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Eredità e inganno: Harmony Destiny
Eredità e inganno: Harmony Destiny
Eredità e inganno: Harmony Destiny
E-book159 pagine2 ore

Eredità e inganno: Harmony Destiny

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Info su questo ebook

Per quanto tempo lei riuscirà a rifiutargli ciò che vuole?
Anna Marcus è la figlia della cuoca di famiglia DeLeon, Reynaldo è l'affascinante figlio del pa-drone. Questa è la situazione che Anna lascia quando, anni prima, decide di andarsene dal cottage in cui è cresciuta. Ora però, a causa della morte della madre e del padrone di casa, è tornata e ha dovuto rivedere quei luoghi e soprattutto Reynaldo, suo amore segreto. Per lei non è facile. È reduce da un matrimonio fallito e, oltretutto, viene nominata unica erede delle proprietà della famiglia DeLeon, terre circostanti comprese. Nonostante lo shock iniziale, Anna si sente onorata di questo privilegio, ma dovrà fare i conti con il deluso Reynaldo che rivuole ciò che gli appartiene per nascita e per ottenerlo è disposto a tutto, anche a sedurla.
LinguaItaliano
Data di uscita11 mar 2019
ISBN9788858994702
Eredità e inganno: Harmony Destiny
Autore

Jennifer Lewis

Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.

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    Anteprima del libro

    Eredità e inganno - Jennifer Lewis

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    Seduced For the Inheritance

    Silhouette Desire

    © 2007 Jennifer Lewis

    Traduzione di Silvia Daffadà

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2009 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-5899-470-2

    1

    «Cosa sta facendo qui?» Una voce autoritaria e un paio di occhi neri trafissero la sera buia e malinconica dall’interno del piccolo cottage.

    Era lui.

    Sapeva che prima o poi avrebbe dovuto incontrare Reynaldo De Leon, dopotutto la tenuta era sua. Però avrebbe preferito essere pronta, sia mentalmente che fisicamente, non sconvolta e in disordine, dopo una giornata passata a riordinare gli effetti personali della madre.

    Lui la guardò dubbioso, dall’alto della sua imponenza, e si rivolse a lei con una certa arroganza. «È venuta a fare le pulizie? Se è pagata a ore la rimborserò per stasera, ma dica al suo datore di lavoro di contattarmi prima di spostare qualunque cosa.»

    Pensa che sia la donna delle pulizie? Non l’aveva riconosciuta?

    Improvvisamente tutto le sembrò troppo. La morte della madre, a cui era tanto legata, a soli quarantotto anni, senza nessun segnale, solo una telefonata notturna che l’avvertiva di un incidente su un’autostrada della Florida...

    «Be’?» Lui incrociò le braccia sulla camicia.

    Gli occhi le si riempirono di lacrime. Non è il momento di piangere, si disse. Nell’ultimo anno era sopravvissuta a una bancarotta e a un divorzio e ora doveva affrontare la perdita dell’unica persona al mondo su cui poteva contare. Era arrivata fin qui...

    «No habla inglés?» Lui sollevò un sopracciglio.

    «Certo che parlo inglese» sbottò lei.

    «Quel sacchetto perde.»

    «Cosa?» Lei seguì il suo sguardo, rivolto verso il sacchetto di carta che aveva in mano. «La mia cena.»

    Lo sguardo severo di lui si addolcì. «Mangi pure. Non c’è motivo di sprecarla.»

    Forse avrebbe potuto fingere di essere davvero la donna delle pulizie, finché lui non se ne fosse andato. Che importanza aveva? Né lui né quell’arrogante del padre si erano degnati di andare al funerale di sua madre, nonostante Letty Marcus avesse vissuto nella loro tenuta e avesse cucinato tutti i loro pasti per oltre quindici anni. Persone dedite al lavoro come lei e la madre non contavano niente per quella gente.

    È vero, lei aveva una laurea e aveva posseduto per un breve tempo un’agenzia immobiliare di successo, ma al momento non aveva il becco di un quattrino e non aveva un posto da poter chiamare casa, quindi le sue supposizioni non erano così errate.

    Prese un piatto dalla credenza e si sedette, ma sentì gli occhi di lui fissi su di sé. Quegli occhi che l’avevano ossessionata da ragazzina e che le avevano fatto sperare che un giorno lui l’avrebbe...

    Amata?

    Che bella battuta!

    Non appena sollevò il panino al formaggio si accorse che il suo stomaco era diventato piccolo come una nocciolina. Lo sguardo implacabile di lui le fece provare un formicolio. «Ha intenzione di stare lì a guardarmi?»

    «Certo. Non posso lasciare che un’estranea se ne giri per le proprietà di famiglia. Lo capisce, vero?»

    Un’estranea? Non sapeva se ridere, piangere o cacciare un urlo.

    Solo un’altra persona insignificante in una vasta tenuta. Nessuno di speciale. Probabilmente lui non aveva più pensato a lei dall’ultima volta che si erano sfidati sui campi da tennis.

    Lei, invece, aveva pensato a lui. Più di quanto non volesse ammettere.

    Lasciando cadere l’hamburger si alzò in piedi un po’ tremante. «Devo andare.»

    Naldo mise una mano in tasca ed estrasse venti dollari. «Ecco qui. Può tornare domani.»

    Dopo che avrò trovato quello che sto cercando.

    «Non voglio i suoi soldi» disse girata dall’altra parte, «e può mangiare l’hamburger, io non ho fame.»

    Naldo si trattenne dal ridere all’idea di mangiare il panino grondante di grasso della cameriera: a casa lo attendeva un’aragosta molto più invitante.

    Non che avesse molto appetito al momento.

    Cercò un foglio sui cui scrivere il suo numero. Se avesse potuto mandare a casa la donna delle pulizie, sarebbe riuscito a trovare ciò che cercava in quel cottage minuscolo.

    La ragazza non si era degnata di rispondere, quindi lui scrisse semplicemente il numero su un foglietto rosa a forma di cuore. Una goccia di sudore rimase in sospeso come una piccola perla sulle sue labbra.

    Mentre afferrava il foglietto le dita di Anna sfiorarono il palmo di Naldo, provocando in lei una strana sensazione. I suoi occhi, grandi e blu, incontrarono quelli di lui, che fu colto da un’illuminazione.

    «Anna.»

    Lei sollevò il viso di scatto.

    Lui la guardò incredulo. Come poteva quella donna esile essere l’esuberante maschiaccio che aveva conosciuto? «Ne è passato di tempo.»

    «Puoi ben dirlo.» Le labbra di lei si contrassero.

    «Sembri così diversa.» Le parole gli sfuggirono prima che potesse rendersene conto.

    «Il tempo ha questo effetto sulle persone. Su alcune, per lo meno. Tu sei sempre lo stesso.»

    «Sei così esile.»

    «È la moda.» Lei socchiuse gli occhi.

    «Un tempo i tuoi capelli erano rossi.»

    «Lo sono ancora, ma li schiarisco.»

    «Ti schiarisci i capelli?» Gli sembrava inconcepibile che la ragazzetta di cui si ricordava potesse compiere un’azione così femminile.

    «Non fare quella faccia scioccata. Quasi tutte le donne lo fanno.»

    «Ma tu non sei mai stata come le altre donne.»

    «E chi ha detto che non lo sia ora?» I suoi occhi brillarono.

    L’antica fiamma ardeva ancora, anche se in un braciere diverso.

    «Ho saputo che stai avendo molto successo.» La madre di Anna, orgogliosa dei risultati della figlia, lo aveva tenuto informato: laurea con il massimo dei voti presso un ottimo college, un lavoro con uno dei migliori promotori immobiliari, la creazione di un’impresa in quel settore.

    Un marito.

    «Tutto è relativo. Il successo, intendo. Ho sentito dire che la tenuta si è allargata e che siete passati alla vendita al dettaglio.» La sua voce era fredda e controllata, come quella di una donna in carriera, curiosamente in contrasto con il suo aspetto trasandato.

    «Sì, marinate a base di agrumi, condimenti per insalate e salse varie. Stiamo vendendo bene.»

    Lei sostenne il suo sguardo. «Sono sicura che gli agrumi dell’impero dei De Leon cresceranno rigogliosi per altri quattrocento anni.»

    Per fortuna era riuscita a cambiare argomento. Quando lui aveva accennato al suo successo si era sentita percorrere da una sensazione di terrore. Quel minimo di successo di cui aveva goduto era già coperto di polvere. Un po’ come la polvere attaccata alla maglietta e ai pantaloni sgualciti che indossava. Perché doveva vederla conciata in quel modo?

    «Siamo tutti sconvolti dalla morte di tua madre.» La compassione nei suoi occhi e la sincerità della sua voce vellutata le fecero quasi dimenticare che non era neanche stato presente al funerale.

    Non riusciva ancora a credere che sua madre se ne fosse andata per sempre. Che non sarebbe più sprofondata nel suo abbraccio protettivo, per abbandonarsi a un amore davvero incondizionato.

    «Neanch’io.»

    La sua voce divenne un lieve sussurro.

    «Mio padre è morto stamattina.» La voce profonda di Naldo rivelava incredulità.

    «Cosa?» Robert De Leon era un uomo robusto, alto e fiero, come gli agrumi che aveva coltivato così abbondantemente nel vasto impero guidato da lui.

    «Un grave infarto. Ha retto per tre giorni, ma i dottori hanno detto che non c’era più niente da fare.»

    «Oh, Naldo.» Anna si portò la mano alla bocca, sconvolta. Un improvviso desiderio di abbracciarlo la fece quasi cadere.

    Non pensarci nemmeno.

    Aveva sempre desiderato Naldo De Leon: poter essere accarezzata, ammirata e amata da lui. Ma ormai sapeva che ciò non sarebbe mai accaduto. E non voleva sfruttare quel momento di sofferenza, per trasformarlo in uno ancora più doloroso.

    «La tenuta è tua ormai» osservò calma, cercando di contenersi.

    «Sì.»

    «Quattrocento anni di storia della piantagione della famiglia De Leon sono un lascito imponente. So che renderai tuo padre fiero di te.»

    Naldo non rispose, ma rimase a guardarla con l’arroganza dei conquistatori dai cui discendeva.

    Pensò a qualcosa da dire, per interrompere quel momento di commozione. Non piangere.

    Doveva andarsene. Le ci erano voluti due giorni per trovare il coraggio di venire, ma a quanto pare non era ancora pronta per affrontare la situazione.

    «Immagino che saprai già a quale dipendente assegnare il cottage. Verrò domani a finire di imballare tutto. Sono alloggiata in città, devo andare.» Si rese conto che aveva ancora tra le mani il fogliettino rosa.

    Non gli aveva mai telefonato. La loro era stata una storia molto informale. Ehi, ti va una partita? Erano stati amici, ma non nel senso profondo del termine.

    Lei lasciò il numero sul bancone in cucina, raccolse l’hamburger e lo gettò nel sacchetto nero in cui non era ancora riuscita a gettare niente degli effetti della madre. «Va bene se torno domani?»

    La presenza immobile di Naldo sottolineava il fatto che era lui il proprietario del cottage. «Sì, fai pure.»

    Lei attese ancora un momento, sperando in... cosa? Un tentativo di fare conversazione? Un invito a cena?

    Lascia perdere, cara mia.

    Il silenzio impassibile di Naldo faceva capire che stava aspettando che se ne andasse, quindi si affrettò a uscire e salì sul suo camioncino ammaccato, sopravvissuto al viaggio da Boston.

    Calde lacrime le coprirono la visuale mentre raggiungeva l’entrata della tenuta. Quante altre volte avrebbe percorso quella strada? Una? Forse due? Ora che sua madre se n’era andata non aveva una casa e nessuno ad aspettarla. Ma era una persona tenace e si sarebbe fatta forza, per vivere una vita che avrebbe inorgoglito la madre.

    Due giorni dopo Anna si ritrovò nel magnifico salotto dei De Leon, circondata da estranei che si muovevano freneticamente, in attesa che si iniziasse la lettura del testamento di Robert De Leon. La famiglia De Leon seguiva l’usanza di lasciare una piccola parte di eredità ai membri della servitù e quindi anche a sua madre.

    Non era stata invitata al funerale, svoltosi quella mattina in forma privata.

    C’era una chiara separazione tra i membri dello staff, riuniti per l’occasione nei loro abiti quotidiani, e i membri della famiglia, vestiti con abiti eleganti. Naldo era tra questi ultimi, straordinario nel suo abito nero, la capigliatura scura e curata. Se l’aveva notata, non ne mostrava alcun segno. Anna, da sola e un po’ in disparte, guardava, fuori dalle portefinestre, le migliaia di ettari degli agrumeti migliori del mondo.

    Oggi indossava i tacchi e un abito all’altezza della situazione. Grazie agli orecchini, al trucco e ai capelli accuratamente raccolti, sperava di assomigliare alla donna di cui la madre andava fiera con i colleghi.

    «Signore e signori, prego, prendete posto a sedere.» Un giovane uomo in abito elegante li invitò a sedersi sulle quattro file di sedie in stile regina Anna provenienti dalla

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