La Quarta Luna: Omicidi sulla via di Santiago
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Anteprima del libro
La Quarta Luna - Fabio Angeloni
Fabio Angeloni
La Quarta Luna
Omicidi sulla via di Santiago
Tutti i diritti riservati 2023 © BERTONI EDITORE
Bertoni Editore
www.bertonieditore.com
info@bertonieditore.com
Vietata la riproduzione anche parziale e con qualsiasi mezzo effettuato, compresa la copia fotostatica se non autorizzata
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Indice dei contenuti
Prefazione
Prologo
1.
2.
3.
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5.
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7.
8.
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Nota dell’autore
Note
Ringraziamenti
Nessuno stato è così simile alla pazzia da un lato
e al divino dall’altro quanto l’essere incinta.
La madre è raddoppiata,
poi divisa a metà
e mai più sarà intera.
(Erica Jong)
Uno speciale grazie a
Viviana Scataretico (scrittrice)
che è intervenuta a portare il peso della scrittura
quando per me la fatica era troppa.
Per il romanzo ha curato in particolare
l’approfondimento dei personaggi e gli snodi
della narrazione, dando alla storia un insostituibile
contributo. Viviana aveva già pubblicato con
Leonardo 2000 il libro di poesie "Anche le orchidee
si specchiano".
A Celina Idra, (illustratrice)
che mi ha prestato la sua incontenibile verve per
il personaggio femminile e le sue matite colorate
(per scelta non usa il pc) abituate a ville di
industriali e banchieri. Per il romanzo ha disegnato
invece cattedrali, conventi, vicoli, soffitte e
interni di alberghi, catturando le sensazioni dei
protagonisti nei soli tratti essenziali e lasciando che
sia l’immaginazione del lettore a fare il resto.
Prefazione
di Gino Saladini
La Quarta Luna - Omicidi sulla via di Santiago di Fabio Angeloni è un thriller di grande forza evocativa, scritto con uno stile scarno, essenziale, diretto.
La struttura del plot narrativo è tessuta in maniera sapiente, grande interesse.
L’autore ha il dono raro di catturare l’attenzione del lettore fin dal potente incipit, per poi condurlo, tra passato e presente, in un viaggio in luoghi carichi di mistero e, soprattutto, di spi ritualità.
Il romanzo è un caleidoscopio d’immagini, di scene descrit te magistralmente, utilizzando tutta la tavolozza di colori della narrazione del thriller d’arte.
Ma La Quarta Luna è anche un’approfondita analisi del le personalità dei protagonisti spinta, a tratti, sino a sporgersi sul bordo dell’abisso delle anime di chi indaga e di chi uccide.
Perché ciascuno dei personaggi del romanzo, con riferimento a Carl Gustav Jung, cela nell’anima una misura d’ombra.
Il Cammino di Santiago è il luogo reale e al tempo stesso mi tico di incontri, delitti, tradimenti e amori. Ma l’itinerario fisico e mistico, che si snoda, tappa dopo tappa, con descrizioni letterarie mai oleografiche, non è utilizzato dall’autore come uno sfondo scenografico ma assurge al ruolo di protagonista della vicenda.
Perché terra e carne si compenetrano e soprattutto perché le azioni umane, il mito e la religiosità, nella visione di Fabio Angeloni, sono un unicum.
La Quarta Luna - Omicidi sulla via di Santiago, è un ro manzo che si colloca, pur con assoluta originalità, nel mondo narrativo esplorato da importanti scrittori come Ildefonso Fal cones (La Cattedrale del Mare) e Ken Follett (I Pilastri della Terra) e che si caratterizza per una dimensione letteraria che va oltre il mercato italiano.
Ad Adria (mia madre)
e a Mara, Anna e Maria Antonietta (le mie zie)
Prologo
Anno 813
Pioveva ancora. Sembrava che l’Atlantico fosse finito sulla loro testa e avesse deciso di svuotarsi. Madre Palma e le tre consorelle navigavano sul fango, nel breve sentiero che portava dalla casa all’orto.
«Come è successo?».
«La pioggia, madre, non smette da una settimana. La pioggia ha smosso la terra».
«Adoracion e Isabella hanno provato a smuoverla».
«Abbiamo scansato la terra, ma di più non potevamo. È troppo pesante».
«Avete chiesto aiuto a Lucas?».
«Gli abbiamo chiesto di venire a notte fatta, come avete ordinato».
«Sono loro».
L’ombra di due robusti corpi maschili danzava tra quattro fiaccole piantate a terra.
«Lui chi è?», domandò madre Palma una volta raggiunti gli uomini.
«Mio nipote León, madre», rispose Lucas.
Con la camicia zuppa, ma appena annodata in vita, León chinò la testa e, con uno sguardo da corrida, fece capire che lui era pronto.
«Adoracion, Isabella, Consolata, rientrate subito in casa». Lo fecero senza emettere un fiato.
Aspettò che le consorelle fossero sparite, per esclamare: «Ora! Fate il segnale!».
Lucas prese una delle due torce, la sollevò da terra e, guardando verso il bosco, disegnò tre volte un otto sulla sua testa. L’ombra tetra di un saio, un cappuccio e un bastone sbucarono tra gli alberi. A piedi nudi, si avvicinò alla suora. Ma quando fu a un metro, si capì tutto.
Si capì che i due si conoscevano da lungo tempo, che madre Palma aveva una profonda venerazione per quell’eremita e che lui, se avesse potuto, l’avrebbe protetta anche da quella pioggia. La suora fece un passo verso Pelagio e crollò in ginocchio ai suoi piedi.
«Che fate? Che fate? Vi prego...», le prese dolcemente le mani per rialzarla e le sussurrò all’orecchio: «Dio ci benedica e ci protegga».
«Amen», rispose la suora.
«Da quanto è comparsa?».
«Da stamane. Una suora ha sentito qualcosa sotto la vanga.
Ha chiamato una consorella e in due, con le mani, hanno tolto tutto il fango che potevano. Deve essere stata la pioggia di questi giorni. L’acqua del torrente non era mai salita così. Mai vista tanta acqua in estate. Ha portato via tutto». Poi, madre Palma ammutolì.
Pelagio fece cenno a Lucas, che girò la fiaccola verso il letto del torrente. Poco più in là, una grande pietra ovale portava i segni dell’inondazione. Ora la piena si era ritirata e la pietra si ergeva imponente come una cattedrale a quattro metri dall’argine, ma si capiva che qualche giorno prima era stata semisommersa.
L’eremita si rinchiuse nel suo cappuccio. Quella notte galiziana non doveva essere così. Non così fredda, non così bagnata. Dovevano esserci le stelle in cielo. E nel buio, aiutata dalle ombre del bosco, doveva brillare la Via Lattea e ogni tanto qualche stella cadente avrebbe dovuto ricordare che l’estate era ormai a metà.
«Volete che procediamo?», azzardò Lucas, quando il silenzio più che la pioggia erano divenuti insopportabili.
Avvicinarono le fiaccole. Fredda come la notte, ora la pietra di marmo rifletteva quei tremolanti barlumi. I due contadini piantarono i loro ferri sotto la pietra.
«Repello te, spiritus nequam / tibi denuntio per Deum verum / ut exeas ac discedas ab hoc loco / neque huc unquam redeas».
La pietra si spostò. I muscoli di León, lucidissimi e del tutto ignari del significato dell’incantesimo pronunciato per allontanare demoni e presenze maligne, spinsero i suoi artigli sotto la pietra. E fu in quel preciso momento che Pelagio abbassò il suo bastone verso la pietra.
«Tibi impero in nomine Illus / qui te superavit ac devicit / in patibulo crucis; cujus virtute in aeternum / revinctus fuisti».
Quel toro galiziano distese l’arco delle sue spalle lacerando la camicia bagnata, mentre il suo petto nudo gridava alla pioggia che ce l’avrebbe fatta. Fece un passo di lato e scoprì la fossa.
Lucas prese la torcia più vicina.
«Buon Dio!», esclamò la suora. «Era tutto vero».
«Forse», sentenziò Pelagio.
Mezz’ora dopo, madre Palma inginocchiata sull’orlo della fossa si stringeva tra le sue stesse braccia, ma non aveva smesso un istante di pregare, davanti ai quattro corpi, e una testa mozzata, coperti da sette secoli di terriccio e di vermi.
La notte era propizia e non sarebbe durata in eterno, ma almeno quanto bastava a Lucas e León per fare con cura quello che Pelagio aveva ordinato. E, l’indomani mattina, Pelagio bussò alle porte della sede vescovile di Iria Flavia e si fece dare udienza dal vescovo Teodomiro per comunicargli i fatti.
Il vescovo seguì l’eremita con un piccolo entourage di notabili raccolto sul momento, ma quando giunsero al Campo delle Stelle, solo lui e Pelagio si avvicinarono alla scena: un carro rovesciato in una pozza di pioggia e fango e accanto due contadini inginocchiati in preghiera.
«Com’è stato?».
«I tori, eccellenza, i tori. Hanno fatto tutto loro. Hanno iniziato a scalciare per terra in mezzo all’acqua. Non li muovevamo più. Ma è stato dopo, dopo tanto mentre tentavamo di tirarli, di smuoverli, che il carro si è rovesciato e i tori si sono liberati. Quando siamo andati per risollevare il carro, ci siamo accorti che lì sotto...».
Alzando la tunica, eccitato come un bambino un po’ goffo, le spigolose ginocchia di Teodomiro, vescovo di Roma, raggiunsero il carro. Lì, immersi nella pozza, tre cadaveri completamente coperti di fango, uno con la testa mozzata di netto in un’esecuzione.
*
Quella notte, Pelagio era stato molto chiaro con Lucas e León, senza la minima esitazione, come se sapesse tutto dall’inizio, come se avesse visto in sogno e in anticipo tutta la scena: quel corpo con la testa mozzata e i suoi due discepoli andavano portati al Campo dove Pelagio vedeva, nelle sue osservazioni astronomiche, cadere le stelle.
Indicò il posto del ritrovamento: la grande pozza che era comparsa per la prima volta e all’improvviso, in mezzo alla strada per il Campo. La mattina dopo, sarebbero stati proprio Lucas e León a ritrovarli e lui stesso ad avvertire il Vescovo.
Ma lei no. La pietra andava richiusa e lei riseppellita. Lo disse chiaro, Pelagio: la donna rimaneva lì.
Lei non faceva parte del piano. Era il piano. Andava nascosta molto bene. Tanto bene da potervi rimanere in pace e indisturbata per chissà quanti altri secoli. Dopo, non gli rimaneva che tornare a Solovio nella sua amata solitudine in mezzo alla foresta di Libredàn. E lasciare che la storia scoprisse il resto.
Forse.
1.
"Giove, il padre onnipotente, fece dunque il giro delle grandi
mura del cielo, controllando che, minata dalla violenza del fuoco,
nessuna parte rischiasse di crollare.
E mentre così andava e veniva dall’una all’altra, ecco che il suo sguardo di
colpo si fissò su una vergine di Nonacre,
e subito una fiamma gli si accese e fin nel midollo l’avvampò".
Ovidio , Le metamorfosi.
Tre mesi prima, era destinato alla frutta. Per lo più mele e pere, rigorosamente di serra, per i palati annoiati dal cibo e dalla vita che annacquava le passioni, con quattro chiacchiere chic
attorno al grande camino del Landa, dopo le camminate. Anche le bocche erano annacquate, dopo aver assaggiato quelle mele e quelle pere. Un modo di mangiare stanco, perfino della fame stessa, ma che conciliava così bene il sonno. Un modo di mangiare da turista, più che da povero pellegrino.
Tre giorni prima, era stato lucidato. Mani intraprendenti e gigantesche ne avevano scoperto le macchie indelebili. Anche l’argento, come le coscienze, perdeva le sue macchie sul Cammino per Santiago, aveva pensato il giovanotto. Un’ironia mesta e straniera. Un’ironia da cameriere. Ora procede sobbalzando. Le serate erano lunghe e doveva ancora imparare a trattare con quella gente, dopo essere passato da così breve tempo dalla frutta alla corrispondenza privata.
«Il signor Rizzo?...».
«Quello che resta».
Il vassoio d’argento mal lucido porge al signor Rizzo un biglietto amaro come un frutto acerbo perché, se stai leggendo un giornale in lingua spagnola, dopo due ore di volo e due ore e mezza di macchina, quello che si desideri è solo un caffellatte e una fetta di crostata alle albicocche.
Quale silenziosa forza nutre la fissità di Rizzo che sembra, per pochi minuti, non curarsi delle premure del cameriere? È un segreto custodito nei suoi muscoli. È un segreto custodito in quel messaggio.
" Giuste distanze, garbo... e riserbo", continuava a pensare il cameriere. Niente insulti contro il non scarso numero di divise bianche da lavare la sera. Sempre meglio quell’ansia girovaga tra poltrone e caminetto in quell’albergo affollato da signori di mezz’età, freschi di doccia e con le Birkenstock ai piedi, che subire canzoni stonate e birre a buon mercato sversate dei bar incasinati del Barrio Humedo di Burgos città.
Il cliente aveva risposto d’istinto, reagendo alla domanda senza neanche alzare gli occhi.
"I camerieri sono trasparenti, pensò il cameriere dalle mani intraprendenti e gigantesche.
Siamo strumenti e non gli passa neanche dall’anticamera del cervello che le loro parole non ci interessino. Perché, poi qui ci sono quelli convinti di poterci usare come confidenti, contenitori in cui riversare tutte le loro, grandissime... cazzate, in maniera teatrale, come se nulla al mondo fosse più importante di quella giornata trascorsa sui sentieri della speranza.
«Il signor Rizzo?».
«Quello che resta».
Rizzo – si vedeva – non l’aveva presa bene. Perché mai un messaggio, si stava chiedendo, prendendo il telefonino per cercare qualche chiamata persa durante il volo. Non ce ne erano. Squadrava l’uomo davanti a lui, sempre più incuriosito. Perché mai veniva servito da un cameriere senza sopracciglia, con un vassoio d’argento mal tirato a lucido? Come avevano fatto a puntarlo, senza indecisioni? Era lì da poche ore e già conoscevano il suo nome.
" Servire per servire e... attendere la risposta", continuava a rimuginare Senza-sopracciglia. "Perché servire è un’azione semplice, essenziale, fatta di gesti con i quali portare a casa uno stipendio, danaro che occorre, preteso come fosse un peccato, restando celato nelle pieghe di quella sala, riempita da chi quel lusso lo ha e ne lascia un po’ sul tavolo della reception, così che possa andare a colmare i fine mese di quelli come me. Il rito si compia, dunque!" .
«Il signor Rizzo?».
«Quello che resta».
Prese il biglietto con timore. Non gli piacque quello che lesse.
Ma continuava a distrarsi per rimandare il momento, era come se percepisse la forza di una distrazione malevola. Rilesse con più attenzione. Gli piacque ancora di meno. Un paio di lampi fecero luccicare il vassoio, tremante come un elefante ferito, abbandonato sul tavolinetto in attesa della prossima busta.
Guardò fuori dalla finestra. Lo attendeva il diluvio.
L’hotel Landa aveva pareti antiche e quell’arredamento d’epoca curato e tenuto in ordine era motivo di orgoglio per la sua natura un po’ kitsch. Con stanze dove i letti avevano un baldacchino inutile, ma d’effetto e le sale comuni divani comodi, molti Chesterfield con poggiapiedi grandi come sedute, legni accoglienti, tappeti soffici, pietra alle pareti e quella piscina sotto la volta, con la vetrata di archi in ferro e vetro nel cui centro spiccava una stella o una girandola, a interpretazione, affacciata su un panorama fatto di alberi e distese verdi. I pasti serviti in piatti decorati, come se fosse una vecchia magione spagnola di nobili decaduti, i tanti orologi a cucù, ormai muti, appesi sulla parete di mattoni, fra piante, tavolini di vetro e sedie di bambù. Quel sapore di eleganza che non aveva nulla di sobrio e si sposava, perfettamente, allo stile di campagna, fondendo emozioni e regalando un’atmosfera di avvolgente relax.
Ma il relax di Rizzo s’infrangeva sul messaggio ricevuto. La grafia di María spiccava sul foglietto bianco come una minaccia. Era tipico, per una come lei, non telefonare né mandare un whatsapp, ma essere passata, aver lasciato il biglietto, mentre proseguiva per chissà quale impegno, per poi tornare a riprenderlo.
Lui