Uno sparo nel buio
Di AA. VV.
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Uno sparo nel buio - AA. VV.
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Uno sparo nel buio
1. Billy e la banda Briscoe
Dovrò scrivere Ichabod nel roseo splendore dei miei sogni perché sono incorso nella disapprovazione dell’ispettore Jennings?
Mi parla con rabbia tutte le volte che mi incontra e, in momenti più amabili, scuote la testa predicendo uno spiacevole fiasco. Insomma, per usare l’espressione preferita di Billy: Vedremo!
Mi basta non essere più suo inferiore in grado e che il terzo commissario abbia segnato Stato di Servizio Eccellente accanto al mio nome nella sua relazione confidenziale. Lo so perché me l’ha detto lui a cena ieri sera. È un gentiluomo perfetto, tanto che non ha fatto un solo riferimento a quanto è accaduto il 18 maggio alla stazione ferroviaria di Tavistock, né ha riparlato di quella sera in cui Mary Ferrera è rimasta, con la pistola in pugno, a fissare con lo sguardo perso nel nulla la figura raggomitolata che giaceva sulla scrivania di Billy.
La verità è che, anche se era mio amico, ho aiutato poco o nulla Billy Stabbat nella sua sorprendente avventura; un’altra verità è che l’avventura di Stabbat assomiglia poco alle storie fantastiche che sono state ricamate sulla faccenda da scrittori dalla immaginazione fervida. Per esempio, è una menzogna affermare che una delle guardie carcerarie sia stata assassinata e che Stabbat e io abbiamo aiutato a sbarazzarsi del suo corpo. Il secondino in questione vive al quarantanove di Duchy Street, a Princetown, e oggi è incaricato della divisione numero sette, braccio D, della prigione di Dartmoor. Inoltre, mi trovavo a Londra quando si è verificato l’assalto.
È relativamente facile scrivere la vera storia dei due crimini straordinari che mandarono in cella prima Billington Stabbat e poi Mary Ferrera, il problema maggiore è sapere esattamente dove iniziarla. Naturalmente, potrei cominciare con la genealogia di Billington Stabbat – tranne che non sono del tutto certo della sua nazionalità. È stato descritto come inglese, americano, canadese e australiano. So che è nato nella città di Lima, nel Perù. Parlava per ore e ore del Perù e citava Prescott, Gonzalo Pizzarro e l’eroico Tupac Amarti Francesco di Toledo – e un centinaio di altri nomi associati alla storia peruviana – cioè gli Smith, i Brown e i Robinson dei discorsi di ogni giorno.
Non so chi fossero i suoi genitori e non l’ho mai chiesto, né posso essere particolarmente illuminante sugli episodi della sua carriera, agli inizi. Aveva visto il mondo quando l’ho incontrato in Francia e di sicuro si trovava di stanza al quartier generale dell’esercito americano, essendo stato ceduto in prestito dal quartier generale canadese. Si dice che fosse il miglior ufficiale del servizio segreto che Pershing avesse mai avuto.
Non si trattava di un incarico nuovo per Billy. Era stato detective a Toronto, anzi l’uomo più sagace di quel corpo, ed era stato promosso da tempo quando scoppiò la guerra. La maggior parte della gente ha sentito parlare della Banda Briscoe – almeno la maggior parte dei canadesi ne sono al corrente. Erano tipi svegli. George Briscoe e il fratello Tom erano i capi e non c’era un solo direttore di banca da Halifax a Victoria, nella British Columbia, che non pensasse cose gradevoli sui Briscoe almeno una volta al giorno. I due Briscoe erano dei geni nel loro campo. Erano scassinatori che non usavano mai grimaldelli o nitroglicerina. Entravano nelle banche e aprivano la cassaforte del caveau, prendevano quello che volevano e si chiudevano le porte alle spalle.
Non ci fu mai segno di scasso tranne un ammanco di titoli bancari e naturalmente lasciavano i direttori di banca spaventati. Sembrava sempre un lavoro eseguito da un funzionario della banca che avesse accesso alle chiavi o alla combinazione e uno di questi rimase così sconvolto dal sospetto altrui nei suoi confronti, che si sparò. Era il direttore della C. & C. T. Banca di Berlino, ovvero, come ora è conosciuta la città, di Kitchener.
Ciò che i Briscoe non sapevano sulla meccanica delle serrature, non valeva la pena di apprenderlo. Erano criminali pazienti, lungimiranti, diabolicamente brillanti. Fu Billy a mettere in trappola la gang, arrestò il braccio destro di Tom e quattro della banda. Beccò George in un albergo di Ottawa, ma il processo contro di lui fallì. Tom venne condannato a vent’anni e si impiccò nella propria cella. Ricordo l’impresa di Billy perché poche persone in questo paese, interessati come siamo ai nostri crimini e criminali locali, erano ben informate sul caso Briscoe, persino dopo che George venne processato all’Old Bailey.
Credo che questa storia cominci quando ho incontrato Levy Jones che saliva le scale per andare a fare una visita a Billy. Levy è un ometto di un metro e cinquantacinque centimetri, ma così ampio di spalle da sembrare più basso e quasi deforme. Il volto è lungo, i! naso pendulo, la bocca larga e irregolare nel senso che, quando si diverte, un angolo si alza più dell’altro, il che conferisce al suo sorriso l’aria di un ghigno.
Le folte sopracciglia si alzarono al vedermi e mi tese una mano parecchio grande.
– Povero me! – esclamò. Le espressioni di stupore di Levy sono sempre inaspettatamente blande e inadeguate. Si permetteva raramente, nelle esclamazioni, di andare oltre a quanto un’anziana signora si sarebbe concessa se le fosse caduto un punto a maglia.
Rimasi stupito e contento di vederlo. Aveva lavorato con il Mosser Commercial Bureau prima della guerra (come investigatore di fidi, ritengo) e non avevo idea di quando si fosse aggregato a Billy.
– Levy! – esclamai. – È uno shock piacevole incontrarla. La credevo morto.
– No, signore – rispose Levy con quel suo sorriso sbilenco – vivo felicemente. Sono con il signor Billington Stabbat.
– Un accidente! – Ero un po’ sbalordito. – E com’è che uno degli originari Jones di Johannesburg viene a fare il detective privato? A proposito, Levy, come ha fatto a ottenere quel Jones nel suo nome?
Levy aspirò rumorosamente con il naso.
– Signor Mont, è un compromesso. Se mi chiamo Jivitzki, la gente pensa che sia bolscevico. Lei non detesta gli ebrei, vero, signor Mont?
– Per niente – risposi, in verità. – Alcuni dei migliori amici che abbia mai avuto appartengono alla sua reale e antica fede.
– Questa è nuova – commentò Levy, interessato. – Mi suona come football – o è golf? Mi dispiace piuttosto che lei non detesti gli ebrei. Avrei voluto provare con lei una nuova argomentazione. Ho discusso con il nostro rabbino, ma lui non è un uomo di spirito. Conosce la storia dell’ebreo e del contenitore della farina...?
Levy, al pari di molti suoi compatrioti, conosceva un vasto repertorio di storielle che illustravano astutamente l’innata scaltrezza della sua razza, e quella storia era davvero buona.
– Ma, Levy – dissi – come è entrato in contatto con Billy... il signor Stabbat?
– Lo chiami pure Billy – rispose Levy. – Io lo faccio perché lui insiste. L’ho incontrato durante la guerra. Mi ha salvato la vita.
– In quale combattimento? Non sapevo che foste al fronte.
– Non c’è stata battaglia – rispose Levy con decisione. – Ho detto che mi ha salvato la vita. L’ho conosciuto il giorno in cui sono stato richiamato in servizio e lui mi ha fatto avere un posto nel Reparto Rifornimento Viveri a Plymouth. Inoltre – e parlava con tono così solenne che ne fui ingannato – quando la guerra terminò, mi salvò da un destino che sarebbe stato ben peggiore della morte.
Ero impressionato.
– Ho ricevuto un’offerta dal Federation Music Hall Circuit per fare un numero da commediante ebreo – proseguì Levy. – Billy mi ha tirato fuori dalla faccenda.
Il dialogo si teneva ai piedi delle scale che conducevano ai nuovi uffici di Billy.
– È sempre lo stesso – disse Levy, rispondendo alla domanda implicita. – Immagino che non sia mai cambiato e che mai cambierà. Darebbe la propria camicia a un amico e finirebbe sulla forca per aiutare una donna sfortunata.
Parole profetiche. Le ho ricordate in seguito.
– La galanteria verso le donne sarà la rovina di Billy – sentenziò Levy, scuotendo il capo. – La settimana scorsa abbiamo perso una grossa provvigione perché ha inseguito una donna e poi, quando ha avuto le prove del suo errore, ha lavorato giorno e notte per dimostrare un alibi! Lei si è data da fare con Billy. Una lacrima per ogni occhio e due che le colavano dal naso. Quattro lacrime ci sono costate ottocento sterline, cioè duecento a lacrima. Quando Billy è tornato, non riusciva a parlare di lei senza che la voce gli tremasse e ha detto che il nostro cliente era un uomo vile e morboso e non meritava una tale moglie.
Questo è Billy – concluse Levy in tono di malinconica ammirazione. – Attento alle spalle, signor Mont!
E mi tirò di lato per consentire a un lavoratore in tuta bianca di salire le scale.
– Oggi finiscono di imbiancare – disse – ecco l’elettricista. Osservai pigramente il tipo in bianco. Era pallido, con una barba rossa corta.
– Be’, arrivederci – salutò Levy. – Vado a White Chapel a curiosare. Abbiamo un caso di un piromane per una delle compagnie di assicurazioni – a proposito, si faccia dire da Billy del nostro nuovo cliente.
Ammiccò, con aria misteriosa, e io salii le scale per incontrare il suo capo.
Quando un uomo si trova a un tratto immerso nella fama o notorietà, tutti lo conoscono oppure l’hanno incontrato e sanno descrivere senza esitazione e prontamente il suo aspetto e le sue caratteristiche. Ma la verità su Billington Stabbat è che davvero poche persone sembravano averlo conosciuto o essere consapevoli della sua esistenza, fino al momento in cui iniziò il pasticcio. L’altro giorno l’ho visto descritto, in un giornale di solito ben informato, come uomo di notevole altezza. Tale descrizione è assurda. Billy è circa un metro e settantacinque e deve pesare più o meno sessantacinque chili. Possedeva una bella struttura, il classico tipo d’uomo che non diventa mai grasso. È, o era a quei tempi, sbarbato, con un’ampia fronte un po’ prominente, occhi color acquamarina e mascella piuttosto quadrata. Mi fa sempre venire in mente McKinnel, l’attore inglese, e infatti aveva qualcosa del suo modo a scatti e tonante di pronunciare un discorso. Il suo volto sapeva essere una maschera imperscrutabile e le poche persone che lo hanno incontrato e che lo ricordano, osservarono riguardo a questa circostanza di non averlo mai visto ridere o sorridere. Questo mi sembra strano perché lo conosco come uno che era tutto un gorgoglio di risate, dentro; che vedeva il buffo della vita e ne traeva ogni grammo della sua linfa per la propria gioia e piacere.
La prima impressione che ebbi quando entrai nella sua grande stanza fu quella di nuovo. C’era il pungente odore di calce e vernice tipico delle case nuove. Era un uomo pignolo per quanto riguardava le comodità e aveva scelto di persona come decorare l’ambiente. Era, come ho detto, una stanza grande, molto alta e luminosa. Tre finestre davano su Bond Street e in più c’era un lucernario piuttosto grande. L’appartamento era appartenuto a un fotografo alla moda che aveva ceduto il contratto a Billy e si era trasferito in un immobile più accessibile a Piccadilly. Nell’edificio non c’era ascensore ed evidentemente la sua clientela non gradiva salire tre rampe di scale. Il pavimento era coperto da moquette color azzurro intenso e l’azzurro, un delicato azzurro, ritornava nel disegno dei rivestimenti a pannelli.
Senza dubbio il punto focale della stanza era un caminetto enorme, una cosa sontuosa in marmo. Ricordo soprattutto che i supporti della mensola scolpita erano due leoni assiri, seduti e che fissavano come si vede nei libri di araldica. Erano davvero splendide sculture e anche se puramente decorativi erano infinitamente più convincenti degli ottusi leoni Landseer di Trafalgar Square oppure delle strane bestie che stanno a guardia dell’ufficio postale sulla Fifth Avenue e che ogni abitante di N.Y. indica con gioia irrazionale al visitatore. Sono incredibilmente reali