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Matrimonio al castello: Harmony Collezione
Matrimonio al castello: Harmony Collezione
Matrimonio al castello: Harmony Collezione
E-book158 pagine2 ore

Matrimonio al castello: Harmony Collezione

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Info su questo ebook

Una tempesta fra le proprie mura. All'improvviso.

Cesare Piras non era preparato per quella inattesa visitatrice presentatasi alla porta del suo castello nel bel mezzo di una tremenda bufera. Anche se quello era nulla in confronto a ciò che sarebbe accaduto di lì a poco.
Beth Granger ha capito fin dal momento in cui ha bussato a quella porta che non potrà più tornare indietro. Ha un compito da assolvere, ma nell'istante stesso in cui incontra lo sguardo di Cesare il suo piano comincia a sgretolarsi inesorabilmente, esattamente come ogni sua altra certezza.
LinguaItaliano
Data di uscita10 giu 2019
ISBN9788858998601
Matrimonio al castello: Harmony Collezione
Autore

Chantelle Shaw

Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.

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    Anteprima del libro

    Matrimonio al castello - Chantelle Shaw

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    Behind the Castello Doors

    Harlequin Mills & Boon Modern Romance

    © 2012 Chantelle Shaw

    Traduzione di Paola Mion

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2013 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-5899-860-1

    1

    La strada si arrampicava sulla montagna come un nero serpente sinuoso, la superficie bagnata che scintillava nella luce dei fari. La pioggia sembrava aumentare a mano a mano che salivano. Avevano lasciato Oliena quindici minuti prima, e quando l’auto superò un altro tornante, Beth vide le luci della città scomparire dalla sua visuale. Si sporse avanti per parlare con l’autista del taxi: «Quanto manca ancora?».

    Aveva già constatato che l’uomo conosceva poco l’inglese e sospirò quando quello si strinse nelle spalle. Però doveva avere capito, perché pochi attimi dopo si guardò alle spalle.

    «Presto vedrà il Castello del Falco, se è quello che intendeva...» spiegò con un pesante accento.

    Beth si accigliò. «Intende dire che il signor Piras vive davvero in un castello?» Aveva pensato che la residenza privata del proprietario della Piras-Cossu Bank fosse una lussuosa villa in Sardegna, che aveva chiamato castello per una personale stravaganza.

    Il tassista non replicò, ma come oltrepassarono un picco delle montagne del Gennargentu, Beth trattenne il fiato alla vista della imponente fortezza grigia che si stagliava nell’oscurità. Scrutando nella pioggia, vide la strada dinanzi a lei che spariva nel minaccioso portone d’ingresso. Le mura esterne del castello erano illuminate da lampade che ne rivelavano la struttura imponente, e le figure grottesche delle grondaie uscivano dall’oscurità come presagi di sventura.

    Per l’amor del cielo! Si diede una scrollata, irritata per essersi lasciata prendere dall’immaginazione. Ma quando l’auto entrò all’interno delle mura continuò a provare un inesplicabile senso di apprensione, e fu tentata di chiedere all’autista di tornare indietro. Forse era troppo suggestionabile, tuttavia aveva l’impressione che la sua vita sarebbe cambiata per sempre se fosse entrata nel Castello del Falco.

    Era venuta in Sardegna per il bene di Sophie, si ricordò guardando la piccola nel suo seggiolino portatile sul sedile accanto a lei. Non poteva cambiare idea adesso. Tuttavia il cuore le sprofondò mentre si addentravano nel cortile, come se avessero attraversato un confine invisibile tra il mondo familiare e sicuro e l’ignoto in cui stavano per accedere.

    Il party era in pieno svolgimento. Dalla sua posizione privilegiata sul pianerottolo che si affacciava sulla pista da ballo, Cesare Piras osservava gli ospiti danzare e sorseggiare champagne, mentre dalla porta comunicante con la sala del banchetto poteva vedere altri invitati raccolti intorno ai tavoli imbanditi.

    Era contento che si stessero godendo la serata. Il suo staff aveva lavorato duro e meritava i suoi ringraziamenti per i loro servizi alla Piras-Cossu Bank. E gli ospiti non avrebbero mai immaginato che lui non vedesse l’ora di restare di nuovo solo. Rimpianse di non aver dato istruzioni alla sua assistente di rimandare il ricevimento. Donata lavorava per lui solo da pochi mesi e non sapeva che il tre di marzo era una data che sarebbe sempre stata bandita dall’animo di Cesare.

    Inconsciamente le sue dita salirono a toccare la cicatrice che partiva dall’angolo dell’occhio sinistro e scendeva fino alla bocca. Quel giorno era il quarto anniversario della morte di suo figlio. Il tempo era andato inesorabilmente avanti e il selvaggio dolore che lo aveva artigliato, nei primi mesi e anni dopo la tragedia, si era lentamente trasformato in una cupa accettazione. Ma gli anniversari erano sempre difficili. Aveva accettato il party pensando che i suoi doveri di ospite lo avrebbero distratto dai ricordi, eppure per tutta la sera le immagini di Nicolò gli avevano riempito la mente, e i ricordi gli avevano evocato un dolore sordo, come un coltello piantato nelle viscere.

    Un leggero rumore alle sue spalle lo avvertì che non era più solo. Si voltò. «Che c’è, Teodoro?» chiese alla vista del domestico.

    «Una giovane donna è appena arrivata al castello e chiede di vederla, signore.»

    Cesare guardò l’orologio. «Un’ospite che arriva così in ritardo?»

    «Non è un’invitata al party. Ma ha molto insistito per parlare con lei.» Il domestico non poté nascondere una smorfia di disapprovazione al ricordo di quella donna gocciolante di pioggia che aspettava nel salottino dove l’aveva condotta.

    Cesare imprecò tra sé. L’unica donna che poteva chiedere di lui a quell’ora era la giornalista che lo aveva tormentato, di recente, per avere un’intervista riguardo all’incidente di quattro anni prima che gli aveva portato via la moglie e il figlio. Serrò la mascella. Forse avrebbe dovuto immaginare che la stampa sarebbe rimasta affascinata dalla vita da recluso che conduceva il ricco proprietario di una delle più grandi banche, ma lui detestava qualsiasi ingerenza nella sua vita privata e non intendeva parlarne con i giornalisti.

    «La signorina ha detto di chiamarsi Beth Granger.»

    La voce del domestico si insinuò nei suoi pensieri. Non era il nome della giornalista con cui aveva parlato al telefono. Ma era un nome familiare. La sua assistente gli aveva riferito che la donna aveva chiamato varie volte negli uffici di Roma dicendo di avere qualcosa di molto importante di cui parlare con lui, rifiutandosi però di aggiungere particolari.

    Forse la giornalista usava uno pseudonimo? O forse era un’altra cronista che voleva parlare con lui del suo passato? Non aveva intenzione di scoprirlo.

    «Informa la signorina che non incontro mai visitatori inaspettati nella mia residenza privata. Dille di contattare gli uffici della Piras-Cossu e di lasciare detto di che si tratta alla mia assistente. E poi accompagnala fuori dal castello.»

    L’uomo esitò. «La signorina Granger è arrivata con un taxi, che è già ripartito. E sta... piovendo.»

    Cesare ebbe un moto di impazienza. «Allora chiamale un altro taxi. La voglio fuori di qui al più presto.» Non sopportava l’insistenza dei giornalisti.

    Con un breve cenno d’assenso Teodoro sparì giù per le scale e Cesare tornò a guardare gli ospiti nella sala da ballo. Avrebbe voluto che la serata terminasse al più presto, ma doveva ancora tenere un discorso dopo aver consegnato un regalo di addio a uno dei suoi dirigenti che andava in pensione e un premio all’impiegato dell’anno. Il dovere doveva venire prima dei suoi sentimenti personali, si rammentò. Era una lezione che gli era stata instillata dal padre e che si era rinforzata quando aveva ereditato il Castello del Falco. La fortezza era stata costruita dai suoi antenati nel XIII secolo, la sua storia era ben scolpita nelle sue ossa e le antiche mura di pietra erano i bastioni che lo proteggevano dagli occhi del mondo. Il dovere lo costrinse a relegare in un angolo della mente il ricordo del figlio, e Cesare squadrò le spalle prima di discendere le scale per raggiungere i suoi ospiti.

    Beth era grata di essere al riparo della pioggia. La sua ampia mantella di lana era intrisa di pioggia e si domandò se sarebbe riuscita a togliersela senza disturbare Sophie. Però avrebbe dovuto appoggiare la bimba sul divano, con il rischio di svegliarla. Attentamente, passò la piccola da un braccio all’altro mentre provava a slacciare il primo bottone, in modo da lasciare almeno cadere l’indumento sulle spalle, ma dopo alcuni goffi tentativi rinunciò. Sicuramente Cesare Piras non avrebbe tardato ancora molto, pensò, trepidante al pensiero di incontrarlo. Si guardò intorno nel salottino. Il colorato e folto tappeto si abbinava alle tende di broccato che contornavano le finestre, e due elaborate lampade che fiancheggiavano il camino donavano una luce squisita alla stanza. Ma, a dispetto delle decorazioni, con le sue pareti di nuda pietra il castello le dava la stessa sensazione di disagio che le aveva trasmesso prima di entrarvi. Di nuovo maledisse la sua immaginazione, poi, guardando la bambina tra le sue braccia, si augurò che Cesare Piras sarebbe stato più accogliente della sua casa.

    La porta si aprì e lei si girò con il cuore in gola, ma si trattava solo del domestico. Teodoro avanzò e per un attimo si sorprese nel vedere che la visitatrice aveva in braccio un bambino. Non se ne era accorto quando l’aveva fatta entrare, probabilmente perché la donna la riparava dalla pioggia con un lembo della mantella. Esitò.

    «Mi dispiace, signorina, ma temo che il signore sia troppo occupato per riceverla. Le consiglia di chiamare il suo ufficio di Roma e di parlare con la sua assistente, è lei che si occupa della sua agenda.»

    «Ho già telefonato al suo ufficio... molte volte...»

    Il cuore di Beth sprofondò. Era stata molto incerta prima di portare Sophie in Sardegna, ma Cesare Piras si era rifiutato di rispondere alle sue telefonate, e nella disperazione aveva pensato che l’unica cosa da fare fosse di presentarsi a casa sua sperando che la ricevesse. Sembrava però che avesse perso il suo tempo, per non parlare del costo del viaggio dall’Inghilterra, che aveva a malapena potuto sostenere.

    «Eppure... io devo vederlo per una faccenda urgente e personale» provò a spiegare. «Per favore... può dirgli che devo assolutamente parlargli?»

    Il domestico rimase impassibile. «Mi dispiace, ma il signore si è rifiutato di vederla.» Lo sguardo implorante della donna gli suscitò un moto di simpatia, ma sapeva che non poteva disturbare il signor Piras una seconda volta. Il viso della donna era pallido e teso sotto il cappuccio della mantella, però lui non poteva aiutarla. Il signore del Castello del Falco difendeva la sua privacy con la stessa tenacia con cui i suoi antenati avevano difeso la loro fortezza tra le montagne, e lui non desiderava incorrere nelle ire del padrone disobbedendo a un ordine.«Chiamerò un taxi affinché venga a prenderla» le disse. «Resti qui fino al suo arrivo.»

    «Aspetti...» provò a fermarlo Beth, disperata.

    Aveva portato lì Sophie per nulla. Si morse il labbro. La bambina si sarebbe svegliata presto, e aveva bisogno di essere nutrita. Sarebbe passata almeno mezz’ora prima di arrivare in albergo a Oliena, e avrebbe dovuto dare il latte a Sophie in taxi, a meno che non le fosse consentito di restare al castello almeno per nutrire la bambina. Inseguì l’uomo fuori dalla porta, lui però era già scomparso. All’improvviso una doppia porta si aprì e un cameriere apparve con un vassoio pieno di bicchieri vuoti. Prima che Beth potesse dire qualcosa, l’uomo era già sparito oltre un altro uscio. Le doppie porte da cui era sortito erano rimaste aperte e Beth vide un salone affollato di uomini e donne in abiti eleganti. Camerieri in giacche bianche reggevano vassoi con bicchieri e tartine muovendosi sinuosi tra gli invitati, mentre echi di musica e di chiacchiere creavano una melodia discordante.

    Un party! Beth si infiammò di rabbia. Cesare Piras si era rifiutato di vederla perché si stava divertendo a un ricevimento. Non le aveva dato nemmeno una possibilità di spiegargli la ragione della sua visita. Lanciò un’occhiata al visetto di Sophie, alle sue lunghe ciglia scure che ombreggiavano le guance rosa, e avvertì un moto di determinazione. Aveva promesso a Mel che avrebbe trovato Cesare Piras, e adesso che aveva raggiunto il suo castello non se ne sarebbe andata senza avergli parlato.

    Senza aspettare di riconsiderare la sua decisione, si avviò verso la sala da ballo, tuttavia esitò sulla soglia. All’interno le pareti non erano di nuda pietra, ma rivestite di pannelli di legno scuro che scintillavano nella luce dei lussuosi lampadari. Eleganti colonne disegnavano il contorno della stanza, reggendo un soffitto ad arco decorato con squisiti affreschi. Avrebbe voluto ammirarli con calma e in solitudine, ma la stanza era affollata e lei si accorse che numerosi sguardi incuriositi cominciavano a volgersi nella sua direzione.

    Il brusio delle chiacchiere si affievolì mentre Beth avanzava nella stanza. La musica si era fermata. Più avanti, una figura maschile comparve sul piccolo palco all’estremità della sala. Sembrò che stesse per rivolgersi agli ospiti, ma si fermò quando scorse Beth, e anche da quella distanza lei poté cogliere la sua sorpresa contrariata.

    Quanto era lunga quella stanza? I riquadri di marmo bianchi e neri sembravano allungarsi all’infinito, e si chiese se sarebbe mai arrivata alla fine. Il silenzio intorno la fece sentire ancora più consapevole della situazione. Il cuore le batteva all’impazzata, ma non poteva girarsi adesso. Qualcosa nell’arroganza e nell’aria autoritaria di quell’uomo le disse che era proprio colui che Mel le aveva chiesto di trovare.

    Santa Madre!

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