L'aquila di Teutoburgo
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Piceno, giovane esploratore al seguito del condottiero romano, si troverà coinvolto in una missione per riscattare l'onore di Roma che assume i toni di una vendetta personale. Una storia in bilico fra il dovere e i sentimenti, un’epica avventura nelle oscure selve della Germania.
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Anteprima del libro
L'aquila di Teutoburgo - Giovanni Melappioni
Giovanni Melappioni
L'aquila di Teutoburgo
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Indice dei contenuti
L’aquila di Teutoburgo
Antefatto
I
II
III
IV
V
VI
Epilogo
Gli altri titoli dell'autore
L'aquila di Teutoburgo © Giovanni Melappioni 2018
Tutti i diritti dell'opera appartengono all'autore
Illustrazione di copertina: BurenErdene Altankhuyag
Editing e impaginazione: Scriptorama Agenzia Letteraria
L’aquila di Teutoburgo
Maestos locos vusuque ac memoria deformis
Tacito – Annales, I, 61
Antefatto
9 d.C., foresta di Teutoburgo . Territorio dei Cherusci. Secondo giorno di battaglia.
Si aprirono un varco fra i nemici in direzione della foresta, sfruttando l’impeto e la sorpresa. Ben presto le fronde frustarono i loro elmi e graffiarono le braccia. Nonostante la ferma resistenza della natura e degli dèi di quella terra selvaggia, continuarono a spingersi avanti, aprendo una via dove nessun cives aveva mai osato camminare. I loro respiri erano ansiti di angoscia, cuori e polmoni sembravano sul punto di scoppiare, stritolati dal terrore. La speranza, là in mezzo, era rarefatta quanto l’aria.
Un lungo grido attraversò le ombre. Ferali risposte si alzarono come echi a quel richiamo di morte. Gelò il sangue della colonna e fece arrestare di colpo i due muli con le vettovaglie. Lucio Livio Servio imprecò urtando l’animale che si era piantato di fronte a lui. Il legionario Petreio prese a colpire le bestie con tutta la forza che aveva ancora nelle braccia. Le batteva con l’energia della disperazione, perché quella delle membra era appena sufficiente a farlo restare in piedi.
«Non c’è tempo. Proseguiamo!» ordinò Claudio Sabino.
«Centurione primipilo, posso farli muovere. I bagagli ci serviranno.»
«No. Dobbiamo andarcene subito e contare su ciò che riusciremo a trovare usciti di qui.»
L’optio Nevio, zoppicando, si avvicinò a Petreio e gli posò una mano sulla spalla. Era pallido e con le spalle incurvate come nessuno l’aveva mai veduto prima. Insieme uccisero i muli con due precisi colpi. L’optio crollò a terra quando l’animale si accasciò, aggrappato all’arma che gli aveva piantato fra le scapole. Servio e Petreio lo aiutarono a rialzarsi ma sembrò loro di sollevare un sacco di granaglie e non l’uomo che aveva formato decine di giovani, trasformandoli da reclute in odore di probatio in milites disciplinati e ardimentosi. Tutta la forza di Nevio era scivolata lungo le membra e si era mescolata al terreno umido dell’aliena foresta. Quando, infine, riuscirono a voltarlo, gli occhi sbarrati non stavano guardando il loro stesso mondo. Erano rivoltati all’indietro, vitrei. Petreio lo accarezzò dolcemente. Un altro amico da piangere e un uomo da sostituire nello schieramento, per quel che potesse servire.
«Petreio, sarai il nostro optio» disse rivolgendosi all’uomo al suo fianco.
«Giusto in tempo per morire.»
«Aiutami a radunare gli uomini. Cerca i decani e unisci i contubernia che hanno subito perdite.»
«Sì, Servio.»
Marciarono per quella che poteva essere un’ora, valutò Servio basandosi sulle sue sensazioni: non c’era modo di stabilirlo con esattezza sotto quell’ancestrale intreccio silvestre. Metà del tempo era giorno, l’altra notte, all’infinito. Petreio era tornato con il computo dei sopravvissuti alla ritirata ordinata da Claudio Sabino poco prima dell’alba.
Avevano distrutto una barricata e massacrato i difensori che non si aspettavano la loro sortita proprio in quel punto. Qualcuno dei germani doveva aver deriso la fuga di un’intera coorte che lasciava scoperto quel fianco della legione. Se solo avessero saputo, pensò Servio. Ma forse ormai sapevano, si disse alzando lo sguardo verso l’alto. Le grida che li avevano atterriti erano divenute voci, grugniti di inseguitori e furtivi movimenti che facevano frusciare il fogliame e tendere i nervi. Per il momento si limitavano a seguirli, ma presto avrebbero attaccato. Loro invece non potevano far altro che correre per i successivi due giorni, tanto distavano il confine e la salvezza.
Improvvisi si levarono cinque brevi suoni di corno. Era il segnale di fermarsi e tenere la posizione. Cosa stesse accadendo avanti, dove non aveva visuale, poteva solo immaginarlo. Vide il signifer portarsi al centro di quella formazione sempre più instabile e piantare a terra la sua asta.
«Petreio!»
«Eccomi, Servio.»
«Si combatte. Tenere la posizione in formazione da battaglia.»
«Sì.» Esitò un istante. «Onore e gloria, Servio.»
«A te, possano gli dèi osservare la nostra gloria.»
Claudio Sabino, il centurione primipilo e loro comandante de facto, passò in rassegna la coorte, valutando la compattezza e la resistenza dei ranghi.
«Fare cerchio!» gridò. I centurioni e i decani ripeterono l’ordine. Gli optiones controllarono che la formazione non si frammentasse in mezzo agli alberi. Gli scudi dovevano essere puntanti verso l’esterno dello schieramento, ma non era semplice orientarsi se non si riusciva a vedere pochi piedi oltre il proprio naso. I ranghi impiegarono molto più tempo di quanto fosse normalmente tollerato prima di riuscire a compattarsi in maniera adeguata.
Intorno all’insegna della coorte vennero radunati i feriti e i non combattenti. Servio non si era reso conto di quanti fossero fino a quel momento; tanto era disperata la situazione nell’ultimo accampamento di Varo che alcuni dovevano aver abbandonato la famiglia e i figli, oltre alle proprie mansioni, per gettarsi insieme all’unità di Sabino verso un destino ignoto ma migliore del