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Sotto il tetto di NY (eLit): eLit
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E-book155 pagine2 ore

Sotto il tetto di NY (eLit): eLit

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Info su questo ebook

Per Viktoria Morfit il mondo esterno non ha più alcuna attrattiva, la casa è il suo unico universo. Ma è costretta a cambiare prospettive quando conosce l'affascinante proprietario dell'edificio in cui abita, Nathan Archer. L'uomo ha deciso che Viktoria deve ricominciare a vivere... al suo fianco!



I romanzi della serie "C'era una volta...":



1) Corteggiata dallo sceicco

2) Sotto il tetto di NY

3) Operazione matrimonio

4) Paparazzo reale
LinguaItaliano
Data di uscita28 feb 2017
ISBN9788858966310
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    Anteprima del libro

    Sotto il tetto di NY (eLit) - Nikki Logan

    successivo.

    1

    «Faresti meglio a sbrigarti, Nathan. Una donna sta per lanciarsi dal tuo immobile

    Due frasi.

    Tanto bastò perché Nathan Archer lasciasse precipitosamente l'ufficio di Columbus Circle diretto a nord.

    Paradossalmente la linea A della metropolitana era il modo più veloce per arrivare a destinazione: ben più rapida di un taxi o del suo autista, ma la fermata era comunque a un isolato di distanza dall'edificio sulla centoventiseiesima West in cui era cresciuto. In cui era invecchiato, prematuramente.

    Si fece strada tra la folla che si era radunata, scuotendo la testa davanti a tanta eccitazione. Com'era possibile che al mondo ci fosse gente che non aspettava altro che una poveretta decidesse di farla finita lanciandosi nel vuoto dal tetto di un palazzo?

    O dal cornicione.

    Seguì lo sguardo degli astanti e non ci mise molto a individuarla. Non si poteva certo dire che fosse pronta per un salto carpiato, infatti era accovacciata, non in piedi. Sembrava giovane, ma a quella distanza era difficile stabilirlo con esattezza.

    Fissava il cielo con un'intensità tale che sembrava del tutto ignara della folla radunatasi in strada. Nathan si sforzò di mettere a fuoco. Stava pregando o era semplicemente in preda alla disperazione?

    «La squadra di emergenza sta per arrivare» disse un poliziotto poco distante prima di risollevare lo sguardo con aria impotente. «Sarà qui tra una ventina di minuti.»

    Una ventina di minuti? Quella donna era rimasta lassù come minimo il quarto d'ora che gli ci era voluto per arrivare fin lì. Avrebbe resistito altri venti minuti?

    Decisamente improbabile.

    Nathan osservò la folla di spettatori che si guardava bene dall'intervenire e trattenne uno sbuffo. Era un vero peccato che fosse abituato a muoversi dietro le quinte. La cosa gli era tornata utile per tutta la sua vita: si risparmiava un sacco di tempo a non essere al centro dell'attenzione. Sotto i riflettori preferiva metterci dello staff lautamente retribuito.

    Sfortunatamente però in quel momento il suo staff non era presente.

    Fissò l'edificio e la donna in quella precaria posizione. Tra quelle mura non era già racchiusa abbastanza sofferenza?

    Imprecando sottovoce, Nathan mosse prima una gamba poi l'altra. Come era possibile che non fosse venuto in mente a nessuno? Si avvicinò all'edificio e iniziò a contare le finestre. Gli ci vollero pochi minuti per entrare nell'immobile, raggiungere in ascensore l'ottavo piano e poi il decimo con le scale, dove incrociò tre inquilini totalmente ignari del dramma che si stava consumando a pochi metri dalle loro abitazioni. Vedendo il servizio al telegiornale, quella sera, si sarebbero mangiati le mani per esserselo perso. Anzi no, perché la notizia non sarebbe mai arrivata al telegiornale, non se lui poteva fare qualcosa per evitarlo. Il suo progetto non aveva certo bisogno di cattiva pubblicità. Non vi aveva mica dedicato tutto quel tempo solo per vederlo andare in fumo a causa di una maniaca depressiva!

    Lungo il corridoio contò le finestre di ogni appartamento che sapeva affacciarsi sulla strada. Nove... dieci... undici. In corrispondenza della dodicesima si fermò giusto il tempo di calibrare uno strategico calcio al punto più debole della porta dell'appartamento 10B. Fragile e fatiscente quanto il resto di quell'edificio centenario, la porta cedette senza troppa resistenza.

    L'appartamento era pulito e arredato con gusto, ma talmente piccolo che Nathan riuscì a controllare tutte le stanze nel giro di una trentina di secondi, persino a dispetto della caviglia leggermente dolorante per via di quel calcio. Tre stanze avevano le finestre sigillate per motivi di sicurezza, ma pareva proprio che, secondo gli architetti, solo uomini robusti e adulti dovessero essere salvati da loro stessi, poiché in tutti i bagni dell'edificio, accanto allo scaldabagno, si trovava una finestrella abbastanza grande da lasciar passare una donna di esile corporatura o un ragazzino. E lui lo sapeva per esperienza personale.

    La trovò spalancata, con le tendine gialle che svolazzavano nella brezza.

    Il cuore gli batteva all'impazzata e il motivo non era solo la corsa che aveva fatto. Tirò un profondo respiro, salì sulla tavoletta del water e guardò fuori, aspettandosi di non trovare altro che piccioni.

    Invece la donna era ancora lì, abbarbicata sul cornicione. Gli dava la schiena ed era a quattro zampe, il che gli offrì la possibilità di notare il suo didietro inguainato in un paio di jeans attillati... e anche le corde che la assicuravano al cornicione.

    Nathan si sentì crescere dentro una rabbia mista a frustrazione. A chi poteva venire in mente di inscenare un suicidio? Sporse la testa fuori dalla finestra e gridò a gran voce: «Bellezza, le conviene buttarsi, altrimenti la spingo io».

    Viktoria Morfitt si girò talmente in fretta che per poco non perse l'equilibrio. I suoi riflessi erano decisamente fuori esercizio, ma i muscoli se la cavavano ancora piuttosto bene, il che le consentì di aggrapparsi al cornicione di pietra. Le sue vene furono percorse da una scarica di adrenalina, i suoi polmoni inalarono a fondo l'aria fredda mentre il suo sguardo si posò sull'uomo affacciato alla finestra che la guardava con una faccia da maniaco. La voce di lui aveva attirato la sua attenzione, ma col rumore incessante del traffico proveniente dalla strada, non era riuscita a distinguerne le parole. Che diavolo...? Viktoria retrocedette carponi finché non urtò contro la casetta per uccelli migratori che aveva appena installato sul cornicione.

    L'estraneo si sporse ancora un po' dalla finestra e le tese una mano, sforzandosi di parlare più chiaramente. «Stia calma, d'accordo?, era solo una battuta. Perché adesso non torna dentro?»

    Il suo tono conciliante e lo sguardo intenso non bastarono ad abbindolarla. I maniaci e i criminali non ti piombavano mica in casa con una cicatrice in faccia e la custodia di un violino al seguito. Nient'affatto, si presentavano esattamente come quel tizio: con una bella camicia, il colletto slacciato, chioma al vento, mani ben curate e un bell'aspetto. Il tipico uomo che uno avrebbe invitato a entrare senza pensarci due volte.

    Peccato che il tizio in questione non avesse aspettato l'invito per entrare.

    Per un attimo Tori pensò di lasciarsi ricadere nel vuoto. Quell'uomo le avrebbe svaligiato l'appartamento ma lei si sarebbe calata sul davanzale di Barney, che di certo era a casa, probabilmente con la finestra del bagno aperta, come di consueto giacché era un fumatore. Si portò una mano all'imbracatura di titanio che le stringeva la vita. Avrebbe retto. Reggeva sempre.

    Quasi sempre, rettificò con una fitta allo stomaco.

    Nel dubbio preferì alzare la voce nel tentativo di attirare l'attenzione di un vicino di casa. «Perché invece non esce da casa mia?» La tensione del suo corpo doveva essere evidente, chissà se anche quell'intruso la percepiva.

    Lui allungò nuovamente la mano nella sua direzione. «Mi stia a sentire...»

    Tori retrocesse ancora qualche centimetro, col rischio di far cadere la casetta e di dover ricominciare tutto daccapo, per non parlare del fatto che se fosse caduta in testa a un ignaro passante gli avrebbe fatto parecchio male. A quel pensiero abbassò lentamente lo sguardo e vide gli occhi di una trentina di passanti che fissavano nella sua direzione, più quelli di un paio di agenti del dipartimento di polizia di New York. «Ehi!» gridò gesticolando verso i poliziotti, «Presto, venite! C'è un ladro nel mio appartamento, il 10B!»

    L'estraneo emerse dalla finestra e allungò una mano nella sua direzione, ma lei la calciò via, quindi abbassò di nuovo la testa e vide che i due poliziotti stavano correndo verso l'edificio.

    L'estraneo la guardò con fastidio. «Senta, ho una riunione importante, quindi si decida: o si butta, oppure torni dentro.» E con quelle parole sparì all'interno dell'appartamento.

    Buttarsi? Guardò nuovamente la folla... che la fissava col fiato sospeso.

    Oh... no!

    Il viso le divenne paonazzo. Qualcuno doveva averla vista sul cornicione e aveva allertato la polizia. Quell'uomo doveva averla presa per un'aspirante suicida, e mentre se ne stavano tutti lì col naso in su, solo lui aveva avuto il fegato di correre fin lì per salvarla.

    Meritava come minimo un ringraziamento.

    «Aspetti!»

    Viktoria si avvicinò alla finestra e guardò dentro. L'uomo era più alto di quanto non le fosse sembrato da fuori, e anche più prestante, tanto che riempiva completamente il varco della porta del bagno. A ogni buon conto poteva essere attraente quanto voleva, ma era pur sempre un estraneo e lei non dava confidenza agli estranei.

    Lo scrutò con intensità. «Rientrerò solo quando lei se ne sarà andato.»

    «Come vuole» sbuffò lui. «La aspetto sul pianerottolo.» E un attimo dopo era uscito dalla visuale.

    Viktoria fece scivolare le gambe attraverso la finestrella finché non riuscì ad appoggiare i piedi sulla tavoletta del water, dopodiché si slacciò l'imbracatura con la pratica acquisita in anni di esperienza.

    Fedele alla parola data, l'estraneo la stava aspettando sul pianerottolo, oltre un cumulo di assi di legno distrutte.

    «Ma, ha abbattuto la porta!» esclamò accentuando l'ultima parola con un acuto degno di uno dei falchi migratori che volteggiavano sull'edificio alla ricerca di un posto sicuro dove crescere i piccoli.

    L'uomo rilasciò un sospiro frustrato attraverso le labbra sottili. «Mi scuso per aver supposto che fosse sul punto di gettarsi nel vuoto.» Non appariva per nulla dispiaciuto per quel disastro, in compenso era incredibilmente elegante e attraente, a dispetto dell'espressione fredda e distaccata. In quel momento due agenti fecero irruzione sul pianerottolo correndo verso di loro.

    «Mi ha abbattuto la porta» ripeté Tori indicando i danni.

    L'uomo, più alto di entrambi gli agenti, si voltò verso i nuovi arrivati. «Signori...»

    In men che non si dica i due lo immobilizzarono contro la parete del corridoio a dispetto della sua notevole stazza. L'estraneo riuscì a malapena a girare la testa fino a incontrare lo sguardo di lei, ormai in preda al senso di colpa. In fondo, quell'uomo non le aveva torto un solo capello, né ci aveva provato.

    L'uomo subì pazientemente un'accurata perquisizione e non batté ciglio mentre uno dei due agenti gli sfilava di tasca cellulare e portafogli e li scagliava bruscamente al suolo, lo sguardo costantemente incollato su di lei, come se la colpa fosse stata sua! Eppure quello sguardo la indusse a raccogliere i suoi effetti personali, che ripulì con cura mentre i due poliziotti gli premevano il viso contro la parete.

    «Cosa ci fa qui?» chiese uno dei due agenti.

    «La stessa cosa che fate voi: volevo aiutare una potenziale suicida.»

    «Questo è il nostro lavoro, signore» gli fece presente il secondo agente portando a termine la persecuzione.

    L'estraneo fissò il poliziotto che lo teneva fermo per la schiena. «Non avevo l'impressione che stesse per accadere con grande tempismo.»

    «Abbiamo un protocollo da rispettare, signore» rispose uno dei due agenti, arrossendo visibilmente.

    D'accordo, questa farsa è durata fin troppo, pensò Tori.

    «È lei il responsabile di questo disastro?» lo interrogò uno degli agenti, indicando la porta frantumata. «Questo si chiama danneggiamento di proprietà privata.»

    «In effetti, se vi documentaste, scoprireste che si

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