Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Desiderio d'infinito
Desiderio d'infinito
Desiderio d'infinito
E-book436 pagine5 ore

Desiderio d'infinito

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Desiderio d'infinito è l'esposizione di un personale e rivoluzionario pensiero riguardante i perché ultimi, che sono sette: il passivo, l'attivo che è composto di fine o in ultima analisi di persona, di esistenza e di diversità (quest'ultima è composta di paterno, materno e filiale), tutti finalizzati alla persona. È una ricerca nuova che si oppone e completa quella tradizionale dei filosofi occidentali, che fa risalire la radice della morale, della conoscenza e dell'azione alla persona.
LinguaItaliano
Data di uscita29 mar 2019
ISBN9788831613217
Desiderio d'infinito

Leggi altro di Pier Giovanni Fabbri

Autori correlati

Correlato a Desiderio d'infinito

Ebook correlati

Filosofia per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Categorie correlate

Recensioni su Desiderio d'infinito

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Desiderio d'infinito - Pier Giovanni Fabbri

    633/1941.

    PREFAZIONE DELL’AUTORE

    Via online con Youcanprint Self-Publishing, nel 2013 ho pubblicato Desiderio d’infinito , che è il frutto dei miei anni di studio e d’insegnamento. Ho inteso confrontarmi con filosofi e studiosi contemporanei nella speranza di poter verificare, approfondire e precisare il mio pensiero con chi lo avesse voluto.

    Le risposte critiche non sono state molte, a dire il vero, ma son state per me sufficienti e mi hanno aiutato molto in questo compito.

    Il valore culturale del mio impegno lo lascio giudicare, come è giusto, ai lettori.

    Stando nell’alveo del realismo moderato, ho cercato una via verso l’Essere che sfuggisse a ogni contraddizione.

    Mi auguro che le mie meditazioni e il mio personale cammino verso l’Essere siano di aiuto a quanti procedono in tale direzione.

    Intanto ripeto i miei ringraziamenti agli esperti che mi hanno risposto e che hanno arricchito e stimolato il mio pensiero con le loro osservazioni spontanee. Soprattutto ringrazio Angelo T., Curzio C., Fabio G., Rodolfo Z., Antonio L. e Maurizio M.

    In questa riedizione, mi è sembrato cosa buona cambiare anche i titoli dei capitoli, in modo che potessero essere meglio compresi dal maggior numero di lettori, come mi è stato suggerito dagli illustri professori su citati e da altri lettori, inoltre, sempre per il medesimo motivo ho eliminato nel testo il più possibile termini specialistici.

    Mi è sembrato opportuno sintetizzare al massimo i primi tre capitoli dal momento che il loro contenuto è compreso in modo dettagliato nei volumi già pubblicati¹, senza trascurare uno scopo del presente volume che è porgere un manuale o guida pratica a quanti cercano di rispondere ai perché ultimi della vita, cioè: chi è l’Essere, come lo posso raggiungere, chi sono io, chi mi ha creato e dove andrò; oltre a costituire il mio testamento spirituale.

    Le parti che narrano il mio cammino verso la conoscenza dell’essere e di me stesso sono rimasti identici: 1) essere e divenire, io sono e divengo; 2) divenire logico, conosco con le conoscenze globali; 3) sono una persona.

    Chiedo scusa se nel testo uso il plurale, ma ho scelto il plurale perché il mio pensiero non è solo mio ma di tutti i filosofi dai quali ho attinto ciò che mi sembrava vero. Li ritengo, perciò, di fatto dei co-autori, anche se non ho chiesto loro il permesso.

    ___________________

    ¹ Cfr. P.G. Fabbri, Posso parlare con te dell’Essere? , Youcanprint, Tricase (LE), 2015. Posso conoscere in modo globale? , Youcanprint, Tricase (LE), 2016. Cose e animali a mia somiglianza? , Youcanprint, Tricase (LE), 2017. Sono a immagine dell’Essere infinito? , Youcanprint, Tricase (LE), 2017.

    INTRODUZIONE

    «Noi non cesseremo l’esplorazione

    E la fine di tutte le nostre ricerche

    Sarà di giungere là dove siamo partiti,

    E conoscere il luogo per la prima volta».

    T.S. Eliot

    "Desiderio d’infinito è un tentativo

    nella concretezza del nostro amore

    e delle cose, di intuire Dio Trascendente ".

    P. G. Fabbri.

    Frutto di anni di intenso studio affiancato all’insegnamento, Desiderio d’infinito va ad aggiungersi ai precedenti lavori dell’autore, volti a scavare in profondità nei più reconditi recessi dell’Io, tra filosofici percorsi di conoscenza dell’Essere e di scoperta (ma anche ri-scoperta) di se stessi.

    Desiderio d’infinito è un vero e proprio cammino interiore che Fabbri invita a iniziare per poter meglio comprendere anche la realtà che ci circonda e quindi riuscire ad avere un approccio più consapevole a essa.

    Il pensiero dell’autore, figlio di una ricca ed eterogenea formazione culturale, va a intrecciarsi – come tanti fili d’argento in una tela – con quello di altri filosofi e studiosi della materia, con i quali il testo si confronta sovente e grazie ai quali lo stesso pensiero dell’autore viene così approfondito e verificato.

    La peculiarità di questo testo è che, pur essendo comunque una lettura abbastanza di nicchia, riesce, grazie allo stile e al linguaggio adottato, a essere godibile anche per chi certi concetti non li mastichi abitualmente.

    È anche una sorta di sprone a riprendere in mano testi di filosofia per rispolverarne i termini più usati, in modo tale da poter beneficiare ancora di più di un ragionamento autoriale che non si fa mai dogmatico ma, anzi, resta sempre moderato e pacato.

    Laddove il lettore non esperto si trovasse disorientato da un linguaggio che talvolta diventa molto tecnico, riuscirà comunque, con un po’ di approfondimento e ricerca personale, a riallacciarsi ai discorsi dell’autore che comunque stuzzicano un certo appetito intellettuale e una considerevole curiosità verso un modo così elegante e ricercato di esprimersi.

    ​Seppur Fabbri ci voglia mostrare una «via verso l’Essere che sfugga a ogni contraddizione», l’assenza di categoricità o di postulati indiscutibili, permette al lettore di ragionare con calma e arrivare in maniera autonoma e non forzata a una conclusione su un argomento molto personale e spesso spinoso.

    Desiderio d’infinito costituisce anche, come lo stesso autore tiene a precisare nella sua introduzione, un vero e proprio testamento spirituale personale. Ma come è possibile raggiungere una verità che possa essere assoluta? Qual è la differenza tra essere ed Essere, tra conoscenza soggettiva e mera oggettività dei fatti?

    Proseguendo nella lettura di Desiderio di infinito ci si addentra in una sorta di labirinto dell’Essere, attraverso opposizioni ed esempi grazie ai quali si riusciranno a comprendere dati reali e oggettivi che forse, a causa di un diverso approccio, non si era stati in grado di estrapolare.

    Si tratta di una vera e propria esplorazione di un territorio estraneo e incontaminato, solo conservando una certa capacità di apertura verso il nuovo si potrà comprendere al meglio il lungo dialogo che l’autore vuole instaurare con i suoi lettori.

    Desiderio d’infinito è come un pellegrinaggio durante il quale ciò che realmente conta non è la meta ma il viaggio in sé, la capacità di meravigliarsi di nuovo e apprendere concetti a volte sconosciuti, a volte ostacolati dai processi razionali e restrittivi entro i quali ci ingabbiamo.

    PRIMA PARTE

    Io sono e divengo

    Con l’espressione: io sono e divengo, descriviamo molto bene il cammino che ogni uomo percorre nella conoscenza di se stesso: è essere che diviene. Partiamo da questa esperienza fondamentale che ogni uomo fa, prima o poi, nell’arco della sua vita utilizzando la conoscenza del buon senso e la logica comune.

    CAPITOLO PRIMO

    Posso parlare con te dell’Essere?

    Prima di dire che noi siamo un essere, dobbiamo confrontarci onestamente su che cosa è l’essere presente in ogni ente e in noi. Trovata l’identità dell’essere che è in noi, dobbiamo verificare se è in grado di farci parlare dell’Essere assoluto. In altre parole, dobbiamo verificare se anche l’Essere assoluto è un essere come lo siamo noi o se lo è in modo totalmente diverso. Gli unici strumenti a nostra disposizione sono l’evidenza immediata e il principio d’identità, perché sono delle conoscenze immediate sulle quali si basano tutte le altre.

    Sezione prima

    L’evidenza immediata e il principio d’identità

    Sosteniamo che l’evidenza immediata è l’unica possibilità che abbiamo per poter raggiungere la verità assoluta, non-reformabile e indubitabile. Essa è la capacità del soggetto conoscente di cogliere senza mediazioni, senza intermediari e quindi direttamente, la realtà.

    È una forma di conoscenza che coinvolge il soggetto nel suo vissuto concreto e storico, rendendolo un testimone immediato e diretto del contenuto della propria conoscenza, soggettiva e oggettiva. È l’inizio di ogni conoscenza e quindi è un cominciamento assoluto.

    Per questo diventa la base, la prova e la fondazione definitiva di ogni verità. Infatti, l’evidenza immediata può essere fondata o provata da una dimostrazione negativa e da una testimonianza positiva. Per la prima, mette in luce le conseguenze negative o contraddittorie nell’eventualità che uno negasse la verità raggiunta. Per la seconda, mostra e testimonia che raggiunge di fatto verità assolute, certe, obiettive, inconfutabili, indubitabili e irreformabili, accanto a verità relative, che possono anch’esse essere certe. Questa evidenza immediata la chiamiamo intrinseca per distinguerla da quella estrinseca che si ha sia per fede sia con il ragionamento induttivo e deduttivo, utilizzando verità più note o già note (chiamata anche interferente).

    Ora mostriamo, indirettamente e direttamente, la validità dell’evidenza immediata. a) Prova indiretta . L’evidenza immediata se venisse negata, porterebbe allo scetticismo che renderebbe impossibile ogni vita e conoscenza. b) Prova diretta . L’evidenza immediata è una verità assoluta, certa, obiettiva, inconfutabile, indubitabile e irreformabile, infatti, viene riaffermata nel momento stesso in cui uno la nega, perché la sua stessa negazione può aver valore solo se l’evidenza immediata è valida.

    Tuttavia, la stessa evidenza immediata testimonia spesso che cadiamo nell’errore, anzi, fra noi umani dissentiamo in modo contraddittorio su moltissimi punti importanti. Siccome l’errore è un dato certo, dobbiamo spiegare come mai ciò succede e ci spinge a ricercare il criterio assoluto per raggiungere la verità ed evitare gli errori. Per raggiungere tale criterio, potremmo partire da ogni nostra conoscenza, ma noi partiamo da una conoscenza che si applica a ogni ente, reale o logico, e quindi iniziamo da una conoscenza assoluta, cui si riducono tutte le conoscenze, nessuna esclusa, e che chiamiamo essere indeterminato².

    a) Prova diretta . Abbiamo sottoposto la verità globale da noi scelta a un attento esame critico. Abbiamo raggiunto una verità assoluta, non-reformabile, indubitabile, imprescindibile, non negabile, valida per tutte le conoscenze e, cioè, ogni conoscenza s’identifica con se stessa. Se s’identifica con se stessa, vuol dire che testimonia, per evidenza immediata, l’esistenza di un principio valido per sé e per ogni conoscenza. Tale principio manifesta che ogni realtà e sua relativa conoscenza è uguale a se stessa e distinta dalle altre, pena la sua nullificazione. Lo chiamiamo principio d’identità. Dunque il principio d’identità costituisce il principio primo e quindi il criterio generale per raggiungere e verificare ogni nostra conoscenza.

    b) Prova indiretta . Il principio d’identità è il punto di partenza per ogni riflessione e ricerca: se uno non intuisce, per evidenza immediata, perciò senza alcuna mediazione, la validità di tale principio per ogni sua conoscenza e per ogni suo giudizio, è inutile ogni discussione, ogni parola, ogni discorso e ogni ragionamento: si cadrebbe nello scetticismo. Il principio d’identità è una verità assoluta, certa, obiettiva, inconfutabile, indubitabile e irreformabile, infatti, viene riaffermato nel momento stesso in cui uno la nega, perché la sua negazione può aver valore solo se il principio d’identità è valido.

    È questa la nostra testimonianza soggettiva, certa e sincera. Tutto il nostro pensiero è retto sul principio d’identità colto nell’evidenza immediata.³ Dal principio di identità parte il pensiero umano: non si tratta di vuota espressione nella sua genericità, ma della base e del pilastro da cui parte ogni nostra conoscenza.

    Un nostro Lettore, però, a questa conoscenza dell’essere indeterminato che manifesta la validità del principio d’identità, ha posto una triplice contestazione: 1) la prima riguarda la validità dell’evidenza stessa; 2) la seconda riguarda la contraddizione fra essere e il nulla; 3) mentre la terza riguarda la contraddizione dell’essere e del divenire. Prima di procedere è necessario considerare attentamente queste obiezioni, perché, trattandosi dell’inizio di ogni nostra conoscenza, tutto ciò che poniamo o escludiamo all’inizio del nostro conoscere, non potremmo più inserirlo e lo escluderemmo per sempre nella nostra interpretazione del reale.

    Articolo primo

    Validità dell’evidenza stessa

    Il nostro interlocutore sostiene che l’evidenza immediata è un’ingenua e preconcetta convinzione d’identità fra pensiero ed essere non più accettabile: "La presunta identità – fra essere e pensiero – (è) raggiunta per necessità logica. […] (inoltre, l’andare) ‘Verso le cose stesse!’ ⁴ è una bella utopia filosofica (che può essere superata solo se si entra in una) ‘prospettiva teofanica’, piuttosto (in un) dialogo di soggetto e oggetto, scilicet, ermeneutica. Infatti, intuire l’essere – secondo il nostro lettore – è intuirlo a vuoto ".⁵ Riteniamo invece, che l’evidenza immediata e il principio d’identità riguardino tutto l’essere e ogni sua parte, per cui tutto l’essere e ogni sua parte è verificabile appieno con questi due principi e lo proviamo indirettamente e direttamente.

    a) Prova indiretta . Costatiamo che l’opinione contraria non ha prove e si contraddice. Non ha prove, perché il motivo che porta consiste nel fatto che l’uomo è soggetto all’errore. Se l’uomo è certo dell’errore, significa che può raggiungere almeno questa verità assoluta, proprio in base all’evidenza immediata e al principio d’identità. Si contraddice, perché ammette la verità della sua asserzione basandosi implicitamente sul principio d’identità. In una parola, si contraddice e rende la vita impossibile e preda delle contraddizioni dello scetticismo.

    b) Prova diretta. Lo proviamo anche direttamente, mostrando che di fatto possiamo raggiungere, con l’evidenza immediata e con il principio d’identità, almeno una prima conoscenza indubitabile: l’essere è e non è il nulla. Tale conoscenza manifesta per evidenza immediata che l’essere è se stesso, è identico a se stesso, non è il nulla, cioè, manifesta ed è il principio d’identità stesso. Di conseguenza il nostro Lettore si contraddice quando sostiene e afferma, con convinzione, che intuire l’essere è vuoto e nel contempo afferma che l’essere è piuttosto ermeneutica e dialogo interpersonale , affermando implicitamente che l’essere (per il principio d’identità) è ermeneutica! Perché l’evidenza immediata e il principio d’identità quando intuiscono l’essere come ermeneutica e il soggetto che dialoga non sono ingenui, invece quando intuiscono l’essere, lo fanno a vuoto e sono ingenui? In base all’evidenza immediata e al principio d’identità, anche noi pensiamo che l’essere è un dialogo all’interno di se stesso e all’esterno con gli oggetti e con altri soggetti coi quali è in relazione essenziale. Proviamo queste asserzioni proprio in base all’evidenza immediata e al principio d’identità o non-contraddizione che, quindi, non sono un’ingenua e preconcetta convinzione d’identità fra pensiero ed essere non più accettabile, ma l’unica via a nostra disposizione per stabilire se è vera la prima ipotesi o falsa la seconda.

    Ci sembra, quindi, fondata la nostra evidenza immediata unita al principio d’identità come l’unico mezzo per valutare, se l’essere indeterminato sia una conoscenza globale o assoluta alla cui luce si potrebbero raggiungere tutte le conoscenze. Anzi il principio d’identità s’identifica con essere, tanto che da alcuni viene chiamato principio dell’essere. Infatti, l’essere, è espresso attraverso varie formulazioni linguistiche equivalenti: L’essere è = l’essere è essere = l’essere è e il suo non-essere non è = l’essere non è il suo non essere = l’essere è e il suo nulla non è = l’essere non è il suo nulla = il nulla è non essere = l’essere è ciò che è o/e che può essere = l’essere è ciò che è o/e che può essere e che s’oppone al suo nulla = l’essere è ciò che è e/o che può essere e il suo nulla non è = l’essere è il suo poter essere e si oppone al suo nulla , ecc.

    Queste frasi esprimono l’identità dell’essere indeterminato, sia con termini positivi sia con termini negativi e sono delle chiare tautologie. Giacché, ciascuna frase esprime ogni verità, ogni pensiero e ogni possibilità, che in qualche modo sono essere, altrimenti sarebbero nulla. Ne consegue che se tutte le frasi s’identificano con essere, significa che il principio d’identità s’identifica con essere e che viene chiamato con nomi diversi a seconda delle formulazioni dell’essere stesso espresso con termini positivi o negativi equivalenti.

    Precisando, ogni formulazione di cui sopra, espressa in termini positivi, per evidenza immediata mette in luce l’identità dell’essere, cioè che ogni ente (reale o pensato, logico e reale, adeguato o inadeguato, ecc.) è identico a se stesso. Ne consegue che, per evidenza immediata, mette in luce il principio primo dell’essere, chiamato principio d’identità.

    Invece, la formulazione espressa in termini negativi, per evidenza immediata, mette in risalto la non-contraddizione dell’essere, cioè l’essere non è il nulla. Ne segue che per evidenza immediata mette in luce la seconda formulazione del principio dell’essere, che chiamiamo principio di non contraddizione.

    Se poi mettiamo insieme le due precedenti formulazioni, dell’identità e della contraddizione, esprimiamo nel medesimo tempo la sua identità e la sua contraddizione e affermiamo che fra essere e nulla non si può dare una via di mezzo . Per evidenza immediata mettiamo in luce la formulazione del terzo principio dell’essere che chiamiamo principio del disgiuntivo.

    Si tratta di un unico principio con tre sfaccettature equivalenti, che mettono in luce l’identità, la contraddizione e la disgiuntività del medesimo essere. L’identità, la contraddizione e la disgiuntività fra loro si distinguono solo logicamente, e il principio d’identità, perciò, è unico e presenta tre diversi modi logici di esprimersi. Per seguire il modo comune di chiamarlo lo chiamiamo principio d’identità, anche se con più precisione lo si dovrebbe chiamare principio dell’essere.

    Riteniamo, da quanto detto, che si tratta di una conoscenza adatta per iniziare il nostro cammino orientato a conoscere l’ente determinato, compreso Dio, senza incorrere in pregiudizi e preconcetti e senza precludere o escludere alcuna soluzione. L’onere di dimostrare il contrario spetterebbe a chi sostiene la teoria opposta, ma risulta un’impresa per chiunque impossibile se prima si nega addirittura l’unico mezzo, cioè il principio d’identità, per mostrare qualsiasi cosa!

    Articolo secondo

    Non contraddizione fra essere e il nulla

    Il medesimo Lettore non si arrende e ci fa notare che nelle nostre espressioni dell’essere indeterminato (L’essere è, il suo non-essere non è, ecc. ) noi usiamo il termine nulla e l’opponiamo all’essere. Allora il nostro dice che se l’essere indeterminato (cioè ogni singolo ente finito e infinito, logico o reale, ecc.) è ciò che è , non può opporsi al nulla. Infatti, se si oppone al nulla vuol dire che il nulla lo nega. Ma se lo nega s’incorre in un’aporia che segna seriamente, negativamente e in modo radicale l’impianto del nostro riflettere e argomentare. Ogni nostra riflessione e argomento inciampa nell’antinomia o aporia parmenidea e rende il principio d’identità un mero flatus vocis . Giacché, se il nulla è un qualcosa, allora è essere e s’identifica con l’essere, direbbe Parmenide. Se invece l’essere ha bisogno del nulla per affermarsi nella sua indefettibile positività, allora non si può opporre all’essere, perché per opporsi deve essere qualcosa, ma se è qualcosa, è già essere. La contraddizione è elementare e palese.

    Non si esce dall’aporia neppure ponendo l’opposizione/negazione del nulla da parte dell’essere come distinzione reale interna all’essere stesso . Infatti, l’essere opponendosi al nulla, inteso come realtà, si negherebbe in se stesso divenendo nulla, ma si contraddirebbe. In una parola, rimarremmo aporeticamente parmenidei nel nostro punto di partenza e inficeremmo l’intero nostro pensiero ontologico: Ribadisco (dice il nostro Lettore) insomma che a mio modo di vedere, su questo piano l’asserto: l’essere è e non è nulla, è mero flatus vocis, gioco linguistico senza ancoraggio alla realtà dei fatti .

    Sempre il nostro Lettore, a conferma del suo pensiero, cita Massimo Donà, che ribadisce sostanzialmente la stessa analisi critica conducendola con ulteriore radicalità.

    Alle osservazioni del nostro lettore rispondiamo che noi, con evidenza immediata intuiamo il principio d’identità, infatti, ogni ente è quello che è ed è come si presenta. Contemporaneamente intuiamo, nell’evidenza immediata alla luce del principio d’identità, che il nulla non esiste, essendo privazione di essere, cioè è non-essere, non è, non è un qualcosa. Dunque l’evidenza immediata ci presenta il principio d’identità e contemporaneamente ci invita a intuire e a distinguere solo logicamente l’essere in sé dal nulla: il nulla non esiste in sé, ma nel soggetto. È un suo termine negativo che gli è utile per esprimere l’essere stesso, come si ha nelle espressioni il nulla non è, l’essere non è il suo nulla, l’essere non è il suo non-essere, ecc. Sosteniamo che i termini esistenti solo nella mente, sono termini logici. Il nulla non esiste, ma è un ente presente solo nel soggetto conoscente come suo strumento conoscitivo.

    Non troviamo strano, quindi, che il termine nulla, inteso come termine logico e conoscitivo, sia uno strumento logico negativo e non sia un qualcosa di esistente a sé stante. Se è così, fra i termini essere e nulla, non c’è alcuna opposizione reale né contraddizione reale né relazione reale, ma solo logica: siamo, cioè, nel campo dell’espressività logica.

    Stando così le cose, Donà si è esercitato in un mero e immane gioco linguistico senza ancoraggio alla realtà dei fatti , e giunge all’identificazione di essere e nulla! Il nulla non è, quindi, una cosa esistente, ma un suo termine logico che fa parte del linguaggio. Invece l’essere, sia indeterminato che determinato, è tutto positivo, senza mescolanze con il nulla, anche se espresso in termini negativi e con un linguaggio negativo, pena la sua contraddizione. Per concludere, anche secondo il nostro parere, il cominciamento è aporetico , ma solo logicamente e non realmente.

    Il problema, quindi non è ontologico, ma di linguaggio. Infatti, un ente logico non esiste per se stesso, ma in un ente conoscente come suo aspetto che lo può aiutare quale ottimo strumento conoscitivo a indicare e non esprimere l’essere, purché il termine nulla non venga ontologizzato, cioè pensato come una cosa . C’è perfetta identità fra l’essere è = il suo nulla non è ecc., ma è diversa solo la forma espressiva. Sono espressioni tautologiche, non delle contraddizioni e l’aporia da loro espressa è logica e non reale. Il nulla appartiene all’espressività logica dell’essere e per questo viene chiamato ente logico, ma non è essere e non è in grado di instaurare una dialettica reale nell’essere, bensì solo logica.

    Questa nostra risposta però non convince il nostro Lettore che la ripropone sotto nuova forma nell’analisi del divenire.

    Articolo terzo

    Non contraddizione fra essere e divenire

    La contestazione del nostro Lettore viene suggerita da Severino Emanuele, che riflette anche lui sull’opposizione assoluta tra essere e non-essere voluta da Parmenide ([…] è infatti l’essere, il nulla non è ). Severino ritiene che solo l’essere è, solo l’essere rimane costantemente uguale a se stesso ed evita di rimanere alterato dall’altro da sé. In altre parole, l’essere è la totalità di ciò che esiste e, perciò, non può esserci il divenire.

    A noi sembra che il discorso di Severino rileghi ogni divenire nella coscienza che appare mutevole, ma che in realtà non diviene e non passa dal nulla all’essere. Al momento, la nostra preoccupazione non è quella di affrontare il problema del divenire, ma di assicurarci che il nostro punto di partenza non implichi che il divenire reale sia un passaggio dall’essere al nulla, infatti, in tale caso effettivamente cadremmo in una contraddizione insanabile.

    A nostro parere, il discorso di Parmenide che l’essere s’oppone realmente al nulla, da cui parte Severino, è una soluzione basata su una sua scelta preconcetta di realismo esagerato e soggettivo. Parmenide, suo malgrado, oppone l’essere al nulla come due realtà esistenti. Pare che non consideri che il nulla sia una realtà solo logica, come abbiamo visto prima. Con tale concezione inficia ogni soluzione del divenire che diventa un passaggio contraddittorio tra due realtà opposte dall’essere al non essere . Invece noi pensiamo che la nostra espressione dell’essere indeterminato l’essere è ciò che è o che può essere e che si oppone al nulla non indica un passaggio fra essere, poter essere e nulla, ma un modo logico di indicare l’essere stesso. Per cui l’espressione l’essere è ciò che è o ciò che può essere e che si oppone al nulla , esprime tre uguali definizioni dell’essere stesso: l’essere è ciò che è = ciò che può essere = che si oppone al nulla . Siccome queste identità s’identificano, sono tautologie che non possono esprimere alcun passaggio reale, per cui l’essere indeterminato nelle sue formulazioni non è realmente contraddittorio o aporetico ed esprime un divenire logico e non reale. Il divenire reale andrà ammesso e spiegato a suo tempo e lo faremo nella prima parte al capitolo terzo di Desiderio d’infinito , cui rimandiamo. Al momento, siamo certi che il divenire, contenuto implicitamente nelle formule dell’essere indeterminato non è un passaggio dall’essere al nulla, ma un passaggio logico, pena la validità della nostra evidenza immediata e del principio d’identità. Ci sembra di aver superato la difficoltà legata al divenire e possiamo proseguire la strada intrapresa nella fondazione del nostro conoscere.

    La conclusione cui dobbiamo giungere non è il negare l’evidenza immediata e il principio d’identità, ma ricercare e scoprire il criterio pratico e assoluto di verità, che ci permetta di riconoscere e verificare se ogni nostra conoscenza è vera o falsa, soggettiva o oggettiva, reale o logica, ecc. Ma prima ci sembra opportuno precisare il contenuto del principio d’identità.

    Sezione seconda

    Contenuto del principio d’identità

    Il principio d’identità o principio dell’essere è il più noto, giacché sorge dalla conoscenza di ogni essere, colto nell’evidenza immediata. Ogni dimostrazione e processo conoscitivo ha valore solo se esso è valido. Se lo si nega, si incorre nelle contraddizioni dello scetticismo.

    Il principio d’identità colto per evidenza immediata, è una conoscenza semplice, ma anche complessa. Infatti, certifica in modo inconfutabile e ineludibile, queste molteplici verità: che l’essere si manifesta e appare; che l’essere è identico a se stesso e non si contraddice; che ogni ente è se stesso e non è l’altro; che il nulla è un ente logico e non reale; che il divenire non è un passaggio dall’essere al nulla viceversa; infine, lo vedremo nelle pagine seguenti, che il soggetto fa emergere la propria identità persino nel dubbio e nell’errore. In una parola, il principio d’identità ci può permettere di raggiungere delle verità indiscutibili alla cui luce il soggetto può verificare ogni sua conoscenza dell’essere.

    Il principio d’identità fonda queste e tutte le altre verità. Lo possiamo cogliere in ogni atto conoscitivo. Non è frutto di conclusioni logiche richieste da qualche altro principio, ma è frutto della visione immediata in ogni realtà e in ogni verità. Quindi il principio d’identità, costituisce un criterio generale per stabilire quando ogni realtà contemplata dal soggetto debba ritenersi vera e oggettiva.

    Tuttavia, tale certezza del principio d’identità è negata da tanti pensatori, che si appellano alla presenza del dubbio e dell’errore nella nostra conoscenza. Questa loro negazione del principio d’identità non può togliere la validità del principio d’identità che rimane il punto di partenza per ogni riflessione e ricerca, perché è intuito senza mediazione ed è innegabile, affermandosi nel dubbio e nella negazione stessa. Quindi, usando del principio d’identità, possiamo procedere nella nostra ricerca per: 1)precisare l’estensione del criterio di certezza mostrando che la realtà esterna al soggetto esiste e che è conoscibile; 2) trovare il criterio pratico e generale di ogni verità, dal momento che ci imbattiamo nell’errore; 3) infine giustificare l’errore e il limite.

    Articolo primo

    Il principio d’identità mostra che la realtà esterna al soggetto esiste ed è conoscibile obiettivamente

    Abbiamo già mostrato che l’evidenza immediata e il principio d’identità sono il criterio generale di ogni nostra conoscenza. Lo abbiamo mostrato sia indirettamente che direttamente. Ciononostante la storia del pensiero umano presenta un’indefinita varietà di opinioni spesso contrastanti. Inoltre, osservando la nostra esperienza abbiamo costatato le molte volte in cui ci siamo sbagliati, anche in punti sostanziali ed essenziali, mentre eravamo sicurissimi del contrario. Infine, quante volte abbiamo modificato, corretto e aggiustato il nostro pensiero. Questa situazione esige che dobbiamo ricercare il criterio pratico, ultimo e universale di certezza che sia in grado di distinguere le certezze dalle non-certezze. Infatti, in tal caso ci è indispensabile un criterio pratico che ci garantisca l’uso corretto dell’evidenza immediata e del principio d’identità stesso, che sono i criteri generali o universali di ogni verità. Noi abbiamo individuato tale criterio universale e pratico di certezza nella persona, ma prima ci sembra opportuno verificare, sempre alla luce del principio d’identità e dell’evidenza immediata, se la nostra certezza si rivolga anche alla realtà esterna, cioè se è obiettiva e conoscibile o solo soggettiva e pensabile.

    Con questi strumenti possiamo già valutare quanto Kant e gli idealisti dicono circa l’esistenza della realtà esterna a noi. Essi sostengono al riguardo che possiamo avere soltanto certezze interiori – causate dai nostri stati di coscienza concepiti da noi stessi – magari prodotte in un momento inconscio per spiegarne la passività con cui si presentano. In altri termini, chi ci garantisce l’esistenza della realtà esterna a noi e ancor più che la possiamo conoscere?

    Nell’ipotesi idealista, il mondo da noi conosciuto, invece di essere di ordine fisico esterno a noi, potrebbe essere di ordine ideale e il conoscere potrebbe consistere nel costruire, da parte del soggetto, il suo mondo di rappresentazioni interiori, vere, certe e apodittiche, ma soggettive che ci permetterebbero di raggiungere solo delle pure possibilità non corrispondenti agli enti che riteniamo posti fuori di noi!

    Valutando la soluzione dell’idealismo (e di quanti s’ispirano alla sua concezione), costatiamo che è senza prove, se non quella dell’esistenza dell’errore. L’idealismo riduce l’estensione del principio d’identità a fatti della coscienza, di conseguenza tutto è opera del soggetto. Soluzione romantica e affascinante, ma non ci sembra l’unica soluzione possibile.

    La realtà esterna al soggetto certamente esiste, secondo Kant, tuttavia sarebbe inconoscibile; sarebbe pensabile, ma non oggettiva (cioè, non esistente fuori di noi).

    Ci fermiamo e consideriamo di nuovo la nostra conoscenza alla luce dell’evidenza immediata e del principio d’identità sia direttamente che indirettamente, per mostrare con i seguenti argomenti che la nostra conoscenza è anche oggettiva, cioè riguarda una realtà esistente fuori di noi.

    1) Indirettamente: costatiamo che, se il principio di causalità non fosse valido, come sostiene l’idealismo, incorreremmo nella contraddizione di dover ammettere l’esistenza del noumeno per il principio di causalità, negando poi la sua validità e applicabilità nell’ambito della conoscenza umana. Inoltre sarebbe una conclusione acritica riduttiva del valore della nostra conoscenza, che porterebbe allo scetticismo.

    2) Direttamente: conosciamo dei noumeni in modo indubitabile attraverso le loro manifestazioni. Infatti, per evidenza immediata alla luce del principio d’identità, ognuno può cogliere in modo indubitabile le seguenti certezze:

    a) La sua esistenza e in essa la sua identità, nei suoi atti di pensare, di sbagliarsi, di agire, di

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1