Medaglioni Risorgimentali Abba – Cadorna – Oberdan – Orsini – Pepe – Pica – Romano – Rossi – Stefani – Tommaseo – Valerio
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I personaggi trattati sono appartenuti a differenti correnti politiche-ideologiche e hanno seguito percorsi esistenziali tra loro anche molto diversi – ad esempio, Rossi era un liberale moderato favorevole ad una confederazione italiana mentre Orsini e Tommaseo erano dei repubblicani – ma furono tutti accomunati dal coinvolgimento nelle molteplici vicende politiche, militari (ad esempio, Cadorna e Pepe) e culturali che portarono all'Unità italiana.
Oltre ai personaggi convenzionalmente legati al Risorgimento vengono qui studiati anche Pica e Oberdan, il primo perché fu strettamente legato alla lotta contro il brigantaggio e ai moti di rivolta scoppiati come reazione popolare all'unificazione nel meridione e il secondo perché fu, per molti versi, l'ultimo esponente se non l'epigono della lotta anti-austriaca che contraddistinse l'epopea risorgimentale ottocentesca.
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Anteprima del libro
Medaglioni Risorgimentali Abba – Cadorna – Oberdan – Orsini – Pepe – Pica – Romano – Rossi – Stefani – Tommaseo – Valerio - Mirko Riazzoli
Introduzione
Quest'opera ripercorre, tramite la presentazione di vari profili biografici, le vicende del Risorgimento italiano incentrandosi su alcuni dei suoi innumerevoli protagonisti. La scelta dei profili biografici è stata motivata dal desiderio di considerare più aspetti ed aree geografiche della penisola e fornire un quadro d'insieme più variegato, oltre che di includere alcuni tra i protagonisti meno noti o studiati.
I personaggi trattati sono appartenuti a differenti correnti politiche-ideologiche e hanno seguito percorsi esistenziali tra loro anche molto diversi – ad esempio, Rossi era un liberale moderato favorevole ad una confederazione italiana mentre Orsini e Tommaseo erano dei repubblicani – ma furono tutti accomunati dal coinvolgimento nelle molteplici vicende politiche, militari (ad esempio, Cadorna e Pepe) e culturali che portarono all'Unità italiana.
Oltre ai personaggi convenzionalmente legati al Risorgimento vengono qui studiati anche Pica e Oberdan, il primo perché fu strettamente legato alla lotta contro il brigantaggio e ai moti di rivolta scoppiati come reazione popolare all'unificazione nel meridione e il secondo perché fu, per molti versi, l'ultimo esponente se non l'epigono della lotta anti-austriaca che contraddistinse l'epopea risorgimentale ottocentesca.
Giuseppe Cesare Abba
Lo scrittore, garibaldino e politico Giuseppe Cesare Abba nacque a Cairo Montenotte (allora in provincia di Genova, ora di Savona) il 6 ottobre 1838 da Giuseppe e da Gigliosa Perla: il cognome originario della famiglia era Abbate, divenuto in seguito Abbà con il nonno Francesco e infine Abba con il padre. Fu uno dei vari figli della coppia, ebbe un fratello e tre sorelle vive, Camillo, Filomena, Caterina, Benvenuta. Frequentò inizialmente le scuole comunali del Ghetto
, poi dal 1849 al 1854 studiò presso il collegio retto dagli scolopi a Carcare (Savona), iscrivendosi infine all'Accademia di Belle Arti di Genova nel 1855.
Terminati i suoi studi, non avendo ancora scelto quale strada intraprendere da adulto, si arruolò nella primavera del 1859 nell'esercito sabaudo come volontario nel corpo dei Cavalleggeri d'Aosta dislocati a Pinerolo. In questa veste non poté partecipare alle azioni di guerra contro l'Austria (Seconda guerra d'indipendenza 26 aprile-12 luglio 1859) essendo dislocato nelle riserve a Melzo (Milano).
Il 12 ottobre 1859 venne congedato e l'anno successivo, in aprile, si recò a Parma. Da qui la sua vita cambiò definitivamente: il 3 maggio partì da Talamone come soldato semplice della VI compagnia, Cacciatori delle Alpi, al comando di Giacinto Carini (1821-1880) e il 5 si imbarcò a Quarto sul Lombardo (una delle due imbarcazioni con le quali in garibaldini si recarono in Sicilia, l'altra si chiamava Piemonte), poi divenne furiere maggiore (dopo pochi giorni dallo sbarco di Marsala) e infine sottotenente. Per la spedizione garibaldina partecipò agli scontri di Calatafimi (15 maggio 1860), di Ponte dell'Ammiraglio (27 maggio) e Palermo (28-31 maggio). Fece parte della Colonna Türr-Eber e percorse l'interno della Sicilia, durante le operazioni il 23 agosto fu ferito a Villa San Giovanni (Messina) e fu inviato a Cairo per una licenza e ripartì il 9 settembre per riprendere la campagna.
Il 14 settembre giunse a Napoli, poi il 19 partecipò all'attacco contro la fortezza di Capua e poté distinguersi nella battaglia del Volturno (1 ottobre) sotto il comando del colonnello Drezza: in questa battaglia riportò una menzione onorevole, prese poi parte il 3 novembre agli scontri presso il Monte Caro e fu tra coloro che ricevettero la medaglia decretata dal Municipio di Palermo.
Durante la spedizione annotò su un taccuino (questo venne pubblicato postumo nel 1933 dall'editore Mondadori con il titolo Maggio 1860. Pagine di un taccuino inedito) gli eventi più significativi: gli appunti vanno dal 5 al 26 maggio (manca solo la nota relativa al 7 maggio) e comprendono le prime tre settimane dell'impresa; una successiva nota del 29 giugno sottolinea la rinuncia al tentativo di stendere una cronaca dell'impresa.
Terminata con successo la spedizione le forze garibaldine vennero sciolte e lui tornò al paese natale (1861), ebbe quindi le medaglie commemorative oltre alla pensione dei Mille e con il R.D. 12 giugno del 1861 gli fu conferita la menzione onorevole per essersi distinto nel combattimento di Calatafimi e nelle giornate di Palermo. Venne a sapere dei preparativi per la preparazione della spedizione in Aspromonte mentre era a Pisa, dove si era stabilito nel 1862 «per vaghezza di studi e per vivere coi giovani amici, già compagni d'armi e tornati studenti in quell'Università, gioconda e pensosa»[1]. Partì da Pisa insieme ad altri compagni per recarsi prima a Torino e poi a Genova, ma venne trattenuto dalle autorità che gli impedirono di raggiungere Giuseppe Garibaldi (1807-1882). Impedito nel suo intento tornò agli studi a Pisa, dedicandosi a letture di argomento storico e letterario.
Dedicò successivamente al suo periodo pisano l'opera La primavera di Pisa nel 1866. In questo stesso periodo scrisse il poemetto Arrigo. Da Quarto al Volturno (una rielaborazione di un frammento di un Diario di uno dei Mille non pervenutoci), in cinque canti, che fu pubblicato nel 1866 a Milano presso la tipografia Civelli in un centinaio di copie pagate dall'autore stesso, dato che l'editore Sonzogno aveva rifiutato di pubblicarla come appendice al giornale Secolo
. Dopo questo intermezzo letterario riprese l'azione come garibaldino durante la Terza guerra d'indipendenza.
Si recò a Bari, ove i garibaldini progettavano, senza successo, un attacco all'impero asburgico attraverso la Dalmazia. Partecipò all'ora, al seguito di Garibaldi, all'azione in Trentino nella veste di capitano del 7º reggimento del Corpo Volontari Italiani, portando con sé molti giovani pisani. Qui «per aver con pochi animosi seguita la bandiera salvando inoltre due pezzi di artiglieria»[2] ricevette una medaglia d'argento durante la battaglia di Bezzecca (20 luglio 1866). Sia la medaglia che l'attestato con il quale gli è stata conferita sono conservati al Museo del Risorgimento di Brescia.
Concluso il conflitto con la cessione del Veneto all'Italia, Abba tornò a Pisa, ove fu a lungo malato, e poi nel 1867 a Cairo Montenotte, ove rimase sino al 1880. Qui iniziò l'attività politico amministrativa, divenendo prima consigliere e poi sindaco (dal 2 maggio 1875 a 17 agosto 1880) del comune (nel suo comune natale ricoprì anche i ruoli di Ispettore scolastico, dal 1° novembre 1868, e di Sovrintendente del teatro, dal 7 novembre 1869). In questa sua veste si occupò dell'istruzione, dell'igiene e dell'urbanistica e dei problemi sociali delle classi lavoratrici (già nell'aprile del 1861 aveva partecipato alla fondazione di una delle prime Società Operaia di Mutuo Soccorso della Valle Bormida), dell'edilizia pubblica e della coltivazione intensiva, introducendo metodi moderni nell'agricoltura. In questo periodo i garibaldini tentarono con un'azione di attaccare Roma (vennero bloccati a Mentana il 3 novembre 1867) ma lui non vi prese parte (decise di agire infatti solo il 30 ottobre 1867). Partecipò alla vita politica anche nazionale candidandosi per due volte alla Camera, nel 1876 e nel 1882, senza successo.
Riprese in questo periodo di tranquillità l'attività di scrittore, redigendo l'opera Le rive della Bormida nel 1794 (opera pubblicata originariamente in appendice alla Gazzetta di Milano
e poi in volume nel 1875 con scarso successo). Giosuè Carducci (1835-1907) nel maggio 1877 contattò Abba per avere delle notizie e appunti sulla figura di Garibaldi da impiegare in un'opera sulla vita del generale (entrambi esponenti della massoneria, Abba nel 1869 venne affiliato Maestro nella Loggia Abazia
di Savona, ma già in precedenza iniziato[3]). Abba inviò al poeta, tramite il garibaldino Francesco Sclavo, alcuni suoi scritti, che Carducci apprezzò al punto da raccomandarne la pubblicazione all'editore Zanichelli (febbraio 1880).
Grazie al suo interessamento vennero pubblicate a Bologna le Noterelle d'uno dei Mille edite dopo venti anni, (il titolo pensato originariamente era Noterelle d'uno dei Mille pubblicate da un amico dopo vent'anni), una delle varie opere di memorialistica apparse in quegli anni. Quest'opera fu una delle varie opere memorialistiche e diaristiche pubblicate in quegli anni sulle imprese garibaldine, intrisa di un ben riuscito bozzettismo epico, altre furono ad esempio quelle di Eugenio Checchi Memorie alla casalinga di un garibaldino del 1866 (edite nel 1888 con il titolo di Memori di un garibaldino) e Da Firenze a Digione. Impressioni di un reduce garibaldino di Ettore Socci del 1871[4].
In questa versione dell'opera di Abba veniva descritti i fatti accaduti dal 3 maggio al 21 giugno. Nella successiva, risalente al 1882 e intitolata Da Quarto al Faro. Noterelle d'uno dei Mille edite dopo vent'anni, i fatti giungono fino al 20 agosto. Nell'edizione del 1891, quella definitiva, la narrazione giunge al 9 novembre e il titolo diventò: Da Quarto al Volturno. Noterelle d'uno dei Mille. Questa è l'opera più nota scritta da Abba, che in seguito continuò la sua opera di letterato e storico tornando anche a trattare la vicenda dei Mille ad esempio con una biografia di Nino Bixio (1821-1873).
Abba nella sua opera più nota e dai «toni apologetici»[5] intitolata Da Quarto al Volturno, «tratteggia il ritratto più vivace dell'epopea garibaldina. La liberazione del meridione è narrata al presente, in rapide e vivide pagine di diario, con una scrittura essenziale, vicina al ritratto, per restituire il coinvolgimento emotivo e ideale di chi ha vissuto quell'avventura lontana e irripetibile»[6].
Carducci, spinto anche dal grande apprezzamento che era stato palesato verso quest'opera, propose al ministro della Pubblica Istruzione, Francesco De Sanctis (1817-1883), la nomina di Abba a professore d'italiano nelle scuole secondarie.
Abba divenne così professore al liceo Evangelista Torricelli
di Faenza nel 1881 – qui scrisse i racconti Montenotte, Dego e Casseria, editi nel 1884 da Conti, Cose vedute e i versi di Romagna – e nell'anno scolastico 1884-85 passò all'istituto tecnico Niccolò Tartaglia
di Brescia, dove insegnò per 26 anni e di cui divenne anche preside dal 1902 al 1910. A Brescia continuò la sua attività politica, divenendo consigliere comunale e il 24 febbraio 1889 socio effettivo dell'Ateneo cittadino, in questa città l'8 settembre 1889 prese parte anche alla cerimonia di inaugurazione del Monumento dedicato a Giuseppe Garibaldi e realizzato da Eugenio Maccagnani (1852-1930).
Essendo testimone di spicco del risorgimento e un letterato di fama venne coinvolto in varie altre cerimonie del genere, tenne varie orazioni commemorative delle vicende militari a Brescia, a Mantova (per i Martiri di Belfiore), il 7 agosto del 1904, per il quindicesimo anniversario della morte di Benedetto Cairoli, intervenne a Pavia e a Groppello. (Lo stesso 1904 fu anche vice presidente della Esposizione di Brescia e coordinò il padiglione dedicato alla Previdenza della stessa).
Continuò la sua opera di scrittore e pubblicò Cose Garibaldine (Viarengo, 1907) e La vita di Nino Bixio (Torino 1905). A Roma venne chiamato il 4 luglio 1907 a pronunciare l'orazione ufficiale[7] per il centenario della nascita di Garibaldi, alla presenza del re Vittorio Emanuele III (1869-1947). Per celebrare i cinquantanni dalla battaglia di Magenta del 4 giugno 1859 tenne un'orazione, nel 1909, presso l'ossario durante una cerimonia promossa dalla Società Dante Alighieri e a cui partecipo anche il Touring Club Italiano (TCI).
Per il cinquantesimo anniversario dello sbarco dei Mille (1910) si recò in Sicilia, Marsala l'11 maggio 1910 gli aveva conferito la cittadinanza onoraria, e ripercorse i luoghi in cui si era svolta la vicenda (durante questo viaggio promise di scrivere le Seconde noterelle); per questo motivo rifiutò la carica di preside di un istituto scolastico milanese.
Il 5 giugno 1910 venne nominato su proposta di Luigi Luzzatti (1841–1927) Senatore del Regno, carica che lui non desiderava (infatti non si recò mai al Senato). Il 6 novembre di quello stesso anno ebbe un improvviso malore in una strada (via Umberto I) di Brescia, la città in cui si era stabilito ormai da tempo. Venne quindi trasportato in ospedale e qui morì, venendo poi sepolto nel cimitero di Cairo Montenette[8].
Post mortem
Gualtiero Castellini (1890-1918) curò la pubblicazione postuma di alcune sue opere i tre volumi delle Pagine di storia (Torino, 1912-13), Ritratti e profili (Torino, 1912).
Ad Abba, sono stati dedicati studi letterari alla sua vasta opera storica e narrativa, ed intitolate varie vie e piazze (Bologna-Mestre-Napoli-Firenze-Genova-Milano-Catania-Palermo-Roma-Torino) e una scuola sita a Torino[9]. Sono anche stati eretti vari suoi busti, ad esempio a Genova presso il parco di Villetta di Negro, a Cairo Montenotte (dove gli è stata dedicata anche una lapide[10]) e a Brescia[11].
La casa editrice bresciana Morcelliana ha pubblicato, in 10 volumi editi tra il 1983 e il 2001, la Edizione nazionale delle opere di Giuseppe Cesare Abba, opera nella quale vengono raccolti tutti i suoi scritti.[12]
La sua opera più famosa, le Noterelle, fu di ispirazione al regista Alessandro Blasetti (1900-1987) nella realizzazione del suo film realizzato nel 1933 (anno in cui venne pubblicato anche il taccuino in cui prese i suoi appunti durante la spedizione dei Mille) ed intitolato 1860, dedicato appunto alla spedizione garibaldina. Al riguardo il regista affermò:
[Emilio] Cecchi [un produttore cinematografico] parlava (poco), io ascoltavo (molto) … Fu lui a consigliarmi le Noterelle dell'Abba.[13]
Fu proprio Emilio Cecchi che dandomi il via per la sceneggiatura, mi dette il viatico dal quale sarebbe nato, con il tono generale del film, il motivo del suo successo: «come prima cosa si legga le Noterelle dell'Abba».[14]
In partenza non sono andato a leggermi i libri che raccontavano quei fatti storici, non mi sono riferito agli storiografi. Ho preso un individuo che aveva vissuto quelle vicende, il signor Abba e ho cercato di restituire il clima di quel libro.[15]
Opere a stampa
Arrigo. Da Quarto al Volturno, Pisa, 1866
Cose garibaldine, Torino, 1907
Cose vedute, Faenza, 1887 (contiene due novelle, Nunzia e Le nozze d'Arcangela, in seguito ristampate nel 1912 a Torino, a cura di M. Pratesi, con altre: Primi duoli, Prendi moglie, I baffi e il cuore del signor Saul, Il dottor Crisante) *
Dogali, Reggio Emilia, 1887
Garibaldi nel primo centenario della nascita gloriosa, Milano, 1907
Garibaldi. Discorso letto in Campidoglio il 4 luglio 1907, Torino, 1907
Le Alpi nostre. Libri di lettura per le scuole elementari superiori, 5 voll., Bergamo 1899
Le rive della Bormida nel 1794, Milano, 1875
Montenotte, Dego e Cosseria (per nozze Rovelli-Calamati), Faenza 1884
Noterelle d'uno dei Mille edite dopo vent'anni, Bologna, 1880 (poi, con titolo diverso, 1882 e 1891) *
Opere: In morte di Francesco Nullo, canto, Genova, 1863
Pagine di storia, Torino, 1912-13 (Opera curata da G. Castellini in cui vengono raccolti gli articoli più importanti di Abba pubblicati negli ultimi, i volumi sono intitolati: Ritratti e profili, Ricordi garibaldini, Meditazioni sul Risorgimento) *
Ricordi e meditazioni, Biella, 1911 (Edito a cura del municipio del comune natale, vi sono raccolti alcuni scritti e versi giovanili)
Romagna, Faenza, 1887
Storia dei Mille narrata ai giovinetti, Firenze, 1904 *
Uomini e soldati. Letture per l'esercito e per il popolo, Bologna, 1890
Vecchi versi, Torino, 1906 (2 ediz. accresciuta, Torino 1912)
Vita di Nino Bixio, Torino, 1905
* Queste opere sono disponibili in versione digitale al seguente indirizzo: http://www.liberliber.it/libri/a/abba/index.htm
Raffaele Cadorna
Il generale Raffaele Cadorna nacque a Milano il 9 febbraio 1815 da Luigi e dalla marchesa Virginia Bossi, ma emigrò molto giovane, quando aveva solo 2 anni, a Pallanza (luogo di origine della famiglia nobiliare paterna) in Piemonte. Era il terzo figlio della coppia, sposatasi nel 1808, il primo si chiamava Carlo (1809-1891).
Iscrittosi all'Accademia Militare di Pallanza (Verbania) nel 1825, seguendo così le orme paterne (anche il padre era un ufficiale sabaudo), ne fu ritirato dal padre nel 1832, su richiesta del generale Cesare di Saluzzo (1778-1853), a causa del carattere alquanto irrequieto e dei problemi con la rigida disciplina dell'Accademia.
Venne allora ammesso come «soldato distinto», il 13 luglio 1833 nel 1° reggimento della brigata Sassari, poi il 2 aprile 1834 divenne ufficiale (sottotenente) di fanteria e nel 1835 si congedò.
Nel luglio 1840 si arruolò nuovamente e dopo aver sostenuto appositi esami fu nominato luogotenente del Genio, poi nel 1846 divenne capitano e nel 1848 maggiore, venne quindi inviato di stanza a Cagliari al comando di una unità del genio.
Allo scoppio della prima guerra d'indipendenza (1848-49), tramite l'intervento dello zio marchese Benigno Bossi, venne inviato a Milano, ad inizio maggio, per «istruire e disciplinare gli zappatori del Governo provvisorio, ordinare il servizio del genio, munendo e difendendo le balze dello Stelvio»[16]. In questo periodo gli venne poi assegnato, dal ministro della Guerra del governo provvisorio Giacinto Collegno (1794-1856), l'incarico di dirigere i lavori difensivi di Milano i quali prevedevano anche la possibile inondazione della zona tra l'Adda e Milano, azione propugnata dal militare e patriota Manfredo Fanti (1806-1865).
Il 6 gennaio 1849 con apposito decreto venne nominato membro del Congresso Consultivo Permanente della guerra, una specie di comitato dove si discutevano le più importanti questioni militari, lo stesso anno venne nominato anche primo ufficiale e segretario generale del Ministero della Guerra retto dal generale Agostino Chiodo (1791-1861), carica che ricoprì dal 27 marzo al 31 marzo 1849. Il 12 marzo fu lui a recarsi nella Villa reale di Milano per presentare a Radetzky la denuncia dell'armistizio austro-piemontese, la reazione austriaca secondo lo storico Franz Herre fu la seguente «Il maggiore Cadorna si irritò che gli ufficiali austriaci si abbracciassero per la gioia dopo che il feldmaresciallo ebbe comunicato: Signori, ci è stata notificata la denuncia dell'armistizio!
Tutti si appuntarono le insegne da campo verdi e davanti alla Villa reale suonarono le fanfare militari. La sera alla Scala, gremita di un pubblico in uniforme, si alzò il canto dell'inno asburgico: Gott erhalte, Gott beschütze unsern Kaiser, unser Land (Dio conservi, Dio protegga il nostro Imperatore, la nostra terra)»[17].
Quello stesso anno, il 23 gennaio, entrò in politica e venne eletto deputato alla II legislatura del Parlamento Subalpino, nel collegio di Oleggio (Novara). In seguito continuò a ricoprire tale carica, ma cambio collegio passando a Borgomanero, Pallanza (per tre legislature) e Pontremoli (fu deputato nella III, IV, V, VI, VII, VIII, IX, X e XI legislatura)[18].
Il 2 marzo 1849 nella sua veste di deputato tenne un discorso alla Camera in favore della ripresa delle ostilità contro l'Austria.
Dopo la sconfitta di Novara (23 marzo 1849) delle forze sabaude ad opera di quelle austriache, e in seguito al suo conflitto con il governo di cui non condivideva la politica (lui era vicino alle posizione della Sinistra storica
di Rattazzi), si arruolò ad Algeri