Chi è la ragazza?
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Anteprima del libro
Chi è la ragazza? - Alan Magnetti
Prefazione
di Piero Chiambretti
Alan Magnetti è essenzialmente un sognatore, un visionario, un personaggio d’altri tempi, un idealista; insomma, un artista.
Suona, canta, scrive.
In questo romanzo Magnetti si fa trasportare dalla fantasia e dai suoi sentimenti.
Donald Karmam, il protagonista del romanzo, è lui: scapolo, sulla quarantina, una vita che gli va stretta, poi succede qualcosa.
Un sogno, guarda caso, lo trasforma, gli dà una nuova energia, lo illude.
Un sogno pari a un’ossessione lo trascina verso una nuova realtà parallela dalla quale è difficile uscire, riservandogli molte sorprese.
Leggendo il libro si ha la sensazione di vedere un film, una sceneggiatura che leggi tutta d’un fiato per vedere come va a finire, tifando per Donald/Magnetti, sperando che ce la faccia.
Un libro che racconta un viaggio intorno al concetto di sogno che deriva dal latino somnus, che significa sonno.
Sognare a occhi aperti è un detto molto diffuso, che dimostra come la gente ami i sogni anche se la percentuale che si realizzino sia molto bassa.
Il sogno, quando sembra vero, ci dà forza, ci illude, in qualche caso ci uccide, ma è democratico: si sogna a tutte le età, con qualunque colore di pelle, a qualsiasi longitudine e ceto sociale.
Alan Magnetti ci invita a sognare, ma ci avverte che può essere pericoloso.
Cesare Maldini, che la sapeva molto lunga, diceva: Evito di sognare. Ogni volta che ci provo, mi sveglio sbattendo la testa sul comodino.
Prologo
«Chi è la ragazza?»
«Quale ragazza?»
«Quella con il vestito azzurro.»
«Non so come si chiama.»
«Non la conosci?»
«Ho detto solo che non so come si chiama.»
Capitolo 1
Colazione
1.
Donald Karman si svegliò all’improvviso, gocce di sudore scivolavano sulla fronte raccontando qualcosa che non riusciva a capire. Si alzò immediatamente e corse in bagno come se fosse appena stato colpito da una scarica di diarrea, ma, invece di sedersi sulla tazza, si fermò davanti allo specchio. Rimase lì impalato. Poi cominciò a toccarsi le guance ispide di barba. Avvicinò la testa allo specchio per potersi guardare meglio. Sembrava che stesse contemplando il proprio viso per la prima volta, sembrava che stesse controllando che fosse tutto a posto. Il naso c’è, le narici pure. I capelli, anche se radi, ci sono ancora. Gli occhi azzurri, quegli occhi che sembrano gli occhi di un coniglio spaventato, sono ancora lì. Ed ecco, un’altra occhiata al nasone. È sempre lui, è sempre uguale. Il naso di un ebreo che non è un ebreo. E ancora, ancora... La fronte ampia, spaziosa, più giù le sopracciglia sottili. Il collo taurino...
Donald Karman si spogliò subito dopo essersi esaminato il viso. Voleva controllare il resto ed ecco... ecco le spalle strette, il ventre piatto, ma flaccido. Il petto glabro, le braccia magre. Ed ecco il pene, piccolo rispetto al resto del corpo. Ed ecco i piedi...
Donald Karman tornò in camera da letto, aprì il guardaroba, tirò fuori un completo grigio, una cravatta rossa e una camicia bianca. Si vestì lentamente, ancora con qualcosa di strano negli occhi, qualcosa che non aveva ancora controllato.
2.
«Vuoi ancora un po’ di latte papà?», chiese Donald sorseggiando del tè caldo.
«No, grazie figliolo», disse il vecchio che aveva di fronte, un uomo che da ottanta anni tutti chiamavano Philip Karman. Un vecchio alto e con pochi capelli. Lo stesso nasone del figlio, ma con un paio di baffetti grigi sotto le narici.
«Cough!»
Philip diede un colpo di tosse.
«Tutto bene papà?», chiese Donald.
«Cough! Cough! Cough!»
«Questa merda mi è andata di traverso!», sbottò Philip sbattendo la tazza sul tavolo.
Donald rimase in silenzio.
«Cough! Cough! Cough!»
E intanto il padre tossiva.
«Cough! Cough! Cough!»
Sembrava che non si sarebbe più fermato.
«Cough! Cough! Cough!»
Donald rimase immobile.
«Cough! Cough! Cough!»
Fissava suo padre.
«Cough! Cough! Cough!»
Fissava un vecchio che sembrava abbastanza malato.
«Cough! Cough! Cough!»
Ma forse non lo stava fissando affatto.
Già, e quando Philip smise di tossire e ricominciò a mangiare, Donald continuò a fissare lo stesso punto di prima. Continuò a fissare qualcosa che non riusciva a vedere.
Capitolo 2
lavoro
1.
Donald uscì dal palazzo verso le sette e trenta del mattino e subito fu invaso dal chiasso della città. Macchine che andavano avanti e indietro, odore di fritto, di smog e di qualcos’altro. Clacson che suonavano, passanti che correvano velocemente. E il cielo? Il cielo profondamente grigio. Donald si chiuse il cappotto marrone e si calcò bene il berretto sulla testa. Un berretto di lana arancione. Nuvole di vapore gli uscivano dalla bocca come timidi segnali di fumo. Si avviò lungo la strada mentre i clacson continuavano a suonare, mentre i passanti camminavano velocemente, mentre il cielo continuava a essere grigio.
2.
Donald camminava tenendo le mani in tasca, anche oggi aveva dimenticato i guanti. Camminava fissando l’asfalto, ignorando il cielo grigio, ignorando i passanti e le automobili che intasavano le strade. Donald fissava l’asfalto, ma sembrava che stesse osservando qualcos’altro. Qualcosa che non riusciva a capire.
3.
Smise di camminare solo quando si trovò davanti un palazzo, un grosso palazzo sede di uffici e assicurazioni. Fissò la lunga lista di nomi sui campanelli finché...
Milton corporation
...finché lo sguardo non si posò sul nome giusto e, a quel punto, pigiò sul campanello.
«Sì?», rispose una voce femminile al citofono.
«Sono Donald Karman.»
«Sali», disse la voce e subito dopo si aprì il portone principale del palazzo.
«Salve Donald», lo salutò il portiere, un uomo basso e pelato, vagamente somigliante a Danny DeVito.
Donald ricambiò il saluto con un distratto cenno della mano.
«Non prendi l’ascensore?», chiese il portiere-Danny-DeVito quando Donald si diresse verso la tromba delle scale.
«No», rispose Donald e cominciò a salire lentamente i gradini. Batuffoli di polvere sui gradini, tracce di fango, qualche pezzo di carta stropicciato.
Donald saliva i gradini lentamente e intanto fissava i batuffoli di polvere, fissava le tracce di fango, fissava i pezzi di carta stropicciati e, mentre li fissava, il suo sguardo sembrava puntato molto lontano.
Donald saliva i gradini e non vedeva i batuffoli di polvere, non vedeva le tracce di fango, non vedeva i pezzi di carta stropicciati. Donald fissava qualcosa che non riusciva a vedere.
4.
«Postazione numero quindici», le disse una ragazza bionda, una ragazza che sembrava molto più giovane di lui, porgendogli una cuffietta con microfono incorporato.
Donald annuì, diede una rapida occhiata ai primi bottoni della camicia della ragazza, una camicia lasciata aperta sul petto. Ma non stava fissando nemmeno lei. Donald stava cercando qualcos’altro.
5.
Donald entrò in un grosso stanzone pieno di postazioni telefoniche. Ce n’erano almeno duecento. Davanti a ogni postazione c’era un uomo o una donna con la stessa cuffietta che teneva in mano lui. Parlavano tutti velocemente, proponendo prodotti della Milton Corporation.
Donald s’incamminò tra le postazioni. Tutti parlavano al telefono e nessuno parlava con lui. Nessuno si accorse del suo arrivo. Non un cenno, non un saluto...
«Gentile signora la chiamo per proporle un nuovo prodotto della Milton Corporation...»
«Certo le faremo uno sconto dopo i primi due mesi...»
«Sì, signore, potrà recedere dal contratto quando vuole...»
«Quando intende fare l’ordinazione?»
«Come? Desidera fare un reclamo?»
...e, mentre quelle voci si accavallavano una sull’altra, Donald raggiunse la postazione numero quindici. Non la sua postazione, ma la postazione numero quindici, quella che gli era stata assegnata quel giorno.
Inforcò le cuffie e compose il primo numero dell’elenco che gli avevano dato.
«Pronto?», rispose una donna anziana.
«Parlo con la signora Corcoran?», esordì Donald con voce priva d’inflessione, una voce che non sembrava nemmeno sua.
«Sì, chi parla?»
«Sono Donald, della Milton Corporation, e ho un’imperdibile offerta per lei...»
E di colpo fu come se fosse diventato improvvisamente muto, di colpo fu come se fosse diventato qualcun altro. Qualcuno che non c’era.
Capitolo 3
Cena
1.
«Donald Trump è rientrato nella top ten degli uomini più ricchi del mondo. Auguri Donald! Siamo orgogliosi di te! Così ha detto Bill Gates ieri durante una conferenza stampa. Tutti hanno notato un certo sarcasmo nelle...»
«Bah! Stronzate!», grugnì Philip cambiando canale...
«Ciao, papà, sono contenta di essere tornata»
«Anch’io lo sono tesoro»
...e, mentre in un film appena iniziato una ragazza bionda parlava con Ed Harris (l’attore che interpretava la parte del padre), Philip fissò le immagini con malinconica attenzione.
Donald gli servì la minestra, senza dire nulla. Anche lui fissava la tv, ma non stava seguendo il film. Stava guardando qualcos’altro, qualcosa che probabilmente non c’era.
«Mi sei mancato papà, mi sei mancato tanto.»
«Anche tu piccola, anche tu...»
Philip cambiò di nuovo canale, sintonizzandosi nuovamente sul notiziario della CBS...
«E ora passiamo alla nostra rubrica, quella in previsione dei saldi di fine febbraio. Oggi abbiamo un collegamento con Boston. A te la linea Carl, come va da quelle parti? Vedo gente con dei pacchi in mano...»
«Margaret non viene mai», disse improvvisamente Philip e nei suoi occhi si liberò qualcosa, un misto tra malinconia e rancore.
«Ha tanto da fare papà. È una senatrice», disse Donald fissando la tv...
«Certo Marion, qui a Boston la gente va ancora in giro per le boutique. Manca un mese ai saldi, ma si sentono già nell’aria. La gente non ha dimenticato il piacere di regalarsi qualcosa. Ho qui con me una signora che...»
«Margaret non viene mai a trovare suo padre, ho una figlia che non viene mai a trovarmi. L’anno scorso non è venuta nemmeno a Natale...», continuò Philip fissando una donna in tv, una donna che raccontava al cronista che aveva comprato un braccialetto per la madre. Donald rimase in silenzio. Fissava la cicciona che parlava in tv. Una donna grassa con gli occhiali. Stupida trippona, pensò, come fai a non capire che tuo marito si scopa già un’altra!?
«È mia figlia», stava dicendo intanto Philip, «perché non viene a trovarci? Perché si vergogna di noi? Perché non siamo ricchi come quello stronzo di suo marito?»
«Calmati papà», disse Donald, «mangia la minestra prima che si freddi.»
Philip abbassò lo sguardo sul piatto come se si fosse accorto soltanto in quel momento che era ora di cena. Immerse il cucchiaio e, quando fu bello pieno, ciucciò il brodo come avrebbe fatto un bambino con il latte caldo. Donald finì la minestra e rimase in silenzio. Intanto il notiziario era finito e, mentre cominciava una puntata del David Letterman Show, Donald si alzò e posò il piatto vuoto nel lavello.
«Dovresti farti una ragazza», disse suo padre ciucciando il brodo che riempiva il cucchiaio.
«Sto bene così ,pa’», rispose Donald fissando la finestra.
«Hai quarantaquattro anni ormai, dovresti metter su famiglia», insisté Philip.
Donald non rispose, continuò a guardare fuori dalla finestra.
«Margaret non può avere figli e quel coglione di Seymour non vuole adottarne uno. Stupido riccone di merda!»
Donald continuò a guardare fuori.
«Cough! Cough! Cough!»
Non si voltò nemmeno quando suo padre cominciò a tossire.
«Cough! Cough! Cough!»
Donald era fuori dalla finestra, ma i suoi pensieri non erano lì.
«Cough! Cough! Cough!»
I suoi pensieri erano in un posto che non poteva raggiungere.
Capitolo 4
Risveglio
1.
«Chi è la ragazza?»
«Quale ragazza?»
«Quella con il vestito azzurro»
«Non so come si chiama»
«Non la conosci?»
«Ho detto solo che non so come si chiama»
2.
Donald Karman si svegliò all’improvviso, come ogni mattina e, mentre le gocce di sudore gli disegnavano qualcosa sulla fronte, abbandonò il letto e si diresse in bagno. Stavolta lo fece senza correre, forse con la consapevolezza di compiere un gesto inutile. Si fermò davanti allo specchio. Rimase immobile, come ogni mattina. Fermo come una fotografia scattata in un tempo troppo lontano per comunicare ancora qualcosa.
3.
Donald uscì dal palazzo verso le sette e ventinove del mattino e subito fu schiaffeggiato dalla confusione metropolitana. Le automobili si rincorrevano intasando le strade. Anche oggi odore di fritto, odore di smog e qualcos’altro. Clacson che rompevano i coglioni, passanti che correvano come gazzelle impazzite. E il cielo? Il cielo era sporco. Era sporco anche il cielo. Donald chiuse il cappotto marrone, si calcò il berretto sulla testa. Il solito berretto di lana arancione. Nuvole di vapore comunicavano qualcosa che non avrebbe capito accarezzandogli le labbra. Si avviò lungo la strada mentre i clacson rompevano i coglioni, mentre i passanti rincorrevano il tempo come gazzelle, mentre il cielo sembrava sempre più sporco.
Passò davanti alla chiesa e, senza fermarsi, fece il segno della croce.
Donald Karman stavolta non abbassò subito lo sguardo e questo bastò perché notasse qualcosa sul muro della chiesa...
Una scritta pitturata da qualche ragazzino...
Donald fece qualcosa che non faceva mai: si fermò. Donald si fermò e fissò la scritta...
Incredulo si strofinò gli occhi con le mani. Li chiuse momentaneamente e, quando li riaprì, la scritta non c’era più. Turbato si rimise in cammino.
Non può essere, pensò camminando velocemente, fissando l’asfalto come faceva sempre, sfuggendo agli sguardi di tutti. Fuggendo da tutto ciò che lo circondava.
Non può essere vero, si disse ancora, devo essermelo immaginato.
Si fermò davanti al palazzo dove lavorava e, cercando di cancellare quella scritta dalla mente, pigiò il solito campanello...
Milton corporation
«Sì?», rispose la solita voce femminile.
«Sono Donald Karman.»
«Sali», disse la voce, il portone principale si aprì.
Donald rivide quella scritta nella mente.
Non può essere, si ripeté per l’ennesima volta.
«Salve Donald», lo salutò il portiere, l’uomo basso che somigliava a Danny DeVito.
Non può essere, continuò Donald.
«Ehi, Donnie? Ti senti bene?», chiese il portiere perplesso.
«Sì, sì, sto bene, ero distratto», si scusò Donald. Dopodiché salì le scale come al solito, ma vedendo soltanto quella scritta che non doveva esserci.
4.
«Postazione numero cinquantuno», gli disse la ragazza bionda, quella molto più giovane di lui, porgendogli una cuffietta con microfono incorporato.
Donald annuì, diede un’occhiata alla scollatura della ragazza e, forse in mezzo ai seni, vide ancora quella scritta che non c’era.
«Postazione numero cinquantuno!», ripeté la ragazza irritata.
«Sì, sì certo», trasalì Donald afferrando la cuffietta.
«Che porco», mormorò la ragazza quando fu abbastanza lontano, ignorando che in realtà non l’aveva nemmeno guardata. Donald non l’aveva vista.
5.
Donald uscì dall’ufficio. Le sei e trenta del pomeriggio. Il cielo nero. La notte a gennaio a quell’ora era già arrivata da un pezzo. S’incamminò lentamente fissando l’asfalto, cercando qualcosa che non c’era e, quando fu in prossimità della chiesa, non alzò lo sguardo per farsi il segno della croce, aveva paura di rivedere quella scritta...
...quella che era ancora nella sua testa. Continuò a camminare a testa bassa, scacciando pensieri che non poteva capire finché...
«Ehi, bello!», finché una prostituta non l’afferrò per il cappotto. Indossava una pelliccia sintetica, una pelliccia rosa, aperta sul davanti. Sotto un babydoll lucido di latex nero. Due tette finte lo salutavano, ma Donald fissava soltanto la mano della ragazza sul suo cappotto.
«Ehi, bello? Ce l’hai la fidanzata?», lo incalzò la prostituta senza mollarlo. Aveva gli occhi verdi, grandi occhi da gatta e una parrucca rosa come la pelliccia. Donald la guardò imbarazzato, non voleva stare lì, voleva fissare l’asfalto come al solito. Voleva correre verso casa.
«Secondo me non ce l’hai», insisté la prostituta, «vuoi che te lo succhi? Sono brava a succhiare cazzi!»
La prostituta aveva azzeccato il congiuntivo, ma questo non bastò a calmarlo. Che gliene poteva importare? E, non appena la ragazza mollò il cappotto, Donald si mise a correre. Corse per un po’, sembrava turbato, ma quando giunse nei pressi del palazzo in cui viveva ritrovò la calma, riacquistò il solito sguardo. Lo sguardo di sempre: lo sguardo di qualcuno che non c’era.
Capitolo 5
Donald Trump è ancora nella top ten!
1.
«Salve gente, ho una grande notizia per voi: Donald Trump è ancora nella top ten! No, no. Non sto parlando della top ten dei più ricchi del mondo. Sto parlando della nostra top ten. Quella del David Letterman show! Yeah, baby!»
Philip sorrise e alzò il volume. Ogni sera dopo cena guardavano il David Letterman Show.
«I dieci motivi per cui Donald Trump dovrebbe rimanere per sempre nella top ten dei più ricchi del mondo. 10. Perché altrimenti potrebbe farsi fare un parrucchino peggiore...»
Risata del pubblico.
Philip sorrise di nuovo. Donald lavava i piatti