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Il centro di ricerche CIRCAS di Pomezia è davvero una spesa inutile, un pozzo senza fondo che ingoia i finanziamenti del gruppo industriale DeBernardis-GESFIN senza produrre niente di concreto? Oppure il professor Aliati ha un segreto da difendere, qualcosa che può sconvolgere il mondo, e allora fa bene a tenerlo nascosto? Questo il mistero in cui s’imbatte Paolo, rampollo della famiglia De Bernardis e nuovo amministratore delegato, mentre spulcia le carte del defunto padre, con l’intento di realizzare una dolorosa spending review. Dolorosa, sì, ma per gli altri. Per chiarire ogni dubbio dovrà seguire Aliati in un rischioso viaggio, un viaggio la cui meta non sarà mai inclusa nel programma di nessun tour operator.
Gianluca Gemelli
Gianluca Gemelli è nato a Roma nel 1968. Fino al 2000 ha lavorato (precariamente) come ricercatore presso le università di Roma, Torino e Padova. Dal 2001 insegna Matematica nella Scuola Superiore a Roma e provincia. Dal 2006, tra un esame e un corso di recupero, all'insaputa dei suoi studenti e della maggior parte dei colleghi, si ritaglia il tempo per scrivere romanzi e racconti.Come ricercatore ha pubblicato impunemente numerosi articoli scientifici su argomenti di Fisica Matematica, Relatività, Cosmologia. Come insegnante ha promosso molti studenti e ne ha bocciati relativamente pochi. Come autore ha scritto finora 3 romanzi, ma minaccia moglie e figlio di scriverne uno all’anno.Gianluca Gemelli non è su feisbucc, né su tuitter, né su nessun altro social nettuorc.
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741 - Gianluca Gemelli
Gianluca Gemelli
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Gianluca Gemelli
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http://teladoiolanarrativa.blogspot.it
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1
L’uomo si mise l’elmo e montò velocemente in sella. Tirò le briglie e fece andare al passo il cavallo, avanti e indietro, squadrando dall’alto gli altri due. Questi rimasero immobili sull’attenti, con una mano sull’elsa della spada, in attesa di un cenno di approvazione da parte del capitano. Ma ancora una volta quello non si degnò di dir loro neanche una parola. Continuò a guardarli severo, o forse indifferente. Alla fine, girò il cavallo e si allontanò. Aveva molte altre cose da controllare, non poteva perder tutto il tempo con loro.
Quando ebbe svoltato l’angolo, i due soldati finalmente si rilassarono. Uno si tolse l’elmo. L’altro si sedette su un barile, e, appoggiando la schiena al muro di pietra, mormorò a denti stretti:
− Fino a quando?
Il suo compagno infilò una mano nello stivale per grattarsi un piede e non rispose.
****
2
La suoneria a basso volume e la vibrazione sul comodino lo svegliarono. Lui allungò una mano per toccare lo smartphone, sbadigliò, si stiracchiò e mise i piedi a terra. Lei, disturbata dai suoi movimenti, mentre la sveglia no, non l’aveva sentita, si girò dall’altra parte con un grugnito. Poi piagnucolò:
‒ Oeh ono?
‒ Buongiorno, cara!
− Humf… Ma che ore sono?
– Le cinque meno un quarto.
‒ Uffa… Devi proprio alzarti così presto?
‒ Irene, devo prendere l’aereo! Non è colpa mia se…
‒ E dove vai, stavolta?
‒ A Roma!
‒ Ah, già…
‒ Sto via qualche giorno: ci sono vari posti che fanno capo alla GESFIN da visitare. È per la spending review, io…
‒ Lo so cos’è la spending review, ‒ disse Irene mettendosi a sedere sul letto. ‒ So cosa stai facendo: licenziare persone.
‒ Se vuoi metterla così… Però la fai un po’ troppo semplice.
‒ Uffa! Mi servivi, questa settimana! C’è un sacco da fare, moltissime cose ancora da scegliere…
‒ Ma te l’avevo detto che dovevo andar fuori. Però torno mercoledì sera. Ci vediamo giovedì.
‒ L’importante è che sabato ci sei.
‒ Perché, che succede sabato?
‒ Siamo a cena a casa di Liberati. Te lo ricordi? È importante.
‒ Ah, sì, certo.
‒ Uffa, però! Sono mesi che te ne vai in giro per tutta l’Italia, e qui non ci stai mai!
‒ Dai che non è vero. La settimana scorsa sono rimasto a Milano e ci siamo visti…
‒ Due volte!
‒ Ah, si? Credevo di più. Beh, devo anche lavorare, ogni tanto…
‒ Lavori sempre! E sei sempre in viaggio.
‒ Non è colpa mia: mio padre non c’è più, e qualcuno deve prendersi la responsabilità… E poi anche tu lavori sempre, mica solo io. Se restassi qui e ti rimanessi tra i piedi, ti sarei d’impiccio: non devi andare ad addobbare la villa, quella fuori Monza, domani?
‒ Oggi, ci vado oggi. E poi anche tutti i giorni, fino al ricevimento dei Rossetti-Vergara. Comunque organizzare eventi non è soltanto addobbare una villa, che ti credi?
‒ Eh, eh, eh… Beh, anche il mio lavoro non è solo licenziare persone!
‒ Senti un po’, ma al nostro, di matrimonio, ci sarai? O come al solito troverai una scusa dell’ultimo minuto: devo lavorare
, e mi lascerai sola davanti all’altare?
‒ Per il nostro, di matrimonio, cercherò di liberarmi, eh, eh, eh… A proposito, che giorno è la cerimonia?
‒ Ma lo sai benissimo! ‒ rispose lei ridendo e battendogli i pugni sul petto. ‒ È il 29 maggio!
‒ Ah, ma allora c’è ancora un sacco di tempo!
‒ Sì, ma guai a te se prima non ne trovi un po’ anche per me, di tempo!
‒ Per te cioè per noi due da soli, oppure per andare in giro a vedere e a comprare questo e quello?
‒ Guarda che ci sono tante cose ancora da decidere insieme! Per quanto piccola la vuoi fare, la cerimonia, almeno duecento persone le dobbiamo invitare!
‒ Sì, ma io mi fido di te: fai tu, a me va bene tutto quello che decidi tu. Altrimenti perché credi che abbia deciso di sposare una organizzatrice di matrimoni professionista?
‒ Spiritoso!
Chiuso nel bagno, Paolo si lavò e si sbarbò: anche se non convivevano, gli capitava spesso di dormire a casa di Irene, quindi si era organizzato: aveva lì nel bagno uno scaffale personale con asciugamani, dentifricio, spazzolino, deodorante e rasoio elettrico. E nell’armadio una sua anta, con un guardaroba quasi completo.
Si guardò allo specchio e si passò una mano nei capelli: sì, la stempiatura era ancora lì; no, non era sparita magicamente durante la notte. E i capelli si stavano diradando, sì, anche di quello ebbe un’ulteriore conferma.
Al momento aveva ancora abbastanza capelli da poterli portare lunghi senza essere ridicolo, sì. Per fortuna, perché il personaggio pubblico che si era costruito, di quei capelli aveva fatto una bandiera, e non voleva ancora pensare a cambiar look. Quanto ancora poteva durare, però? Una cosa era certa: prima o poi avrebbe dovuto prendere una decisione dolorosa anche riguardo ai capelli. Sorrise: anche lì tra non molto gli sarebbe servita una spending review!
La sua idea originale era di portare i capelli lunghi per tutta la vita, anche quando fossero diventati tutti bianchi, come Luca Cordero di Montezemolo. Ma i geni avevano deciso diversamente. A quanto pare da suo padre aveva ereditato i soldi e l’azienda, ma non i capelli. Al vecchio non importava nulla dei capelli e li portava all’indietro con un taglio antiquato, ma ne aveva ancora tantissimi quando morì. Ma a lui non sarebbe andata così. Peccato.
Era un peccato anche dover archiviare la propria gioventù e la propria libertà. Ma arriva un tempo per tutto, anche per il matrimonio, e Irene, così brava a organizzare feste e ricevimenti, non vedeva l’ora di organizzare anche il loro tempo libero, cosa che Paolo approvava. Lui infatti non aveva la minima intenzione di perder tempo a pensare a cene, spettacoli e eventi mondani, però sapeva che a un imprenditore in vista servono anche quelle cose. Similmente, lui non si sforzava mai di ricordare compleanni e anniversari: aveva altro a cui pensare. Lei, invece, era un calendario vivente. Irene, poi, ricordava e riconosceva chiunque, anche se lo aveva visto una volta soltanto. Paolo, al contrario, se qualcuno lo salutava e lui lo risalutava di rimando, si poteva star certi che in realtà non aveva la più pallida idea di chi fosse. Insomma in tutti gli aspetti in cui lui era carente, lei era infallibile: dal punto di vista di Paolo la loro era una complementarietà ideale.
‒ Ma come sarà davvero la vita, da sposato? ‒ si chiese, davanti allo specchio. L’immagine riflessa gli rispose con un’alzata di spalle, come se pensasse che non fossero fatti suoi.
Irene era una donna anche più intelligente che bella, forse perfino troppo intelligente e sicura di sé perché potesse esser facile viverci insieme. Ma certamente sarebbe stata ammirata da tutti in ogni occasione pubblica. E gli avrebbe dato dei figli: era qualcosa che volevano entrambi. E poi…
E poi ormai aveva preso la sua decisone, e in certi casi indietro non si torna. Se stai sempre a ripensarci, alle cose, non fai mai nulla: era una delle frasi di sua madre. Mamma Carla, tra l’altro, era una fan della sua fidanzata.
‒ Fai buon viaggio, ‒ disse Irene abbracciandolo. Poi iniziò le raccomandazioni:
‒ Stai attento…
‒ Mica lo guido io l’aereo!
‒ Non mangiare schifezze, ricordati…
‒ Frutta e verdura, lo so.
‒ Non combinare guai!
‒ No, no.
‒ E cerca di…
La zittì con un bacio. Era impossibile avere l’ultima parola con Irene Battiston, anche per un uomo importante come Paolo De Bernardis.
****
3
Sotto casa di Irene trovò ad attenderlo la Mercedes Classe C, nera, che aveva affidato alle cure del suo fedele autista. Entrò e si sedette sul sedile posteriore. Come sempre si rammaricò di non aver mai tempo per guidare personalmente, invece, la sua meravigliosa Aston Martin DB11. Da quanto tempo, ormai, la teneva parcheggiata in garage?
‒ Buongiorno, signore.
‒ Buongiorno, Ettore. Puntualissimo, come al solito.
‒ Grazie, signore. Si va all’aeroporto?
‒ Sì, grazie. Linate.
Fuori dal finestrino il cielo era scuro e non c’era ancora molto traffico, ma la città si stava già svegliando. Il viaggio in auto da casa di Irene all’aeroporto durava solo una ventina di minuti, ma a Paolo quei minuti di silenzio, passati a guardare distrattamente le auto che passano e le gocce di pioggia che scorrono sul vetro, servivano a rilassarsi: era il suo modo di prepararsi a una intensa giornata di lavoro.
All’aeroporto, scendendo dall’auto, si guardò intorno, come d’abitudine, temendo che ci fosse appostato qualche paparazzo. Ma stavolta non ne vide nessuno. Anche se in quel momento non era in compagnia femminile, nei posti pubblici doveva star sempre sul chi vive. Dopo anni di foto sgranate, pubblicate sui rotocalchi, che lo vedevano in compagnia di attricette e ballerine, sembrava che il mondo del gossip non si fosse davvero rassegnato alla sua nuova monogamia. Se è per questo neanche lui.
La sala d’aspetto del volo per Fiumicino era già affollata, ma trovò facilmente un posto a sedere. Mise la ventiquattrore sulle ginocchia. La valigia era già su un nastro trasportatore, diretta alla stiva dell’aereo.
Prendere un jet di linea anziché un aereo privato faceva parte, in un certo senso, di una scelta di risparmio. Però solo di facciata, dato che proprio lì a Linate c’era sempre il suo aereo personale, a poche centinaia di metri da lì, da qualche parte, in un hangar: non lo aveva mica dismesso, né aveva licenziato i due piloti. A dire il vero sia l’apparecchio che i piloti appartenevano alla compagnia, quindi a rigore non erano sua personale proprietà. Ma lo erano di fatto: per uno come lui l’aereo privato non era certo un lusso, a volte poteva essere una necessità. Ma quando vai in giro a licenziare gente ‒ perché alla fine dei conti era quel che doveva fare, proprio come aveva sbrigativamente riassunto Irene ‒ mica lo puoi fare col jet personale: sarebbe odioso. Meglio avere un approccio moderato.
Per cui eccolo lì a fare la fila per l’imbarco… Vabbè, davanti a lui ci sono solo due persone: in fondo stiamo parlando di business class, con ingresso prioritario.
L’impiegata del terminal non era niente male, con le lentiggini e quei lunghi capelli rossi e ondulati… Proprio il suo tipo. Peccato che ormai… Comunque, quando lei lo riconobbe, lui le sorrise a lungo: non si sa mai.
Una volta seduto al suo posto, si fece servire un succo d’arancia e un cornetto alla crema: un’assurda contaminazione tra colazione anglosassone e italiana; ma il caffè l’aveva già preso a casa di Irene, e non ne voleva ancora. Poi accese il tablet, in configurazione offline, per non interferire con la fase di decollo, ma anche per non offrire a qualche hacker la possibilità di impicciarsi dei fatti suoi e della sua società. Sapeva che, oltre che dai paparazzi, doveva guardarsi