Mi manchi tu
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Out Of Line Series
Dall’autrice del bestseller Fuori controllo
Tanto tempo fa, Carrie pensava che lei e Finn avrebbero vissuto per sempre felici e contenti, ma la vita vera non sempre concede il lieto fine. La sua fiducia nell’uomo che ama è stata messa a dura prova: Finn la faceva sentire al sicuro, protetta, amata, ma ora lui è la causa del suo dolore più grande. Possibile che un errore, una distrazione in un momento di debolezza, possa distruggere tutto ciò per cui si è duramente lottato? Finn non si dà pace. Il problema della fiducia è che è più facile perderla che costruirla. Ma proprio quando sta per arrendersi ai demoni del suo passato, un evento inaspettato gli ricorda la cosa che sa fare meglio: proteggere la donna che ama. Che Carrie lo voglia o no, Finn è pronto a lottare fino all’estremo per lei e per la loro figlia. Lui deve tenerle al sicuro, anche a costo di mettere in gioco la sua vita e il suo cuore.
Un clamoroso bestseller
Ai primi posti nelle classifiche di «USA Today», «New York Times» e «Wall Street Journal»
«Una delle autrici più brave della sua generazione.»
«L’esordio di Jen McLaughlin è un gioiello che ho apprezzato molto e che mi ha tenuto incollato alle pagine sin dall’inizio.»
USA Today
«Chi può resistere al fascino del protagonista? Non io! Correte a leggere questo libro!»
Monica Murphy, autrice di One Week Girlfriend Series
Jen McLaughlin
Autrice di romanzi New Adult, autopubblicatasi sotto lo pseudonimo di Diane Alberts, scrive adesso per diverse case editrici. Vive in Pennsylvania. Fuori controllo, primo volume della serie Out of Line, ha avuto così tanto successo che Jen McLaughlin è stata nominata da «Forbes» assieme a E. L. James (l’autrice delle 50 sfumature) come una delle autrici più influenti. Oltre a Fuori controllo, la Newton Compton ha pubblicato anche Un disperato bisogno di te, Ogni volta che sei qui e Mi manchi tu.
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Anteprima del libro
Mi manchi tu - Jen McLaughlin
1258
Titolo originale: Fractured Lines
Copyright © 2014 by Jen McLaughlin
Traduzione dall’inglese di Maria Iavazzo
Prima edizione ebook: aprile 2016
© 2016 Newton Compton editori s.r.l.
Roma, Casella postale 6214
ISBN 978-88-541-9580-6
www.newtoncompton.com
Realizzazione a cura di Librofficina
Jen McLaughlin
Mi manchi tu
Out of Line Series
Dedicato ai fan di Finn e Carrie.
Dedicato a tutti voi.
Gli ostacoli che una volta superavamo con facilità sono diventati insormontabili, e alla fine ci abbiamo sbattuto contro…
C’è stato un tempo in cui pensavo che Finn e io avremmo vissuto insieme una vita felice, dopo tutto quel che avevamo passato, ma la realtà non riserva sempre un lieto fine. Sta mettendo a dura prova la mia fiducia: non riesco più a credere all’uomo con cui pensavo di trascorrere il resto della mia vita, e non c’è niente che io possa fare per impedirlo. L’unica persona che credevo potesse tenermi al sicuro si è trasformata nella fonte di tutte le mie sofferenze…
Il perdono è un fiore delicato, e alcune ferite non cicatrizzano mai completamente…
Un errore, un momento di debolezza, e potrei dire addio a tutto ciò per cui ho combattuto così duramente. Ora so che la fiducia è più facile da perdere che da conquistare. Ma proprio mentre sto per rinunciare e arrendermi ai fantasmi del passato, una minaccia inaspettata mi ricorda ciò che so fare meglio: proteggere la donna che amo. Anche se lei non mi vorrà più, mi batterò per Carrie e per nostra figlia, e le terrò al sicuro. A qualsiasi costo.
Anche a rischio della mia vita, e del mio cuore.
Capitolo uno
Carrie
Alle sette in punto salutai l’ultimo paziente della giornata, mi chiusi la porta alle spalle e mi lasciai andare contro il battente. Tolsi gli occhiali, mi passai una mano sulla fronte e sospirai. Ero esausta: era stata una giornata interminabile, e mi sentivo a pezzi fin dal mattino.
Avevo vomitato tre volte e avevo la netta sensazione di non aver ancora finito. L’unica cosa che desideravo era tornare a casa da mio marito e da mia figlia, fare una doccia calda e infilarmi nel letto. Al mio rientro, Finn mi avrebbe accolto con un sorriso e un abbraccio, mentre Susan avrebbe urlato qualcosa di gioioso e incomprensibile. Avevo un assoluto bisogno di loro. Il prima possibile. Mi staccai dalla porta e attraversai la stanza strofinando le mani sulla minigonna. Tornare a casa era il mio unico pensiero: nelle ultime due settimane avevo fatto gli straordinari, accettando più pazienti per guadagnare più soldi. Ero sposata da tre anni con Finn, e per tutto quel tempo le cose erano andate avanti splendidamente… ma negli ultimi tempi lui era stato costretto a casa a causa di un incidente d’auto. E ne avrebbe avuto almeno per un’altra settimana.
Per il bene di entrambi, speravo che passasse il prima possibile. Doveva assolutamente tornare al lavoro: la degenza l’aveva reso nervoso e instabile. Finn non stava mai bene quando non aveva niente da fare: aveva bisogno di tornare alla sua quotidianità.
E lo stesso valeva per me.
Presi il cellulare, il MacBook Air e il taccuino dalla scrivania. Mentre sistemavo il telefono in borsa vidi il display illuminarsi. Era la farmacia, constatai con un certo stupore. Perché mi chiamavano?
«Sì?», risposi destreggiandomi con la borsa, la valigetta del portatile e il telefono schiacciato tra l’orecchio e la spalla.
«La signora Coram?»
«Sì, sono io». Mi diressi verso la porta, spegnendo la luce dietro di me.
«Come posso aiutarla?»
«Sono Trish, della Good Health. La chiamo per la prescrizione di suo marito». Era una voce giovane e femminile, e il tono era così allegro che riuscivo a immaginarmi il sorriso stampato sulla sua faccia. Non aveva idea del senso di terrore che le sue parole stavano insinuando dentro di me, né di quanto fosse pericolosamente vicina a rovinarmi la vita. «Può passare a ritirare le medicine quando vuole. Ho provato a chiamare anche lui, ma è partita la segreteria telefonica. Ho pensato che stesse troppo male, così ho chiamato lei».
La prima cosa a precipitare fu la borsa, che si abbatté a terra con un tonfo… ed ebbi la sensazione che insieme alla borsa fossero caduti anche i miei organi interni. Finn aveva avuto un incidente, ma si era rifiutato di prendere medicine: temeva sempre di ricadere nella dipendenza da farmaci che aveva sviluppato parecchi anni prima, per curarsi da un disturbo da stress post-traumatico.
Era una storia ormai lontana, che risaliva al periodo del nostro fidanzamento, quando lui era ancora un marine. Per farla breve, la sua unità era caduta in un’imboscata e lui era stato l’unico a salvarsi.
Da quel momento non era più stato lo stesso.
Gli ci erano voluti mesi per ritrovare un po’ di pace, dopo un lungo e penoso calvario. Notti insonni, tranquillanti in dosi massicce… un periodo così tremendo che aveva finito per separarci. Dopo l’incidente mi aveva detto che non si fidava delle medicine: qualche settimana di riposo sarebbe bastata per riprendersi e tornare al lavoro. Quando gli avevo chiesto se ne fosse sicuro, mi aveva sorriso. «Positivo come un protone, Rossa».
Gli avevo creduto. Mi fidavo di lui.
«Signora Coram, mi sente?».
Mi ripresi dallo shock e strinsi più forte il telefono: «Sì, mi scusi».
«Passa a ritirarle stasera? Noi chiudiamo alle nove».
«Sarò lì tra pochi minuti», risposi cercando di mantenere la calma, anche se avrei voluto mettermi a urlare. Ma per niente al mondo avrei dato modo alla farmacista di pensare che fossi una specie di pazza isterica.
«Grazie».
Interruppi la comunicazione senza aspettare la sua risposta e mi lasciai andare contro il muro respirando affannosamente. Il cuore mi faceva male.
Mi aveva mentito. Non aveva voluto confessarmi il suo bisogno di medicinali. Perché? Avrei potuto aiutarlo. Gli sarei rimasta accanto, sempre e comunque.
Perché mi aveva tenuto nascosto il suo dolore?
Feci un respiro profondo e cercai di calmarmi. Forse c’era una spiegazione logica. Forse si trattava solo di un malinteso. Forse non c’entrava una dipendenza, e non mi aveva mentito. Forse il mio amore, e la mia stessa vita, non stavano cadendo a pezzi un’altra volta.
O forse no.
Con una mano sulla pancia, mi precipitai in bagno. Giusto in tempo: il getto di vomito che venne fuori dalla mia bocca avrebbe fatto impallidire la Linda Blair dell’Esorcista. Dopo che mi fui svuotata lo stomaco cominciai a tremare incontrollabilmente. In realtà, avevo temuto che quell’incidente potesse avere delle ripercussioni serie sul suo equilibro, visto che era capitato in concomitanza con l’anniversario della morte di suo padre. Ma lui sembrava sempre così forte. Così… invincibile.
E io mi fidavo di lui: avrebbe cercato di superare ogni difficoltà insieme a me.
Per quanto riguardava i suoi problemi psicologici, avevo sempre cercato di rispettare la sua privacy.
Mi aveva sposato per la donna che ero, e non perché fossi una psicoterapeuta. Non aveva bisogno che mi insinuassi nella sua mente e gli spiegassi come far funzionare il suo cervello.
Sarebbe stato un errore madornale e avrebbe innalzato tra noi un muro di incomprensione, rancore e rabbia. Ma forse avevo esagerato nel senso opposto, e gli avevo concesso troppo spazio. Forse non mi ero resa conto dei segnali di allarme.
Abbracciata alla tazza del water, terrorizzata dall’idea di muovermi, chiusi gli occhi e ripercorsi col pensiero gli ultimi tempi. Non veniva più a dormire nel letto con me, e aveva preso l’abitudine di addormentarsi sdraiato sul divano con una partita di football in sottofondo. Avevo pensato che fosse agitato proprio perché non prendeva i tranquillanti, e che non riuscisse a dormire bene accanto a me perché mi muovevo continuamente e gli tiravo calci nel sonno. Ma forse mi ero sbagliata. Forse la ragione era totalmente diversa.
E io non la conoscevo.
Raggiunsi la mia auto con le gambe che ancora mi tremavano. Durante il tragitto verso la farmacia non riuscii a smettere di pensarci. Sì, era stato davvero troppo nervoso, nelle ultime settimane.
Persino il suo colorito era cambiato: aveva perso il pallore dei primi giorni di convalescenza ed era sempre rosso in volto. Quando rientravo a casa e gli chiedevo del dolore mi rispondeva con uno sguardo evasivo.
E invece di riposarsi, sembrava addirittura iperattivo. Ma ciò che avevo interpretato come un segno di ripresa era probabilmente un primo segnale del tracollo.
Come avevo fatto a non accorgermene?
Mi sforzai di indossare un sorriso mentre mi dirigevo verso il bancone.
«Salve. Vengo a ritirare i medicinali da parte di Finn… ehm, Griffin Coram».
La farmacista sorrise e tirò fuori una busta da sotto il banco. «Sono contenta che sia riuscita a passare prima della chiusura… quando suo marito ci ha chiamati sembrava davvero sofferente. Ho dovuto fare qualche telefonata, ma alla fine sono riuscita a ottenere il rinnovo della prescrizione. Gli dica di stare più attento a dove mette le pillole e le boccette, la prossima volta: non credo di riuscire a spuntare un altro rinnovo, a breve».
A breve. Un’altra prescrizione.
Proprio com’era successo l’ultima volta che aveva cominciato ad abusare dei farmaci.
Allora ero stata io a fare qualche telefonata per lui. E ogni volta mi inventavo una scusa diversa: avevo perso le pillole, i dolori erano insopportabili… Proprio come stava facendo lui adesso, a mia insaputa.
«Quante volte l’ha rinnovata, finora?»
«Mi pare tre o quattro», disse la farmacista con un’occhiata penetrante. «C’è qualche problema?».
Avrei voluto dirle di non dare più pillole a Finn, ma sapevo che così non avrei risolto nulla. Sarebbe andato a procurarsele altrove. Da un altro dottore. In un’altra farmacia. Per strada. Non avrei potuto fermarlo. Se voleva stare meglio, doveva voler stare meglio. Io potevo aiutarlo, volevo aiutarlo, ma alla fine…
Dipendeva da lui. E solo da lui.
Rivolsi alla farmacista un sorriso così tirato che quasi sentii scricchiolare i muscoli del mio volto. «Niente, è che a volte è difficile stare dietro a tutte le cose».
«Oh», rispose lei perplessa. «Certo».
Rimase con lo sguardo fisso su di me mentre io mi attardavo a osservare un espositore, ostentando disinvoltura. Quando alla fine uscii ebbi la netta sensazione che le cose stessero andando di male in peggio. L’angosciante sospetto che mi aveva tormentato durante il tragitto verso la farmacia aveva avuto la sua conferma… e il dissolversi dell’incertezza, lungi dal darmi sollievo, mi aveva riempito di terrore.
Tutte le mie certezze si stavano sgretolando, e io mi sentivo impotente. Ero un dottore, e se Finn mi stava mentendo di nuovo, se mi stava nascondendo un’altra volta i suoi problemi, sapevo qual era l’unica cosa da fare. Lui doveva trovare la forza di aiutare se stesso…
Oppure doveva andarsene.
Gli avevo perdonato tante cose, tante volte, ma stavolta era diverso. Per quanto l’amassi – e l’amavo dal profondo del mio cuore – doveva assolutamente guarire.
Non era solo con le mie emozioni e con il mio cuore che stava giocando.
Avevamo una famiglia.
Niente era più come prima.
Capitolo due
Finn
Rotolai sulla terra fredda e dura. Qualcuno piangeva, e quel rumore disperato si fece strada tra le nebbie del sonno e rimase ad aleggiare nella mia testa.
Giacevo su quel dannato mare di sangue da ore, aspettando che qualcuno venisse ad aiutarmi. Mi avevano dato per caduto e di lì a poco lo sarei stato sul serio. Desideravo solo che Sorella Morte muovesse il culo e venisse a prendermi al più presto, brandendo la sua falce.
Ero pronto.
Il pianto divenne più forte, e io emisi una specie di grugnito. Ma… non erano morti tutti? Pensavo di essere l’unico superstite.
Diavolo, Dotter era morto dissanguato tra le mie braccia, qualche ora prima. Avevo la faccia impregnata del suo sangue, ne sentivo il sapore sulla lingua e in gola. Non avrei mai dimenticato quell’orrore per il resto della mia vita.
Non troppo a lungo, dopotutto.
Il pianto continuava, e mi sforzai di aprire gli occhi. Al posto del cielo scuro e nuvoloso che ricordavo vidi un soffitto bianco. Rumori confusi… una partita di football.
Sbattei le palpebre un paio di volte e ricordai. L’imboscata era il passato: risaliva a diversi anni prima. Questo era il presente, e io ero al sicuro in casa mia. Vivo. Non ero più un marine ma un ingegnere informatico. Ero felicemente sposato e avevo una figlia adorabile.
E non ero morto. Ero vivo.
Sospirai. Le palpebre tornarono a farsi pesanti e caddi nuovamente nel torpore.
Ma il pianto non si fermava…
Carrie
Quando arrivai a casa rimasi qualche minuto in macchina, aggrappandomi con forza al volante finché non mi fecero male le dita. Avrebbe dovuto dirmelo, dannazione.
Se fosse venuto da me e mi avesse chiesto di aiutarlo a gestire il problema di quelle dannate pillole, non saremmo arrivati a quel punto. Non sarei precipitata nei dolori del passato, dolori che speravo di essermi lasciata indietro. Era passato del tempo da quando Finn si era praticamente sgretolato davanti ai miei occhi.
Allora avevo dovuto lasciarlo andare via, e non volevo che accadesse di nuovo. Non volevo… ma se fosse stato necessario per la mia famiglia l’avrei fatto.
Ora c’era anche Susan: dovevo prendermi cura di lei.
Inspirai profondamente. Poi spalancai la portiera, scesi dalla macchina e imboccai il vialetto d’ingresso.
Aprii la porta di casa ed esplorai con lo sguardo il salotto. Mi aspettavo di trovare Finn, il suo caldo sorriso e il suo atteggiamento disinvolto, come se fosse tutto a posto. Ma non c’era nessuno.
Sentii una stretta al cuore, poi i battiti accelerarono fino a farmi male. Perché non era lì? Dov’era? La sua macchina era parcheggiata fuori, doveva per forza essere in casa.
«Finn?».
Niente.
Oh, mio Dio, e se avesse preso troppe pillole?
E se fosse morto?
E se non fosse solo un problema di abuso di medicinali? E se stesse accusando di nuovo i sintomi del suo disturbo da stress post-traumatico?
E…
Oh mio Dio, Susan? Dov’era nostra figlia?
Cominciai a correre freneticamente per la casa, controllando stanza per stanza, mentre nella mia testa si rincorrevano le ipotesi peggiori.
La cucina, dove mi sarei aspettata di trovare Finn intento a preparare la cena, era vuota.
E così la sala da pranzo, dove Susan avrebbe dovuto essere nel seggiolone a mangiare il suo spuntino serale a base di Cheerios, era vuota. Mi diressi sbandando verso il salotto, con le lacrime agli occhi