Rapita dal piacere: Harmony Destiny
Di Ann Major
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Info su questo ebook
Connor Storm, esperto di sicurezza, ha il compito di ritrovare l'ereditiera Anna Barton, rapita quando aveva otto anni. Nulla è impossibile per lui e, non appena la rintraccia, la raggiunge per riportarla dalla sua famiglia. Quando si incontrano, però, una deviazione per prolungare il viaggio insieme diviene assolutamente necessaria. Decidono di concedersi una notte a Las Vegas, e i piaceri proibiti offerti in ogni angolo fanno crescere in loro il desiderio di assecondare i propri sensi e consumare la passione che fin dal primo istante hanno sentito l'uno per l'altro.
Ann Major
Nonostante sia un'autrice di successo, confessa che scrivere per lei non è affatto un'esperienza facile.
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Anteprima del libro
Rapita dal piacere - Ann Major
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
The Bride Hunter
Silhouette Desire
© 2009 Ann Major
Traduzione di Giulia Dani
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2014 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-3050-721-0
1
Albuquerque, New Mexico
Connor Storm teneva gli occhi fissi sulla sua preda senza riuscire a celare la tensione crescente. Quella donna, che si faceva chiamare Anna Barton, era riuscita a sfuggire ai migliori investigatori della sua agenzia e in quel momento stava sorseggiando una tazza di caffè proprio di fronte a lui. Connor cercò di non farsi vedere, nascondendosi dietro un pilastro, mentre entrambi aspettavano la chiamata per il volo.
La donna aveva un viso delicato, incorniciato da capelli di un biondo scuro lucente che le arrivavano alle spalle. A Connor piacevano molto i capelli lunghi, e per un attimo immaginò di afferrarla e di stringerla a sé. Un pensiero che non gli piacque per nulla.
Dannazione. Non aveva più avuto fantasie del genere dopo Linda. Doveva tornare con i piedi per terra.
È un lavoro. Per Leo. Lo devi a tuo fratello. Il mondo è pieno di altre donne.
Alta un metro e settanta, il suo obiettivo aveva un fisico slanciato, atletico e proporzionato.
Cerca di non farti distrarre dalla sua bellezza.
L’aereo aveva un’ora di ritardo a causa del maltempo. Connor guardò l’orologio con impazienza. La tormenta di neve sembrava essersi placata e finalmente si riusciva a scorgere la fine della pista di atterraggio.
Dall’altoparlante, una voce femminile annunciò che l’imbarco sarebbe stato effettuato al gate dieci anziché al quattordici. Tutti i passeggeri in attesa si alzarono raccogliendo i propri bagagli. Anna Barton si allontanò velocemente affrettandosi all’imbarco.
Era arrivato il momento di agire.
Sistemandosi il cappello da cowboy, Connor la inseguì. Il rumore dei suoi stivali riecheggiava all’interno del terminal e la donna si voltò allarmata, spalancando gli enormi occhi nocciola.
Temeva forse che fosse il fidanzato che la perseguitava da qualche tempo?
«Ehi, signorina! Senza questa non può imbarcarsi» le urlò.
Quando la donna si fermò, Connor ne scrutò la reazione.
Riusciva a leggerle chiaramente in viso un’estrema diffidenza. Lei lo squadrò da capo a piedi per poi distogliere rapidamente lo sguardo. Il suo corpo era rigido per la tensione. Senza dubbio non era una donna che dava confidenza agli sconosciuti, soprattutto se questi erano uomini muscolosi e molto più forti di lei. Il suo fidanzato, Dwight Crawford, doveva essere più pericoloso di quanto non riportassero i dossier investigativi a suo nome.
Connor sollevò il cappello e accennò un sorriso.
Lei si irrigidì ulteriormente.
Sempre sorridendo, lui le mostrò la carta di imbarco che le aveva sottratto dalla borsa mentre era distratta a controllare il resto che le avevano dato al bar.
«Ero in fila dietro di lei quando le è caduta» mentì, senza sentirsi minimante in colpa.
Era un investigatore privato. Mentire faceva parte del suo lavoro. Anzi, in gergo tecnico si diceva trovare un pretesto.
Lo sguardo di lei rimase sospettoso. Gli uomini della sua agenzia erano sulle sue tracce da mesi. Ogni volta che si avvicinavano, lei riusciva a scappare, cambiando identità.
Connor desiderò poterle accarezzare la guancia. Dannazione, la sua bellezza stava diventando un problema.
Aveva accettato quel lavoro per Leo, si ripeté.
La donna sembrava così vulnerabile e spaventata che a Connor venne voglia di andare a cercare il suo fidanzato per dargli una bella lezione. Ne aveva passate tante nella sua infanzia, non si meritava certo che quell’imbecille di Crawford la tormentasse.
Lei sollevò il viso, altezzosa, mostrando tutta la sua classe. Non c’era da stupirsi, viste le sue origini. In Texas, chiunque fosse legato al ranch Golden Spurs era parte dell’alta società.
E lui era stato pagato per riportarla a casa. Punto.
Notò che aveva la stessa pettinatura di Abby, la sorella gemella e moglie di suo fratello Leo, e si ricordò che aveva letto qualcosa a proposito: i fratelli e le sorelle omozigoti tendevano ad assomigliarsi non solo nell’aspetto, ma anche nei modi di vestire. Ma la somiglianza con la sorella era stupefacente e Connor rimase senza fiato. Quella donna era stata rapita quando era ancora una bambina, eppure mostrava di possedere gli stessi gusti di Abby, pur non avendola mai vista.
Ciò che lo sorprendeva era la reazione che lei riusciva a scatenargli. Non si era mai sentito travolgere dal fuoco guardando sua cognata negli occhi.
«Becky» le sussurrò, certo di aver trovato l’ereditiera del Golden Spurs.
Nel sentir pronunciare quel nome, Anna rabbrividì e spalancò ancora di più gli occhi.
«Becky? Non so chi lei stia cercando, signore» disse, «ma non sono io.»
«Mi scusi» rispose lui. «Ha ragione. Per un secondo l’ho confusa con un’altra persona che conosco. Lei è Anna Barton e non può andare da nessuna parte senza la sua carta d’imbarco.»
Forse lei non lo stava ascoltando, poiché si voltò dirigendosi velocemente verso il gate.
«Anna Barton!» la chiamò lui a voce alta.
Lei affrettò il passo costringendolo a correre per raggiungerla.
«Anna! Anna Barton!» La donna non accennava a fermarsi e lui la afferrò per un braccio per farla voltare, forse con troppa veemenza, poiché la spinse contro di sé facendole cadere il caffè di mano.
«Ehi» urlò lei. «Mi lasci andare!»
Gli altri passeggeri si voltarono a guardare la scena. Per fortuna il personale della sicurezza non era nei paraggi.
«Le chiedo scusa» affermò lui, allentando la presa ma con ancora il viso vicino ai suoi capelli. «Le devo una tazza di caffè.»
In quei pochi istanti, Connor riuscì a percepire il calore emanato dal corpo di lei e si inebriò dell’aroma floreale dei suoi capelli che sembravano seta. L’impulso di stringerla a sé con maggiore forza stava diventando incontrollabile.
Girò la testa trovandosi a pochi centimetri dalle sue labbra. Il cuore iniziò a battergli forte nel petto.
«Allora, è lei Anna Barton?» le ripeté, mostrandole la carta di imbarco.
Leggendo il suo nome, i suoi occhi lo fissarono con fare accusatorio. Poi gli strappò i documenti di mano e li infilò velocemente in borsa. «Perché prima mi ha chiamata Becky?»
«Comunque prego, non c’è di che.»
«Le ho fatto una domanda» ripeté lei.
«Come le ho già detto, lei mi ricorda qualcuno che conosco.»
«Be’, si sbaglia. Non l’ho mai vista prima in vita mai e non sono il tipo che dà confidenza agli sconosciuti incontrati in aeroporto. Perciò la pregherei di lasciarmi andare e di starmi lontano.»
Era stata chiara.
«Mi scusi. Certo. Volevo solo aiutarla.»
Speriamo che ci creda.
Lei arrossì delicatamente e il corpo di Connor si infiammò ancora di più, tanto che dovette trattenersi per non stringerla a sé e baciarle le labbra carnose. Si accorse che anche lei stava fissando la sua bocca, quasi trattenendo il fiato, ma poi abbassò lo sguardo con un sospiro sofferto.
Connor la lasciò andare con difficoltà e alzò le mani in segno di resa.
La donna lo guardò sprezzante e si diresse verso il gate.
Che fianchi stupendi. Che andatura sinuosa.
Questo sì che è un incarico interessante.
Si pentì per averla strattonata. Doveva ottenere la sua fiducia per convincerla a tornare in Texas con lui.
Cosa avrebbe potuto fare per portarla a Houston?
Era pronto a fare qualsiasi cosa. Anna Barton era la cognata di Leo. La moglie, Abby, non si era mai ripresa dallo shock avuto da bambina a causa del rapimento della gemella. Era sicura che Leo sarebbe riuscito a scoprire cosa fosse successo alla sorella scomparsa. E Leo si era rivolto a Connor riponendo in lui tutte le sue speranze.
«Trovala. Fallo per me e per Abby. Lei non trova pace» lo aveva implorato Leo. «È come se fosse incompleta.»
Leo aveva cresciuto Connor dopo la morte della loro madre e ora lui era in debito con suo fratello.
Non era un lavoro. Era una questione di famiglia e niente poteva essere più importante.
L’hostess annunciò che il volo era al completo e invitò i passeggeri a occupare il primo posto disponibile.
«Chi si rivede» disse Connor, sorridendo ad Anna che fingeva di leggere un catalogo di vendite per corrispondenza. «Le spiace, anzi, ti spiace se mi siedo vicino a te?»
Senza sollevare lo sguardo, lei si limitò a lanciargli un’occhiata di disappunto e poi sollevò la borsa dal sedile, appoggiandola a terra.
Connor sistemò il cappello nel vano portabagagli prima di sedersi. Era troppo alto, o forse era il sedile a essere troppo piccolo, ma le sue spalle sfiorarono quelle di lei e ancora una volta Connor percepì il suo corpo bollente, nonostante la temperatura polare all’interno dell’aereo. Sembrava che il contatto dei loro corpi provocasse una strana reazione.
«Vuoi acquistare qualcosa?» le chiese.
Ignorandolo, lei continuò a sfogliare il catalogo.
«Sei una di quelle persone che odiano parlare durante il volo?»
Lei voltò un’altra pagina con veemenza.
«Devi essere come me. Quando mi siedo vicino a uno sconosciuto sull’aereo, applico la regola dei trenta minuti. Non inizio mai una conversazione fino a mezz’ora prima dell’atterraggio. Così evito di farmi incastrare in discorsi noiosi.»
Lei continuava a tacere. Connor pensò che forse avrebbe fatto meglio a smettere di importunarla. Poi notò un leggero movimento delle sue labbra.
«Hai anche tu la stessa regola?» le sussurrò, avvicinandosi.
Lei sospirò, facendogli sperare di avere una seppur minima possibilità di intavolare un discorso con lei.
«Chi si inventerà mai tutte quelle stramberie dei cataloghi? Tutto per accalappiare consumatori sprovveduti come me che alla fine si convincono di non poter fare a meno di una lettiera per gatti autopulente, quando il gatto neppure ce l’hanno.»
«Perché non rispetti la tua regola e non ti leggi il tuo catalogo?» lo interruppe lei.
Almeno gli aveva rivolto la parola.
«Ce n’è uno anche per te» gli fece notare, indicando il portariviste di fronte al sedile.
«Mi diverte di più leggere il tuo.»
«Non