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Il commissario Febbraio e il caso dell'albergo Malpighi
Il commissario Febbraio e il caso dell'albergo Malpighi
Il commissario Febbraio e il caso dell'albergo Malpighi
E-book144 pagine1 ora

Il commissario Febbraio e il caso dell'albergo Malpighi

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Info su questo ebook

Un nuovo albergo viene aperto in una piccola città e subito si trova al centro di una misteriosa vicenda. Il commissario Febbraio, insieme ai suoi due preziosi collaboratori, guida l'indagine a ritmo serrato tra mille colpi di scena, falsi indizi e personaggi improbabili. Riuscirà a trovare il bandolo della matassa e venire infine a capo del mistero?
LinguaItaliano
Data di uscita24 feb 2019
ISBN9788832525748
Il commissario Febbraio e il caso dell'albergo Malpighi

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    Anteprima del libro

    Il commissario Febbraio e il caso dell'albergo Malpighi - Vito Maria Di Bona

    ascensori

    I

    «Pronto? Sono Giuseppe De Bernardis. Posso parlare col commissario Stefano Febbraio?»

    Questa voce uscì con forza dal telefono vivavoce.

    «Sono io. Che è successo?»

    «Ciao, Stefano! Giovedì ho intercettato una comunicazione privata tra il sindaco e l’albergatore Malpighi. Te la farò avere al più presto.»

    La linea cadde d’improvviso con un clic.

    Nel pomeriggio il commissario Febbraio era nel suo ufficio un po’ annoiato a leggere vecchie carte. Il collega di stanza, l’ispettore Fabio Perelli, guardava il muro come a cercare di ricordare qualcosa e poi ritornava a tamburellare distrattamente i polpastrelli sul suo smartphone nuovo.

    «E così, commissario, stasera andrà a quella festa?»

    «Sì, non vedo l’ora! Non hanno invitato il sindaco, forse perché lo ritengono responsabile di tutto quel che è successo. In ogni caso, lui lo conosco già. Invece vorrei conoscere il nuovo albergatore e so che lo hanno invitato…»

    «L’albergatore di cui si vocifera molto sui giornali locali. Ha aperto l’albergo solo una settimana fa, sabato scorso, e già lo hanno preso a cuore: se ne sono proprio innamorati, eh!» concluse ironicamente l’ispettore, che, in men che non si dica, tornò a fissare lo smartphone.

    «Non riesco a leggere tutti i messaggi, povero me! Era meglio se mi tenevo quello vecchio, che ormai conoscevo a menadito.»

    «Eh, ispettore! Le piace cambiare sempre quel coso pur di avere in mano l’ultimo ritrovato in materia di tecnologia, e poi non sa bene le cose… si confonde… Non fa per lei, lasci perdere!»

    «Però… però per noi investigatori è utile leggere i messaggi contenuti in questi cosi. Ricorda cosa è successo qualche giorno fa?»

    «Si riferisce all’uomo trovato cadavere sulla spiaggia, vero?»

    «Sì, quello! Pensi a quanto le sarebbe stato utile leggere gli ultimi messaggi scambiati dall’uomo prima di morire. Peccato che non avesse telefoni moderni con sé!»

    «Be’, ispettore, devo ammettere che le indagini sarebbero state molto più semplici. A volte queste diavolerie tecnologiche sono d’aiuto, sì, altre volte però complicano le cose.»

    «Quindi» proseguì l’ispettore cambiando discorso «vedrà l’albergatore più tardi.»

    D’un tratto prese uno dei tanti giornali sparsi sulla sua scrivania e lo sollevò colpendolo col palmo della mano. «Questo…» aggiunse «questo dice che quell’albergo è un’attività di copertura di affari poco puliti, che al suo interno… mi dia il tempo di trovare il punto… che al suo interno… Bah, non trovo il punto adesso. Comunque, si parla di qualcosa che riguarda anche la fabbrica di armi…»

    «Sì…» ribatté il commissario «qui ormai la chiamano tutti così. Il nuovo sindaco ha permesso la costruzione di quegli impianti industriali dove si producono armi. Per questa ragione mi hanno spedito qui, a Castólfo.»

    Diede un’occhiata all’orologio a muro: «Sono le diciotto. Alle venti chiudiamo e vado di corsa a quella festa. L’hanno intitolata Le armi voi le fate, noi ce le mangiamo

    «Bello questo motto!» esclamò Perelli.

    «Sì, protestano contro la fabbrica di armi. Poi domattina sono invitato all’incontro del movimento politico che si oppone alle armi… Lì, in quel piccolo teatrino… Dovrebbe esserci un’attivista del movimento che spiegherà le sue ragioni.»

    «Quel movimento, caro commissario Febbraio, ha preso molto piede in zona e ora la fabbrica di armi gli ha dato una buona occasione per le loro rimostranze.»

    «Vedremo, Perelli, vedremo… Io intanto stasera sarò lì…»

    «Un corpo all’albergo Malpighi⁈»

    «Sì, commissario, l’hanno appena ritrovato in una stanza» confermò l’agente.

    Erano le sette di mattina e Febbraio era già in ufficio a quell’ora, malgrado la notte precedente fosse stato a quella festa fino a oltre la mezzanotte.

    «Dove posso trovare l’ispettore Perelli e l’agente Sorgu?»

    «Non sono ancora arrivati, signor commissario.»

    «Pelandroni! La domenica mattina vengono sempre in ritardo, preferiscono starsene a letto anziché venire a lavorare! Sta bene, andrò da solo a piedi, tanto il Malpighi è vicino. Fuori c’è un po’ di vento, ma non sarà di certo lui a fermarmi.»

    Si gettò addosso un giaccone grigio e corse via.

    II

    Il commissario giunse in albergo alle sette e un quarto. Sulla porta d’ingresso incontrò l’albergatore Federico Malpighi, che aveva conosciuto le sera prima alla festa contro le armi.

    «Oh, chi si rivede?» disse lui. «Il nuovo commissario di Castolfo!»

    Il poliziotto gli strinse la mano: «Ben trovato! Ho saputo tutto: mi dispiace.»

    «Son cose brutte. Ma, prego, entriamo.»

    I due varcarono le porte scorrevoli d’ingresso, prima una e poi l’altra, e si trovarono nella sala d’accoglienza: a sinistra c’era il banco con gli addetti sorridenti dietro, di fronte invece la porta che conduceva alle stanze, segnalata da un cartello posto in cima, munito di freccia rossa.

    Malpighi salutò cordialmente gli addetti all’accoglienza, poi si girò verso il commissario indicando cerimoniosamente la porta sotto la freccia rossa. «Prego, da questa parte!»

    Entrarono dunque in un vano con due ascensori sulla destra e sulla sinistra una porta antipanico, di quelle con un grande maniglione a mezza altezza.

    «Dove si va per quella porta?» domandò il commissario.

    «Alle scale che portano ai piani, ma noi, se non le dispiace, prenderemo l’ascensore. Uno è guasto… prenderemo l’altro.»

    «Va bene! Quindi si può andare ai piani sia per l’ascensore sia per le scale.»

    «Sì, volendo uno può prendere le scale…»

    Frattanto Malpighi premette il pulsante di fianco alla porta dell’ascensore per chiamarlo. Pochi istanti dopo, la porta si aprì e dentro c’era una donna anziana, con un buffo cappello bianco in testa, che prontamente venne fuori.

    «Oh, la signora Carlomagno! Le presento il nuovo commissario.»

    La donna subito gli strinse la mano accennando un inchino: «Piacere di conoscerla, signor commissario!»

    La porta dell’ascensore si richiuse.

    «Come si chiama?»

    «Febbraio… Stefano Febbraio. Il piacere è tutto mio.»

    «Scommetto che è venuto per quello che è successo stanotte… per l’omicidio, insomma.»

    «Proprio così, signora» confermò Febbraio.

    «Che bell’uomo che è! Con quei capelli tutti neri!»

    «Grazie. Ma ora saliamo.»

    «Come ha detto che si chiama?»

    «Stefano Febbraio.»

    Malpighi richiamò l’ascensore, che subito si aprì. Mentre entrava, si girò verso la signora Carlomagno: «Lei viene con noi?»

    «Sì, con voi.»

    La donna, reggendosi il cappello con le mani, si introdusse nell’ascensore. Il commissario la seguì stando un passo dietro.

    «È qui per la questione di stanotte?» chiese la signora Carlomagno un po’ incupita nel volto.

    L’ascensore partì.

    «Sì, mi hanno avvertito poco fa e mi sono precipitato.»

    «Qua è pieno di telecamere: difficile fare qualcosa senza essere notato» osservò la signora con tono lamentoso.

    L’albergatore, che fino a quel momento era rimasto in silenzio, interloquì stupito: «Ma è anche per la vostra sicurezza, quella di tutti i clienti. È vero, commissario?»

    «Certo, la sicurezza è importante per tutti, non lo dite a me!» rispose con un sorriso.

    L’ascensore si fermò al primo piano e la signora scese salutando con la mano i suoi improvvisati, ma piacevoli, compagni di viaggio. L’ascensore riprese subito a salire.

    «Simpatica la signora Gina Carlomagno!» disse l’albergatore.

    «Molto, anche se un po’ smemorata.»

    «Eh, a una certa età…»

    L’albergatore rise.

    «Eccoci al terzo piano. Prego, commissario, usciamo!»

    La stanza in cui arrivarono presentava di fronte — dal punto di vista di chi esce dall’ascensore — la porta, semiaperta, col maniglione antipanico; e a destra una grande apertura. La moquette del pavimento era di un bel grigio chiaro.

    «Le mostro qualcosa dell’albergo» disse Malpighi. «Questo vano rettangolare, dove terminano le scale e dove c’è l’uscita degli ascensori, noi lo chiamiamo vano ascensori

    «Quindi siamo nel vano… ascensori» disse Febbraio come riflettendo tra sé e sé. «Uno però è guasto, mi ha detto…»

    «Sì, il vecchio proprietario l’ha lasciato così: dovrei farlo riparare a breve.»

    Poi, dopo aver indicato la grande apertura alla loro destra, riprese: «Prego, da questa parte, commissario, mi segua. Lì comincia il corridoio del terzo piano, su cui danno le varie stanze. La 351 è quella che ci interessa di più.»

    Mentre il poliziotto muoveva i primi passi nel corridoio, da lontano gli venne incontro una ragazza in lacrime: «Lei è il nuovo commissario?»

    «Sì, che è successo?»

    «Non pianga, signorina!» disse Malpighi. «Racconti con calma cosa è successo.»

    «Allora,» esordì la ragazza «cercherò di stare calma.» Si asciugò le lacrime con la manica della camicia e ricominciò a parlare, sforzandosi di respirare lentamente. «Vedete i tre vigili del fuoco lì in fondo?» e li additò discretamente voltandosi indietro. «Ho dovuto chiamare i vigili del fuoco perché sfondassero la porta. Ho dovuto, commissario! Non sapevo che fare! Ho sentito un forte odore!» e piangeva.

    Febbraio la rassicurò: «La prego, signorina. Adesso è troppo agitata, ne parliamo dopo.»

    Si avviò veloce lungo il corridoio, verso la squadra di vigili del fuoco, seguito a breve distanza da Malpighi. Strinse la mano ai vigili.

    «Benvenuto, commissario» disse il terzo vigile. «Il cadavere è ancora nella 351.»

    «Voglio vederlo.»

    Giunto nella stanza 351, il commissario vide il corpo supino, disteso sulla moquette color crema del pavimento, con gli occhi aperti come se guardasse

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