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Rebecca, le Janas e il carro di Nannai
Rebecca, le Janas e il carro di Nannai
Rebecca, le Janas e il carro di Nannai
E-book182 pagine2 ore

Rebecca, le Janas e il carro di Nannai

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Info su questo ebook

Questo libro è una porta. Sì, di quelle magiche. Se avrai il coraggio di attraversarla ti condurrà dentro un mondo fatto di sorprese e tradizioni, dove l’acqua è una madre bonaria, il vento un amico da rispettare e gli alberi vecchi nonni da abbracciare. L’isola nella quale sono ambientati i racconti è la prodigiosa Sardegna, ma non mancheranno accenni a un’altra grande isola ugualmente miracolosa, l’Irlanda.
Fra le pagine troverai: incredibili avventure; misteriose leggende, conoscerle aiuta a mettere radici nella terra che le accoglie; alcune ricette, provale, personalizzale, gustale; istruzioni per realizzare unguenti e profumi.
Ma soprattutto troverai il segreto per risvegliare gli occhi più preziosi che possiedi: quelli della fantasia.
Età: dai sette anni in su.
LinguaItaliano
EditoreCondaghes
Data di uscita23 feb 2020
ISBN9788873569862
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    Anteprima del libro

    Rebecca, le Janas e il carro di Nannai - Claudia Zedda

    a Rebecca, il mio confetto

    sette janas ti danzino attorno,

    che tu sia la più felice del mondo

    Claudia Zedda

    Rebecca, le Janas

    e il carro di Nannai

    illustrazioni di Michela Cossu

    ISBN 978-88-7356-986-2

    Condaghes

    Indice

    Ai miei piccoli lettori

    Rebecca, le Janas e il carro di Nannai

    Giobiana: la jana di lana

    La storia di Maura che si trasformò in lago

    Gli occhiali di Maestrale

    Sa mama ‘e su mari

    Il Natale di Rebecca e Caterina e il mistero de su carru ‘e Nannai

    Zaccaria e le maschere di Carnevale

    Glossario

    L'Autrice e l'Illustratrice

    La collana Il Trenino verde

    Colophon

    Ai miei piccoli lettori

    Lo volete conoscere un segreto? Rebecca e Caterina sono diventate mie grandi amiche: durante questi mesi abbiamo giocato insieme, cucinato, vissuto splendide avventure. Mi sono affezionata così tanto alle due sorelline che ho dovuto raccontare altre delle loro peripezie. Mi hanno mostrato una Sardegna incantata e curiosa, magica, possibile. Una Sardegna nella quale l’acqua, il vento, le pietre e il mare prendono vita e custodiscono preziosi ricordi, una Sardegna che ama la sua storia e la sua tradizione ma che strizza l’occhio al futuro.

    Proprio per questo è nata la nuova raccolta: sei racconti che narrano le vicende di queste due coraggi.ose esploratrici e parlano dell’Isola dei miracoli nella quale hanno avuto la fortuna di nascere. Le bambine crescono, come probabilmente avete fatto voi, incontrano nuove creature fantastiche, sa mama ‘e su mari, per esempio, o Giobiana, e fanno la conoscenza di quel vecchio brontolone di Nannai che guida un carro magico dal quale partono sfolgoranti lampi e cupi tuoni.Ci saranno pure delle novità, eccovene alcune.

    Le bambine faranno un meraviglioso viaggio: scopriranno l’Irlanda, intuendo che la magia è ovunque. E Rebecca, che non si accontenta più di scrivere solo un ricettario, inaugurerà anche il suo erbario. Quindi non soltanto ricette di cucina ma anche consigli per preparare oli magici, profumi delle fate o sciroppi incantati. Le due bambine inoltre scopriranno che le maschere, sì, quelle di Carnevale, custodiscono molti segreti e che non sempre le cose sono come appaiono.

    Prima di salutarvi ecco poche istruzioni valide per i piccoli e per i grandi che si sono ritrovati in mano questo libricino: non considerate le nostre leggende come storie antiche e di poca importanza. Sono vive, e conoscerle aiuta a mettere radici nella terra che ci accoglie, la Sardegna. Sì, proprio come fanno gli alberi. Ascoltate i miti sardi, studiate la nostra storia, parlate la nostra lingua e scoprirete che essere sardi non è un limite, ma una incredibile possibilità e un favoloso privilegio. Siatene orgogliosi.

    Leggete le storie di Rebecca ovunque: in giardino, a letto prima di dormire, in classe con le maestre, accanto al vostro albero preferito, in cucina con la mamma o anche davanti al mare. Ma di tanto in tanto sollevate lo sguardo dalle pagine e scrutate quel che vi sta attorno. Capirete allora che la magia che vi circonda è ovunque, ma è possibile vederla soprattutto con gli occhi della fantasia, quindi allenateli! Credete nella magia, solo così lei crederà in voi.

    Claudia Zedda

    Rebecca, le janas

    e il carro di nannai

    Giobiana: la jana di lana

    Era da giorni che né Rebecca né Caterina vedevano tzia Nanna, e la cosa non era normale visto che, vuoi per portare delle uova, vuoi per prendere un caffè o per chiacchierare con Emma, tzia Nanna almeno una volta al giorno faceva loro visita.

    – Mamma, forse tziedda sta male – iniziò Caterina. Fra le due era la più preoccupata, dato che Rebecca, più grandicella della sorellina, conosceva bene il motivo che la tratteneva in casa.

    – Non sta male, non ti preoccupare Caterina. Tziedda è molto impegnata perché sta tessendo i tappeti, ricamando le tovaglie e il copriletto per Damiana, che fra qualche giorno si sposerà. È molto indaffarata, ma dopo il matrimonio riprenderà con le sue solite visite – spiegò Emma senza soffermarsi oltre sul discorso che a Caterina invece interessava parecchio.

    Emma raccontava spesso alle due bambine che Nanna fin da piccola si era distinta per le sue grandi doti di tessitrice: non era solo veloce e abile, ma era in grado di realizzare tappeti e ricami complessi, originali e soprattutto resistenti. Ognuno di noi ha un talento: tutto sta nello scoprire qual è il proprio! Quello della tessitura era il talento di Nanna, tanto che fin da ragazza aveva avviato la sua piccola impresa che l’aveva resa autonoma, indipendente, stimata e ben voluta dentro e fuori il paese. I suoi ricami, si diceva, li conoscevano anche in Perù. Ora, più vecchia e forse un poco più stanca, tesseva per piacere, insegnando l’arte degli intrecci a chi desiderava imparare e regalando ai giovani del paese, che lei considerava tutti nipoti, quello che era necessario per arredare una nuova casa.

    – Se è così impegnata, avrà del tempo per cucinare? – continuò Caterina. – Perché se non ce l’ha basta dirlo, posso portarle io qualcosa di buono – sancì la bambina con cipiglio serio. Ed Emma, con le mani in pasta, visto che da giorni preparava guefus per il matrimonio di sua cugina, sorrise.

    – Mi sembra un’ottima idea – concedette, mentre Rebecca la aiutava con le mandorle da sbucciare e tritare. – Datemi una mano qui, e poi potrete passare a far visita a tziedda, ma mi raccomando: non statele in mezzo ai piedi!

    Le bambine assentirono all’unisono. Caterina, con indosso un grembiulino bianco che portava ricamato sulla pettorina il suo nome, prese posto sopra un piccolo sgabello che ne aumentava di buoni 15 centimetri l’altezza. Questo le consentiva di stare al livello di Rebecca e di poter dare una mano alla mamma. I capelli lunghi e neri Caterina li portava quasi sempre legati in una lunga treccia: Emma glieli annodava da una tempia all’altra a mo’ di coroncina che le cingeva il piccolo capo. Le ciglia erano lunghe e le guance sempre rossicce, quasi che dentro le ardesse un fuoco allegro e dispettoso. Era più chiacchierona e più istintiva di Rebecca, e insieme le due bambine si completavano come fanno i coperchi con le pentole.

    Aiutare la mamma significava per Caterina e Rebecca giocare con la velina colorata e le forbici piccole, piccolissime, che Emma usava per creare ritagli delicati. Quelle forbicine facevano parte del kit necessario per trasformarsi in una vera e propria jana dei dolci e far magie e incanti in cucina. I pezzi più interessanti in verità erano le rotelle che somigliavano proprio, secondo le bambine, a piccole bacchette magiche. Una era realizzata con un vecchio cucchiaino dal manico lungo e attorcigliato, un’altra aveva come rotella un’antica moneta proveniente da chissà dove sulla quale erano incise parole in lingua incomprensibile. Il pezzo più misterioso aveva la presa in legno e la rotella in osso. Gli oggetti maneggiati da Emma, specie quelli in metallo, brillavano come pietre preziose. Di tutto quel tesoro la donna era incredibilmente gelosa, poiché era appartenuto a sua madre, e prima ancora a sua nonna. Solo alle sue figlie consentiva di toccare di tanto in tanto una rotella, un timbro o un tagliapasta.

    Mentre Caterina giocava a essere una jana dei dolci, Rebecca con il macinino tritava le mandorle appena pulite e tostate.

    – Mettile nella scivedda, aggiungi dello zucchero e l’acqua fior d’arancio che sa mama ‘e su bentu mi ha mandato. E mescola. Più energicamente e a lungo girerai, più buono verrà l’impasto.

    – Certo mamma – disse Rebecca che fino ad allora non aveva parlato. Aiutare la mamma le piaceva e le piaceva pure fare i dolci, visto che quando Emma li preparava, la casa si riempiva di un odore di festa che le metteva allegria.

    Rebecca aveva compiuto dieci anni, era alta quasi quanto Chìriga e portava capelli lunghi, gialli e brillanti, come i tessuti tinti con lo zafferano. A lei piaceva tenerli sciolti e per fermarli indossava spesso belle coroncine o fascette con stampe floreali. Era già alta per la sua età, e gli occhi più grigi che azzurri continuavano a splendere di curiosità. Negli ultimi tempi aveva affinato l’arte del racconto e della scrittura e rimaneva a bocca aperta quando vedeva la sorellina dare vita, in forma di disegno, ai racconti che lei inventava tutte le notti per farla addormentare. Il talento di stupirsi di tutte le cose non era ancora trascorso in lei e forse l’avrebbe accompagnata per tutta la vita.

    – Non mi stanco, altrimenti le mandorle se ne accorgono. Queste cose le so! – continuò dandosi un tono da adulta, e la madre non poté far altro che sorridere divertita.

    Emma intanto, indaffarata com’era, sembrava una vera e propria fata. Rebecca lo sospettava da tempo, ma quando la vedeva con in mano il mestolo, le forbicine brillanti o le rotelline ne era proprio certa: la mamma era una jana, e s’arrodixedda scintillante era la sua bacchetta magica. Probabilmente un tempo aveva convissuto con le altre janas, poi dopo aver conosciuto Mario doveva aver deciso di abbandonare le sorelle. D’altronde solo una fata avrebbe potuto creare dolcetti tanto buoni e tanto belli da vedersi.

    – Mamma, chi te l’ha insegnata questa ricetta? – chiese composta Rebecca. Oh quanto le piaceva fingere d’essere grande e quanto amava cercare informazioni più approfondite da inserire nel proprio ricettario!

    – Questa è una ricetta di Rubina, mia mamma. L’ha ricevuta da Rubina Nìves, sua mamma.

    – Quindi tua mamma si chiamava Rubina come tua nonna?

    – No, mia madre si chiamava Rubina, mia nonna si chiamava Rubina Nìves. Lei ci teneva moltissimo che la si chiamasse con entrambi i suoi nomi. Mi diceva sempre che se la madre e il padre si erano impegnati a dargliene due, di nomi, un motivo doveva pur esserci stato. E il suo primo nome le piaceva così tanto che scelse di darlo anche alla figlia, mia madre.

    – Aveva ragione tua nonna – concluse pensierosa Rebecca; e ugualmente impensierita Caterina proseguì: – Io un nome così non l’ho mai sentito. Qui nessuno si chiama così, vero mamma? È un vero peccato!

    Emma annuì divertita proseguendo a confezionare palline di mandorle, e senza nemmeno guardare quel che faceva disse: – Nonna Rubina Nìves arrivava da oltre il mare. La sua terra si chiama Spagna, ma sua madre era nordafricana. Ecco perché il suo nome ti sembra così strano, Cate: lei era un poco spagnola e un poco marocchina, e così pure la sua cucina.

    – Spagna? – chiese prima l’una, e poi l’altra: – Marocco?

    Un giorno di questi vi farò vedere dove si trovano e vi mostrerò le foto della bisnonna. Che ne dite?

    Manco a dirlo le due bambine urlacchiarono che sì, volevano proprio vederla quella bisnonna che veniva dal mare.

    – Ma perché dalla Spagna è venuta qui in Sardegna? Chissà quanto le è mancata la sua casa – fece Rebecca, che già aveva gli occhi che sognavano storie avventurose.

    – Nonna è dovuta andar via dalla Spagna, e di gran fretta. Con sé portò solo qualche strumento da cucina, un piccolo porta candela, uno strano specchio, il suo ricettario e pochissimi altri oggetti. Qui trovò tutto quello che le serviva: una casa, un lavoro, una cucina, una terra per sognare, un bel bosco, e tante amiche. Era convinta che casa sua fosse dove si trovavano i suoi affetti, suo marito e la sua famiglia. Ma se proprio la nostalgia della sua vecchia casa rapiva il suo cuore, si metteva a cucinare le antiche ricette. Questo dolce ad esempio lei lo chiamava huevitos de almendra. Li preparava con l’aggiunta di chiodi di garofano e cannella. Poi mia madre ha scelto di semplificare la ricetta.

    – E cosa significa huevitos di…

    – Huevitos de almendra significa ‘piccole uova di mandorla’ – rise la donna. – Gli sta bene come nome, no?

    Le due piccole di casa fecero di sì con la testa mentre tutta la cucina era morbidamente avvolta da un buon profumo di zucchero, mandorle e arancia.

    – Ma perché scappare di fretta? – chiese infine Rebecca, dopo averci riflettuto.

    Emma increspò le labbra in un accenno di sorriso: – Mi aspettavo questa domanda – commentò vaga.

    – E allora? – insisté Rebecca, che ne voleva sapere di più.

    – Nonna Rubina Nìves era una donna speciale. Oltre a essere una capacissima drucera, apparteneva a una famiglia un po’… – fece una breve pausa – insolita, diciamo. Vedeva il futuro delle persone nelle carte e nelle palme delle mani.

    – Era una cartomante insomma – disse Caterina con semplicità.

    – E dove hai sentito quella parola tu? – chiese Emma con le mani sporche di zucchero e mandorle.

    – L’ho letta in un libro – ammise spontaneamente, spalleggiata dalla sorella. Quel libro lo avevano letto spesso insieme: parlava di una giovane donna che leggeva il futuro nelle carte e in una strabiliante sfera di cristallo che, se toccata nel modo giusto, mostrava più

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