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Dissonanze Parallele
Dissonanze Parallele
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E-book196 pagine2 ore

Dissonanze Parallele

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Info su questo ebook

Quasi brevi sceneggiature, ognuno di questi racconti punta la lente di ingrandimento su un singolo frammento della vita di personaggi diversissimi tra loro e da lì parte per cercare di metterne a fuoco la verità di esseri umani, spogliati delle loro maschere. Le dissonanze sono appunto quelle che emergono dal conflitto mai risolto tra ciò che si è realmente e ciò che si fa (o non si fa) trapelare all’esterno.

La vicenda interiore dei protagonisti emerge mano a mano che si indaga il groviglio dei loro pensieri più intimi, sensazioni e ricordi, e induce a provare nei loro confronti sentimenti ora di identificazione ora di dissociazione, ma mai di indifferenza.

Che indaghi la fragilità della relazione di coppia, i malesseri dell’adolescenza, l’ultimo colpo di coda prima dell’oblio della vecchiaia, la capacità di rinascere dopo dolori e delusioni brucianti, o che si spinga lungo i percorsi tortuosi di un’avventura dai risvolti inquietanti, ogni storia è disseminata fin dalle prime battute di innumerevoli indizi, che preparano il finale lasciato intenzionalmente sospeso, per consentire al lettore un libero esercizio di immaginazione.
LinguaItaliano
Data di uscita15 gen 2020
ISBN9788831655019
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    Anteprima del libro

    Dissonanze Parallele - Daniela Petrassi

    633/1941.

    Contrappunto

    Lui

    Quella mattina Alex si era svegliato prima del solito. Non appena aveva sollevato il capo dal cuscino una fitta lunga e pungente gli aveva trapassato il cranio, segnale inequivocabile che annunciava una imminente emicrania. Ultimamente gli capitava sempre più spesso, ma non ci faceva troppo caso. Era un uomo tutto d’un pezzo, di sana e robusta costituzione, ci voleva ben altro per convincerlo a non recarsi al lavoro. In vent’anni di professione era mancato non più di una decina di giorni e non per propria volontà, bensì per tenere a bada l’ansia di sua moglie. In tarda mattinata poi, doveva incontrare due importanti clienti per definire gli ultimi particolari di un progetto e non poteva assolutamente mancare.

    Aveva attraversato un po’ barcollando il breve tratto di corridoio che lo separava dal bagno, vi era entrato richiudendo piano la porta dietro sé. Non voleva che il rumore dell’acqua svegliasse Astrid che riposava al piano di sopra. Appoggiò le mani sul lavandino e si guardò nello specchio. Strizzò un po’ le palpebre e osservò le rughe sottili formarsi intorno agli occhi, di un verde particolare (bottiglia o sottobosco? non l’aveva mai capito), allungò il collo in avanti per distendere il doppio mento e si accarezzò più volte le guance con la mano distesa. Prese il rasoio e iniziò a radersi con gesti lenti e sicuri. Si passò un po’ di gel sui capelli radi e soppesò il risultato ruotando la testa da un lato e dall’altro. Proprio un bell’uomo, peccato quella pancetta che aveva messo su negli ultimi tempi, conseguenza dei tanti pranzi e cene di lavoro a cui era obbligato a presenziare pensò, inspirando forte con le narici per distendere l’addome. Ma vi avrebbe posto rimedio facilmente con qualche sessione in palestra, non appena avesse avuto un po’ di tempo libero da dedicare a se stesso. Per il momento non poteva permetterselo. Il suo socio, David, non era in grado di sostituirlo in tutte le attività dello studio. Era in gamba, per questo l’aveva scelto, ma ancora un po’ inesperto e non se la sentiva di affidargli le trattative più delicate. Tornato in camera prelevò dall’armadio un completo grigio, il suo passepartout per le occasioni più importanti, si vestì, prese la borsa da lavoro e uscì, non senza aver rimirato ancora una volta la propria immagine riflessa nello specchio dell’ingresso.

    A causa della pioggia battente, il traffico quella mattina era più caotico del solito. Alex sudava nell’abitacolo, mentre cercava di dribblare le auto, prendendo strade secondarie e scorciatoie per evitare i semafori. Giunse in ufficio leggermente in ritardo e, trafelato, salì le scale, salutò la segretaria con un breve cenno del capo e lei rispose con il solito sorriso smagliante. Sapeva di non esserle indifferente e del resto era conscio di avere un certo ascendente sul sesso femminile. Quando entrava in un locale, o saliva in un aereo, o semplicemente camminava per strada, aveva sempre la precisa sensazione che gli occhi di tutte le donne presenti lo seguissero e lo guardassero con ammirazione. Non nascondeva a se stesso di esserne profondamente compiaciuto e da quando, intorno ai quarant’anni, aveva preso piena consapevolezza di questa facoltà, aveva iniziato a sfruttarla a proprio favore. Sembrava flirtare con tutte, dalla signora di mezz’età incontrata in ascensore, alla barista poco più che adolescente, all’amica della moglie. Con una tirava fuori il suo lato giocoso e leggero, con un’altra quello sensibile e delicato, con un’altra ancora quello forte e protettivo. Un costante esercizio di seduzione che, però, raramente si era spinto al di là di una superficiale scaramuccia verbale. Si manteneva sempre ad una distanza di sicurezza. Quando qualcuna, ingannata dai suoi modi, gli faceva intendere di desiderare qualcosa di più, si ritraeva o addirittura si dileguava evitando ogni ulteriore contatto. A volte per trarsi d’impaccio tirava in ballo la moglie, ne elogiava le doti di perfetta padrona di casa e di madre e decantava la qualità del loro ventennale ménage, con il che congelava all’istante anche la più infervorata delle sue interlocutrici. Con il passare degli anni aveva intessuto e troncato sul nascere miriadi di queste relazioni condotte sul filo del desiderio, tornando puntualmente sempre dalla moglie, l’unica che non gli poneva domande e con la quale poteva dismettere la maschera del seduttore.

    Una volta preso posto dietro l’elegante scrivania in palissandro, Alex allentò il nodo alla cravatta e deglutì più volte. Ora al mal di testa si era sommato un forte senso di nausea e dei brividi che gli correvano lungo tutta la schiena. Controllò i radiatori per accertarsi che fossero accesi ed estrasse alcuni documenti dalla borsa da lavoro. I suoi clienti sarebbero arrivati verso mezzogiorno e tutto doveva essere predisposto per la firma del progetto. Si trattava della costruzione di un complesso residenziale articolato, con annesso parco pubblico e centro sportivo polivalente. Alex non era nuovo a lavori di una certa importanza, ma questo era sicuramente il più ambizioso che gli fosse capitato da quando aveva fondato la società. Inforcò gli occhiali e cercò di concentrarsi. Andò avanti per dieci minuti a leggere e rileggere due capoversi, prima di arrendersi all’evidenza. Stava proprio male. Si alzò e vide la stanza girargli tutta intorno, prima di sprofondare nella poltrona. Compose il numero di David:

    Scusa, so bene che ti avevo detto che potevi andare in cantiere questa mattina, ma sto proprio male, non me la sento di affrontare i clienti in questo stato.

    Non ti preoccupare rispose David prontamente: Non sono ancora arrivato a destinazione, faccio dietro front, sarò lì in venti minuti.

    Va bene, lascio le pratiche sulla scrivania, più tardi ti chiamo per sapere com’è andata.

    Alex tirò un sospiro di sollievo: qualsiasi cosa gli chiedesse di fare, David si dimostrava sempre disponibile ed efficiente. Avrebbe dovuto delegargli più incarichi ed ampliare il suo raggio d’azione, pensò. Ma a questo avrebbe pensato un’altra volta; ora non vedeva l’ora di tornare a casa, prendere un analgesico e infilarsi sotto le coperte. Sicuramente si era preso l’asiatica o come altro diavolo si chiamava l’influenza di quell’anno.

    Lasciò alcune disposizioni alla segretaria, che lo guardò interrogativa. Era la prima volta che non presenziava un incontro con dei clienti importanti. Ma il suo atteggiamento sbrigativo e stranamente cupo, indussero la ragazza a non fare troppe domande, né tantomeno a fargli notare che aveva un pessimo aspetto. Si limitò ad annuire ripetutamente, augurandogli una pronta guarigione. Una volta all’aperto, Alex venne investito da un vento gelido e pungente, che gli penetrò fin dentro i polmoni togliendogli per un attimo il respiro. Affrettò il passo e raggiunse il parcheggio. Salì in auto e si diresse verso casa.

    Chissà la sorpresa di Astrid nel vederlo tornare a quell’ora insolita. Probabilmente stava ancora dormendo nel suo bel letto, circondata dai tanti oggetti che amava. I cuscini ricamati a motivi floreali, la bella abatjour francese che lui le aveva regalato, le cornici d’argento con le fotografie dei figli, la poltrona ricoperta con un bel tessuto scozzese e libri, libri ovunque. Non era quella forse la più grande passione della moglie? Molti anni prima si erano conosciuti, guarda caso, proprio in una libreria: per pura coincidenza cercavano lo stesso titolo e ciò gli aveva dato modo di iniziare una conversazione con quella bella ragazza dagli occhi da gatta. Finalmente imboccò la stretta strada a senso unico che costeggiava la casa, parcheggiò l’auto e salì la breve rampa di scale che portava al piano rialzato. Aprì la porta e si ritrovò nell’ingresso. Nessuna lampada accesa, le persiane ancora chiuse. La luce del giorno filtrava dall’oblò ricavato sul muro che portava al primo piano della casa e illuminava debolmente la cucina antistante. Alex si mosse lento, quasi in punta di piedi. Erano le undici e certamente Astrid si trovava ancora in camera sua. Del resto, come darle torto? Con una giornata così fredda, cosa c’era di meglio che starsene sotto le coperte a leggere e sonnecchiare? Ciril, il gatto di casa, venne a strofinarsi sulle sue caviglie, prima di dileguarsi nuovamente nel buio del salotto.

    Quanto tempo era trascorso da quando Astrid lo accoglieva sulla porta dell’ingresso e lo abbracciava sorridente, apostrofandolo con mille domande su com’era andata la giornata di lavoro, mentre terminava di preparare la cena o apparecchiava la tavola. Come sottofondo le voci festose dei bambini che lo salutavano allegramente, senza smettere di giocare o di stuzzicarsi a vicenda.

    Gradatamente le cose erano andate cambiando: i figli crescendo erano diventati poco più che fantasmi nella grande casa: si materializzavano improvvisamente all’ora dei pasti, scambiavano poche battute con i genitori tra un boccone e l’altro e si dileguavano alla prima occasione. A distanza di un anno l’uno dall’altra, avevano poi trovato il modo di allontanarsi definitivamente: Nicolò si era iscritto alla stessa facoltà del padre in un’altra città e Noemi era andata all’estero per migliorare le conoscenze linguistiche. Nessuno dei due sembrava avere nostalgia di casa: tornavano soltanto per le feste comandate ed avevano sempre una gran fretta di congedarsi.

    Ora lui, quando rientrava, dall’ingresso lanciava un ciao generico alla casa silenziosa e Astrid gli rispondeva da dove si trovava, senza tralasciare ciò che stava facendo. Quindi si cambiava e si metteva comodo a guardare la tv in salotto. Il più delle volte la moglie lo trovava lì, addormentato, e faticava non poco a svegliarlo per la cena.

    Il silenzio di quella mattina non era dunque una novità, ma un po’ ne fu amareggiato: si sentiva sempre peggio e avrebbe desiderato il conforto della moglie e poi non sapeva dove lei tenesse l’analgesico. Decise di farne a meno, si chiuse nella sua stanza, si infilò sotto il piumone e si addormentò.

    Si svegliò sudatissimo e dolorante, e gli ci volle un po’ per tornare alla realtà. Non sapeva quanto avesse dormito e fu sorpreso nel constatare che la sveglia segnava le sei del pomeriggio. Sicuramente Astrid, una volta alzata, si era resa conto del suo rientro a casa (l’impermeabile sull’attaccapanni, le chiavi dell’auto sulla mensola dell’ingresso, le scarpe nel corridoio) e quando lo aveva visto addormentato sul letto con ancora la camicia addosso, ne aveva intuito il motivo ed aveva preferito non disturbarlo. Uscì dalla stanza e chiamò:

    Astrid?. Niente. Astrid dove sei?. Nessuna risposta.

    Salì a fatica le scale che portavano al piano di sopra e vide che la porta della camera della moglie era aperta. Non ricordava nemmeno più quand’era che aveva messo piede in quella stanza l’ultima volta. Entrò. Il letto era sottosopra. Alcuni vestiti giacevano alla rinfusa sulla poltrona e a terra c’erano due cuscini, alcune paia di scarpe, riviste e giornali accatastati. Strano pensò sua moglie era sempre stata una perfettina. Non era lei che lo riprendeva ogni volta che trovava le sue cose fuori posto?. Venne attratto dalla quantità di oggetti sul suo comodino. Notò due scatole di medicinali, un prodotto omeopatico per l’ansia e un sedativo per dormire. Da quando il sonno era diventato un problema?. Con lui non si era mai lamentata, pensò distrattamente. C’erano poi delle ricevute tenute insieme con un fermaglio, buste, quaderni e agende di vario formato. Ne aprì qualcuna facendo scorrere velocemente le pagine, scritte con la grafia minuta e rotonda della moglie. Che grafomane, ma da quando si era messa a scrivere, si limitò a pensare affrettandosi a richiuderle. Se c’era una qualità che Alex sapeva di possedere, era la totale assenza di curiosità per la vita degli altri: non era uno che faceva domande, non amava indagare, era per il vivi e lascia vivere insomma, si trattasse di sua moglie, dei suoi figli, dei colleghi o degli amici. Gli accadeva così di non sapere rispondere quando ad esempio Astrid gli chiedeva qualche informazione personale su persone che frequentava:

    Ma come ribatteva lei interdetta "frequenti tizio da anni e non sai se ha moglie e figli?’’.

    Un’altra fitta più lunga e dolorosa, attraversandogli da parte a parte la scatola cranica, lo riportò alla realtà: il mal di testa non era passato nonostante il riposo, sua moglie evidentemente non era in casa, non sapeva cosa fare.

    Andò in cucina a prepararsi un tè. Era ormai buio, la casa silenziosa e vuota, un senso di estraneità lo assalì. Era una situazione nuova per lui. Raramente si era trovato da solo tra quelle mura in un orario tanto insolito e non sapeva come ingannare il tempo in attesa di Astrid. Pensò che avrebbe potuto chiamarla, ma non gli piaceva l’idea che lei si sentisse controllata.

    Soltanto nei primi anni del loro matrimonio aveva avuto la consuetudine di telefonarle ogni tanto nel corso della giornata. Voleva sentirla vicina, le chiedeva consigli, si informava sui bambini. Ma poi il lavoro era aumentato e il ritmo serrato delle sue giornate, dentro e fuori lo studio, era tale da non consentirgli la minima distrazione. Di telefonate certo continuava a farne, ma erano tutte di lavoro: c’erano sempre un cliente da contattare, un chiarimento da chiedere al commercialista o all’avvocato, i contatti con le banche da curare, per non parlare di tutte quelle che gli passava la segretaria, dopo averle debitamente filtrate. Tra gli amici, gli unici che potevano interromperlo in qualsiasi ora della giornata erano Sergio e Thomas, con i quali giocava a tennis nel circolo poco distante dallo studio. Ma erano chiamate brevi, per lo più per concordare l’orario della prossima sfida sulla terra rossa o per decidere di trovarsi per fare quattro chiacchere durante la pausa pranzo.

    Ora però si trattava di un caso eccezionale: stava male ed era tardi, quasi ora di cena, Astrid non si vedeva e lui si stava innervosendo. Compose il numero, cinque squilli e la voce monotona della segreteria telefonica. Richiuse. Cosa avrebbe mai potuto dirle? Che aveva mal di testa e si stava annoiando a casa da solo? Veramente imbarazzante, soprattutto dopo che nel corso di un’accesa discussione avvenuta qualche tempo prima, aveva ribadito alla moglie il concetto che poteva disturbarlo soltanto per cose realmente serie: incidenti, malattie, cataclismi o distruzione.

    Telefonare alla mamma di Astrid era fuori discussione: si sarebbe sicuramente allarmata. Non ricordava nemmeno più quando si erano sentiti l’ultima volta e avrebbe dovuto perdere del tempo a rassicurarla e a rispondere alle domande a raffica che gli avrebbe rivolto.

    Ripassò mentalmente i visi di alcune conoscenti e amiche di Astrid, ma le scartò non sapendo come recuperarne il numero di telefono. Stava scorrendo velocemente avanti e indietro i nominativi della rubrica telefonica, quando gli venne l’illuminazione:

    "Ciao Thomas, scusa se ti disturbo, ma ho bisogno del numero di Nina. So che la frequentavi

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