Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Storie dell'ispettore Marzio Bruschi: Maizena e L'Oro dei Loti
Storie dell'ispettore Marzio Bruschi: Maizena e L'Oro dei Loti
Storie dell'ispettore Marzio Bruschi: Maizena e L'Oro dei Loti
E-book188 pagine2 ore

Storie dell'ispettore Marzio Bruschi: Maizena e L'Oro dei Loti

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Marzio Bruschi, come tanti altri uomini delle forze dell'ordine, è protagonista discreto e testimone ostinato di tante storie, che ogni giorno accadono nei luoghi più diversi della nostra policroma Italia. Dalle vie trafficate di una Roma congestionata nell'ora di punta ai boschi silenziosi d'Abruzzo, dagli studi superbi dei manager aziendali alle bettole di periferia, Marzio è sempre lì, protagonista, mai dominante, discreto direttore di un'orchestra di uomini e donne che tessono, giorno dopo giorno, su un ordito di buone intenzioni, una trama di passioni amare. Maizena e L'Oro dei Loti, raccontano i primi passi nella carriera del giovane Marzio, uno fra i tanti uomini e donne che ogni giorno, nei luoghi più disparati d'Italia, scruta attento la scena dove altri uomini e donne interpretano la storia delle proprie vite.

L'Autore: Fabrizio Pantanella è un naturalista per formazione, ricercatore e docente universitario per professione, e montanaro per indole. Ama la "solitudine condivisa", ovvero la possibilità di ascoltare in solitudine i sussurri che la Natura ci invia per poi condividerli con la sua compagna o con un caro amico, magari bevendo un caffè rigorosamente amaro davanti ad un fuoco crepitante.
LinguaItaliano
Data di uscita2 apr 2019
ISBN9788831613675
Storie dell'ispettore Marzio Bruschi: Maizena e L'Oro dei Loti

Correlato a Storie dell'ispettore Marzio Bruschi

Ebook correlati

Thriller per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Categorie correlate

Recensioni su Storie dell'ispettore Marzio Bruschi

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Storie dell'ispettore Marzio Bruschi - Fabrizio Pantanella

    serenità.

    «Ma dove la vado a trovare adesso!»

    Il vento che soffia in montagna di notte è un vento diverso. Carico delle inquietudini di tutta una vita, passa attraverso gli stipiti, t’insegue cercando di portarti via, nel buio.

    Alberto viveva qui da sempre, cinquantotto anni trascorsi tra il laboratorio di biotecnologie a L'Aquila e l’orso marsicano che rovista nella dispensa di casa sua, un rifugio sotto le rocce al limite dei faggi. Circa un’ora di cammino su un sentiero appena visibile per giungere in paese, quattro case di povera gente che passa le giornate a odiarsi, ignara del tempo che incalza, indaffarata a condividere la stessa terra umida, piovosa e maledetta, non senza diatribe.

    Alberto guardò l’orologio, quasi le diciotto.

    Quasi, era questa la parola chiave della sua vita, ben rappresentata dall’orologio meccanico che segnava il tempo della sua esistenza.

    «Se faccio in fretta forse arrivo in paese prima che Renato chiuda.»

    Con la scusa del forno e del pane fresco per il giorno dopo, Renato, il fornaio del paese, se ne stava a bottega fino a tardi così, quando rientrava a casa, sua moglie Carola dormiva già da un pezzo e lui poteva coricarsi senza la predica serale. Avevano fatto il militare insieme negli alpini, Alberto e Renato, e poi la laurea in biotecnologie lo stesso giorno, il medesimo voto, tante escursioni in montagna e la passione per la cucina.

    «Un litro di latte, otto tuorli d’uovo, duecento grammi di zucchero bianco, tre cucchiai di zucchero di canna, la buccia grattugiata di mezzo limone e quarantacinque grammi di maizena, mi raccomando, non la farina! È questo il trucco per una perfetta crema catalana lucida e senza retrogusto.»

    Così sentenziò Renato l’anno delle sue nozze, mentre coi cristalli di ghiaccio sui baffi, superava il Passo dei Monaci inseguendo Alberto verso la vetta, per salutare il nuovo anno.

    Giunti in cima, Carola stringeva la mano del suo sposo.

    Adriatico e Tirreno sembravano parentesi capaci di racchiudere l’unione delle loro vite.

    Il professor Giancarlo Garelli aveva appena finito di avviare l’ultima PCR della giornata.

    «È pazzesco! Due ricercatori, un tecnico di laboratorio e due tesisti, e chi deve lavorare alle sei di sera? Io, già il professore, perché con la scusa della neve, qua se la sono svignata tutti! Per non parlare poi di Alberto, lui vive come un boscimane in mezzo ai boschi, quando sono le tre, sparisce! Altro che carriera, dovrebbero licenziarlo. E adesso ci mancava pure l’invito per il suo compleanno, non si poteva andare al ristorante delle Cento Cannelle come facevamo sempre, no, catapultiamoci in mezzo ai boschi, con la neve per giunta!»

    Un sentore di acredine traspariva da quelle parole.

    All’altro capo del telefono c’era Emilio Ronchi, un amico fraterno ed ex collega del Professor Garelli.

    Fu proprio dopo l’incontro di quest’ultimo con i vertici della Bioinnovation, dove espose le potenzialità del suo nuovo vaccino, il Plurivirx, che Emilio Ronchi riuscì a realizzare la fusione della sua piccola impresa di biotecnologie con la Bioinnovation di Edimburgo e a scalarne i vertici fino al ruolo di presidente.

    Emilio smorzava i toni della conversazione, mentre la sua macchina procedeva inosservata verso i laghi di Monticchio, dove, di lì a poco, avrebbe incontrato quella giornalista.

    «Va bene Giancarlo, non esagerare ci vediamo domani mattina, in fondo devi riconoscere che se il nuovo vaccino antinfluenzale è stato un successo lo dobbiamo proprio ad Alberto. Domani festeggeremo tutti insieme a casa sua. Sia il Plurivirx che il suo compleanno. Ora ti devo lasciare, ho ancora molta strada davanti, a presto».

    Biba era lì, lo sguardo di chi ha già capito.

    Alberto passava metà della sua vita a parlare al suo amato Drahthaar, fedele compagna e paziente ascoltatrice dei lunghi monologhi del suo padrone.

    «Mica possiamo presentargli una crema con la farina, orrore! Bisogna essere precisi su certe cose, mica è come fare un’elettroporazione di uno schifoso plasmide in un batterio qualsiasi. Qui si parla di cucina e Renato ha il palato fine, se ne accorgerebbe!

    Dai Biba salta giù dalla poltrona, si va a trovare lo zio Renato, così rivedrai anche quell’esagitato di tuo fratello!»

    Spento il focolare, Alberto prese la giacca, il guinzaglio e uscì nel vento gelido.

    A malincuore la cucciola lasciò il caldo giaciglio e lo seguì.

    Nel bosco fa buio presto.

    Nuova ma già gelata, la neve a terra crocchia sotto le scarpe.

    Dopo le prime svolte arrivarono al torrente.

    Per evitare di essere travolti dall’impeto delle acque, si doveva passare più a monte e camminare a mezz’aria, sospesi, da un ponte di acqua resa dura come roccia dal freddo.

    Passato il guado, Alberto spense la torcia. Amava farsi guidare dalla sagoma scura del suo cane che si stagliava contro il chiarore della neve. L’aria era tersa e l’odore di muschio sul vecchio faggio colpito l’estate scorsa dal fulmine, annunciò che erano giunti al bivio.

    La via si biforcava in due sentieri: uno si inerpicava verso le vette, l’altro scendeva verso valle giù fino al paese.

    Biba si fermò ad attendere il suo compagno.

    Il professor Garelli era da tutti considerato elemento più affidabile, presentabile e diplomatico rispetto ad Alberto, l’altro cavallo da tiro di quel laboratorio. Li chiamavano così.

    «Polimerase Chain Reaction, bella invenzione pochi minuti ancora, il frammento di DNA sarà amplificato a sufficienza, sempre che Alberto, non abbia sbagliato la sequenza dei primers o la temperatura di melting.»

    Un beep sullo schermo segnalò l’arrivo di una nuova e-mail:

    Chiarissimo prof. G. Garelli, siamo lieti di informarla che, la Commissione ministeriale:

    Vista la vostra disponibilità alla cessione incondizionata e senza fini di lucro del nuovo brevetto di vaccino umano a DNA, di cui voi siete detentori; vista la disponibilità della multinazionale farmaceutica Bioinnovation, rappresentata dal presidente prof. E. Ronchi, a produrre su larga scala e a distribuire gratuitamente il vostro vaccino antinfluenzale in tutti i Paesi della Comunità Europea; considerato inoltre il valore sociale ed economico del progetto, che per la prima volta vede la possibilità di diffusione di un rimedio attivo contro tutte le varianti del virus influenzale senza alcuna spesa per gli organi sanitari dell'UE; accertata l’assoluta innocuità ed efficacia del suddetto vaccino: decreta, con effetto immediato che la vaccinazione Plurivirx della Bioinnovation, sia resa obbligatoria, in età scolare, a partire dal giorno 1 del prossimo mese di febbraio. Il presidente della Commissione Europea, Emil Savier, renderà pubblico il presente decreto questa sera in diretta sulle principali emittenti televisive.

    La S.V. è invitata a partecipare alla cerimonia che si terrà, in concomitanza con la vaccinazione su larga scala in tutta Europa, il giorno 1 febbraio p.v. presso la presidenza della comunità europea in Bruxelles. Distinti saluti, il Ministro.

    Il professor Garelli lesse d’un fiato, poi sorrise.

    Ancora pochi giorni e milioni di bambini non avrebbero più avuto l’influenza, neanche negli anni futuri. Un progetto miliardario realizzato senza spendere un solo euro e disponibile per tutti, da subito.

    A congegnare quest’innovazione era stata la sagacia di Emilio Ronchi, vecchia volpe con l’occhio lungo per gli affari.

    Una società di biotecnologie sull’orlo del fallimento, la fusione con la Bioinnovation, la sortita filantropica di donare un nuovo vaccino, a costo zero. Un incredibile rilancio pubblicitario, accompagnato da un ritorno di consensi mai visto prima. Previsioni e calcoli alla mano, nel giro di un anno, le loro azioni avrebbero avuto un’impennata vertiginosa.

    «Emilio sei sempre stato un gran bastardo: io a lavorare e tu a fare i soldi.

    Ma io resto Garelli, un professore, tu un burocrate con una bella macchina.»

    Non glielo aveva mai detto, ma era questo che Garelli pensava del suo ex collega.

    Ancora un segnale, questa volta sul cellulare di Garelli, annunciava l’arrivo di un nuovo SMS:

    Qui tutto ok, come avevamo previsto. Anche il nostro Emilio è raggiante e rema a nostro favore.

    Il sentiero verso il paese correva prima ripido, poi in dolce e lunga discesa. È qui che Biba si fermò ad aspettare il suo padrone, il rituale era sempre lo stesso, Alberto arrivò subito dopo di lei, accostò gli sci da alpinismo fino a farli toccare, Biba si accovacciò davanti ai piedi del suo amico, seduta sugli sci, fiduciosa, e via giù per il pendio col muso alto a sfidare il vento gelido.

    Una motoslitta e una vecchia utilitaria si fanno compagnia nel fondovalle aspettando che il loro eccentrico padrone si decida a usarle, di tanto in tanto. Scattano gli attacchi degli sci, Biba corse a controllare che le ruote della sua macchina fossero ancora al loro posto. Un solo giro di chiave e la vecchia auto non li deluse neanche questa volta.

    Un sobbalzo del motore e due coni di luce giallina trafissero il buio ferendo gli occhi di Alberto, ormai avvezzi all’oscurità.

    Grifo fu il primo a sentirli arrivare, il cane di Renato riusciva a fiutare sua sorella quando era ancora a un chilometro da lui. Balzò in piedi e cominciò a guaire verso la porta del forno. Renato sapeva distinguere, senza errore, quelle emozioni.

    Paura, rabbia o malinconia era come se il suo cane gli parlasse.

    «Grifo, chi c’è di bello alla porta?»

    Renato aprì l’uscio e si scatenò un pandemonio! Una valanga lo travolse passandogli in mezzo alle gambe, di ritorno un’onda d’urto da dietro gli piegò le ginocchia fin quasi a farlo cadere a terra, tappeti che volano e ricadevano in disordine, latrati, guaiti, poi silenzio assoluto: due sfingi mute che si fronteggiavano guardandosi negli occhi.

    Un istante dopo esplose, di nuovo, il finimondo tra i due consanguinei.

    «Scusa mi dimentico sempre di metterle il guinzaglio».

    «Alberto! Come mai a quest’ora? Entra, stavo ricoprendo gli impasti per domattina.»

    «Il profumo del tuo lievito. È inconfondibile. Dovresti imbottigliarlo e venderlo.

    Faresti un sacco di soldi!»

    «Già. L’ho messo a punto io. Uso lieviti acidi, vitali, che fermentano la farina fino in fondo, lasciando un sapore delizioso. Inoltre, il mio pane è unico, più digeribile di tutti gli altri.»

    «Caro mio, stai diventando vanitoso, proprio come Giancarlo Garelli…»

    «Spiritoso! A proposito: Giancarlo mi ha telefonato, passa a prendermi domattina con Emilio, mi hanno detto di portare il mio pane, perché si va tutti a pranzo da uno psicopatico asociale, nato il giorno della Befana e che vive in mezzo ai boschi in compagnia di un cane più matto di lui. Lo conosci per caso?»

    Maria Letizia Granaldi dal Corvo, magrissima, secca, come la definivano le amiche di Napoli, città dove era nata. Un naso non proprio alla francese, capelli castani, indossava abiti da bancarella, fuori moda.

    Era coraggiosa, l’unica cosa che la metteva in imbarazzo erano i puntini bianchi sulle unghie.

    Titti, così amava farsi chiamare, si era presentata tre anni prima al direttore de La Staffetta d’Europa, la maggiore testata giornalistica a tiratura europea.

    Quell’incontro fu preceduto da una raccomandazione del Senatore Tommaso Granaldi dal Corvo.

    Cinque mesi più tardi, il direttore della testata, la presentava, con accenti entusiastici, al consiglio d’amministrazione.

    «Mai segnalazione è stata più benedetta. Questa ragazza ha la stoffa di un vero giornalista, la forza di uno tsunami e il coraggio di un kamikaze!»

    I laghi di Monticchio erano un incanto.

    Qui, l’inverno infonde un sentimento di profonda inquietudine, in netto contrasto con la luminosa amenità che pervade il luogo prima che il sole tramonti.

    L’auto di Titti percorreva l’ultimo tratto di strada prima di fermarsi a fianco della Delta di Emilio. Il presidente della Bioinnovation aprì lo sportello e si diresse verso Titti che stringeva tra le mani sudate la piccola foca di legno. Era un regalo di suo padre. Un pensiero acquistato di ritorno da un viaggio governativo molti anni prima, quando l’unica ansia di Titti era il primo esame universitario.

    «Buona sera, dottoressa Granaldi dal Corvo, come le accennai per telefono avrà presto modo di comprendere ogni cosa. Mi raccomando sono in gioco grossi interessi economici e persone insospettabili e assai potenti. Io ho le mani legate, è per questo che l’ho contattata, stia attenta, si fidi solo di se stessa.»

    Una busta gialla, anonima, imbottita di bollicine di plastica trasparente, scivolò dalle mani di Emilio a quelle di Titti, attraverso un finestrino aperto a metà. Lei ricambiò con uno sguardo. Tutto ciò che Emilio vide, quella sera, furono due grandi occhi verdi, espressione di ansia, dolcezza, determinazione e irresistibile curiosità.

    Titti, giornalista investigativa, aveva imparato che nel suo mestiere esistevano situazioni inadeguate ai convenevoli.

    Innestò la marcia della sua vettura e scomparve nel buio.

    Emilio, ormai solo, prese dal cappotto un cilindro di metallo e si accese un Partagas, seduto sul cofano della sua auto, disturbato soltanto dal rumore delle foglie secche che il vento trascinava verso il lago. Buio assoluto, di tanto in tanto il chiarore rosso del suo sigaro, simbolo di una carriera prestigiosa che salendo in alto si trasformava in fumo.

    «Alea iacta est!»

    Giù per i campi arati e poi su verso il passo che porta a Candela, un vento impetuoso cedeva la sua rinnovabile forza alle enormi pale eoliche che, bianche come figure spettrali, ruotavano, cantando come balene in un mare di terra spoglia. Titti cedette alla tentazione di leggere il contenuto della busta. Rallentò, quasi sul punto di fermarsi.

    Due luci azzurrine, penetranti, sbucarono dal nulla, ferendole gli occhi.

    Alla fine, le luci si spensero e il grosso fuoristrada s’arrestò, immobile, su una piazzola di terra battuta non distante da lei. Titti spinse d’istinto l’acceleratore.

    Napoli, all’ultimo piano, al sicuro nella sua stanza, circondata da vetrate luminose affacciate su Castel dell’Ovo, le parve il posto migliore dove fermarsi a leggere.

    Alberto sorrideva con il suo amico di sempre.

    «Il matto di cui parli è venuto fin qui perché ha bisogno di un po’ della tua maizena per la crema

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1