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Scritto nelle cicatrici
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E-book368 pagine5 ore

Scritto nelle cicatrici

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Info su questo ebook

Innamorarsi è facile.
Smettere di amarsi è invece la cosa più difficile del mondo.
E per Elin e Ty Whitt è semplicemente impossibile.
La prima volta che la star locale del basket le aveva sorriso, Elin si era sentita perduta. Era stato così facile innamorarsi dell’eroe della città, il ragazzo dai capelli neri, dal sorriso affascinante, e dal fisico forte e atletico.
Dopo migliaia di sorrisi assonnati, di vagabondaggi senza meta lungo le strade di campagna e di cigolii della porta sul retro di casa, Elin e Ty si scontrano con la dura realtà. Innamorarsi era stata decisamente la parte più facile, vedere quell’amore andare a pezzi, però, era inaccettabile.
Tra lacrime, ripensamenti, ricordi di una vita costruita insieme, e consigli da parte di un amico saggio, il mondo va avanti.
Quando Ty torna a casa, determinato a rimettere di nuovo insieme la sua famiglia, Elin è combattuta tra il timore dei litigi del passato e la possibilità di un nuovo inizio. Quello è l’uomo che possiede il suo cuore, l’uomo che ama più di ogni altra cosa, ma è anche l’unica persona al mondo che può causarle il dolore più grande.
La vita non è sempre facile e l’amore richiede molto coraggio. Solo imparando dagli errori del passato, scritti sulle cicatrici di entrambi, Ty ed Elin potranno decidere se dare o no un’altra possibilità al loro amore.
LinguaItaliano
Data di uscita31 gen 2020
ISBN9788855311137
Scritto nelle cicatrici

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    Anteprima del libro

    Scritto nelle cicatrici - Adriana Locke

    Capitolo 1

    ELIN

    «Ti sfido a provarci» dico a Lindsay Watson, accomodandomi accanto alla sua postazione di lavoro e lanciandole un’occhiataccia. Inizio a far girare la mia poltroncina da un lato all’altro e la osservo mentre dà gli ultimi colpi di forbici ai lunghi capelli castani di Becca Snowden, seduta davanti a lei.

    «Elin, staresti benissimo con i capelli rossi» insiste Lindsay, con entusiasmo, ignorando la mia inutile minaccia. «Un rosso scarlatto metterebbe più in evidenza i tuoi occhi verdi. Lascia che ci pensi io.»

    «Oh, saresti fantastica con un po’ di rosso» interviene Becca.

    «Continuerò con le variazioni di sfumatura del mio biondo scuro, grazie» rispondo. «Sono piuttosto sicura che, se mi dovessi presentare con qualcosa di nuovo, i bambini della mia classe potrebbero spaventarsi.»

    Lindsay ride e quel suono risuona attraverso il Blown, il salone che ha aperto qualche anno fa. I suoi occhi azzurri brillano come fanno quelli di qualcuno che sta vivendo la vita dei suoi sogni, quando tutto è proprio come dovrebbe essere. È una sensazione incredibile, che ricordo bene, anche se è passato molto tempo.

    Fermo la poltroncina; la mia spensierata determinazione è svanita, finita a terra insieme ai capelli di Becca. Lindsay continua a chiacchierare con lei mentre le toglie la mantellina; poi la conduce alla cassa, nella parte anteriore del negozio, dove la luce del pomeriggio autunnale filtra luminosa dalle finestre. All’esterno, la piazza di Jackson, Indiana, con una popolazione di 6000 abitanti, brulica di gente.

    «Vado al The Fountain a prendere da bere» dice Becca, rovistando nella sua borsa. «Volete che vi porti qualcosa?»

    «No, ma credo che più tardi, quando uscirò da qui, andrò a prendermi un Bump» dico. «Adoro letteralmente quella bibita.»

    «Non l’ho mai provata.»

    «È la mia preferita» le spiego. «È una bevanda al sapore di agrumi e cannella che è davvero la cosa migliore al mondo. Ci siamo trasferiti qui quando ero in seconda media e, il primo giorno dopo la scuola, Lindsay mi ha portata al The Fountain insistendo perché ne ordinassi una. Penso sia stato dopo quello che siamo diventate migliori amiche.»

    «Certo che è stato così, come avresti potuto non essere amica di qualcuno con degli ottimi gusti come me?» scherza Lindsay.

    «Be’, hai sposato mio fratello, quindi direi che i tuoi gusti sono impeccabili.»

    «Aspetta» dice Becca, voltandosi a guardare Lindsay. «Hai sposato il fratello di Elin?»

    «Sì, me la sono fatta amica in modo da poter incontrare il suo gemello.» Lindsay mi fa la linguaccia. «Jiggs era l’obiettivo. Elin è stata un bonus.»

    Becca inarca un sopracciglio. «Jiggs? È il suo nome?»

    «Sarebbe James» chiarisco. «Non so perché lo chiamiamo così, ma lo facciamo. Tutti lo fanno.»

    Guardo il pavimento in modo che non possano vedere i miei occhi, per nascondere il fatto che sto mentendo. Si chiama Jiggs perché nostro padre, nel tempo libero, lavorava il legno e mio fratello, da piccolo, era ossessionato dal jigsaw, il seghetto alternativo, così papà ha iniziato a chiamarlo Jiggs. Non lo racconto, perché mi farebbe rivivere tutta la tristezza che oggi sono riuscita a tenere lontata da me.

    «Ehi, questo fine settimana faremo un falò» dice Lindsay a Becca. «Dovresti venire.»

    «Non lo so, mi sento ancora un’estranea in questa città» le risponde, porgendole la carta di credito. «Sono qui già da qualche mese, ma mi sento fuori posto. Sto pensando di tornare in Texas.»

    «È per questo che dovresti venire al falò» osservo. «Per incontrare gente, per divertirti.»

    Becca scrolla le spalle e non sembra convinta. «Forse.»

    All’improvviso, la campanella all’ingresso suona, mentre la porta viene aperta; una folata di aria fresca autunnale fluisce nel salone, portando con sé il profumo di hamburger grigliati, foglie secche e una particolare colonia speziata che mi fa trattenere il respiro. All’unisono, le nostre teste si voltano di scatto verso l’entrata, anche se per motivi diversi.

    Becca fa un’espressione sorpresa, Lindsay mi lancia un’occhiata e il mio cuore finisce sul pavimento.

    Lo sguardo color smeraldo di Tyler Whitt si punta su di me, come se non ci fosse nient’altro intorno, e la sua intensità mi fa scivolare indietro nella poltroncina, che inizia a muoversi attraverso la stanza.

    Non riesco a respirare e, anche se ho la bocca aperta, più di quanto vorrei, non riesco a immettere sufficiente ossigeno per non sentirmi come se stessi per svenire.

    Lui rimane lì, fermo, e non mi sta solo guardando, ma vede dentro di me, come se stesse captando ogni pensiero che mi passa per la mente. Una volta, quello sguardo, l’impressione di essere al centro della sua attenzione, era la sensazione più rassicurante al mondo. Ora mi sento persino violata.

    ‘Fanculo a lui.

    Fermo la sedia, trascinando la punta della mia scarpa sul pavimento. Distolgo gli occhi dai suoi e sento che le mie guance si sono arrossate, ma non so per quale emozione, dato che in questo momento sono travolta da un turbinio indistinto di sensazioni.

    Ho immaginato questo scenario migliaia di volte. Il momento in cui l’avrei rivisto si è ripetuto nella mia testa in continuazione e ogni volta era diverso: andava da noi che ci correvamo incontro al rallentatore, baciandoci come se la vita dipendesse da quello, fino a me che tiravo quanti più calci e pugni possibili su quel viso, bellissimo ed esasperante.

    A prescindere dalla versione, speravo che il tempo avrebbe indebolito il nostro legame, che non avrei sentito quell’attrazione ineluttabile che ho sempre provato quando ero vicina a lui. Speravo di potermi tenere aggrappata alla rabbia con cui, negli ultimi quarantatré giorni, mi sono svegliata e sono andata a letto. Speravo che l’avrei visto e che avrei subito dimenticato tutte le ragioni per cui lo amavo, ricordando tutte quelle per cui non provavo più quel sentimento.

    Guardandolo ora, però, dall’altra parte del salone, capisco che niente è cambiato. Nemmeno un po’. È sempre tutto lì, elettrizzante, avvolgente e straziante.

    Mi agito sulla poltroncina, prendo un profondo respiro e cerco di riprendermi. Il timore per l’incertezza di ciò che succederà mi lascia scossa. Se dovessimo interagire, finirà in un litigio, ed è l’unica cosa di cui sono sicura, perché è il modo in cui adesso vanno le cose tra di noi.

    Vedo il pomo d’Adamo di Ty muoversi su e giù, mentre si sforza di deglutire; lui esita un istante, prima di farsi avanti ed entrare nel salone. Mi rivolge uno sguardo che dice tutto e niente, poi lo distoglie e si schiarisce la voce. Il profumo della sua colonia, la stessa che ha sempre usato da quando gli ho comprato il primo flacone con il mio primo vero stipendio, permea il locale.

    «Ehi, Linds» dice e il suo tono è caloroso, eppure distaccato. «Jiggs è nei paraggi?»

    Quando parla mi si chiude la gola, nel tentativo di seppellire tutte le emozioni che minacciano di uscire. Quelle emozioni su cui non ho nemmeno la metà del controllo che pensavo di avere. Averlo davanti è come ricevere un altro pugno allo stomaco.

    «No. È a casa, credo. Stava lavorando sul pick-up nella rimessa.»

    Ty annuisce e si passa una mano tra i folti capelli neri, che sono sparati in ogni direzione. La sua mandibola spigolosa è velata di barba, come se non si radesse da più di un giorno. So cosa proverei a farci scorrere la mano sopra, so come la sua testa si piegherebbe di lato e sulle sue labbra apparirebbe un sorriso divertito. Posso immaginare, sotto alle mie dita, la sensazione delle cicatrici che deturpano la sua schiena scolpita, quelle provocate dall’incidente minerario che l’anno scorso ha cambiato le nostre vite in una maniera orribile. Posso vedere il suo sorriso sbilenco che mi dice che sarebbe andato tutto bene. È chiaro che era una bugia.

    Il suo corpo di un metro e ottantacinque, vestito con un paio di jeans e una maglietta bianca, è magro e in salute, proprio come dovrebbe essere il fisico dell’apprezzato eroe del basket che è sempre stato. Sta bene. Sembra proprio il mio Ty.

    Ribadisco... ‘fanculo a lui.

    Afferro la poltroncina con le mani e mi proibisco di farmi sfuggire i milioni di domande che mi frullano nella mente. Non gliele farò, perché non gli darò il potere, parlando per prima. È infantile, lo so, ma non m’importa. Devo sopravvivere come posso. Sapere di potermi aggrappare a qualcosa, mi rende un po’ meno impotente nella situazione più difficile della mia vita.

    La sua andatura zoppicante è meno evidente di quanto ricordi, e vorrei chiedergli come sta, ma non lo faccio, perché non gliene è fregato nulla di come mi sono sentita io da quando se n’è andato.

    Mi porto le mani sulla pancia e combatto contro le lacrime che mi inumidiscono gli angoli degli occhi. Non piangerò. Non qui. Non di fronte all’uomo che assomiglia troppo alla persona di cui mi ero follemente innamorata. Ma non è più lui. Accidenti, non sono nemmeno sicura di chi sia io, ultimamente. Solo che insieme siamo troppo diversi, troppo instabili per funzionare.

    Lindsay mi guarda con la coda dell’occhio, le labbra contorte, in sintonia con la disperazione che sento. Lei sa. È l’unica persona che conosce la profondità del mio dolore, perché è stata lì con me per ogni cosa, ad assistere alla mia sofferenza da un posto in prima fila.

    Lancio un’occhiata a Ty, che mi sta guardando. Le sue labbra iniziano a curvarsi per rivolgermi quel sorriso arrogante che mi ha fatto innamorare di lui, dal primo istante. Mentre il mio respiro si blocca in gola, quel principio di sorriso si allarga sul suo viso; poi lui si volta a guardare Lindsay.

    «Vado lì. Se lo vedi, digli che lo sto cercando» dice Ty, con un tono un po’ brusco. Poi mi guarda di nuovo, e il mio ottimismo aumenta a dismisura, mentre aspetto e spero che dica qualcosa. Qualunque cosa. Ciao. Vaffanculo. Come stai? Ne accetterei una qualsiasi di queste, ma non mi rivolge una sola parola, e ciò ferisce ancora di più il mio cuore già sanguinante.

    Non voglio soffrire. Basta.

    Si gira, infila una mano in tasca e con l’altra apre la porta, uscendo di nuovo dalla mia vita, in modo improvviso come ha fatto la prima volta.

    «Porca vacca!» esclama Becca, lasciando cadere la borsa sul bancone, mentre la porta si chiude. Il portachiavi agganciato da un lato sbatte rumorosamente contro la superficie dura. Volto la testa di scatto verso di lei; il mio livello di irritazione sale alle stellee e ricevo uno sguardo di avvertimento da Lindsay. «Ho cambiato idea, se quell’uomo verrà al falò, contate su di me. Chi era

    «Ehm...» inizia Lindsay, ma la interrompo: «Mio marito» ringhio, e scendo dalla poltroncina di plastica, lasciandola girare, mentre mi precipito fuori dalla porta sul retro.

    Capitolo 2

    TY

    Durante la mia lontananza, le foglie hanno cambiato colore e si sono seccate.

    Sospinte e sballottate dal vento, rimbalzano lungo il sentiero che conduce alla rimessa, nella proprietà di Jiggs.

    Chissà se Elin ha già tirato fuori un vecchio paio di jeans e una felpa per riempirli di foglie. È la sua attività preferita in questo periodo dell’anno, ed è sempre immancabilmente riuscita a coinvolgermi. Me lo sono chiesto un sacco di volte, ma non sono passato davanti a casa per vedere se lo spaventapasseri fosse lì. Sono andato città, il tempo sufficiente per notare la sua auto dietro al Blown e fermarmi. Non era quello il piano. Certo, vederla era l’obiettivo finale, ma avevo intenzione di risolvere la situazione dopo essere venuto qui e aver parlato con Jiggs, per capire a che punto fossero le cose. Ma ho visto la sua auto al Blown, e il pick-up si è parcheggiato da solo.

    Il rumore di Jiggs che batte sul metallo risuona lungo il sentiero. Ho una mezza idea di tornare alla mia auto e andarmene. Anche se è il mio migliore amico, è il gemello di Elin e il loro rapporto è più profondo di quello normale tra fratelli. Sei anni fa, poco dopo il nostro matrimonio, i loro genitori sono morti in un incidente in barca e questo li ha avvicinati ancor più di prima.

    Incontrare Jiggs sarà interessante, visto che non parliamo da quando ho lasciato la città. Sono stato un idiota a venire qui senza preavviso, ma è il mio migliore amico, a prescindere dallo stato del mio matrimonio.

    Almeno lo spero.

    «Come va?» chiede Jiggs, riscuotendomi dai miei pensieri mentre mi avvicino alla porta della rimessa. «Era ora che ti facessi vedere. Ho bisogno di aiuto per far funzionare questo coso.»

    «Sei un meccanico di merda.» Mi sento sollevato dalla sua accoglienza tranquilla e pacifica.

    Annuisce e si appoggia contro la portiera del pick-up arrugginito, mentre la vernice si stacca dalla vecchia carrozzeria. «È vero. È per questo che siamo amici, tu non lo sei.»

    «Stronzo.» Rido, e gli stringo una spalla mentre entro nella rimessa.

    «Cos’è che ti ha fatto decidere di onorarci della tua presenza?» C’è un ammonimento nel suo tono, la bandiera gialla che mi avvisa di procedere con cautela, che mi informa che lui è il fratello di Elin prima di essere mio amico.

    Sapevo che tornare in città avrebbe significato dover dare delle risposte, guardare negli occhi le persone a cui tengo e vedere la furia o l’irritazione... o un cuore spezzato.

    Immaginare come gestire i giudizi era più facile nella fattoria, a ottanta chilometri di distanza.

    «Whitt, hai intenzione di rispondermi?» Si toglie i guanti da lavoro e li getta per terra. «Sono felice di vedere il tuo brutto muso, ma devi darmi qualche spiegazione.»

    «Lo so.» Con una smorfia, raduno tutto l’orgoglio che riesco a trovare e faccio un respiro profondo. «Mi dispiace.»

    «Non basta.»

    «Cosa vuoi sapere?» chiedo, perché non so nemmeno da dove iniziare. È tutto così complicato, che non so in che direzione andare.

    «Dove diavolo sei stato?»

    «A nord di Terre Haute. Alla fattoria di Cecil Krueger. Era un amico di mio padre.»

    «E non hai pensato di chiamare? Di rispondere a una qualsiasi delle nostre cazzo di migliaia di telefonate?»

    Abbasso la testa, il mio sguardo cade sulla linguetta di una lattina abbandonata sul pavimento sporco. «Ho distrutto il telefono e non l’ho sostituito. Stavo per farlo...» Sollevo il mento. «Sarò onesto con te, Jiggs. Era bello stare in silenzio, senza nessun litigio, nessun promemoria di quanto fossi incasinato o di quanto sia tutto un casino.»

    «Così hai pensato di incasinarlo di più?» Ride, ma con rabbia.

    «Ho pensato che prenderci una pausa avrebbe fatto bene sia a me sia a Elin. Sai... avere un po’ di tempo per pensare alle cose.»

    Mentre aspetto che risponda, smuovo il terreno coi piedi e la polvere mi ricopre le scarpe. Sono alla sua mercé, qualsiasi cosa esternerà, me la merito.

    «Perché sei tornato? Perché adesso?» chiede infine.

    «Perché era arrivato il momento di farlo.»

    I nostri occhi si incontrano al di sopra del cofano del pick-up. I suoi studiano i miei, cercando il significato delle mie parole. Le nostre teste iniziano ad annuire insieme, mentre comprende.

    «Non puoi aspettarti che le cose tornino com’erano prima» dice, prendendo una chiave inglese.

    «Lo so.»

    «Allora, cosa ti aspetti?»

    È una domanda semplice, ma non riesco a rispondere. Non so nemmeno perché dovrei tornare a casa. Mia moglie mi odia. Il mio migliore amico è scettico nei miei confronti. Prima di andarmene mi sono persino dimesso da allenatore della squadra di basket del liceo, l’unica vera passione della mia vita. Cosa mi rimane?

    «Perché non sei venuto a parlare con me? O con Cord, se non volevi dirmi dei problemi con mia sorella. Perché farlo in questo modo, Ty?»

    «Vorrei saperlo» mormoro.

    Jiggs sospira e appoggia gli avambracci sul telaio del veicolo. «Eravamo preoccupati per te. Nessuno riusciva a rintracciarti. Elin era distrutta, Ty, e ho davvero pensato che avrebbe avuto un esaurimento. L’unica persona che ti ha visto è stato Pettis...»

    «Ehi, aspetta. Pettis?»

    «Sì, ha detto di averti visto a Rockville un paio di settimane fa.»

    Mi scervello per capire dove Pettis possa avermi visto, ma non mi viene in mente nulla. Non ero in un posto dove avremmo potuto incontrarci, tanto per cominciare, ma prima che possa rifletterci, Jiggs parla. «Una parte di me vuole ucciderti e gettarti nel lago qui dietro» dice, indicando con il pollice dietro la sua spalla.

    «Forse sarebbe più facile.»

    «Oh, lo sarebbe di sicuro, ed è esattamente il motivo per cui non lo farò.»

    «Codardo» lo prendo in giro.

    Jiggs ride e, con una spinta, si allontana dal veicolo. «Perché te ne sei andato?» Prima che possa rispondere, mi fissa con uno sguardo penetrante. «La vera ragione, Ty. Piantala con le stronzate, dimmi la verità.»

    «Lo sai com’era?» gli chiedo, mentre sento un bruciore nel petto. «Era come se essere stato schiacciato dalla trave, al lavoro, avesse distrutto tutta la mia vita.»

    Il dolore dentro di me brucia come un fuoco avvolgendo tutto: la solitudine che ho sentito quando non ero con Elin, la perdita della mia squadra, la rabbia per aver perso tutto ciò che avevo sempre voluto e per cui ho lavorato. Le fiamma si alimentano e quel dolore si fa rovente.

    «Non puoi superare una cosa del genere senza ripercussioni, Ty. La tua gamba è stata spezzata in due, a duecento metri sotto la superficie della terra. Ti abbiamo portato fuori su una barella.» Il suo tono è cupo. «Pensavamo che stessi per morire, cazzo. Quello ti ha mandato in tilt.»

    Annuisco. «Sì, ma non dovevo andare fuori di testa. Avrei dovuto gestire meglio tutto, ma non l’ho fatto. Ho lasciato che il mio matrimonio andasse a rotoli. Ho abbandonato la squadra.»

    Avrebbero dovuto iniziare gli allenamenti questa settimana. Esattamente alle cinque del pomeriggio di lunedì ho guardato il mio orologio e li ho immaginati tutti allineati a metà campo, mentre si domandavano perché ci fosse Reynolds davanti a loro e non io.

    Mi chiedo cosa abbiano pensato i ragazzi, che cosa sia stato loro detto, e quanti messaggi vocali mi abbiano lasciato nella casella... soprattutto Dustin. Lui deve aver preso il mio abbandono nel modo peggiore, e avrei dovuto farmi sentire. Ma non l’ho fatto. Li ho delusi tutti.

    «È stata la scelta giusta» dico ad alta voce, forse più per me stesso che per Jiggs.

    «Forse. Ma non sei solo il loro allenatore, sei un amico, il loro punto di riferimento. Non puoi semplicemente dire chi se ne fotte

    «L’ho già fatto.»

    Mi guarda e aspetta.

    «Non so perché sono qui» ammetto. «Elin mi odia.»

    «Già, è probabile.»

    «Vorrei poterla odiare anche io.»

    Mi lancia un altro sguardo cauto, poi attraversa la rimessa e raccoglie i suoi guanti. «Cosa farai? Qual è il piano, Mister Incasinato? So che sei andato al Blown. Lindsay mi ha chiamato e ha detto che Elin se n’è andata subito dopo di te.»

    «Posso solo dire che la mia prima mossa non è andata come previsto.»

    «Non potevi aspettarti che corresse da te. Cord la chiama Pitbull per una ragione.»

    Non posso trattenermi dal sorridere: il fuoco che Elin ha dentro di sé e il suo spirito combattivo sono le cose che preferisco di lei. «No, non potevo,» ammetto «ma non mi aspettavo quella freddezza da parte sua, come se mi disprezzasse.»

    «Puoi biasimarla?»

    «No» dico, con voce soffocata. «Ma lei mi ha detto di andarmene...»

    «A me non frega un cazzo di quello che mi dice Lindsay!» sbraita Jiggs, con occhi accesi. «Non la lascio. Non me ne frega niente se getta la mia roba nel cortile e mi butta fuori dalla porta. Rimarrei seduto sui gradini ad aspettare che mi faccia rientrare. Capisci cosa intendo?»

    «Avevo toccato il cazzo di fondo» ribatto, risentito dal fatto che pensi che mi sia preso solo una vacanza dalla mia vita. «Non capisci? L’incidente, il dolore, le spese che continuavano ad aumentare perché non c’erano gli straordinari. Dover guardare Elin ammazzarsi di lavoro per mantenere entrambi, quando avrebbe dovuto essere il mio cazzo di compito! Dover pescare dai risparmi di anni, accumulati per provare ad avere un figlio con la fecondazione in vitro. Non potevo nemmeno scopare mia moglie senza che fosse previsto da un maledetto calendario! Poi, mese dopo mese, quando faceva quel dannato test ed era negativo, dovevo guardarla in faccia e rendermi conto che ero io quello che l’aveva delusa!» urlo, con il viso accaldato. «Maledizione, Jiggs! Non l’ho lasciata perché sembrava più facile! Non c’era altra scelta!»

    «Non ne avevo idea» sussurra, il volto più pallido di quanto abbia mai visto.

    Mi giro, dandogli le spalle, e faccio dei respiri profondi, cercando di concentrarmi per ritrovare la calma. Qualche minuto dopo, quando mi volto di nuovo verso di lui, Jiggs è seduto su un frigo portatile e mi osserva.

    «Volevo solo rendere le cose più facili» dico. «Non riuscivo a sopportare di litigare con lei. Non c’è niente di peggio che guardare in faccia la persona che ami e vedere... disgusto. Indifferenza. E stai lì a chiederti se lei crede che tu sia pigro o inutile, pensando che non sai nemmeno fare il tuo lavoro e darle il bambino di cui avete parlato prima ancora che foste sposati.»

    «Ty, amico, davvero, non lo sapevo.»

    «Sai come ci si sente? Sai quanto ti fa sentire poco virile non essere in grado di scopare a dovere tua moglie?» Faccio una pausa, permettendogli di assimilare le mie parole. «L’unica volta che è rimasta incinta, ha abortito. È successo qualche anno fa, ti ricordi? Sì, be’, non l’ha mai superato. Forse avrebbe aiutato se avessi potuto farlo succedere di nuovo, ma non posso, cazzo!» urlo. «Giuro su Dio, è uno stress troppo grande. È questo il problema. Le cose sono precipitate il giorno in cui me ne sono andato» dico, con un vuoto nella voce che riesco a percepire persino io. «Abbiamo perso il controllo. Penso che il dolore che entrambi provavamo fosse nascosto dietro tutta quella rabbia. È più facile essere incazzati che sentirsi disprezzati tutto il tempo.»

    Scuoto la testa e mi appoggio al tavolo da lavoro. Dirlo ad alta voce a qualcun altro mi fa sentire meglio, lo rende più gestibile. Jiggs non risponde, così continuo: «Mi ha detto di andarmene, e l’ho fatto. Ho pensato che, se me ne fossi andato, non sarebbe andata peggio, e di sicuro non sarebbe andata meglio se fossi rimasto. Mi manca.» Sospiro. «Non importa a cosa cerco di pensare, è tutto legato a lei. Il liceo. La miniera. Il lago.» Stringo la mascella mentre lo guardo. «Le nostre vite sono una cosa sola, sai? Tutto quello che è successo nella nostra esistenza lo abbiamo fatto insieme. Le ho tenuto la mano al funerale dei vostri genitori e ogni volta che passo davanti al reparto frutta e verdura mi torna in mente la torta di limone di tua madre. So che Elin odia i temporali e amo essere lì con lei quando cerca la mia mano.»

    «Allora risolvi i problemi.» Jiggs inarca le sopracciglia. «Vai da lei. Parlatene.»

    «Non posso.»

    «Puoi» ride. «Sei solo un fifone.»

    «Forse lo sono» ridacchio. «Ma ho paura di peggiorare le cose.»

    Jiggs fruga dentro il frigo portatile rosso e tira fuori una birra. «Ne vuoi una?» chiede, porgendomi una bottiglia.

    «No. Grazie comunque.»

    Il tappo vola via e colpisce il terreno. Jiggs prende un grande sorso e si pulisce la bocca con il dorso della mano. «Vieni al falò di domani sera?»

    «No.»

    «Non puoi non venire, stronzo, lo facciamo ogni anno.»

    Prendo una chiave inglese e inizio a lavorare sull’alternatore del pick-up. «Sì, lo abbiamo sempre fatto, ma alcune cose sono cambiate.»

    «Forse nella tua vita, ma i tuoi problemi non rovineranno la mia. È meglio se ti fai vedere o potrei doverti fare il culo.» Aspetta la mia risposta. «Elin non viene, se può essere d’aiuto.»

    «Dove deve andare?» chiedo troppo in fretta.

    «Un impegno a scuola, mi pare» dice, nella sua voce c’è un tono divertito. «Quindi vedi di esserci.»

    «Vedremo.»

    Si piega anche lui sotto il cofano e tiene un cavo lontano da me. Gli lancio un’occhiata con la coda dell’occhio.

    «A proposito» dico con un ghigno. «Non puoi farmi il culo. Non farti strane idee.»

    Ride, e mi dà una pacca sulla spalla, mentre esce dalla rimessa, lasciandomi con il suo pick-up rotto e i miei pensieri sulla donna che amo troppo per riuscire a non amarla affatto.

    Capitolo 3

    ELIN

    La porta sul retro cigola, non appena la spingo per entrare in cucina. Lasciando che si chiuda da sola dietro di me, appoggio sul bancone la mia borsa piena di compiti da correggere. Il tonfo risuona nella stanza e si infrange sulle pareti color burro, tinta che io e Ty abbiamo impiegato una vita a scegliere.


    «Adoro questo colore!» strillo, sollevando un campione davanti al suo viso. «Sarebbe perfetto per la cucina della nostra nuova casa.»

    «Sembra pipì.» Mi afferra il polso per impedirmi di agitargli davanti il campione.

    «Non è vero» dico con il broncio. «È bellissimo.»

    Invece di togliermi il campione dalle mani, mi attira più vicina a lui. Si china e avvicina le labbra a pochi centimetri dalle mie. «Il colore è pipì, signora Whitt, ma se ti piace, allora lo prendiamo, perché i miei occhi non saranno sulle pareti quando sarò lì, saranno su di te.»


    Anche dopo quasi sette anni, posso ancora sentire il calore del suo bacio sulle mie labbra, mentre il cuore mi martella nel petto. Mi ha sempre fatto avere ciò che desideravo, mi

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