Il ragazzo scomparso
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Anteprima del libro
Il ragazzo scomparso - Mario Petrulli
IL RAGAZZO SCOMPARSO
di MARIO PETRULLI
Prima edizione: luglio 2019
Tutti i diritti riservati 2019 @BERTONI EDITORE
Via Giuseppe Di Vittorio, 104 - 06073 Chiugiana
Bertoni Editore
www.bertonieditore.com
info@bertonieditore.com
È vietata la riproduzione anche parziale e con qualsiasi
mezzo effettuata, compresa la copia fotostatica se non autorizzata.
Mario Petrulli
IL RAGAZZO
SCOMPARSO
La vita è tutta fatta di coincidenze
José Saramago, L’anno della morte di Ricardo Reis
La coincidenza è come una piccola lente d’ingrandimento che chiarisce il groviglio e riporta ordine e significato là dove non sembra ci sia altro che confusione e accidentalità.
È come una finestra che si apre all’improvviso e ci fa vedere un paesaggio del quale non ci eravamo mai accorti, ci mostra una vita parallela che scorre intorno a noi e della quale non ci accorgiamo ma che attraverso le coincidenze ci manda i segnali della sua esistenza
Domenico Dara, Breve trattato sulle coincidenze
Prologo
Anni ’70, Bova, provincia di Reggio Calabria
Il ritorno di mastro Giovanni con la sua moto - la criatura , come la chiamava lui - era stato un evento memorabile: tutti si erano riversati nella piazza dinanzi al municipio ad ammirare la Ceccato 98 del 1955, dal telaio nero e il serbatoio rosso vivo. Mastro Giovanni credeva nel malocchio e il rosso, secondo l’opinione comune, era il giusto rimedio contro ogni maleficio. Era una moto ancora in perfetto stato, nonostante avesse avuto già due proprietari e si avvicinasse lentamente al ventennio di onorata carriera.
I ragazzi erano attirati dalla Ceccato e si immaginavano in sella a sfrecciare per il paese, pavoneggiandosi e cercando di fare colpo sulle ragazze. Ma nessuno si azzardava a chiedere a mastro Giovanni il permesso di usarla, sia perché l’uomo era notoriamente tirchiu e poco espansivo, sia perché ognuno sapeva di non essere in grado di guidarla: la paura di una figuraccia dinanzi ai compaesani era un freno insormontabile.
Mastro Giovanni, che stupido non era, leggeva il desiderio negli occhi dei suoi compaesani, ma pensava che nessuno avrebbe avuto il coraggio di prendere di nascosto la sua criatura e mettersi alla guida. Eppure, lui, quasi cinquantenne, schettu e senza figli, uomo di mondo con esperienza di tante cose, guerra compresa, avrebbe dovuto intuire che le occasioni, a furia di presentarsi, possono indurre l’uomo ad approfittarsene, e che il fuoco della gioventù spesso arde talmente forte da sciogliere i freni inibitori.
Una mattina, dopo che aveva avviato il motore della criatura ed era rientrato in casa per prendere il portafoglio che aveva dimenticato, accadde l’impensabile: un ragazzotto, smilzo e trasandato, rapido come una faina in un pollaio, inforcò la moto e scattò lungo la discesa che portava verso la scuola elementare. Con il cuore in subbuglio, in un crescendo di rabbia per il furto profanatore e di paura per ciò che sarebbe potuto accadere, mastro Giovanni corse dietro alla criatura, sentendosi come un genitore orbato e pregando tutti i santi di cui riusciva a ricordare il nome.
Fu tutto inutile: le grida e i lamenti che sentì dopo brevissimo tempo confermarono i suoi peggiori sospetti. La criatura giaceva vicino a un muro, semiaccartocciata, con il motore ancora acceso che rantolava e sputava olio e carburante, insieme al corpo di un giovanotto che sembrava abbracciarla, mentre alcune bambine piangevano, invocando disperate il nome dei genitori.
Quando mastro Giovanni si avvicinò con il cuore pronto a esplodere, vide il ladro scappare zoppicando e lo maledisse. Arrivato accanto ai resti della criatura, pregò con tutto se stesso per il ragazzo che vi giaceva accanto. Fu in quel momento che ricordò le parole di suo nonno, colono di un ricco possidente locale per quarant’anni e che, dalla sera alla mattina, con una semplice lettera, era stato mandato via dalle terre che ormai considerava sue: Non puoi mai sapere ciò che potrà succederti
.
Non poteva sapere, però avrebbe dovuto intuire, pensò disperato mentre si avvicinava al ragazzo. Poi, come se il dolore avesse raggiunto il massimo grado di sopportazione, tutto divenne buio e, mentre crollava, i suoi occhi registrarono per l’ultima volta l’immagine della criatura morente.
I
2016, Reggio Calabria
Nico Sensini arrivò puntuale all’appuntamento presso l’ufficio di Alberto Ferrari il Reclutatore, come veniva chiamato dai propri dipendenti, sottovoce e rigorosamente in sua assenza.
Non era la prima volta che Nico entrava in quello stabile dallo stile liberty, sito in una zona centralissima della città, e si augurava che non fosse l’ultima. Stavolta, però, c’era una differenza rispetto alle visite precedenti: l’ultimo giovane da lui segnalato non aveva superato l’esame e, in quel lavoro, l’insuccesso non era un’opzione da considerare. Nico era maledettamente in gamba nell’individuare i soggetti che dovevano essere reclutati, e il suo conto in banca ne offriva una prova tangibile, ma l’ultima volta aveva fallito. E capitava di rado.
Non riusciva ancora a capacitarsi di come fosse potuto accadere.
Forse esiste un limite oltre il quale non si può andare e, se la mente umana tenta di oltrepassarlo, si rompe
. Eppure, l’ultimo candidato sembrava possedere tutti i requisiti per superare l’esame: laureato con master, eccellenti voti a scuola, famiglia più che benestante, ottime referenze, deciso a cogliere l’opportunità che gli era stata offerta. Ma, di fronte alla prova, aveva fallito: Nico aveva visto crescere in quel ragazzo la paura, fino a sopraffarlo.
Bisogna subito riparare
pensò, mentre entrava nell’anticamera dello studio del Reclutatore. Salutò la segretaria, una bionda che non passava inosservata, e chiese del dottor Ferrari. Nell’attesa di poter entrare, si domandò come mai le segretarie degli uomini potenti fossero sempre avvenenti, con abiti mozzafiato e capelli perfettamente in ordine. Non ebbe il tempo di pensare alla risposta, perché la donna lo fece accomodare nell’ufficio.
Il Reclutatore era chino sulla scrivania, apparentemente impegnato a studiare un dossier.
«Si accomodi, Nico» disse senza alzare lo sguardo.
«Grazie» rispose lui, sedendosi sulla poltroncina leggermente più bassa della sedia del dottor Ferrari. Il solito modo per far capire chi comandava.
Si trovava in un ufficio fra i più ampi e luminosi che avesse mai frequentato (e in tanti anni ne aveva visti parecchi). Tutto trasudava potere e ricchezza: quadri alle pareti che sembravano autentici e non le solite croste e litografie che spesso abbruttivano i posti di lavoro; una scrivania massiccia e più grande del bagno che solitamente viene riservato ai dipendenti, un portatile con monitor rettangolare che sembrava un televisore 3D. In un angolo, faceva bella mostra di sé un tavolino con caffè, latte, acqua e dei cornetti, il cui aroma confermava l’impressione che fossero stati appena sfornati.
Lo stesso Ferrari aveva il fisico adatto a trasmettere l’idea del potere: alto, con una leggera stempiatura e un accenno di pancetta dovuti all’età, indossava un abito di sartoria che calzava in modo perfetto sulla sua persona, degli occhiali dalla montatura leggerissima, orologio di prestigio (a lui sembrava un IWC, ma non ne era sicuro) e gemelli scintillanti ai polsini. Nico non vedeva le scarpe, ma non aveva dubbi sulla qualità e il valore.
Un minuto passò in silenzio, con il Reclutatore che sembrava leggere alcuni fogli del dossier aperto sul tavolo. Quando finalmente alzò gli occhi, fissò Nico per qualche secondo e intrecciò le dita, raddrizzando la schiena.
«La volta scorsa abbiamo avuto qualche problema».
«Sì, signore».
«Certo, chi poteva prevedere quello che è successo».
Nico non abboccò: nonostante il tono comprensivo, Ferrari lo stava accusando di non essere stato in grado di prevedere ed evitare il fallimento.
«La colpa è mia, signore, e me ne assumo tutta la responsabilità».
L’altro ascoltò in silenzio e fece un breve cenno con la testa.
«Riconoscere una mancanza fa onore a ogni uomo, ma, mi creda, la conosco bene e sono sicuro che lei non ha colpa per l’accaduto».
Nico si rilassò, ma non abbassò la guardia.
«Grazie per le sue parole, signore. Vorrei poter rimediare».
«Bene. Non mi aspettavo nulla di diverso da lei. Ha già in mente un nuovo soggetto?»
«Sì, signore, e stavolta credo che il prescelto non deluderà le aspettative».
«Me ne parli».
«Si tratta di un venticinquenne, Marco Vua, laureato da circa un anno, con un ottimo curriculum di studi».
«Come lo ha trovato?».
«Il curriculum mi è stato segnalato e io ho svolto qualche indagine privata di approfondimento».
«Bene, ma lei sa che a noi non interessano solo i buoni studenti; ci vuole anche dell’altro».
«Esatto, signore. Il ragazzo ha perso il padre ancora adolescente, la madre malata è accudita da una sorella più giovane in un’altra città e la famiglia ha sempre avuto grandi difficoltà economiche. Durante gli studi, Marco ha lavorato nei bar come lavapiatti e cameriere per molti anni. Oltre alla laurea, ha anche un master ed è prossimo a conseguire un’abilitazione all’esercizio della professione di avvocato».
«Sorprendente. Il ragazzo sembra avere fame, potrebbe andar bene».
«Lo credo anch’io, signore».
Rimasero in silenzio per qualche secondo.
Il Reclutatore si alzò e si avvicinò alla finestra.
«Sa perché mi piacciono gli affamati?» disse senza voltarsi.
Nico fu sorpreso dalla domanda: era la prima volta che sentiva qualcosa di personale da parte di Ferrari.
«Non saprei, signore. Forse perché è più facile convincerli?»
Ferrari tornò verso la scrivania.
«Non solo, caro Nico. Un affamato è pronto a tutto pur di superare gli ostacoli che lo tengono lontano dal cibo. E non parlo solo di questo, ovviamente, ma anche di tutti gli obiettivi che ciascuno si pone nella vita. Questo ragazzo sembra avere fame di obiettivi. E la fame, caro Nico, quella vera, non si può mai vincere del tutto. Si può saziare per un po’ di tempo, ma poi si ripresenta, implacabile».
Ferrari si avvicinò a Nico e continuò:
«Continui a controllarlo e, alla prima occasione utile, mi porti questo ragazzo. Vediamo quanta fame ha».
II
17 ottobre 2016,