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Il Sicario Ritorna: Keller, #3
Il Sicario Ritorna: Keller, #3
Il Sicario Ritorna: Keller, #3
E-book376 pagine4 ore

Il Sicario Ritorna: Keller, #3

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Info su questo ebook

Keller è un killer. Professionale, freddo, sicuro, competente, affidabile. Ma è anche una persona complessa: riservato e solitario, gelido e spietatamente efficiente, è portato alla solitudine e ai dubbi, agli incubi e al timore per la sua carriera.

Il Sicario Ritorna (Hit Parade) è il terzo dei cinque volumi nei quali compare.

"Keller, solitario per temperamento e a causa del suo lavoro, si trova bene con Dot, la sua agente. I due colleghi in affari conversano affabilmente – ma discutono della morte, a volte nei dettagli più cruenti. Col suo humour pungente, Block segue le occupazioni del moralmente ambiguo Keller, che va in cerca di francobolli rari e costosi quando non si occupa del suo 'lavoro'.
Block, vincitore di quattro premi Shamus e del premio Edgar per la letteratura poliziesca, riesce a far sì che il lettore parteggi suo malgrado tanto per il killer quanto per le vittime, stravolgendo il suo abituale modo di identificazione e le sue convinzioni su ciò che è giusto e ciò che è sbagliato". (Publishers Weekly)

LinguaItaliano
Data di uscita7 ago 2019
ISBN9781393399629
Il Sicario Ritorna: Keller, #3
Autore

Lawrence Block

Lawrence Block is one of the most widely recognized names in the mystery genre. He has been named a Grand Master of the Mystery Writers of America and is a four-time winner of the prestigious Edgar and Shamus Awards, as well as a recipient of prizes in France, Germany, and Japan. He received the Diamond Dagger from the British Crime Writers' Association—only the third American to be given this award. He is a prolific author, having written more than fifty books and numerous short stories, and is a devoted New Yorker and an enthusiastic global traveler.

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    Anteprima del libro

    Il Sicario Ritorna - Lawrence Block

    Il Battitore Designato


    ***

    UNO

    Keller, con una birra in una mano e un hot dog nell’altra, salì una rampa e mezza di gradini di cemento e ritrovò il suo posto. Davanti a lui, due uomini stavano discutendo le implicazioni di un recente scambio che avevano fatto i Tarpons, mandando ai Florida Martins due promesse di serie minore in cambio di un lanciatore di rilievo mancino e di un altro giocatore da nominare in seguito. Keller pensò di non essersi perso nulla, poiché stavano parlando dello stesso soggetto quando si era allontanato. Pensò che il giocatore in questione sarebbe già stato nominato da molto tempo, prima che questi due avessero smesso di discuterne.

    Keller mangiò un morso dello hot dog e bevve un sorso di birra. Il tizio alla sua sinistra disse: Non ne avete portato uno per me.

    Eh? Aveva detto all’uomo che sarebbe tornato subito, e poteva avere aggiunto che andava al chiosco, ma aveva perso qualche sua risposta?

    Che cosa non vi ho portato? Un hot dog o una birra?

    Uno o l’altro, disse lui.

    Avrei dovuto?

    No, disse l’uomo, non badatemi. Stavo solo scherzando un po’.

    Oh, disse Keller.

    Il tizio stava per dire altro, ma si interruppe dopo una o due parole per rivolgere la sua attenzione, come tutti nello stadio, alla casa base, dove il quarto in battuta dei Tarpons era appena caduto a terra tentando di evitare di essere colpito da un lancio interno veloce. Il lanciatore degli Yankee, un massiccio giapponese che preparava i tiri in modo poco coordinato, sembrò ignorare i fischi del pubblico, e Keller si chiese se si fosse almeno reso conto che erano per lui. Prese la palla rilanciatagli dal ricevitore, si preparò, e iniziò i suoi movimenti per lanciare.

    A Taguchi piace lanciare interno, disse l’uomo che aveva scherzato con Keller, e a Vollmer piace giocare vicino al piatto. Quindi ogni tanto Vollmer deve andare a terra o essere colpito per la squadra.

    Keller mangiò un altro boccone del suo hot dog e si chiese se dovesse offrirne un po’ al suo nuovo amico. Il fatto stesso che ci pensasse sembrava indicare che la presa in giro aveva avuto qualche successo. Fu contento di non dovere condividere il suo hot dog, perché ne voleva mangiare ogni boccone. E, una volta finito, pensò che sarebbe anche potuto andare a prenderne un altro.

    Il che era strano, perché non mangiava mai hot dog. Qualche anno prima aveva letto un commento su una rivista che paragonava gli insaccati alle leggi. Era meglio non sapere come entrambe le cose venivano fatte, osservava l’autore; e Keller, che fino a quel momento non si era mai preoccupato di come fossero approvate le leggi o fossero prodotte le salsicce, ebbe una nuova consapevolezza della faccenda. L’aspetto legislativo non aveva cambiato la sua vita, ma – senza rendersene conto – aveva perso il gusto per le salsicce.

    Ma trovandosi in un campo di baseball, in qualche modo era diverso. Sospettava che la composizione degli hot dog che vendevano qua allo stadio dei Tarpon fosse semmai ancora più dubbia di quella del solito würstel del supermercato, ma non sembrava quello il punto. Un hot dog allo stadio era parte dell’esperienza della partita, come ascoltare qualche tifoso con la lingua impastata che gridava suggerimenti a un giocatore distante decine di metri che non poteva sentirlo, o come fischiare a un lanciatore il quale se ne fregava completamente, o scherzare con un perfetto sconosciuto. Tutto parte dello Sport Americano Preferito.

    Addentò lo hot dog, masticò, bevve un sorso di birra. Taguchi era a tre ball e due strike con Vollmer, che aveva battuto volutamente quattro palle foul con due strike, prima di averne una che gli piacesse. L’aveva spedita a 120 metri, tra l’esterno sinistro e l’esterno destro, dove Bernie Williams la rimandò dentro. Vi erano corridori in prima e seconda, e quando la palla fu presa tornarono trotterellando verso le loro rispettive basi.

    Uno fuori, disse il nuovo amico di Keller, quello che lo aveva preso in giro.

    Keller mangiò il suo hot dog e bevve la birra. Il battitore successivo girò furiosamente la mazza battendo una rimbalzante vicino al monte di lancio.

    Taguchi si avventò sulla palla battuta, ma il meglio che riuscì a fare fu giocarla in prima base, e i corridori avanzarono. Uomini in seconda e terza, due fuori.

    Era la volta del terza base dei Tarpon, e la folla fischiò sonoramente quando gli Yankee decisero di concedere una base intenzionale. Lo fanno sempre, disse Keller.

    Sempre, disse l’uomo. È una tattica, e se lo fa la propria squadra non importa a nessuno. Ma quando è il turno dei tuoi e l’altra squadra non vuole lanciare al battitore, lo si vede come un segno di vigliaccheria.

    Però sembra una mossa furba.

    A meno che Turnbull gliela faccia vedere con un grande slam, e Dio sa se ne ha battuti alcuni nel passato.

    Io ne ho visto uno, una volta, ricordò Keller. Al Wrigley Field, prima che avessero l’illuminazione. Lui giocava con i Cubs. Non ricordo contro chi.

    Allora deve essere stato prima che ci fosse l’elettricità, se era con i Cubs. C’è da sempre, vero? Ma ultimamente si è lasciato andare, e si deve andare con le percentuali. Se lo si fa, abbiamo un battitore da .320 che vale uno da .280, e in più hai un gioco forzato in tutte le basi.

    Sì, è un gioco di percentuali, disse Keller.

    Un gioco di centimetri, un gioco di percentuali, un gioco di vorrei-potrei-dovrei, disse il tizio, e Keller in quel momento si sentì più orgoglioso del solito di essere americano. Non era mai stato a una partita di calcio, ma dubitava che in tal caso avrebbe mai potuto sostenere una conversazione di quel genere.

    Settimo battitore per i Tarpons, avvertì l’annunciatore dello stadio. Numero 17, battitore designato, Floyd Turnbull.

    ***

    DUE

    È un battitore designato, aveva detto Dot, sotto il portico della vecchia grande casa di Taunton Place. Qualunque cosa voglia dire.

    Vuole dire che viene usato solo per l’attacco, le disse Keller. Batte al posto del lanciatore.

    Perché il lanciatore non può battere da solo? C’è qualche regola sindacale?

    Pressappoco, disse Keller, che non voleva entrare in dettagli. Una volta aveva cercato di spiegare a una hostess le regole dell’infield fly, e non avrebbe più ripetuto lo stesso errore. Non era sessista su questa cosa, conosceva molte donne che comprendevano questi regolamenti, ma quelle che non li conoscevano avrebbero dovuto impararli da qualcun altro, non da lui.

    L’ho visto giocare qualche volta, le disse, mentre mescolava il suo tè freddo. Floyd Turnbull.

    In televisione?

    In televisione dozzine di volte, rispose lui. Intendevo che l’ho visto di persona. Una volta a Wrigley Field, quando lui giocava con i Cubs e io mi trovavo a Chicago.

    Eri là per caso?

    Be’, disse Keller, Non sono mai da qualche parte per caso. Era per lavoro. In ogni modo, avevo un pomeriggio libero ed ero andato a una partita.

    Adesso andresti in un negozio di francobolli.

    Ora la maggior parte della partite si svolge di notte, disse Keller, ma ogni tanto ci vado ancora. Ho visto Turnbull anche a New York un paio di volte. Allo Shea, quando lui era con i Cubs ed erano in città per una serie di incontri con i Mets. O forse quando lo vidi era già con gli Astros. Difficile ricordare.

    E non è proprio essenziale saperlo esattamente.

    Credo di averlo visto anche allo stadio Yankee. Ma hai ragione, non è importante.

    In realtà, disse Dot, per me sarebbe meglio se tu non lo avessi mai nemmeno visto, dal vivo o in TV. Questo ti rende le cose più difficili, Keller? Perché posso sempre richiamare quel tizio e dirgli che rinunciamo.

    Non è necessario.

    Bene, perché lo odierei, visto che hanno già pagato il cinquanta per cento di anticipo. Posso rinunciare a un’offerta di lavoro ogni giorno, e a due la domenica, ma se devo restituire del denaro che ho già in mano . . . c’è qualcosa che mi dà la nausea allo stomaco. Chissà perché.

    Una volta che hai addentato l’osso . . . suggerì Keller.

    Odio da matti mollarlo. Ma tu hai visto questo tizio mentre giocava. Questo non ti rende più difficile farlo fuori?

    Keller rifletté, poi scosse la testa. Non vedo perché, disse. È il mio mestiere.

    Giusto, disse Dot. Sei un professionista, come Turnbull, no? Lui batte. Tu lo abbatti.

    Battitore designato, disse Keller, mentre Floyd Turnbull si faceva chiamare un secondo strike. Chi diavolo ha ideato questa cosa?

    Un genio del marketing, disse il suo nuovo amico. Qualche idiota che ha fatto una ricerca e ha scoperto che alla gente piace vedere più battute valide e fuori campo. Quindi hanno abbassato il monte di lancio e hanno detto agli arbitri di non chiamare più i lanci alti, e poi hanno vivacizzato il baseball e nei nuovi campi hanno messo le reti di protezione, e i giocatori hanno iniziato a fare sollevamento pesi e a usare mazze più leggere, e adesso le partite di baseball hanno i punteggi come quelle di football. La settimana scorsa i Tigers hanno battuto gli A’s per quattordici a tredici. Ho pensato: cribbio, chi avrà concesso il punto della vittoria?

    Almeno, nella National League i lanciatori devono battere.

    E almeno nessuno dei professionisti usa quelle mazze di alluminio. Quando fanno vedere il baseball universitario su ESPN non riesco nemmeno a guardarlo. Non sopporto il suono che fa la palla quando la colpiscono. E poi, va troppo lontano.

    Il lancio successivo fu per terra. Posada non riuscì a prendere bene la palla, ma il suggeritore di terza base, sospettoso, trattenne il corridore. Il pubblico fischiò, anche se era difficile capire chi stesse fischiando, o perché. I due tizi davanti a Keller si unirono alla protesta, e Keller e il tizio che aveva di fianco si scambiarono uno sguardo d’intesa.

    Fan, disse l’uomo, alzando gli occhi al cielo.

    Il tiro seguente fu all’altezza della vita, e Turnbull lo colpì bene. Lo stadio trattenne il fiato mentre la palla volava verso l’angolo sinistro, con un effetto che andò in foul all’ultimo momento. La folla emise un sospiro e i corridori tornarono alle loro basi. Turnbull, con aria scontenta, ritornò nel box di battuta.

    Girò il lancio successivo, che a Keller sembrava il quarto ball, battendo la palla sulla destra. O’Neill si tuffò e la prese al volo, e l’inning giunse alla fine.

    Gli Yanks sono al primo posto, disse l’amico di Keller. Era ora che prendessero la situazione in mano, non credete?

    Con due giocatori dei Tarpons eliminati nella metà dell’ottavo inning e gli Yankees in vantaggio di cinque run, Floyd Turnbull colpì una palla veloce di Mike Stanton e la spedì fuori campo, nell’anello superiore delle gradinate. Keller lo osservò mentre faceva il giro delle basi, ricevendo un bell’applauso dagli spettatori ancora presenti.

    È il fuori campo numero 393 nella carriera del vecchio cavallo, disse il tizio alla destra di Keller. E tutta quella gente se l’è perso perché dovevano andare via prima che ci fosse troppo traffico.

    Il numero 393?

    Gliene mancano sette per i quattrocento. E per quel che riguarda le battute valide, abbiamo appena visto la numero 2988.

    Sapete a memoria tutte queste statistiche?

    Non ce la farei mica, disse l’uomo, indicando il tabellone dello stadio che recava le informazioni che aveva citato. Ancora dodici battute valide per entrare nel circolo magico del Club dei 3000. È la sola cosa buona che si può dire della regola del battitore designato: permette a uno come Floyd Turnbull di restare nel giro ancora per un paio d’anni, abbastanza per arrivare ai punteggi che lo faranno entrare nell’Albo d’oro del Museo del Baseball di Cooperstown. E alla squadra serve ancora. Non potrà fare il giro delle basi di corsa o inseguire una palla, ma il vecchio bastardo non ha dimenticato come batterla con la mazza.

    Gli Yankees tornarono a segnare punti nella prima metà del nono inning con una base su ball a Jeter e un fuori campo di Bernie Williams, mentre i Tarpons finirono la seconda parte dell’inning con Rivera che eliminò al piatto i primi due battitori e il terzo con una volata sull’interbase.

    Peccato che non ci fosse nessuno quando Turnbull ha fatto il fuori campo, disse l’amico di Keller, ma di solito è così. È ancora bravo con la mazza, ma batte quando non c’è nessuno sulle basi, e di solito quando il resto della squadra è troppo avanti o indietro nel punteggio per poter fare una differenza.

    Keller e l’uomo scesero una serie di rampe e uscirono dallo stadio. Mi piacerebbe vedere il vecchio Floyd arrivare a quei punteggi da record, disse il tizio, "ma in qualche altra squadra. Quello che serve a questa è un buon lanciatore partente mancino e qualche elemento valido nella bullpen, non un uomo anziano, con le ginocchia malandate, che fa fuori campo quando non serve".

    Pensate che dovrebbero cederlo in cambio di qualcun altro?

    "Loro lo vorrebbero eccome, ma chi si prenderebbe Turnbull? È vero che può aiutare una squadra, ma non abbastanza da giustificare la grossa cifra che dovrebbero pagare. Il suo contratto dura ancora tre anni, tre anni a sei milioni e mezzo l’anno. Ci sono squadre a cui sarebbe utile, ma nessuno gli darebbe sei milioni e mezzo di dollari. E i Tarps non possono chiudergli il contratto prima della scadenza e comperare il lanciatore che servirebbe loro, se devono continuare a pagare lui".

    Un affare complicato, disse Keller.

    Si tratta proprio di affari. Bene, io ho l’auto in Pentland Avenue, quindi me ne vado ora. È stato un piacere chiacchierare con voi.

    Il tizio se ne andò e Keller si incamminò nella direzione opposta. Non sapeva come si chiamasse l’uomo col quale aveva parlato; probabilmente non lo avrebbe più rivisto, e la cosa gli andava bene. In realtà questo era uno dei veri piaceri per andare a una partita: le intense conversazioni che si svolgono tra estranei che possono rimanere tali. Quel tizio gli aveva fatto compagnia, e alla fine gli aveva anche fornito utili informazioni.

    Perché adesso Keller aveva un’idea del perché lo avevano assoldato.

    Con Turnbull i Tarpons sono bloccati, se lo devono tenere per forza, disse a Dot. Si prende questa paga enorme, e devono dargliela sia che lo facciano giocare o no. E suppongo che sia a quel punto che intervengo io.

    Non saprei, disse lei. Keller, ne sei sicuro? È una forma un po’ estrema per ridurre il personale. Tutto questo, solo per non pagare lo stipendio di una persona? A quanto può ammontare?

    Keller glielo disse.

    Così tanto?, disse Dot, impressionata. È davvero molto, per un uomo che deve colpire una palla con un bastone, specialmente se non deve nemmeno stare sempre in campo sotto il sole. Se ne sta soltanto seduto in panchina fino a che non è il suo turno di battere, giusto?

    Giusto.

    Be’, credo che forse potresti averci azzeccato, disse Dot. Non so chi ci abbia assunto, o perché, ma la tua ipotesi ha più senso di tutto ciò che io sia riuscita a farmi venire in mente. Ma sento di diventare un po’ nervosa, Keller.

    Perché?

    Perché questa è proprio una di quelle cose che a te fanno saltare la mosca al naso, no?

    Che mosca? Che cosa stai dicendo?

    Ti conosco da tanto, Keller. E mi sembra già di vederti, mentre pensi che questo è un modo schifoso di trattare un fedele dipendente dopo lunghi anni di servizio, e come puoi tu permettere che accada, eccetera eccetera. Mi sono spiegata bene?

    "L’eccetera eccetera era più chiaro del resto, disse Keller. Ma per quanto riguarda chi ci ha assunti e perché, Dot, io ero soltanto curioso. Essere curiosi è ben diverso dall’essere giustamente indignati".

    La curiosità uccise la gatta del proverbio, mi pare di ricordare.

    Be’, disse lui, "non sono poi così curioso".

    Allora non ho nulla da temere?

    Nulla di nulla, disse Keller. Quel tizio è un uomo morto che colpisce le palle.

    I Tarpons conclusero la serie di incontri con gli Yankees – e l’ospitalità per dodici partite – il pomeriggio seguente. Ottennero una bella prestazione dal loro esterno destro, che batté sei valide e concessero ai newyorkesi un solo punto con il fuori campo, a basi vuote, di Brosius. I Tarps vinsero, 3 a 1, senza l’aiuto del loro battitore designato, che prese due strike-out, una volata out all’esterno centro e colpì una linea dura sulla destra sul prima base.

    Keller seguì la partita da un buon posto sul lato della terza base, poi lasciò l’hotel e andò all’aeroporto. Restituì l’auto che aveva noleggiato e prese un volo per Milwaukee, dove i Tarpons sarebbero stati ospiti dei Brewers per una serie di tre partite. Noleggiò un’altra auto e prese alloggio in un motel a un chilometro circa dall’hotel Marriott, dove i Tarpons stavano sempre.

    I Brewers vinsero la prima partita 5 a 2. Floyd Turnbull quella sera batté bene, con tre battute valide su cinque turni, con due singoli e un doppio, ma non poté fare nulla per cambiare l’esito: non c’era nessuno sulle basi quando batté, e nessuno dopo di lui nell’ordine che lo avrebbe fatto segnare.

    La sera seguente i Tarps ebbero presto come avversario il novellino mancino dei Brewer e iniziarono alla grande, facendo sei punti nel primo inning e terminando la gara con una vittoria di 13 a 4. Il fuori campo di Turnbull fu nel primo grande inning, battendo un’altra valida al settimo con un doppio, ma fu poi eliminato in terza base mentre tentava di trasformare la battuta in un triplo.

    Perché deve farlo?, si chiese un tizio pelato di fianco a Keller. Due out, e cerca un terzo? Mai essere il terzo out in terza base, non è così che dicono?

    Quando sei in vantaggio di nove punti, disse Keller, direi che non importa molto in ogni caso.

    Però, disse l’uomo, è questo, quello che non va con quel coglione. Ha pensato sempre a sé stesso, per tutta la carriera. Voleva un triplo in più da aggiungere ai suoi record, questo voleva. E al diavolo la squadra.

    Dopo la partita Keller andò in un ristorante tedesco sul lago, nella parte sud della città. Il locale voleva ad ogni costo essere caratteristico, con boccali di birra appesi a sostegni di quercia scolpiti a mano, un gruppo musicale tirolese in Lederhosen e quindici diverse qualità di birra alla spina. Keller non distingueva le cameriere tra di loro, gli sembravano tutte delle versioni cresciute di Heidi, ed evidentemente Floyd Turnbull aveva lo stesso problema. Le chiamava tutte Gretchen e gli infilava la mano sotto la gonna ogni volta che ne aveva una a tiro.

    Keller si trovava lì perché aveva saputo che era il posto preferito dai Tarpons, ma il Sauerbraten del ristorante era sufficiente per giustificare una visita. Fece durare la birra fino a che ebbe vuotato il piatto, poi rifiutò il suggerimento della cameriera di un secondo boccale, chiedendo invece del caffè. Quando il caffè arrivò, altri tifosi avevano traversato la sala per chiedere ai Tarpons degli autografi.

    Tutti vogliono farsi firmare il menù, disse alla cameriera. Tra un po’ non ne avrete più nemmeno uno.

    Succede ogni volta, disse quella. Non che finiamo i menù, di quelli ne abbiamo sempre, ma che i giocatori vengano qua e gli altri clienti gli chiedano degli autografi. Agli atleti questo posto piace molto.

    Be’, la cucina è ottima.

    Ed è gratis. Per i giocatori, intendo. Ma questo porta clienti, quindi al proprietario conviene, e poi a lui piace avere il locale pieno di atleti. Però il fatto che per loro sia tutto gratis non dovrei dirvelo.

    Resterà un piccolo segreto tra noi due.

    Potete andare a dirlo in giro, non mi importa più. Questa è la mia ultima sera. Insomma, che mi importa di idioti come Floyd Turnbull? Se mi serve un esame alle parti basse, vado dal mio ginecologo, se non vi spiace.

    Ho notato che ha mani un po’ lunghe.

    Ed è tirato con tutto il resto. Mangiano e bevono gratis, ma la maggior parte di loro per lo meno lascia la mancia. Non grosse mance, i giocatori di baseball sono dei bastardi avari. Turnbull lascia sempre esattamente il venti per cento.

    Il venti per cento non è poi così male, no?

    Sì, se è il venti per cento di niente.

    Oh.

    Ha detto che anche stasera ha fatto un fuori campo.

    Il numero 394 della sua carriera.

    Be’, con me non segnerà nessun punto. Razza di stronzo.

    ***

    TRE

    Due sere fa, disse Keller, ero in un ristorante tedesco a Milwaukee.

    Milwaukee, Keller?

    Be’, non esattamente Milwaukee. Ero a qualche chilometro dalla città, sul lago Michigan.

    Abbastanza vicino, disse Dot. Ma pur sempre una bella distanza da Memphis, no? Anche se, essendo a sud della città, direi che è più vicino che se fossi stato in centro.

    Dot . . . !

    Prima di addentrarci troppo negli aspetti geografici della faccenda, disse lei, non dovresti essere a Memphis, a occuparti del tuo lavoro?

    In realtà . . .

    E non dirmi che te ne sei già occupato, perché lo avrei saputo. La CNN avrebbe dato la notizia, senza nemmeno farmi attendere i titoli sportivi, venti minuti dopo l’ora. Sai che non dicono mai dopo quale ora?

    È perché il programma viene trasmesso su fusi orari diversi.

    Hai ragione. E in che fuso orario sei, Keller? O non lo sai?

    Sono a Seattle, disse lui.

    Ora del Pacifico, quindi? Tre ore meno di New York.

    Esatto.

    Ma per quanto riguarda il loro caffè, sono anni luce avanti. Immagino che potrai spiegarmi, vero?

    Sono in tournée, disse Keller. Giocano metà delle loro partite a Memphis, e per metà delle volte sono in altre città.

    E tu li segui sempre.

    Esatto. Voglio prendermela comoda, scegliere il momento giusto. E se devo spendere qualche dollaro per i biglietti aerei, direi che sono fatti miei. Perché nessuno ha mai detto che in questo caso vi sia fretta.

    No, ammise Dot, nessuno ha detto che il tempo è essenziale. Pensavo solo che tu stessi bighellonando in giro, andando per negozi di francobolli e cose simili. Che non avessi sempre gli occhi sulla palla, diciamo così.

    Diciamo così, disse Keller.

    Be’, e come fanno a giocare a baseball a Seattle? Non piove sempre? O hanno uno di quegli stadi con un coperchio sopra?

    Una cupola, disse lui.

    Oh, mi correggo. E un’altra cosa: che cosa c’entra Memphis con il pesce?

    Eh?

    Tarpons. I tarponi sono grossi pesci. E Memphis è in mezzo al deserto.

    In realtà è sul Mississippi.

    Hai visto dei tarponi nel Mississippi, Keller?

    No.

    E non ne vedrai, a meno che sia dove caccerai Turnbull quando finalmente chiuderai il lavoro. Il tarpone è un pesce oceanico di profondità, dunque perché sceglierlo come nome per la squadra di Memphis? Visto che lì c’è Graceland, la villa di Elvis, potevano chiamarsi I Gracelanders.

    Si sono trasferiti, spiegò Keller.

    A Milwaukee, disse Dot, e poi a Seattle, e Dio sa dove andranno ancora.

    No, disse Keller. Hanno spostato la loro concessione. Hanno iniziato come nuova squadra, i Sarasota Tarpons, ma non facevano abbastanza incassi, così è subentrato un nuovo proprietario e li ha spostati a Memphis. Guarda la pallacanestro: gli Utah Jazz e i Los Angeles Lakers. Che cosa hanno a che fare lo Utah e Salt Lake City col Jazz? E da quando in qua la California Meridionale è la Terra dei Mille Laghi?

    Il motivo per cui non seguo lo sport, disse lei, è che mi confonde troppo. C’è una squadra che si chiama Miami Hot? Spero che restino fermi. Pensa se si spostassero a Buffalo, col freddo che c’è.

    Keller cercò di ricordare perché le avesse telefonato. Ah, giusto. Dot, le disse, ieri mattina ero nell’albergo dei Tarpons, e ho visto un tizio.

    E allora?

    Un tizio piccolino, con un grosso naso, e una di quelle teste strette, come se qualcuno gliela avesse messa in una morsa.

    Una volta ho sentito di un tale che lo aveva fatto davvero a qualcuno.

    Be’, non credo che sia ciò che è accaduto a questo qua, ma è il tipo di faccia che aveva. Era seduto nell’atrio e leggeva un giornale.

    Con un comportamento così sospetto, non mi meraviglia che tu l’abbia notato.

    No, disse Keller, ma fatto sta che aveva un aspetto caratteristico, e sembrava fuori posto. E lo avevo visto anche un paio di sere prima a Milwaukee, in quel ristorante tedesco.

    Il famoso ristorante tedesco.

    Immagino che sia abbastanza famoso, ma non è questo il punto. Era in entrambi i posti, ed entrambe le volte era da solo. Lo avevo notato a Milwaukee perché mangiavo da solo, e mi sembrava che mi potessero notare per quella ragione; poi ho visto che non ero l’unico cliente solitario, perché c’era lui.

    Potevi chiedergli di sedersi al tuo tavolo.

    "E anche là sembrava fuori luogo. Aveva l’aspetto di

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