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Non ti farò dormire: eLit
Non ti farò dormire: eLit
Non ti farò dormire: eLit
E-book176 pagine2 ore

Non ti farò dormire: eLit

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Info su questo ebook

I vicini possono essere fastidiosi ma, dopo che la tua carriera di ballerina ha avuto una brusca fine, diventano proprio insopportabili. È quello che pensa Amber del suo vicino Guy, che deve aver scambiato l'appartamento per una sala prove. Ma non ha nient'altro da fare che continuare a suonare dalla mattina alla sera? Lei ha bisogno di riposare!

La musica, però, sta per cambiare, anche se le notti potrebbero restare insonni...

LinguaItaliano
Data di uscita29 gen 2016
ISBN9788858948828
Non ti farò dormire: eLit
Autore

Anna Cleary

Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.

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    Anteprima del libro

    Non ti farò dormire - Anna Cleary

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    Keeping her up all Night

    Harlequin Mills & Boon Modern Romance

    © 2012 Ann Cleary

    Traduzione di Lucia Panelli

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    © 2013 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-5894-882-8

    www.harlequinmondadori.it

    Questo ebook contiene materiale protetto da copyright e non può essere copiato, riprodotto, trasferito, distribuito, noleggiato, licenziato o trasmesso in pubblico, o utilizzato in alcun altro modo ad eccezione di quanto è stato specificamente autorizzato dall’editore, ai termini e alle condizioni alle quali è stato acquistato o da quanto esplicitamente previsto dalla legge applicabile. Qualsiasi distribuzione o fruizione non autorizzata di questo testo così come l’alterazione delle informazioni elettroniche sul regime dei diritti costituisce una violazione dei diritti dell’editore e dell’autore e sarà sanzionata civilmente e penalmente secondo quanto previsto dalla Legge 633/1941 e successive modifiche.

    Questo ebook non potrà in alcun modo essere oggetto di scambio, commercio, prestito, rivendita, acquisto rateale o altrimenti diffuso senza il preventivo consenso scritto dell’editore. In caso di consenso, tale ebook non potrà avere alcuna forma diversa da quella in cui l’opera è stata pubblicata e le condizioni incluse alla presente dovranno essere imposte anche al fruitore successivo.

    1

    Guy Wilder non andava più a caccia. Aveva smesso con le pollastrelle che volevano solo la storiella a lieto fine. Adesso riversava tutte le sue emozioni nella musica e più precisamente nelle canzoni. Motivi spesso strappalacrime, vere e proprie tragedie che diventavano ancora più efficaci se ululate dopo la mezzanotte nella tana di un cuore infranto. Ma erano canzoni orecchiabili, sensuali e sempre con un’anima soul. Qualcosa in cui un uomo poteva credere e senza l’amara svolta finale.

    Sì, Guy era ancora single, e andava bene così. Di giorno si occupava della sua società, di notte componeva canzoni che i Blue Suede erano felici di cantare.

    Per quanto maltrattassero le sue composizioni, gli Suede avevano talento. Così, sebbene Guy fosse appena rientrato da un viaggio di lavoro negli Stati Uniti, aveva risposto al grido d’aiuto dei ragazzi che erano alla disperata ricerca di un posto dove provare e aveva aperto loro la porta dell’appartamento della zia sopra la galleria Kirribilli Mansion. La zia Jean non avrebbe avuto niente da obiettare. Si fidava di lui.

    L’unico problema era che gli Suede producevano spesso un frastuono alquanto fastidioso. Guy aveva preso in considerazione la questione rumore ma, quando la band si presentò da lui armata di strumenti, lanciò un’occhiata al sopraluce a vetro della porta attigua e, poiché l’appartamento era immerso nell’oscurità, mise da parte ogni preoccupazione.

    Non era ancora tardi e di solito a quell’ora nessuno dormiva. E comunque, chi avrebbe mai detto che a casa dei vicini ci fosse qualcuno?

    Ordinò delle pizze ma, non appena lui e i ragazzi attaccarono a suonare, dimenticarono la cena. Fu soltanto quando il ritmo li ebbe scaldati per benino e decisero di concedersi una pausa che il trillo del campanello penetrò il loro entusiasmo.

    Guy abbandonò la tastiera del fantastico pianoforte della zia e si diresse alla porta.

    Il ragazzo della pizza era là fuori, ma non davanti alla sua porta, bensì a quella accanto.

    «Le assicuro che non sono per me» stava dicendo la vicina in tono basso e melodioso. «Non ho mai ordinato delle pizze. Saranno stati quelli là dentro, quelli che fanno questa insopportabile cagnara. Ha provato a bussare? Certo, avrebbe bisogno di un martello, se spera in un qualche...»

    Impatto. Dentro di sé Guy terminò la frase per lei.

    La donna si girò di scatto, imitata dal ragazzo della pizza, e impatto fu.

    Occhi viola, grandi, ciglia folte e scure e zigomi alti in un volto intrigante. Bocca morbida come una prugna matura. Incantevole, fu il suo primo pensiero. Un’incantevole, desiderabile, stuzzicante... trappola. Sul metro e settanta con lunghi e lucenti capelli scuri raccolti. E gambe... Oh, mio Dio, che gambe! Una meraviglia.

    Certo, la felpa non consentiva a Guy di vedere molto di quella meraviglia, ma gli indizi c’erano tutti. Colline. Vallate. Curve.

    Tuttavia un uomo non deve mai fissare lo sguardo sul seno di una donna. O su qualsiasi altra parte lei scelga di nascondere. Ma se la donna in questione indossa un corto vestitino leggero e svolazzante sotto la felpa, è logico che gli occhi dell’uomo saltino da un punto all’altro di quel corpo. E la vicina di Guy portava ai piedi anche delle graziose scarpette di raso, legate alla caviglia come quelle delle ballerine.

    Se la mangiò con gli occhi e lei gli diede ogni ragione di credere che lo stesse divorando a sua volta, sebbene il suo fosse un esame severo che non sembrò soffermarsi sul fascino virile di Guy.

    Le sorrise. «Credo siano per me.» Diede al ragazzo delle consegne i soldi e prese le pizze. «Grazie, amico. Tieni il resto per il disturbo.»

    Il tipo scomparve nell’ascensore, o lungo le scale, o forse svanì attraverso il muro.

    «Mi dispiace se l’abbiamo disturbata, signorina...?»

    «Amber O’Neill.» Il tono era glaciale. «Forse lei non si rende conto di quanto siano sottili queste pareti e di come il suono venga amplificato.»

    Lui inarcò un sopracciglio. «Ah, sì? Il suono viene amplificato... Be’, buono a sapersi. Un’acustica formidabile. Grazie per avermelo detto.»

    Amber. Occhi viola nei quali perdersi. E una bocca piena, morbida. Una pericolosa fame risvegliò il diavolo in lui. Oh, accidenti, era passato tanto, tantissimo tempo. Forse troppo.

    Le sensuali labbra della donna si serrarono in una smorfia stizzita. Sembrava proprio che non si fosse ancora accorta del fascino di Guy. «C’è gente che lavora, lo sa? E che al mattino deve alzarsi presto.»

    «Davvero?» Le sorrise. Non intendeva sorbirsi una predica del genere alle otto e trenta di sera. Non era nemmeno buio fuori. Si divertiva a stuzzicarla, ad ascoltare la sua voce. «Oh. E quella gente non si diverte mai?»

    Magari doveva suggerirle di sculacciarlo. Quella sì, che sarebbe stata una bella idea.

    Mentre la sua mente partoriva quel pensiero intrigante, Guy notò che Amber aveva lanciato una timida occhiata al suo torace, alle sue braccia e più in basso, sotto la cintura. Nonostante l’indignazione, un lampo illuminò gli occhi viola.

    Forse fu solo una scintilla, ma una scintilla intensamente femminile che scoperchiò un vaso di pandora colmo di preoccupanti e terrificanti possibilità.

    La scarica elettrica che lo aveva animato e che adesso scivolava verso le sua parti basse frenò di colpo. Con uno scatto Guy si rifugiò in casa e chiuse la porta dietro di sé. Il respiro ansante, restò immobile, paralizzato per alcuni secondi prima di rendersi conto di quanto idiota fosse stato il suo comportamento.

    Riaprì la porta.

    Ma era troppo tardi. Lei era sparita.

    Immobile nel soggiorno vuoto, illuminato solo dalla luce delle stelle, Amber cercava di ritrovare la concentrazione.

    La dolce melodia del Clair de lune risuonava nel silenzio. Ogni nota era per lei la goccia di un benefico elisir ma, per quanto si sollevasse sulle punte e stendesse le braccia verso la luna che risplendeva in cielo... arabesque, arabesque, glissé...

    Niente. Era inutile. La magia se n’era andata.

    Spense la musica. Era furibonda. Non c’era più verso di riuscire a sconfiggere l’insonnia con la danza. Dall’appartamento attiguo giungeva ancora quell’orribile accozzaglia di suoni, anche se il volume era lievemente diminuito. Ma doveva smettere di pensare a quelli là. E soprattutto a quel lui.

    E non c’entravano niente la sua bocca o il modo in cui i jeans gli disegnavano il corpo. Era abituata ai tipi dal fisico scultoreo. Anzi, a dire la verità, non ne poteva più di quelli così. E anche gli occhi non c’entravano niente. Nei suoi ventisei anni di vita Amber ne aveva visti a bizzeffe di begli occhioni grigi.

    No, era stata la strafottenza di quello sguardo a colpirla. La ridicola pretesa secondo la quale lei, in quanto donna, avrebbe dovuto cadergli ai piedi. Il suo vicino era così sicuro di sé che non si era nemmeno preoccupato di terminare la conversazione.

    Quanto poteva sbagliarsi un uomo? L’ultimo che l’aveva convinta a fare quel tuffo ai suoi piedi le aveva poi insegnato tutto ciò che una donna doveva sapere sul crepacuore.

    Si tolse le scarpette e si infilò sotto le lenzuola. Si sdraiò su un fianco, tesa come una corda di violino, poi provò l’altro. Niente da fare. Si girò e rigirò. E in un baleno la mente riprese a rimuginare.

    I soldi. Il negozio. La ristrutturazione. La solitudine. Gli uomini che prendevano in giro con sguardi sorridenti.

    Nel tardo pomeriggio l’area della galleria Kirribilli Mansion dove si trovava il negozio Fleur Elise era solitamente tranquilla. E quel giorno, di certo uno dei più lunghi che lei ricordasse, non si vedeva l’ombra di un cliente. Dopo tre notti insonni, Amber aveva accolto con piacere la possibilità di schiacciare un pisolino nella stanza dove preparavano i bouquet.

    Purtroppo Ivy, la contabile che aveva ereditato insieme al negozio, era arrivata per darle una mano. «... devi fare dei tagli. Amber? Mi ascolti?»

    Amber trasalì. Non era la prima volta che notava quanto la voce di Ivy fosse squillante. Una piccola esclamazione e avrebbe potuto infrangere una vetrina.

    Posò la testa dolorante sul tavolo. A causa della mancanza di sonno aveva i nervi a fior di pelle. E tutto per colpa di quell’uomo. Forse, se l’avesse ignorata, Ivy sarebbe stata zitta.

    Per quanto la riguardava, quello non era proprio il momento giusto per elencarle le sue incapacità di imprenditrice. Era stanca. Aveva bisogno di riflettere su ciò che accadeva, notte dopo notte, nell’appartamento di Jean. Il frastuono. La musica. Quel tipo. Digrignò i denti. Non vedeva l’ora che Jean e Stuart tornassero.

    Era così seccata dal modo in cui lui l’aveva guardata: quello sguardo rovente, quel sorriso beffardo su quella bocca sexy da morire. Forse aveva pensato che lei ne sarebbe stata lusingata. Ciò che gli uomini non capiscono mai è che le donne sanno quando non sono al loro meglio. Se una donna che indossa una vecchia maglia informe sulla camicia da notte suscita un certo interesse in un uomo ha ben poco di cui andare fiera. Significa soltanto che probabilmente lui guarda qualsiasi esponente del gentil sesso in quel modo. In altre parole, è molto facile che sia un donnaiolo cronico, proprio come era stato il padre di Amber.

    Oh, sì. Il vicino di casa sembrava proprio quel genere d’uomo con quel suo sorriso pigro. Il classico narciso rubacuori. Ma, se l’avesse vista quel giorno, nemmeno lui l’avrebbe guardata due volte. Amber si sentiva un disastro.

    Appoggiò la testa sulle braccia. Una delle canzoni che quella band da quattro soldi aveva strapazzato iniziò a farsi strada nella sua mente. Era irritante. E, come se non bastasse, quella mattina mentre si lavava Amber lo aveva sentito fischiettare sotto la doccia quella stessa melodia, ma a un ritmo più lento, più sensuale.

    Perché Jean non le aveva detto niente? Dopotutto erano amiche, no? Lei era quella che avrebbe dovuto prendersi cura dei pesci e delle piante di Jean.

    Non era giusto. Con tutto quello di cui doveva preoccuparsi, nessuno avrebbe dovuto distrarla in quel modo.

    «... taglia i costi generali.» La voce di Ivy penetrò nella nebbia delle riflessioni di Amber come una sega laser. «Per esempio, Serena.»

    Scioccata, Amber sbottò: «Che cosa? Dovrei licenziare Serena?».

    «Be’, sì, se non vuoi tagliare da qualche altra parte.»

    Amber era sconcertata. «Ma Ivy, Serena è l’unica vera fiorista qui dentro. Noi non abbiamo il suo talento, né le sue capacità. Va bene, so che da quando ha avuto la bambina è stata a casa parecchio, ma quando si sarà organizzata meglio, vedrai che le assenze diminuiranno. E poi ha bisogno di lavorare. Lei e la piccola dipendono dalle ore che fa qui.»

    «Io non gestisco un ente di beneficenza» borbottò Ivy. «Scommetto che tra poco ricomincerai con la storia di aprire l’ingresso sulla strada e di spendere una fortuna per ristrutturare il negozio.»

    Amber si irrigidì. Ivy non gestiva proprio un bel niente. Fleur Elise era il suo negozio. L’eredità lasciatale da sua madre. Stava per controbattere, ma con uno sforzo estremo riuscì a trattenersi. Quel corso di gestione che stava seguendo raccomandava sempre di mantenere la calma nel momento dello scontro. Sempre professionali, era il motto.

    Trasse un respiro profondo. Anzi, più di uno. Doveva ricordare a se stessa che la mamma aveva sempre avuto molta fiducia in Ivy. La leggendaria abilità di Ivy nell’evitare spese era un bene irrinunciabile, sosteneva. Ed era sicuramente vero. Peccato che non andasse bene per un negozio di fiori.

    Per lo meno non per il negozio di Amber. Il suo negozio avrebbe dovuto straripare di boccioli. Papaveri e tulipani, bocche di leone e viole, giunchiglie e nontiscordardimé. Mazzi e mazzi di

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