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Leges et statuta Communis Cartrani
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E-book273 pagine3 ore

Leges et statuta Communis Cartrani

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Info su questo ebook

Questo volume presenta al pubblico gli statuti cinquecenteschi del Comune di Caltrano (Vicenza): fonte normativa, fino ad oggi inedita, che ha definito per secoli la vita di questa comunità pedemontana nei suoi aspetti amministrativi, civili ed economici.
LinguaItaliano
Data di uscita12 dic 2014
ISBN9788884497024
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    Anteprima del libro

    Leges et statuta Communis Cartrani - Alan Sandonà

    Presentazione

    Ricordo benissimo il giorno in cui Alan Sandonà, presentandosi in Municipio con una copia degli antichi statuti del 1543, propose alla nostra amministrazione di collaborare al recupero delle norme e alla loro trascrizione al fine di conservare per i posteri una traccia importante della storia del Comune di Caltrano. In realtà l’opera qui contenuta, grazie alla straordinaria dote di analisi e di studio e alla notevole capacità espressiva dell’autore, rappresenta ben più di quanto inizialmente veniva proposto.

    Oltre alla preziosa ed encomiabile attività di ricerca e di analisi sul testo degli Statuti il saggio raccoglie infatti anche una parte narrativa di inquadramento storico e di analisi del contesto che aiuta il lettore, anche il meno esperto di diritto, a comprendere il valore e il significato di questo insieme di norme e di precetti che in tal epoca regolamentava l’uso ed il rispetto delle proprietà e l’utilizzo dei beni demaniali a Caltrano. Un’opera che alla fine ritengo di enorme spessore non solo per il suo valore scientifico e per la raffinata ricerca storico giuridica contenuta, ma anche e soprattutto perché svela e sintetizza davvero in maniera semplice e nel contempo dettagliata la storia di un territorio che attraverso metodi e regole di convivenza umana e sociale ha saputo trovare, sin dal medioevo, i corretti equilibri a garanzia di una pace sociale e di un equo sfruttamento di quelli che oggi potremo chiamare i beni comuni, nonché della giusta salvaguardia dei diritti di proprietà individuale.

    Dal saggio di Sandonà emerge davvero un spaccato della storia di Caltrano di cui possiamo essere orgogliosi, che esalta le radici della nostra terra e che in qualche modo aiuta oggi a riscoprire il senso di appartenenza ad una comunità nella quale esistono tuttora delle tradizioni e delle consuetudini che sarebbe auspicabile venissero conservate e tramandate per non far venir meno, appunto, quel senso di comunità che rende vivibile e ricco un territorio, indipendentemente dalle forme e dalle strutture amministrative che lo regolano.

    Ringrazio Alan Sandonà per questo dono che ha fatto a Caltrano tanto più perché il saggio è ricco di citazioni e di riferimenti che fungono da stimolo ad ulteriori ricerche e approfondimenti che speriamo qualcuno avrà la buona volontà di affrontare in futuro a beneficio del patrimonio storico letterario del nostro Comune.

    Ringrazio infine tutti coloro che hanno reso possibile la pubblicazione e la stampa del presente saggio: la Regione Veneto e i diversi sostenitori che han creduto e collaborato al progetto.

    Marco Sandonà

    Sindaco di Caltrano

    Madonna con santo guerriero. Affresco conservato nella sala consiliare del municipio di Caltrano (XVI- XVII sec.)

    Tavola delle abbreviazioni ricorrenti

    b./bb. = busta/buste

    c. /cc.=carta/carte

    fasc. = fascicolo

    p./pp. = pagina/pagine

    r.= recto

    v. = verso

    § = paragrafo

    A.S.Vi. = Archivio di Stato di Vicenza.

    A.S.Ve. = Archivio di Stato di Venezia.

    A.P.C.= Archivio Parrocchiale di Caltrano.

    B.C.B. = Biblioteca Civica Bertoliana di Vicenza.

    A.T.= Archivio Torre presso la Biblioteca Civica Bertoliana di Vicenza.

    S.C. = Statuti di Caltrano (1543).

    Ogni altro archivio o fondo archivistico utilizzato è stato indicato per esteso.

    Introduzione

    L’edizione in forma anastatica di una fonte statutaria corredata di apparato critico e di una trascrizione in lingua italiana del testo, quale è quella presentata qui degli Statuti di Caltrano del 1543, oggi più che in passato, è opera intelligente di coloro che la promuovono, la curano e la portano a compimento, in grado di farsi apprezzare per il coraggio e la lungimiranza che la connota e che merita dunque di essere opportunamente sottolineata.

    L’iniziativa rivela infatti, con immediatezza, una sensibilità, oggi più frequente di quanto non si creda almeno nei comuni piccoli e medi del nostro Paese, verso la storia e le radici della propria comunità di appartenenza, i cui itinerari storici vengono avvertiti come parte dei propri e destinati ad incrociarsi con quelli personali di coloro che in quella comunità si riconoscono per origine o per acquisizione.

    L’edizione degli Statuti di Caltrano rivela in modo particolarmente significativo questi caratteri.

    Già la dedica del curatore dell’edizione, Alan Sandonà, al padre del padre, ultimo della sua famiglia a nascere a Caltrano, innesta nel lavoro del ricercatore una componente di radicamento personale che non ne altera la scientificità ma che costituisce, invece, un significativo valore aggiunto ad uno studio delle fonti delle comunità territoriali che non intenda limitarsi ad un esercizio di archeologia giuridica, ma che realizzi una strategia di rafforzamento della consapevolezza della nostra storia come componente essenziale di un’esperienza matura e responsabile del proprio presente.

    Il saggio introduttivo mette in luce un carattere della fonte statutaria edita che appare singolarmente coerente con la prospettiva testé sottolineata, ossia quello di precipitato normativo di regole tradizionali destinate ad esprimere forme di solidarietà collettiva […] primo embrione del comune medievale. Sicché, come bene sottolinea Sandonà, gli statuti oltre a costituire un prezioso materiale per la ricostruzione del diritto consuetudinario del pedemonte vicentino ed anche un insostituibile strumento per la comprensione dei sistemi di gestione delle proprietà collettive, e, quindi, di quei diritti fondamentali per la comunità, che saranno […] detti ‘usi civici’, rappresentano un fedele specchio del contesto storico e sociale di una comunità che ha fondato la propria sussistenza sul possesso di beni collettivi e sulla tutela della piccola proprietà; la cui intima logica […] è proprio la necessità di tutelare e disciplinare razionalmente […] lo sfruttamento delle risorse agro-silvo-pastorali della comunità, in una forma che argutamente il curatore non esita a definire sostenibile[1].

    Le norme che compongono il testo statutario, dunque, esprimono assai bene la qualità loro di regole frutto dell’autodeterminazione della comunità rurale e danno conferma del fatto che l’affermazione Le droit ne domine pas la société, il l’exprime, con la quale Jean Cruet fissava lapidariamente il gioco delle relazioni fra potere, norme e società civile nel lontano 1908[2], costituisce una formula diretta ad esprimere innanzitutto una rappresentazione della realtà, piuttosto che volta a presentare un modello di funzionamento del diritto coerente con un ideale antiformalistico.

    Nella ricostruzione del diritto contenuto negli Statuti di Caltrano, Sandonà segue perciò le linee di una vicenda esemplare (una vicenda come tante altre che hanno segnato la storia dell’Italia e dell’Europa e proprio per questo esemplare del percorso di crescita della società occidentale), quella del processo di formazione e di consolidamento delle comunità cittadine e rurali nell’età medievale e in quella moderna, condotto sui principî di solidarietà, di esercizio responsabile della libertà personale e di forme sostenibili dello sviluppo.

    Il quadro che ne emerge consente di configurare gli Statuti di Caltrano come insieme di norme di lunga durata, caratterizzato da una visione realistica dei rapporti personali tra gli appartenenti alla comunità e tra costoro ed il signore del feudo, e da forme di convivenza atte a consentire la realizzazione di un diritto in atto costantemente sensibile alle istanze di giustizia presenti nella comunità: si badi, non perché rappresentazione di mondo ideale, avulso dal contesto storico nel quale quelle norme vennero progressivamente a formarsi per trovare alla metà del Cinquecento la loro sanzione formale, piuttosto (ed anzi al contrario) come espressione di un mondo solidamente reale: fu per negoziare il rapporto "con il dominus loci, per quantificare le prestazioni dovutegli, per poter disporre dei propri beni, e, ancora, per intervenire nell’uso di quelle comuni; insomma, per trovare un equilibrio tra gli opposti interessi" del signore e della comunità, che gli uomini della comunità di fatto elabora[ro]no progressivamente le basi di quella di diritto.[3]

    La fonte statutaria pone perciò innanzi ai nostri occhi, con vivacità singolare, il vissuto della gente di Caltrano con tutta la forza dei problemi e delle questioni che segnano i piccoli aggiustamenti del quotidiano degli appartenenti ad essa: è quel vissuto che, al contempo, contribuisce a disegnare efficacemente quel territorio e quelle forme di convivenza civile che i suoi discendenti hanno ricevuto in eredità e delle quali hanno ancora oggi la custodia.

    Alla preziosità di un’edizione che meritatamente contribuisce alla diffusione di un testo manoscritto altrimenti destinato allo studio ed all’apprezzamento di una cerchia limitata di specialisti, il ribaltamento normativo di simili tracce della vita civile della comunità di Caltrano (tracce che il saggio introduttivo bene mette in adeguata luce), aggiunge il valore, tutt’altro che marginale, proprio di una documentazione storica che, attraverso la filigrana delle regole di convivenza di una comunità rurale, consente al lettore di oggi di conoscere l’esperienza di una comunità solidamente ancorata all’impiego accorto delle risorse che il proprio territorio forniva alle capacità di utilizzo dei suoi abitanti. Si tratta di un ammaestramento di non scarso significato anche per gli uomini di oggi.

    Alberto Sciumè

    GLI ANTICHI STATUTI DI CALTRANO[4]

    I. Cenni introduttivi.

    II. Caltrano al tempo degli statuti.

    III. Struttura formale, collocazione nel sistema delle fonti del

    diritto vicentino del XVI secolo e contenuto delle regole.

    I. CENNI INTRODUTTIVI

    Nell’ottobre del 1543 Antonio dalla Valle, savio del comune di Caltrano, si recava a Vicenza, presso la magistratura dei deputati ad utilia, per esporre all’autorità cittadina gli statuti della propria comunità e chiederne la formale approvazione[5].

    I quarantaquattro capitoli costituenti l’articolato della fonte furono esaminati uno ad uno dalla commissione dei revisori; e tutti furono "laudati", con l’eccezione dell’ultimo, che prevedeva in favore degli abitanti del comune un diritto di prelazione in caso d’alienazione di beni mobili od immobili da parte dei convicini. Veto rilevante, sul cui significato avremo modo di tornare in seguito[6].

    Il documento esibito ai nobili doctores ed equites vicentini riuniti nel Palatio Communis e trascritto in calce alla delibera d’approvazione dal notaio addetto all’ufficio[7], nei mesi precedenti era stato predisposto ad hoc da uno o più sapientes delegati dal comune pedemontano ed approvato in presenza di almeno due terzi[8] degli homeni di Caltran riuniti in "pubblica et generalis convicinia"[9].

    È facilmente intuibile come tale atto dovesse costituire un evento di grande importanza per la comunità rappresentata; così come, in fondo, lo è oggi per la ricostruzione della sua storia civile e sociale[10].

    Impetrando a Vicenza l’approvazione dei propri "statuta", infatti, la comunità caltranese poneva le condizioni per consolidare in forma scritta le norme che avrebbero continuato a reggerla ed a disciplinarne la vita fino al tramonto dell’ancien régime[11]. Fino a quando, cioè, le campagne napoleoniche in Italia, vettori efficienti (e dotati di mezzi convincenti) dei valori filosofici fatti propri dalla Rivoluzione, decretarono, quantomeno su un piano formale[12], la fine di un plurisecolare sistema istituzionale e giuridico[13]. Sistema che, certo, già da tempo versava in un profondo stato di crisi[14], ma che non poteva sopravvivere all’urto delle nuove concezioni filosofiche del potere politico e della legge: unitario e monolitico il primo; fonte esclusiva del diritto, la seconda; l’uno e l’altra, diretto prodotto di quell’assolutismo giuridico che la storiografia ha identificato come tratto peculiare dei sistemi giuridici continentali contemporanei[15].

    A.S.Vi., Catasto napoleonico Mappa napoleonica di Caltrano. Copia dei caseggiati orti e giardini del 1813, ff I e II (particolari). Su concessione n. 4 del 24/09/2014, prot. n. 2864 del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, Archivio di Stato di Vicenza.

    Sul piano tassonomico la fonte in commento è riconducibile al novero degli statuti rurali[16]: tipica espressione normativa delle comunità di villaggio[17] che, nella pluralistica esperienza giuridica del diritto comune, si inserisce a pieno titolo nell’eterogeneo genus degli iura propria[18]. Diritti (in senso oggettivo), questi ultimi, che sono espressione dell’autonomia degli ordinamenti giuridici territoriali e personali affermatisi in età medievale: autonomia nei confronti di un universo istituzionale superiore – governato dallo ius commune, appunto – dal quale ciascuno di essi si diversificava e nella cui orbita, nondimeno, si riteneva inserito[19].

    Le fonti statutarie in genere[20], peraltro, in quanto diretta espressione di un ben definito ente, sono quelle che più lo rappresentano e che meglio possono istruirci sulla natura e le radici di esso.

    Se si considera che i capitoli componenti lo statuto in commento[21] costituiscono verosimilmente la trasposizione di usi normativi tramandati ab immemorabile, in forma orale, nel seno alla comunità caltranese - ossia delle norme che, per secoli, ne hanno definito la vita nei suoi aspetti amministrativi, civili ed economici - ben si comprende come esse abbiano spiccata attitudine a renderne con fedeltà il modo d’essere (o, meglio, il modo che, per secoli, ha consentito a tale comunità di essere)[22].

    Non è difficile comprendere che l’esercizio dell’autonomia dei comuni rurali fosse assai limitato[23] e si estrinsecasse in termini e per fini molto diversi rispetto a quelli delle città che, con maggiore o minore intensità, li captavano nella propria area d’influenza[24].

    M. Schongauer, Der ausgang zum Markte, Incisione. ca. 1470/1475.

    La preoccupazione dominante in tali organismi era del resto quella di impedire gli arbìtri, di cristallizzare, con fini garantistici, le prestazioni tradizionalmente dovute al dominus loci (quale che fosse)[25], di regolamentare la gestione dei territori destinati all’uso collettivo (composto soprattutto di pascoli e di boschi)[26] e tutelare i beni personali degli abitanti.

    Problemi elementari - quanto esiziale era tuttavia il trascurarli - che da sempre le comunità rurali avevano avuto; e che da sempre avevano cercato di risolvere in via consuetudinaria[27], con norme che, a partire dal basso medioevo, con fini certificativi, tesero a fissare in regole di natura pubblicistica attraverso lo strumento giuridico degli statuti.

    L’origine di molte delle norme che troviamo consolidate in forma scritta nelle leges et statuta del 1543 è dunque certamente più remota[28]. E, se v’è prova documentale dell’esistenza e funzionalità del comune di Caltrano almeno dal 1202[29], può congetturarsi che le norme materiali relative alla gestione dei beni comuni, alle corvée imposte ai capifamiglia, ai vincoli di responsabilità famigliare e collettiva, così come gli obblighi di partecipazione alla liturgia pubblica, siano ben più risalenti[30]; per tacere, poi, di quelle relative ai c.d. "danni dati" che potrebbero essersi tramandate sin dall’alto medioevo, con le naturali variazioni che un così lungo lasso di tempo di necessità comporta.

    Per contenuti e struttura, infatti, questo ultimo gruppo di regole presenta fortissime analogie con gli apparati di composizione pecuniaria tipici delle leges langobardorum e di quelle germaniche in genere[31]; e, del resto, la tesi della loro riconducibilità alle "fabulae inter vicinos" citate dall’Edictum Rhotari del 643[32] e da questo accostate alla consuetudo loci in materia di emenda del danno cagionato da bestiame è ben nota alla storiografia[33]. È, del resto, un fatto che in veneto, ancora nell’XI secolo, alcune fonti qualifichino come fabula vicinorum le deliberazioni dei convicini[34] e che in alcune carte di regola trentine, fonti troppo simili a quelle alto vicentine per non presupporre una comune origine culturale, "fabula sia utilizzato quale equivalente di regola"[35].

    La tesi di una remota formazione consuetudinaria di tali norme, del resto, è coerente con le vicende storiche della comunità pedemontana vicentina dall’alto medioevo in avanti.

    Da una lato la scarsa urbanizzazione e la consistente immigrazione germanica comportarono il precoce collasso delle strutture pubbliche ereditate dal tardo antico[36]; dall’altro l’assenza, o quantomeno la distanza, del potere politico, consentì l’affermazione, a partire dai secoli X ed XI di signorie fondiarie, prima ecclesiastiche[37], poi laiche[38], esercitanti un potere di districtio di carattere pubblicistico sui residenti (prestazioni obbligatorie, chiamate nelle fonti angerie, factiones, ecc.).

    Chiesa di S. Giorgio. Caltrano.

    E fu proprio grazie al contatto con un potente espresso quotidianamente, tanto in forme legali come nell’abuso o nel sopruso, che gli uomini della comunità di fatto elaborano progressivamente le basi di quella di diritto. Fu quindi per negoziare il rapporto con il dominus loci, per quantificare le prestazioni dovutegli, per poter disporre dei propri beni, e, ancora, per intervenire sull’uso di quelli comuni; insomma, per trovare un equilibrio tra gli opposti interessi del signore e della comunità insediata sulle sue terre (o sulle terre divenute sue), che si svilupparono tra quelle genti le forme di solidarietà collettiva che sono il primo embrione del comune medievale; crogiolo nel seno del quale prenderanno forma, in modi e tempi diversi, anche regole tradizionali (sia di diritto privato che di diritto penale e processuale) che permeeranno la cultura locale fondendo gli eventuali

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