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La strada della commedia
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E-book180 pagine2 ore

La strada della commedia

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Info su questo ebook

Nicanor è un attore cinquantenne che vive da solo con il padre anziano in un edificio multifamiliare a L'Avana. Ha rinunciato alle sue aspirazioni, ai suoi sogni e aspettative. All'improvviso, uno degli abitanti dei piani superiori comincia a lanciare una lattina vuota di Coca Cola nel corridoio, a mezzanotte in punto, per diverse notti consecutive. Nicanor non immagina che si tratta dell'inizio di una serie di eventi che cambieranno la sua vita e la sua visione del mondo, e non solo le sue: il quartiere non sarà più lo stesso. Ma la cosa va oltre, e sarà il destino del paese a essere in gioco.... 

LinguaItaliano
EditoreBadPress
Data di uscita15 lug 2019
ISBN9781071500699
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    La strada della commedia - Eduardo del Llano

    Eduardo del Llano

    La strada

    della commedia

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    Questa storia era, in origine, la trama di un film di Daniel Díaz Torres.

    Questo romanzo è, quindi, dedicato alla sua memoria.

    Indice

    I

    II

    III

    IV

    V........................................................................................81

    VI

    VII

    VIII

    IX

    X

    XI

    XII

    Non è facile mettere il dito sulla piaga

    quando la piaga è proprio sul dito.

    Eduardo Mendoza

    I

    Erano già diverse notti consecutive che, alle 12 in punto, qualcuno gettava una lattina vuota di Coca Cola nel corridoio dietro l’appartamento di Nicanor O’Donnell, e il rumore risuonava in tutta la camera da letto.

    In un certo senso, la cosa non lo sorprese: il suo isolato era sempre stato popolato da figli di puttana. La più alta concentrazione di figli di puttana per metro quadrato. Una sovrappopolazione di figli di puttana meritevole di studio. Chiunque, ovunque, ha due o tre nemici regolari, ma Nicanor viveva con la certezza che in un raggio di cento metri dalla sua abitazione tutti lo odiavano e cospiravano per ferirlo. Forse non al punto da incontrarsi ogni giorno dalle cinque alle sette per parlare male di lui e trovare modi nuovi e creativi per rompergli le palle, ma indubbiamente lo giudicavano, lo indicavano con il dito, buttavano la spazzatura dietro il suo appartamento. Tutti figli di puttana. Pur consapevole della natura contraddittoria del concetto, O’Donnell avrebbe voluto fondare un partito di misantropi.

    Nicanor era un attore di teatro, a volte un attore televisivo, mai un attore cinematografico. La sua specialità era morire in modo spettacolare. Anche se lavorava nel gruppo Le Maschere, con sede nella sala Cancún, qualsiasi collettivo sul punto di mettere in scena un lavoro dove qualcuno doveva agonizzare lo chiamava e il suo regista lo cedeva senza troppo mercanteggiare. Anche nelle Maschere c’erano diversi attori che lo superavano in quanto a intensità e tecnica, ma al momento di ansimare, di pronunciare le ultime parole, di esalare l’ultimo respiro e girare la testa, nessuno gli si avvicinava neanche lontanamente. Della morte di Nicanor in un telefilm si parlò per mesi interi e grazie a quella interpretazione fu nominato per l’ambito premio Batracio, anche se alla fine non vinse, giustamente, per via di tutto ciò che il personaggio faceva prima di morire.

    Nicanor viveva con suo padre, un anziano bisbetico con un Parkinson incipiente. Sua madre si era suicidata, dalla moglie aveva divorziato anni prima e, sebbene non erano mancate – ma neanche erano abbondate – amanti occasionali, era un uomo sostanzialmente solo. Quando entrò nelle Maschere gli bastarono tre mesi per farsi tutto il personale femminile, compresa la truccatrice, la costumista e un ragazzo mezzo androgino di Pinar del Río con il quale fece l’alba dopo una prima, ma un po’ di tempo fa. Il sesso era qualcosa di infinitamente più complicato ora.

    I vicini lo consideravano con sospetto non tanto perché era un attore ma perché non era un attore di successo. La gente di teatro riuniva un branco di vagabondi depravati, si sapeva, ma quella vita valeva la pena se almeno ti portava al cinema, ai festival e sui rotocalchi. A cinquant’anni, non saper fare altro che morire sul palco era patetico. Certo, non tutti erano suoi vicini di casa. Quando recitava, Nicanor provava un vago disprezzo per il pubblico, ma erano persone che andavano e venivano, mani che pagavano per un biglietto e poi applaudivano e magari in seguito si facevano avanti per essere strette. I proprietari di quelle mani venivano a vederlo morire e ne restavano colpiti, e di ritorno a casa commentavano quanto gli ultimi secondi li avessero commossi, indicavano la guancia come se vi si potessero ancora notare lacrime di emozione. Il pubblico, a eccezione di una minima e disprezzabile percentuale, non viveva a meno di cento metri dal suo appartamento.

    Chi poteva essere a lanciare le dannate lattine? Georgina, quella che ce l’aveva con Mirna? Quell’hipster, J, che lavorava in un laboratorio ed era uno dei pochi con cui manteneva una sorta di rapporto sociale, basato principalmente sullo scambio tra film, episodi di serie e porno casalinghi con biglietti per spettacoli teatrali? Máximo, il vecchio fondamentalista col berretto basco? Il suo appartamento era sopra il suo, e le finestre delle pareti posteriori davano direttamente sul corridoio. Naturalmente c’era anche l’edificio di fronte, e in ogni caso Georgina, Máximo e J non erano gli unici: pur vivendo lì da undici anni, Nicanor non conosceva ancora tutti. Suo padre, invece, sì. Con O’Donnell senior il dialogo non era facile per nessuno, ma godeva del vantaggio dell’esperienza. Inoltre, il vecchio era andato a teatro solo una volta nella vita, a una rappresentazione di Una scatola di scarpe vuota di Piñera. Non capì niente, si annoiò e poi rimase chiuso in bagno finché una lesbica forzuta non sfondò la porta.

    Gli abitanti dei piani superiori del suo edificio e dell’altro lanciavano sempre nel corridoio preservativi, bucce di banana, fiammiferi e contenitori di plastica imbevuti di liquidi disgustosi. Un tipo che doveva amare la natura tanto quanto disprezzava i suoi vicini per un certo periodo aveva cominciato a spargere ogni mattina la colazione per gli uccelli. Non per gli uccelli chic, piccioni o falchi: qualunque passero plebeo e malnutrito beneficiava della sua generosità. Tuttavia, il menu versato consisteva in delicate prelibatezze che presto si decomponevano, come pezzi di tortilla, briciole di pane, fagioli neri e riso cotto. A Nicanor ci vollero mesi di dura attività investigativa per scoprire chi era, poi fece scoppiare uno scandalo, dicendo che se voleva nutrire volatili o evangelizzarli lo facesse all’ingresso del suo appartamento, ma non nel corridoio comune, cosa che serviva solo ad avvilire gli esseri umani del piano terra e a ingrassare i topi. Ciò neutralizzò il benefattore degli uccelli, almeno in parte: ogni tanto apparivano ancora sporadici pezzi di pane secco, che Nicanor spazzava stoicamente durante il fine settimana.

    Con le lattine la cosa fu drammatica fin dall’inizio: è incredibile il rombo che causa un contenitore metallico a mezzanotte. Quella volta rimase un po’ di tempo con l’orecchio vigile, ricordando la storia del tipo il cui vicino del piano di sopra si toglie ogni sera le scarpe e le getta rumorosamente in terra, non all’unisono ma una dopo l’altra. L’attacco sonoro non si ripeté, ma Nicanor non riuscì a dormire quasi fino all’alba. Al mattino trovò la lattina di Coca Cola. L’identità del liquido lo lasciò perplesso: aveva pensato che fosse una birra.

    Dopo una settimana, O’Donnell era un relitto emotivo. La cosa che più lo sconcertava era la totale mancanza di logica della questione, immaginare quale subdolo motivo poteva portare qualcuno a bere una Coca alle 12 di notte, quale rituale contorto comportava il consumo di quella pozione con le bollicine proprio a quell’ora. Fra l’altro, fa anche male alla salute.

    Forse il tipo si prepara da bere, pensò Nicanor, forse ha una bottiglia di rum e usa la Coca Cola per preparare un Cubalibre. Tuttavia, ciò non spiegava la precisione inaudita implicita nel fatto di consumare una lattina della bibita in questione esattamente a mezzanotte. Il figlio di puttana beveva la stessa quantità di alcol, mescolato nello stesso modo, per finire sempre alla stessa ora? Che cazzo stava festeggiando così metodicamente, e perché non si ubriacava come Dio comanda in una sola notte, anche se poi doveva raccogliere dal corridoio un cumulo di lattine e bottiglie? Non era più economico, oltre che ragionevole, comprare una bottiglia da due litri di Coca Cola e svuotarla a poco a poco? Forse doveva prendere un farmaco a quell’ora precisa e gli era stato ordinato di accompagnarlo con quel fluido scuro? Molto improbabile, i medici di solito si riferiscono all’acqua o al succo quando parlano di abbondante consumo di liquidi. Il figlio di puttana aveva forse un’amante che beveva solo Coca Cola di notte? Ancora meno plausibile, le donne sanno che causa gas e rutti dal numero di ottani erotici pari a zero. E comunque, se il tipo lo faceva esclusivamente per rompere le palle a Nicanor, perché non lo faceva lanciando oggetti diversi?

    In quelle notti non era mai riuscito a dormire più di tre ore. Negli ultimi due anni metteva a letto suo padre e si coricava presto – il direttore delle Maschere, comprensivo, gli aveva dato il permesso di saltare la maggior parte delle prove serali e d’altra parte non in tutte le opere muore qualcuno – ma gli attacchi con la Coca Cola lo tenevano sveglio fino a mezzanotte, per cui si metteva a guardare un film e poi non riusciva ad addormentarsi fino alle quattro, con i nervi a pezzi. E la settimana successiva doveva morire in televisione, in un breve corto educativo sui pericoli della guida in stato di ebbrezza. Anche se morire era la sua specialità, doveva concentrarsi e provare. Ogni morte era speciale.

    Provò a chiedere a J.

    – Non ne ho idea, – disse l’altro, – non sono io, lo giuro, non bevo Coca Cola da quando avevo quindici anni. è un veleno.

    – Georgina? Máximo? Quelli dell’ultimo piano?

    – Non ce li vedo Georgina o quell’uomo in questa storia dei lanci. E quelli dell’ultimo piano si sono trasferiti, l’appartamento è vuoto. Penso che i nuovi inquilini arriveranno domani.

    – Allora qualcuno dell’altro edificio?

    – È più facile. Il fatto che trovi le lattine contro il muro posteriore della tua stanza suggerisce una traiettoria di curva ampia...

    – Non suggerisce un bel niente. Le lattine rimbalzano.

    – Rimbalzano, ma a seconda di dove sono cadute dovrebbero provenire da una determinata direzione e con una determinata forza. Ho un amico che è professore di fisica all’Università. Posso darti il suo numero di telefono.

    Nicanor accettò senza prendere la cosa troppo sul serio, ma quella notte fu la peggiore di tutte, non riuscì a dormire affatto e i suoi occhi si gonfiarono, così la mattina dopo chiamò il fisico. Fu fortunato, il ragazzo non aveva lezione fino al pomeriggio e viveva nelle vicinanze, quindi quaranta minuti dopo bussò alla sua porta. Lo portò nel corridoio tra gli edifici, gli mostrò il disegno a gesso che aveva fatto all’alba e che delimitava la posizione dell’ultima lattina. La lattina l’aveva buttata via. Il fisico accese un tablet e iniziò a scattare foto e a disegnare uno schizzo.

    – Ci sono quattro possibilità, – disse alla fine, – anzi, in realtà cinque, se consideriamo che un uccello dall’apertura alare simile a una poiana abbia lanciato la lattina, ma questa la possiamo scartare perché la probabilità che una poiana vera, uccello per di più diurno, riproduca tutte le notti la stessa traiettoria con una Coca Cola nel becco e la lasci esattamente in questo posto è di uno a più di diverse centinaia di milioni... in breve, la poiana possiamo scartarla.

    – Non sai quanto sono contento – disse Nicanor.

    – Allora può venire da quella finestra, – indicò l’ultimo piano dell’edificio che si trovava di fronte, – da quella in basso o dalle finestre corrispondenti su questo lato.

    – Non è che chiarisca molto le cose – osservò l’attore.

    – Che vuoi dire?

    – Ero giunto alla stessa conclusione da solo. Certo, potrei essere un genio della fisica senza saperlo.

    – Beh, è solo il primo giorno – disse l’altro, paterno. – La scienza è osservazione e analisi. Se vuoi, posso venire per una settimana, e alla fine sarò in grado di ridurre la lista a un paio di finestre. Però non toccare le lattine. Ho bisogno di osservarle nel contesto.

    – Grazie – disse Nicanor.

    – Di nulla, – rispose il fisico, – sono cinque pesos.

    Quella notte, un Nicanor con le occhiaie e le palpitazioni si appostò nel corridoio alle undici e mezzo, con una torcia da quindici LED puntata verso l’alto. è quello che avrei dovuto fare fin dall’inizio, si ripeteva mentre i suoi occhi saltavano da una finestra all’altra, troverò il colpevole senza che tutti i miei risparmi se ne vadano per pagare quel fisico figlio di puttana. Se ho smascherato quello che dava da mangiare agli uccelli, scoprirò anche il maniaco della Coca Cola. È vero che con l’altro è stato più facile perché gettava le sue porcherie al mattino presto, ma non con la puntualità di questo; tra pochi minuti saprò chi è.

    Un po’ prima aveva preso delle precauzioni in modo che nulla lo distraesse dalla sorveglianza. Urinò prima di uscire, si portò un panino avvolto in un tovagliolo. Nel pomeriggio era andato al policlinico perché gli bruciavano gli occhi, erano gonfi e in suppurazione; gli avevano prescritto un collirio, che applicò immediatamente. All’inizio sentì sollievo: verso le sei si era divertito a guardare alcuni tipi forzuti che scaricavano mobili da un camion di traslochi davanti all’edificio, e a quell’ora i suoi occhi erano quasi a posto. Ora, a metà dell’attesa, avevano ripreso a bruciargli e lui se li strofinava come se volesse riprogettarli, con il risultato di avere l’aspetto di uno zombie asiatico. Inoltre, gli faceva malissimo il collo. Per non attirare l’attenzione sulla luce della sua lampada, la teneva ferma, con il risultato che aveva anche i crampi all’avambraccio. Il sacrificio ne varrà la pena, si ripeteva con stoicismo, questa è la tua ultima Coca Cola notturna, pervertito, non mi rovinerai più il sonno.

    Alle undici e cinquantasei una luce si accese al

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