insindacabile opinione.

    Zull mostrava in effetti un carattere originale: aveva, tra le altre peculiarità, il pallino dello yoga che lo spingeva ad alzarsi alle sei del mattino e a esercitarsi con dedizione. Le sue posizioni preferite erano quelle a testa in giù perché, a sentir lui, gli ossigenavano bene il cervello. Per tenere vivo l’appetito allenava costantemente i muscoli con qualche flessione e alcuni addominali. Tè caldo, frutta e biscotti al miele, che avevano tutta l’aria di essere stati appena sfornati, costituivano il suo banchetto mattutino e precedevano i dieci minuti quotidiani di meditazione. Nonostante i suoi numerosi impegni, le pause per pranzare in tranquillità erano sacrosante, ma soprattutto ogni secondo di libertà era l’occasione per essere allegro e per ballare. A nessuno era sfuggita la scena in cui allungava la schiena, vertebra dopo vertebra, e poi improvvisava quattro salti di danza, ovunque si trovasse. Qualcuno diceva fosse Zumba, altri che si trattasse sicuramente di Capoeira, ma per lo più si diceva che tanto tempo a testa in giù dovesse mandargli qualche rotella fuori posto e che a colazione bevesse grappa al posto del tè. Ma, in verità, Zull non era né ubriaco né pazzo e, dopo lo stupore che la gente dimostrò ai primi approcci, nessuno ci fece più troppo caso. Il rispetto che guadagnava era più forte di qualche stravaganza: ogni giorno Zull aiutava le persone a stare bene, i bambini a conoscere il mondo, i paurosi ad affrontare i propri timori, i più agitati a calmare le inquietudini. C’era infine un mistero su cui tutti cercavano inutilmente di indagare: Zull poteva sparire per ore o per giorni interi senza che nessuno sapesse dove rintracciarlo.

    Un pomeriggio di novembre, mentre il freddo si avvicinava al villaggio, con il suo bagaglio di nebbia, raffreddori e svogliatezza, camminando per le strade e lungo il fiume, Zull si rese conto di non avere incrociato nessun bambino. In giro non c’era proprio nessuno.

    Sbirciando dalle finestre scoprì che se ne stavano tutti spaparanzati davanti alle tv di casa o ai videogiochi, con merende enormi ed espressioni da giaguari assonnati.

    Qualcuno disse che quel giorno Zull fosse in vena di scherzetti, altri si domandarono che strana stregoneria avesse messo in atto, visto che, non si sa come (e ammesso poi che fosse stato lui), fece sparire tv, computer e console dalle case di tutti i bambini. E fu così che questi si trovarono privi di quella che sembrava ormai l’unica loro occupazione. Dopo le prime perplessità e qualche capriccio, non ebbero altra scelta che cercarsi qualcosa di diverso da fare, mentre i genitori si scambiavano supposizioni fantascientifiche sull’accaduto. Furono così costretti a usare un po’ di fantasia per inventarsi giochi in casa e, nei giorni più soleggiati, all’aria aperta. Iniziarono a organizzare passeggiate e pranzi con i compagni, oppure a seguire i genitori nei loro impegni. Le madri, non abituate alla vicinanza costante dei bambini, non esitarono a fare appello al sindaco dormiglione, chiedendo nuovi parchi pubblici e servizi per l’infanzia. Così, mentre spuntavano qua e là nuovi spazi per giocare, le occasioni per socializzare tra coetanei erano tornate a essere un fatto ordinario.

    Quando Zull, finalmente soddisfatto dei cambiamenti in atto, si decise a riportare ogni cosa al suo posto, furono tutti piuttosto felici, ma, curiosamente, non vollero tornare alle antiche abitudini e dissero con una certa insolenza: Grazie per volerci ridare le nostre cose, Zull, però abbiamo molti nuovi impegni. Ci divertiamo di più ora. Dovresti provare anche tu, sai? Zull aggrottò le sopracciglia e, mentre si organizzava per restituire i computer e i televisori, si accorse che un bambino era ancora seduto, dopo parecchi giorni, davanti a una parete vuota, tutto solo, scontento, pallido e indolente. Non aveva fatto niente, se non aspettare in casa che ogni oggetto rispuntasse misteriosamente. Zull, perplesso da questa insolita reazione, volle vederci più chiaro e, invece di fargli ricomparire i dispositivi che gli aveva sottratto, pensò a come aiutarlo ad apprezzare qualche attività differente. Il bambino si chiamava Lodovico: era introverso, sembrava triste e trascorreva il suo tempo tra tv e videogiochi. Poteva passare intere giornate in solitudine, senza neanche rendersi conto di quando il buio della sera scendeva a congedare il sole.

    Nel momento in cui Zull aveva fatto sparire i dispositivi, Lodovico stava guardando con un occhio la sua pubblicità preferita, quella delle pastiglie per il mal di gola, e con l’altro un videogioco di un piccolo pesciolino rosso costretto a mangiare il maggior numero di gigantesche balene. Giocava senza interruzioni e tra sé e sé si domandava: «Come farà questo pesce così piccolo a non fare indigestione? Con tutte queste balene...» Perché di indigestioni Lodo sapeva il fatto suo, visto che sulle sue labbra erano sempre ben evidenti i segni rosso pomodoro di uno dei tanti azzanni quotidiani di pizza alla mortadella. Stava giusto deglutendo un bel morso quando si trovò a fissare il carrello, vuoto, del televisore. Rimase così incredulo di trovarsi senza tv e videogiochi che sembrò non rendersene conto. Per giorni si limitò a guardare il muro, consolandosi con pizzette e tramezzini. Allora Zull, prima di farsi notare, gli fece sparire la pizza alla mortadella o forse se la mangiò lui perché era giusto l’ora della sua pausa pranzo e, come sappiamo, era molto puntuale con l’alimentazione. Ma il bambino non si chiese dove fosse finito il suo spuntino e gridò annoiato: «Zia Angelina ho finito la pizza! mi porti la torta?»

    Lodovico aspettava ozioso. Rosicchiava merende mentre attendeva il ritorno alla normalità, girando inutilmente i canali con il telecomando. Sbadigliava e fissava la parete. Anche i muri dovevano essere ormai stufi di vederselo adagiato lì davanti: sembrava una mozzarella scaduta sul cuscino del sofà. Zull pensò che era il momento di intervenire e bussò alla sua finestra dicendo: «Vuoi girare la parete con quel telecomando? Ormai sei un tutt’uno con il divano. Sarai coperto di acari».

    Lodovico si stupì della visita inaspettata, anche perché nessuno passava mai a trovarlo. Farfugliò a zia Angelina di lasciare entrare Zull perché voleva mangiare una fetta di torta. La sua mente, senza televisione, sembrava atrofizzata sull’unico e solo pensiero della merenda.

    «Non sono qui per la torta. E ho già mangiato la pizza con la mortadella, non ti sei nemmeno accorto. Comunque avrei preferito un piatto di pasta di kamut o un hamburger vegetale» commentò accennando alla sua nuova dieta vegetariana.

    Lodo sbadigliava incessantemente, e ogni tanto si grattava qua e là.

    «Torta... Angelina, porta la torta!» diceva tediato mentre si grattava l’orecchio.

    «Sono allergico agli acari, ora che me lo fai notare... . Ecco perché mi gratto» bisbigliò.

    Zull lo osservava. «Ma quale allergia agli acari, è quello di cui ti abbuffi che ti fa male. Ma a tutto c’è rimedio: iniziamo con un po’ di movimento che ti farà bene per reagire e soprattutto per digerire» disse improvvisando due agili esercizi di qualche danza indonesiana. «E poi andiamo a fare due passi a Venezia, la città che vedi sempre nella pubblicità del mal di gola e che ti piace tanto».

    «Ma dai? esiste davvero quel posto in mezzo all’acqua? Mi piace è vero, ma non ho voglia di uscire e poi mi farà venire anche a me il mal di gola» disse scuotendo la testa e socchiudendo la bocca come un salmone norvegese.

    «Quel posto si chiama Venezia e se ti copri non ti verrà il mal di gola. Anche se l’aria sarà un po’ umida... ma almeno porti a spasso anche i tuoi acari, ti pare?»

    «E se mi viene il mal di gola cosa

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