I conquistatori 5 Muori per Roma
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Simon Scarrow
Simon Scarrow teaches at City College in Norwich, England. He has in the past run a Roman history program, taking parties of students to a number of ruins and museums across Britain. He lives in Norfolk, England, and writes novels featuring Macro and Cato. His books include Under the Eagle and The Eagle's Conquest.
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I conquistatori 5 Muori per Roma - Simon Scarrow
L’organizzazione dell’esercito romano in Britannia nel 45 d.C.
Come ogni altra legione, i combattenti della Seconda Legione erano considerati i migliori soldati dell’antichità. Altamente qualificati, ben equipaggiati e disciplinati, erano soggetti a un severo regime di addestramento detto anche combattimento senza spargimento di sangue
. Da loro, però, ci si aspettava anche altro: che fossero in grado di costruire forti e accampamenti, strade e ponti, e che svolgessero molti altri incarichi in tempo di pace nelle province conquistate. Spesso costretto a trascorrere più anni consecutivi alle frontiere più pericolose dell’impero, il legionario agiva allo stesso tempo da soldato, ingegnere e amministratore.
Uno dei motivi del successo delle legioni sul campo risiedeva nella loro efficiente struttura. Ognuna di esse era composta da circa cinquemilacinquecento uomini. La centuria, costituita da ottanta legionari, era l’unità militare di base. Sei centurie formavano una coorte e dieci coorti una legione. La Prima Coorte contava un numero doppio di uomini rispetto alle altre. A comandare quell’impressionante esercito era il legato, solitamente un aristocratico in ascesa sulla scena politica di Roma, coadiuvato da sei tribuni e un tribuno militare, tutti di estrazione sociale elevata. Seguivano i centurioni, spina dorsale della legione, severi ufficiali che comandavano una centuria ciascuno. Subordinato a ciascun centurione c’era un vice, l’optio.
Capitolo 1
Lindinis, inizio del 45 d.C.
Un rauco ruggito si levò dalla folla, mentre il prigioniero ribelle entrava nell’arena improvvisata. Si guardò intorno nervosamente, fissando gli spettatori sugli spalti di terra.
Dalla sua posizione elevata sulle tribune di legno, l’optio Orazio Figulo osservò un paio di sentinelle che trascinavano via il corpo senza vita del precedente combattente. Il sangue ancora sgorgava da una profonda ferita al petto del britanno ucciso, lasciandosi dietro una scia brillante sull’erba. Il magro prigioniero ebbe un attimo di esitazione, nel vedere il cadavere, prima che uno dei legionari di turno nell’arena lo spingesse avanti. A diversi passi di distanza si ergeva il suo avversario. Un durotrigio gigantesco, con il torso nudo coperto di tatuaggi e fremente di muscoli tesi. Brandiva una spada corta nella destra, e fissava minaccioso il suo nuovo avversario. L’uomo con la spada aveva già affrontato e battuto tre avversari in una serie di brutali scontri all’ultimo sangue, con il vincitore a cui era permesso di vivere per affrontare un altro combattimento. Ora la folla si zittì, in attesa dell’ultimo duello dei giochi di quella giornata.
«Finirà tutto molto presto», commentò il legionario Vazia. «Il gladiatore magro non ha la minima speranza di farcela. Non contro quel grosso bastardo».
Figulo si massaggiò la mascella sporcata da un ispido accenno di barba, considerando i due avversari con l’occhio esperto del militare. L’uomo con la spada era parecchio più alto e robusto del suo sfidante. Ma la fatica dei precedenti scontri gravava sulle sue spalle, e appariva stanco, con il petto che si alzava e abbassava rapidamente, mentre cercava di riprendere fiato.
«Secondo me, lo sfidante ha una possibilità».
«Quel disgraziato pelle e ossa?», esclamò Vazia.
Figulo annuì. «La velocità batte sempre la forza, legionario», dichiarò, ricordando le parole del suo ormai defunto amico, Sesto Porzio Bleso.
Vazia sbuffò, in tono derisorio. «Perdonami, signore, ma ritengo più probabile che si trovi un uomo onesto in Senato, che il gladiatore magro vinca».
Figulo osservò il compagno e sorrise. Decimo Artorio Vazia era uno dei pochi legionari rimasti nel piccolo distaccamento al comando dell’optio. Era un giovane basso e robusto, nato nelle malfamate strade dell’Aventino, a Roma, e non gli mancava mai un’opinione o una battuta sconcia.
«Ti ritieni un esperto, eh, ragazzo?»
«Se c’è una cosa che conosco, signore, sono i combattimenti tra gladiatori. Vendevo biglietti illegali nell’anfiteatro Statilio Tauro. Ho visto tutti i più grandi combattenti, nel corso degli anni». E cominciò a contarli sulla punta delle tozze dita. «Britomaris, Tetraites... perfino Pavone. E secondo me, quello con la spada vincerà senza alcun dubbio». Un sorrisetto sornione gli danzò sul volto rotondo. «O forse vuoi scommetterci sopra?».
Figulo esitò. Per un attimo, fu tentato di accettare la sfida, ma poi il buonsenso lo convinse a trattenersi. Aveva già perso una grossa parte della sua paga giocando a dadi nei lunghi mesi invernali trascorsi in Britannia, e non poteva permettersi di sperperare altri dei suoi miseri risparmi. Dunque scosse la testa.
«Magari un’altra volta, ragazzo».
«Purché sia un buon combattimento, non mi interessa chi vincerà», borbottò Pulcro, un altro dei legionari del distaccamento. «La metà di questi prigionieri è stata del tutto inutile. Ho visto ragazzini greci combattere meglio di loro».
Figulo tornò a osservare l’arena, mentre l’arbitro dello scontro, un centurione dell’Ottava Coorte, presentava i due avversari. Il pubblico di Britanni, mercanti e soldati romani non in servizio si era radunato per godersi i giochi della giornata nell’arena di terra e assi di legno, costruita in tutta fretta dalla guarnigione locale in una piccola valle tra il forte e l’insediamento nativo di Lindinis. I giochi erano stati organizzati da Trenagaso, il re dei Durotrigi alleato di Roma. Il sovrano era stato rimesso sul trono dai Romani l’anno prima, ma i suoi sforzi di pacificare il suo combattivo e ribelle popolo avevano incontrato una feroce resistenza. Due giorni prima, un sinistro culto druidico aveva conquistato Lindinis. I Druidi della Luna Nera e il loro carismatico capo Calumo avevano preso in ostaggio Trenagaso e minacciato di giustiziarlo se Roma non si fosse arresa, ritirandosi dal regno. Soltanto l’arrivo di rinforzi da Calleva aveva salvato i Romani da un’umiliante sconfitta.
Dozzine di ribelli erano stati catturati durante la sanguinosa riconquista dell’insediamento. Ora Trenagaso aveva ordinato che quei prigionieri combattessero fino alla morte davanti ai loro connazionali. Il macabro spettacolo serviva sia a fornire un necessario sfogo e divertimento per la guarnigione romana e per i sudditi fedeli al re, sia come monito per coloro che osavano sfidarlo. Sin da mezzogiorno, il pubblico aveva assistito a continui scontri, mentre quaranta coppie di ribelli venivano gettate nell’arena, con tutta una serie di armi, in una rozza imitazione dei giochi gladiatori che si tenevano a Roma. Alcuni combattevano con le lunghe spade celtiche. Altri brandivano tridenti o asce da battaglia, e in uno scontro si erano perfino visti due Britanni combattere a mani nude. Alcuni dei prigionieri avevano usato le armi per togliersi la vita, preferendo il suicidio all’idea di combattere contro i loro compagni ribelli, ma per la maggior parte si erano battuti, poiché Trenagaso aveva promesso che il campione sarebbe stato risparmiato, e venduto invece come schiavo.
Un silenzio teso discese sull’arena, mentre uno dei legionari si faceva avanti, consegnando allo sfidante una lancia. Il prigioniero fissò l’arma che stringeva nella destra, brandendola goffamente e testandone il peso. Di fronte a lui, l’uomo con la spada fletté i muscoli, la punta dell’arma insanguinata che scintillava alla luce pallida della giornata invernale.
«Il combattimento sta per cominciare, signore», commentò Vazia, fregandosi le mani allegramente. «Sarà una vittoria facile».
Figulo sorrise debolmente. «Vedremo, legionario, vedremo».
In una situazione normale, l’optio avrebbe apprezzato quello scontro. Gli piacevano i giochi gladiatori come piacevano a tutti, ma negli ultimi giorni era stato tormentato dai sensi di colpa. Due dei suoi compagni erano stati catturati dai ribelli durotrigi nel corso della concitata ritirata da Lindinis. Helva e Rullo erano stati trascinati nelle paludi, e Figulo non era riuscito a salvarli. Nei momenti più bui, il giovane gallo si tormentava pensando ai suoi amici bloccati nell’accampamento nemico, ad attendere un orribile destino. O forse erano già morti. Decapitati o bruciati vivi in uno di quei terrificanti pupazzi di vimini dei Druidi...
Uno schiocco secco divise l’aria quando l’arbitro usò la frusta per dare inizio allo scontro. La folla esplose in un urlo belluino.
«Ci siamo!», esclamò Pulcro, sollevando un pugno verso il cielo.
L’uomo con la spada non perse tempo e caricò subito l’avversario, deciso a finirlo in pochi istanti e ad aggiudicarsi così la vittoria e il titolo di campione dei giochi. Il lanciere si scostò rapidamente di lato, mentre il britanno più grosso tentava un affondo contro di lui, rischiando di perdere l’equilibrio sul terreno viscido di sangue. Si riprese all’ultimo momento e barcollò all’indietro, mentre l’avversario tornava ad attaccarlo, schivando per un soffio un rapido e nuovo affondo al ventre. I Romani e i mercanti